Anime & Manga > Soul Eater
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Autore: spookachan    07/01/2012    5 recensioni
Se Soul e Maka non fossero nati in un mondo di Buki e Maister come sarebbero andate le cose?
Si sarebbero sopportati lo stesso?
Bho xD
Dato che non c'ho nulla da fare mi invento questa storia, spero che rispecchi i personaggi del vero Soul Eater
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bene bene beeeeeeeeeeeeeeeene, ciao ragazzi! Tanto per cominciare in qualche modo la serie ho messo questo spazietto per l’autrice e bè…. Non so che dire.
Tanto per fare qualcosa ho deciso di suicidarmi cominciando una nuova, incasinata, sgrammaticata e … noiosa serie su Soul Eater, motonona vero?
E tanto per ammazzare il tempo eccomi qui, davanti allo schermo a battere tasti a casaccio sulla tastiera del mio pc da dopoguerra.
Dato che proprio non so che dire, anzi scrivere, ringrazio quei quattro gatti che stanno seguendo la mia prima ff “You’re my angel” che, come mi sono appena resa conto, ha un titolo completamente sgrammaticato (da ciò si deduce il mio voto in inglese ._.) quindi aspettate un secondo che vado a correggerlo…

Eccomi di nuovo da voi, ho cambiato il titolo della ff con “Are you my angel?” , Dio, che vergogna sbagliare il titolo della mia ff e accorgersene dopo 8 capitoli 0.0
Missà che questa parte la cancellerò perché è troppo vergognoso xD

Buona, pazza, lettura.

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Capitolo primo
Sono sicura che 1 persona su 3 ha letto quello che c’è scritto su… vabbe, se non vi interessa: chissene frega!

