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Autore: skeight    08/01/2012    2 recensioni
Inuyasha, commesso in una boutique di alta moda, tiranneggiato dal fratellastro e padrone del negozio Sesshomaru, trova in uno strano manichino l'incontro che cambierà la sua vita. Liberamente ispirato al film "Il bacio di Venere" di William A. Seiter (1948).
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kikyo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L’indomani Sesshomaru sperava di non dover riprendere la discussione, ma dovette amaramente constatare che il malumore di Inuyasha non era diminuito nemmeno un po’ dopo la reprimenda.

“Ancora? Giuro, Inuyasha, se in te non scorresse in parte il sangue di nostro padre ti avrei già strozzato con una cintura di cuoio.”

“Lo stesso pensiero che mi ha impedito di fare lo stesso a te. Ma ascoltami, per una volta. Lo dici tu stesso che il sangue di nostro padre è anche in me. Perché non farlo fruttare? Non devo apparire come proprietario? D’accordo, non è questo il mio problema, sai che m’importa. Ma dammi qualche lavoro più dignitoso.”

“Tipo?”

“Tipo concedimi di fare il commesso, di parlare con i clienti.”

Sesshomaru sentì gli artigli incancrenirsi.

“Vorresti parlare con i clienti?”

“Perché no?”

“Santo cielo, Inuyasha, tutto sto facendo per preservare il buon nome del negozio, e tu di punto in bianco vorresti uno degli incarichi più delicati?”

“Mi sembra di essere adatto. Le buone maniere le hanno insegnate a me come a te, i vestiti li conosco anche io, la pazienza verso i clienti ce l’ho, visto che sono duecento anni che sopporto te... Fammi provare, disastri non ne posso combinare.”

Sesshomaru iniziò a sentirsi come quei bambini con un fratellino più piccolo che fanno i capricci e strillano finché non ottengono, per disperazione, ascolto. Con fare insofferente estrasse dalla tasca un’agendina rilegata, e lesse attentamente.

“Vediamo un po’... oggi non se ne parla nemmeno, però domani non ci sono appuntamenti importanti in negozio... e sia! So già che me ne pentirò, ma domani ti concederò di fare una prova.”

“Davvero!?”

“Non mi hai sentito? Però ti avverto, Inuyasha: se combini il minimo guaio te ne torni alle vetrine... e se è un guaio più che minimo ti spedirò a trovare nostro padre! Siamo intesi?”

Inuyasha non poteva arrabbiarsi per le minacce, in quel momento: “Farò del mio meglio!” esclamò, entusiasta.

 

Il giorno dopo Inuyasha sedeva con postura impeccabile dietro il tavolo in mogano del negozio. Indossava un gessato blu retrò e guanti bianchi. Sesshomaru lo osservava perplesso.

“È come mettere un frac ad uno spaventapasseri” pensò; e poi, a voce più alta: “Come abito siamo a posto; ma non potevi sistemarti meglio i capelli?”

“Perché? Li pettino sempre così.”

“Ma ora non sei un vetrinista, devi metterci più cura... troppo lunghi.”

“Da che pulpito... da piccolo ti scambiavano sempre per donna.”

“I miei capelli non sparano da tutte le parti. E vedi di evitare questo linguaggio quando entreranno i clienti, chiaro?”

“Tranquillo, fratello. So come ci si comporta in società.”

Sesshomaru disse qualcosa di incomprensibile sotto voce, e si recò nell’atelier a iniziare i bozzetti per la duchessa. Finalmente solo, Inuyasha si rilassò, sospirando per la contentezza. Ma dovette tornare quasi immediatamente composto, perché tre persone entrarono nel negozio.

Era un coppia con figlio appresso, e dagli abiti e dal modo di fare si riconoscevano subito per “nuovi ricchi”. L’uomo indossava un completo da sera grigio e fumava un sigaro pestilenziale, la moglie aveva gioielli alle orecchie, alle dita, e anche sopra i gioielli. Infine, il bimbo aveva dei ridicoli pantaloni corti da cui spuntavano zampette curiose, ed oscillava di qua e là, con classica mancanza di educazione, una lunga coda fulva.

“Buongiorno, signori. In cosa posso esservi utile?” chiese cortesemente Inuyasha.

Garçon, sono la signora Kawasaki. Vorremmo un abito per il nostro bambino” disse, con orrenda pronuncia del francese, la donna “ma qualcosa di veramente elegante... la settimana prossima è il suo primo giorno d’école.”

“Capisco. Che genere preferite? Un completo occidentale anni Cinquanta? Uno più tradizionale? Colori vivi o cupi?”

“Come lo preferisci, Shippuccio?” chiesa la madre al suo bambino. Shippuccio storse la bocca e sbadigliò ostentatamente.

“Non gli piacciono le cose che avete proposto”

“Nessun problema” disse prontamente Inuyasha “se il signorino vuole seguirmi gli mostrerò i modelli dei nostri abiti e tutti i campioni di tessuto, così potrà scegliere quello che più gli aggrada.”

Shippo, segui il signore” gli disse il padre. Shippo scosse la testa.

“No, è brutto e ha un’aria stupida.”

“Se lo segui poi ti compriamo una macchinina nuova.”

“Ma avevi già detto che me ne compravi una oggi!”

“Ah, davvero? Eh, vabbé, allora... d’accordo, te ne compreremo due!”

