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Autore: Chaike    07/01/2012    1 recensioni
Chester e Mike sono alle prese con il loro nuovo album del 2012, ma le idee scarseggiano.
Così Chester per consolare l'amico lo porta un po' in giro ed assistono ad un atto di bullismo, il quale fa ricordare a Mike una parte della sua infanzia.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mike tamburellava nervosamente la penna sul taccuino vuoto, spremendo le meningi nel tentativo di scrivere almeno una frase, una parola, qualcosa per la nuova canzone a cui stavano lavorando.
Chester era seduto su una sedia girevole in pelle su una scrivania dall’altra parte della stanza, con il cellulare su internet e saltava da un sito all’altro senza meta.
Mike sospirò. Non aveva idee.
« Zero, zero … » ripeteva di continuo con lo sguardo fisso nel vuoto, mentre continuava a tamburellare la penna in continuazione.
Chester appoggiò il telefonino, capendo che era arrivato il momento di una mano. Si alzò dalla sedia su cui era accoccolato e si mise su quella affianco a Mike.
Gli diede delle pacche sulla schiena, cercando di consolarlo per quel suo vuoto.
« Non riesco a concentrarmi » sbuffò appoggiando la penna sulla scrivania e portandosi le mani al viso per strofinarselo.
« Vuoi andare a fare un giro? » chiese Chester accarezzandogli la schiena.
Annuì.
 
Erano nel centro di Los Angeles. Le strade erano riempite di macchine con i conducenti innervositi che suonavano il clacson, di gente sui marciapiedi con sacchetti pieni di vestiti firmati ed un brusio di voci riempiva quell’immenso spazio della città.
Le vetrine esponevano manichini che indossavano vestiti di una determinata marca, orologi, scarpe, gioielli, di tutto di più, e tutte erano accumunate dalla scritta a caratteri cubitali “SALDI”, tipica di quel periodo estivo.
Decisero di sedersi ai tavoli fuori di uno Starbucks e ordinarono dei frullati.
« Di cosa vuoi parlare? » chiese Chester rivolgendosi all’amico.
« Non saprei … Ho voglia di tornare a casa, ad Augora Hills. E’ da tanto che non ci torno. E’ anche da tanto che non vado al Linclon Park …» disse con tono malinconico mentre con la cannuccia torturava il frullato roseo.
« Anche io vorrei, ma ho i brividi al solo pensiero di ritornare nel mio vecchio quartiere. Non voglio vedere quel lerciume, che loro chiamano “casa”, in cui abitano quei drogati …» e cominciò a stritolare la cannuccia.
Mike non seppe come tranquillizzarlo, si limitò a togliere delicatamente la mano dal povero tubetto di plastica e appoggiargliela sul tavolo. « Hey, non ci pensare » e gli sorrise.
Chester ricambiò il sorriso, un po’ amaro, e girò lo sguardo verso i marciapiedi affollati.
Scorse un gruppetto di ragazzi sullo skateboard e sorrise, invidiandoli per la loro libertà nel vivere la gioventù come volevano, come dei ragazzi normali.
Il suo sorriso tramutò in uno sguardo di disapprovazione, poi di rabbia. Alla fine si alzò e corse verso di loro: si erano fermati ed avevano accerchiato un ragazzino che aveva un sacchetto del Game Stop. L’avevano già buttato per terra con uno spintone quando arrivò lui con sguardo a dir poco incazzato e gli sbraitò con la sua solita voce spacca timpani « Lasciate stare questo ragazzino o ve la vedrete con me ».
Non ci pensarono due volte a lasciar perdere: un trentacinquenne contro di loro di circa dodici o forse tredici anni? Nah, si sapeva come sarebbe andata a finire.
Se ne andarono via, con la coda fra le gambe.
Chester tirò su il ragazzino, anche lui di dodici o tredici anni, e gli fece tenerezza nel vederlo così indifeso.
« Tutto apposto? » gli fece tirandogli docili pacche sulla schiena.
« S-Sì, grazie infinite » fece un inchino e se ne andò, a testa bassa.
Chester tornò al tavolo, dove Mike aveva assistito alla scena guardandolo con orgoglio.