 
Soffitto…
La prima cosa a cui Soul Evans pensa alla mattina:
Soffitto, un candido soffitto verniciato di bianco.
Non potrebbe pensare a nient’altro perché in effetti è la prima cosa che riesce a vedere dopo un combattimento con la sveglia e le coperte alla mattina. Ci aveva fatto parecchie considerazioni, sul soffitto: era perfettamente bianco e candido proprio come la sua stanza, che se non fosse stato per i servitori, sarebbe probabilmente più simile a un campo di guerra che a una camera. Invece grazie a quegli impiccioni, che mettevano sempre tutte le sue cose a posto quando non era in stanza, avevano trasformato la sua camera personale a quella che somigliava molto di più a una camera di albergo che a una stanza di un adolescente.
A volte la mattina non aveva voglia di prepararsi per la scuola e rimaneva li: fissare il soffitto. Più che altro quello spazio di muro che lo separava dal piano superiore era una finestra nella quale Soul si perdeva in ragionamenti e resoconti della sua vita.
Soul Evans, 15 anni, secondo anno di scuola superiore, di famiglia benestante e con tradizioni musicali. Eppure lui era la pecora nera della famiglia, odiava la musica, non tutta, ma sicuramente quella che i suoi genitori lo costringevano a suonare.
Lui amava la musica perché era libera, almeno, secondo lui doveva esserlo; non come la musica del violino e del piano che suo padre gli faceva studiare a forza, come se fosse una medicina necessaria per fare parte in modo sano della famiglia Evans.
Già, la famiglia Evans; quella famiglia che odiava tanto. Se solo avesse avuto un altro cognome.
Soul Ray, Soul Harper, Soul Brown, Soul Black…
Perché proprio Soul Evans?
Quei dannati violinisti, con il loro galateo da rispettare e tutte quelle buone maniere del cazzo, Al diavolo!
Per colpa loro ,lui, Soul, era quello che era: 0 amici, nessuna ragazza e un esercito di guardie del corpo che avrebbe decisamente ammazzato, insieme a suo padre, che, come capo famiglia, si ostinava a mandarlo da psicologi e altri tizi con 4 o 5 laure in psicologia e sociologia che sostenevano che lui avesse dei problemi di un qualche tipo e gli prescrivevano medicine, completamente inutili. La sua vera malattia era la famiglia, quella che lo aveva costretto a trasferirsi dall’Inghilterra, dov’era nato, alla Francia, alla Germania, all’Austria, all’America e così via. Avevano girato il mondo, lui e la sua famiglia, infatti Soul sapeva innumerevoli lingue, cosa, come aveva sempre pensato, completamente inutile dato che alla fine non aveva nessuno con cui parlare tranne i suoi servitori e i suoi parenti, che erano le ultime persone al mondo con cui avrebbe mai desiderato conversare.
La colpa di tutto quel isolamento erano loro, con i loro traslochi e il fatto che il loro figliolo non poteva fare una cosa tanto mondana come andare dove avrebbe dovuto imparare quello che c’era da imparare. Il fatto che Soul avesse insegnati privati che venivano fino a casa per insegnargli le materie scolastiche lo aveva isolato terribilmente, anche se, c’era da dire, gli aveva fatto arrivare i voti alle stelle dato che gli esami li faceva a scuola e le domande dei test erano per lui una sciocchezza.
Soltanto dopo innumerevoli richieste finalmente i genitori lo avevano mandato a scuola in modo normale per il suo primo anno di superiori, ma non troppo, perché ovviamente anche se la scuola non veniva a casa sua, doveva essere una scuola di élite.
Scuola di élite = scuola di figli di papà. Come lui d’altronde.
Li odiava tutti, i suoi compagni; forse perché anche se uno di loro arrivava tardi in classe non si prendeva una strigliata ma un grande benvenuto e gioia da parte dei professori; forse perché anche se lui faceva una bravata non veniva punito perché figlio dei grandi Evans, finanziatori della scuola; forse perché odiava già quella scuola, prima che i suoi compagni.
Ma non gliene fregava, tanto era una pecora nera, un figlio mal riuscito, un dannato secondogenito.
Dimenticava suo fratello! Il sacro santo fratello perfetto! Il ritratto della perfezione fatto a persona.
Alto, biondo, bello ma gracile e assai poco massiccio. Schizzinoso, perfettivo con la puzza sotto il naso, con un portamento da principe e l’intero volume del galateo e delle buone maniere inciso nella mente. Come lui, erano stati istruiti alla stessa maniera. In realtà, più che altro, i genitori avevano istruito Soul alla stessa maniera del primogenito sperando che desse loro tanta soddisfazione quanto il fratello; si sbagliavano.
Soul aveva imparato tutte quelle regole e le aveva immagazzinate dentro di se, anche lui le usava, ma a modo suo. Era diverso, e diverso non è una parola che rientra nel vocabolario Evans, lì vi sono solo sinonimi di perfetto e impeccabile.
I pensieri del ragazzo vennero interrotti dalla cameriera, Nicole, che entrò nella sua camera timidamente e gli diede il buon giorno. Era nuova, come tutti i servitori in effetti, perché suo padre era convinto che per un lavoro efficiente bisognasse rinnovare spesso il personale, lui e le sue idee contorte.
-Giorno Nicò, Oggi è Domenica?.- La salutò Soul sbadigliando, poi si accorse che Nicole era tutta rossa e notò di essere ancora vestito dalla sera precedente, con la camicia sbottonata, ci mancava solo la cameriera imbranata: che palle.