“Facciamo tre.”

Dopo una lunga contrattazione Shippo si decise a seguire Inuyasha, il quale inizio a sfilare dagli scaffali i vestiti con la grazia di un creatore di ikebana. Ma mentre li poggiava sul tavolo con la massima delicatezza sentì un dolore improvviso alla caviglia: abbassò lo sguardo e vide il piccolo Shippo che gli aveva affondato i denti nella gamba.

“Ehi!”

Mon petit enfant!” esclamò la madre intenerita “è così ansioso di diventare forte come il padre che ogni volta che può si allena con il suo ‘kokoro no kizu’!”

“I ragazzi d’oggi son vivaci eh?” disse il padre soddisfatto.

“Eh, certo, signori” disse Inuyasha, determinato a mantenere il contegno “però bimbo, da bravo, se non mi lasci la gamba non posso farti vedere i vestiti tra cui potrai scegliere...”

Dopo aver maciullato un po’ di carne e stoffa, Shippo si decise a guardare i vestiti. Tuttavia, essendo molto basso anche per un bambino, non arrivava a vedere quel che c’era sul tavolo. Inuyasha fece per prenderlo in braccio, ma agilmente Shippo saltò sul mobile, e le piccole unghie delle sue zampette graffiarono orrendamente il legno. A vedere lo scempio di quello che era il pezzo di mobilio più pregiato del negozio Inuyasha ebbe un mezzo mancamento, ma con sforzo eroico riuscì a mantenersi calmo.

“Bene, vediamo un po’... guarda questa camicia, ottima qualità, e trama vivace... l’ideale, mi sembra, per un giovane attivo ma distinto come te. Che te ne pare?”

Shippo la osservò attentamente, la prese tra le mani, la annusò, e alla fine la strappò con i dentini.

“Non mi piace” sentenziò.

Inuyasha era terreo in viso.

“Signori, mi duole dirvi che dovrete pagare questa camicia... che vostro figlio ha inavvertitamente lacerato...”

“Non l’ho fatto apposta” esclamò Shippo simulando una voce già tremante di pianto, con due lucciconi artificiali che già facevano capolino sul suo volto di angelico figlio di puttana.

“Su, piccolino, ne pleure pas” lo consolò la madre accarezzandogli la coda.

“Pure voi, però, fate giocare un bambino con le vostre camice così delicate?” borbottò il padre “Pagherò il danno, ma proprio perché sono uno degli uomini più ricchi della città e me lo posso permettere, modestia a parte.”

“Scusate... non accadrà più” mormorò Inuyasha chinando la testa, più per nascondere gli occhi iniettati di sangue che non in segno di contrizione. Dopo di che continuò a mostrare altre opzioni d’abito a Shippo, sempre con risposta negativa, e andarono avanti così per tre quarti d’ora finché Inuyasha, ormai allo stremo delle forze, fece una proposta.

“Siccome mi pare che al momento non abbiamo in negozio abiti che rispondono al gusto del signorino, che ne dite di realizzarne uno su misura? Basta che il signorino mi dica l’abbinamento di colori che preferisce e faremo realizzare un abito in breve tempo.”

“Non è mauvaise come idea” disse la madre.

“Per essere una famosa boutique mi sembrate piuttosto sforniti” ironizzò il padre.

“Allora, che colori preferisci?” chiese Inuyasha al bambino.

“Voglio un paio di pantaloni verde pisello” rispose prontissimo Shippo “una camicia blu elettrico e una giacchettina fucsia, e il fazzoletto da taschino avana.”

Inuyasha avrebbe potuto sopportare anche un coltello nel costato senza eccessive lamentele, ma quell’accostamento di colori ripugnava così tanto al suo senso estetico che per poco non svenne. Tuttavia, sentendosi fissato dai genitori del pargolo, riuscì a simulare l’impassibilità.

“D’a... d’accordo. Realizzeremo quest’abito in men che non si dica.”

“Me lo auguro” disse il padre di Shippo “su, andiamo, mi sono stancato.”

“Ma no, cheri” disse la moglie “guarda quanti bei vestitucci, diamo un po’ un’occhiata.”

“Benedetta donna, sino ad ora non potevi guardare, eh? E va bene, ma solo dieci minuti.”

La signora iniziò ad osservare i vari manichini mentre il marito con un sospirò profondo si gettò su una sedia e si accese un nuovo sigaro (l’altro era ancora a metà, ma l’aveva buttato). Inuyasha, senza farsi sentire, emise un sospiro di sollievo, ma un rumore strano lo fece irrigidire: sembrava un ruscello di montagna... e poco dopo terminò, ma per essere sostituito da una nuova sensazione, non più sonora ma tattile, di umidiccio. Abbassò gli occhi e vide il piccolo Shippo che si richiudeva il vestito dopo aver orinato sulle sue scarpe. A quel punto, Inuyasha non ci vide più: sfoderò gli artigli, alzò un braccio verso il cielo, fissò il bimbo con occhi carichi di odio e... sentì qualcosa stringergli la mano levata, qualcosa di gelido. Volse lo sguardo, e vide Sesshomaru, che lo aveva bloccato, e ora lo fissava con occhi di ghiaccio.

Coglionazzo, vai a sistemare la vetrina sul retro, mi occupo io di questi clienti.”

 

   
 
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