Quando Chester si sedette notò una strana sfumatura nel suo sguardo, come se fosse pensieroso o preoccupato, come se stesse avendo un flash back.
Pensò un attimo
« Ho un dejà vu » disse e si accorse che nel medesimo momento l’aveva detto anche lui.
Si guardarono e risero.
« Tu perché? » chiese Chester ridacchiando ancora.
« Quando avevo circa otto anni fui difeso da un bambino di circa la mia età. »
« Ah davvero? Racconta un po’ » disse Chester, mostrandosi interessato.
Così Mike cominciò a raccontare.
 
« Come sai io da piccolino ero preda di atti di bullismo, sarà stato perché era il primo della classe, perché ero bruttino, perché non ero perfetto e per chissà quale altro motivo. »
« Che teste di cazzo » interruppe Chester stizzito, scuotendo la testa.
Mike sorrise dandogli ragione e riprese: « Già … A volte mi picchiavano ed io tornavo a casa malconcio, con lividi e vestiti un po’ strappati e sporchi. Una volta mi è capitato di ritornare a casa con il labbro sanguinante – ma questi erano i tempi delle medie –, fatto sta che riuscivo sempre a nascondere il tutto ai miei genitori: loro non c’erano quando tornavo a casa, e quando loro tornavano dal lavoro io stavo per andare a dormire. In più non avevo nemmeno una baby-sitter, sapevano che così facendo sarei diventato una persona più matura e responsabile. Di questi problemi poi, non gliene parlai mai …»
« Perché? » chiese Chester quasi incredulo « Bisogna sempre parlarne! »
Mike sorrise « Lo so, adesso. Ma da piccolo non lo sapevo. Cioè, lo sapevo, ma avevo paura che poi si vendicassero dopo essere stati sgridati dai loro genitori.  Avevano circa tre anni in più di me, quindi a quell’età la scemenza aumenta, sarebbero stati capaci di uccidermi e nascondere il mio cadavere chissà dove …»
Si alzarono dal tavolino e se ne andarono – avevano già pagato all’ordine dei frullati –.
 
Quel pomeriggio di Luglio non era afoso, era semplicemente caldo e piacevole. Girarono per il paro vicino al centro. Le piante fornivano riparo dal quel sole un po’ accecante sotto le loro fresche ombre dove furono piazzate delle panchine.
Si sedettero su una e Mike ricominciò a raccontare:
« Nel periodo delle elementari mi rubavano soldi, cibo e a volte anche giocattoli, come il gameboy, oppure il monopattino. Ogni volta che tornavo a casa senza di essi mi giustificavo dicendo che li avevo lasciati o al parco o chissà dove. Così smisero di comprarmeli.
L’unica cosa che mi comprarono per la decima volta fu una bici – ne avevo bisogno per andare a scuola, sennò mi sarei dovuto svegliare alle sei del mattino per poi sperare di arrivare in orario –. Così all’ennesima bici mi dissero che dovevo farci attenzione e che non la dovevo perdere per alcun motivo, sennò sveglia alle sei!
Ci avrei fatto attenzione anche senza che me lo dicessero, perché quella bici mi piaceva davvero tanto: era blu ed aveva delle fiamme rosse sulla canna ed il segno degli Autobot sul manubrio. »
Ridacchiarono un po’.
« Sì, mi sono sempre piaciuti i Transformer. Così cercai di nasconderla ai quei bulli da quattro soldi. Ma fu tutto inutile …»
Chester gli diede una pacca sulla spalla « Continuiamo mentre ci avviamo agli Studios, si sta facendo tardi »
Mike annuì e si alzò. Si diressero verso la Warner’s Borss Studios intanto che Mike continuava a narrare:
« Come ho detto prima fu inutile nascondergliela: un giorno stavo tornando da scuola, dopo essermi fermato al pomeriggio per le ripetizioni di matematica – con la bici appunto– e ad un certo punto uno spintone mi butta giù e mi fa rotolare nell’erba. Mi rialza sistemandomi gli occhiali e pulendomi dall’erba che mi si era appiccicata addosso e vidi di nuovo quei buffoni che sghignazzavano mentre mi guardavano divertiti. Uno mi disse “Hey pulce” così mi chiamavano “Che bella bici, proprio da bambini. Me ne serve proprio una per il compleanno di mio fratello, sai, compie cinque anni!” e scoppiarono tutti a ridere sguaiatamente.