-Signorino Evans, i suoi genitori e suo fratello la stanno aspettando in sala.- Soul si guardò allo specchio a muro sul armadio: Occhi rossi e capelli argentati, arruffati e completamente poco Evans; Era nato così, come storpio, albino. Era una cosa molto cool secondo lui, ma non secondo i suoi, che a volte gli avevano fatto tingere i capelli, soprattutto per le occasioni importanti. Invece a Nicole sembrava piacere molto quel suo stile trasandato, tant’è che lo stava ammirando di nascosto ,mentre lui si specchiava assonnato, credendo di non essere vista.
Indossava dei jeans azzurri, larghi e che toccavano terra e una camicia bianca con sottilissime striscioline rosse e nere , sbottonata e con le maniche rigirate, proprio come i suoi genitori odiavano. Gli piaceva molto farli imbestialire, infatti si mise una cintura nera con un piccolo, bel teschio d’argento, simbolo che gli Evans odiavano, e di abbottonò la camicia a metà, svogliatamente, infilandosi due calzini diversi e preparandosi per scendere, così come veniva.
-Nicò- chiamò il ragazzo mentre si metteva i calzini. La ragazza accorse e lo guardò servizievole.
-Hey, dici che mio padre se mi vede così mi ammazza?- Nicole a quella domanda non rispose perché non poteva fare commenti del genere sui suoi padroni e si limitò a fare un cenno col capo
-Può darsi-
-Nicolé- Soul la voleva mettere alla prova.
-Sissignore?- Chiese pronta mentre regolava la sveglia per le sette del giorno dopo
-Senti io… bè è difficile sai, per me… noi siamo diversi, lo capisci?- Soul lo disse convinto, sembrava perso in un profondo sentimento e Nicole ci casco in pieno lasciando cadere a terra la sveglia e sbattendo le palpebre stupita.
-Signorino Soul!-
-Signorino? Soul, per te.. solo Soul… tu sei unica, Nicolé! Io ti amo!- Soul le prese le mani, era più alto di lei che invece era minuta, con delle gambe lunghe ricoperte da calze nere e indosso al suo vellutato e formoso corpo c’era un vestitino da camerierina che faceva molto film porno. E in testa sui capelli rossi tenuti alla melo peggio da una spilla un cerchietto ricamato di nero e bianco con un fiocchettino rosso e lo stemma degli Evans, quello la faceva sembrare di loro proprietà, cosa quasi esatta. Probabilmente un ragazzo normale ci avrebbe fatto anche un pensierino, ma a lui interessava quanto un piatto di asparagi, come tutte le ragazze.
Intanto la ragazza aveva le lacrime agli occhi e un sorriso triste dipinto sul viso candido.
-Soul..- Evvai! Aveva abboccato; ora iniziava il divertente. Le tocco la schiena in maniera provocante facendole venire i brividi.
-No.. Soul non possiamo.. non possiamoo…- Si lamentò col fiatone e un terribile batticuore.
-Tu hai capito… dove voglio arrivare, vero?-
-s…Si…-
-Anche tu mi ami, non è così?-
-Oh, Soul soul soul anche io la amò con tutto il mio cuore, ma non possiamo… lei, cioè… tu! Tu sei il figlio del mio padrone-
-Lo so-
Soul si avvicinò a lei e la strinse avvicinandosi al suo orecchio e le sussurrò
-Nicò… sei una credulona assurda, ma hai un bellissimo sedere.-
A questo punto la ragazzina capì il gioco sporco che aveva condotto il signorino Evans e fece un passo indietro chiedendo umilmente scusa correndo via e suscitando risate a ripetizione da parte del ragazzo.
Era divertentissimo prendere in giro le cameriere giovani attratte da chissà cosa di lui. Forse il fatto che somigliava a una persona normale molto più che a quei suoi parenti.
-Che pallee, devo muovermi o papà mi ammazza.-
L’albino si scaraventò giù dalle scale saltellando su una gamba mentre si infilava meglio calzini e ciabatte e si scompigliava leggermente i capelli bianchi. Incondrando decine di camerieri, servitori e maggiordomi che gli auguravano una serena giornata
Arrivò finalmente davanti al salone dove suo padre e sua madre si incontravano alla mattina per gli annunci importanti e entrò senza troppe cerimonie dando un allegro buongiorno a un tutt’altro che allegro trio familiare. Si sedette accanto a suo fratello Wes, il maggiore, il perfetto o quel cazzo che era.
-Soul, ti vieto di conciarti nuovamente così, rovini il nome del casato!- esclamò sdegnata sua madre.-
-Si, si, va bene.- acconsenti indifferente.
-allora, perché tutta questa attesa? Che c’è? Perché mi avete chiamato?.- Arrivò al punto Soul che non sopportava affatto tutta quella formalità e desiderava andare a starsene da solo senza genitori sul collo.
-Io, tuo padre e tuo fratello abbiamo deciso che cambierai abitazione.- annunciò solenne la madre.
-Un altro trasloco?-Si stupì, non troppo, il ragazzino. Si trasferivano circa ogni 2 anni, erano in quella casa solo da mezzo anno e gli sembro solo un po’ strano
Ci fu un pesante silenzio interrotto da Soul
-E dove andiamo sta volta?- Domandò versandosi il thè
-Dove vai, vorresti dire.- lo corresse Wes
-Eh? E voi?-
-Noi restiamo qui a Amsterdam.- Dichiarò suo fratello con tono piatto
-Mi state mandando in collegio?-
-Se la vuoi mettere così.. diciamo che alla tua attuale scuola non ti stai comportando bene quindi ti mandiamo dove imparerai a comportarti a modo- Concluse suo padre chiudendo il discorso
-Mi stanno mandando in collegio-
 

  
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