Io li guardai infuriato, non volevo che me la prendessero. Così mi feci coraggio e feci un passo avanti ringhiando “Non provate a toccarla brutti bastardi!” e già li stavo per uccidere »
« Addirittura? » rise Chester.
« Diamine sì! Questi risero di nuovo sguaiatamente ed un altro fece ridendo “Hey pulce, cosa pensi di fare? Speri che Optimus Prime ti venga a salvere?” ormai con le larime agli occhi dalle risate.
Mi sentivo la rabbia ribollire in maniera impressionante. Però avevano raggione: cosa speravo di fare? Ero più piccolo di statura e di età, un più loro erano in cinque, ed io? Da solo … Però fino a mezzo minuto dopo!
Quest’ultimo ragazzo si avvicinò per pestarmi, quando …»
Chester sorrise ed alzò il viso al cielo, sapeva già tutto. Mike se ne accorse, ma fece finta di niente.
« Quando ad un erto punto “Sbang! Sbang!” si sentirono dei colpi di ferro. Il ragazzo si girò e vide due suoi amici a terra con le mani alla testa mentre si contorcevano dal dolore, e l’altro che stava incassandone uno proprio in quel momento.
Un ragazzino di circa la mia età, magro come un chiodo, impugnava un tubo di ferro, un po’ mal ridotto per le botte. Mi s’illuminarono gli occhi.
Il bulletto non ebbe il tempo di scappare, di ragionare e di altro, che quel ragazzino gli si fiondò addosso colpendolo in piena guancia con il tubo e mi urlò con una voce impressionante “Prendi la tua fottuta bici e scappiamo!”.
Così feci e scappammo via, con lui sul porta pacchi dietro. Quando ci ritenemmo abbastanza lontani ci fermammo.
Tirai un sospiro e scendemmo. Lo ringraziai, mi presentai e gli chiesi chi fosse lui. Sai cosa rispose? » chiese con tono divertito.
« Cosa ti chiese? » rispose con tono ironico, sapeva benissimo cosa gli rispose.
Erano ormai davanti agli Studios.
« Mi rispose stizzito “ Come? Non mi riconosci? Sono il quinto componente dei Depeche Mode”. » e cominciò a ridere al suo modo da scimmia impazzita. Chester fece una risatina leggera, quasi amara.
Mike se ne accorse, ma fece un’altra volta finta di niente. « Dopo gli hiesi se voleva qualcosa in cambio per rendergli il favore e lui mi rispose …»
« “Regalami una vita migliore” … E corse via …» con tono freddo.
Si fermarono, erano davanti al loro edificio di lavoro.
« S-Sì … Chester … Eri tu? » fece sgranando gli occhi.
Chester annuì sorridendo.
Mike era confuso « P-Perché eri ad Augora Hills? »
« Quando ero piccolo scappavo, stanco dello sfruttamento di mio padre. »
« Ma … Augora Hills e Phoenix sono distantissime! »
« Autostop » fece ridendo, allargando le bracia e tirando su le spalle.
« E … E come sei tornato a casa? »
La polizia mi pizzicò rubare in un negozio di alimentari e mi portò a casa. »
Mike lo abbracciò e ridendo gli disse « Ti devo una bici! »
« No grazie, mi hai già dato quello che ti chiesi »
Mike si staccò e lo guardò con sguardo interrogativo.
« Una vita migliore. Da quando mi hai fatto entrare nel gruppo la mia vita è passata da così a così. Mi hai praticamente salvato Mike » e forgiò uno dei suoi più bei sorrisi contagiosi, che fecero sorridere a sua volta Mike.
« Ti voglio bene amico mio » fece Mike, appoggiandogli la mano sulla spalla.
« Anche io » rispose facendo altrettanto.
Ed uno con il braccio sulla spalla dell’altro entrarono negli Studios, con magari qualche nuova idea per la loro canzone.
   
 
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