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Autore: Afaneia    08/01/2012    5 recensioni
Chi è Luisa? Un tempo non era nessuno, era solo una piccola ragazza di provincia, una piccola allenatrice di Borgo Foglianova partita all'avventura come tanti, come tutti. E ora? Ora è la Campionessa di Kanto e Johto, dopo aver superato sfide e pericoli e aver sconfitto, dopo anni di viaggio e allenamento, Lance e Rosso, il Presidente della Lega Pokémon e il vero Campione delle due regioni.
Ma la vita continua a cambiare. La piccola ragazza di provincia ora è quasi una donna e i suoi nemici (Rosso, Argento, quel ladro che conobbe il primo giorno del suo viaggio) stanno cambiando e le loro relazioni mutano con loro. E soprattutto, ciò che cambierà definitivamente la sua vita sarà l'arrivo di Ho-Oh, la fenice di fuoco delle leggende, che discenderà dal cielo ad annunciarle una grande verità...
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Lance, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga della Prescelta Creatura'
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Aveva lottato tanto per arrivare fin dove era arrivata.

Partita da Borgo Foglianova, il più piccolo dei paesini di provincia della regione di Johto, con un Cyndaquil come unico compagno, aveva viaggiato in lungo e in largo per quattro anni, sconfitto chiunque tentasse di ostacolarla, sputato sangue e sudato per diventare ciò che era. La Campionessa. La più grande allenatrice di Pokémon al mondo. Una Pokémon Master.

La donna che aveva sconfitto Lance.  La ragazza che Suicune aveva sfidato: tra tutti gli allenatori che volevano essere scelti, Suicune aveva scelto lei. La bambina che più di una volta aveva sconfitto Team Rocket.

Luisa aveva lottato per giungere al limite estremo cui neppure Rosso era giunto; e, più abile di chiunque, non avrebbe mai permesso a quel ragazzo di metterle i piedi in testa.

Per questo Argento la odiava. Perché era più brava di lui. Perché c’era anche lui tra gli allenatori in paziente attesa a Torre Latta, ma Suicune aveva deciso che era lei che voleva sfidare. Se era Suicune a dirlo – un Pokémon leggendario, parere troppo alto per non essere considerato- allora lei doveva essere davvero la migliore.

Argento l’aveva inquietata, Lance stupita ed emozionata, Rosso addirittura terrorizzata, Blu l’aveva messa a dura prova ma nessuno, mai, era riuscito a sconfiggerla.  Per questo, quella ragazza non avrebbe mai tremato di fronte a un ragazzo che viveva come il ladro che era. E per questo anche quella volta l’avrebbe sconfitto.

Perché lui tremava di fronte a lei, nonostante non fosse cambiato molto da quando proclamava che lui, con quella ragazzina viziata, non aveva tempo da perdere.

“LANCIAFIAMME!”

“PISTOLACQUA!”

Come due poli opposti che si attraevano. Perché, in fondo, Luisa lo apprezzava. Quel ladruncolo da bassifondi che la odiava e la invidiava le era simpatico. Perché era bello e perché non si arrendeva mai; perché era folle, ma era forte. Ogni notte l’attendeva, appostato sulla cima dell’Altopiano Blu, e ogni notte la sfidava. Sgradevole incombenza cui su malgrado Luisa si sottoponeva. Sempre, nonostante non sapesse perché.

Perché erano pochi minuti di volo che le permettevano di allenare Thyplosion con un degno (anche se alquanto misero) avversario? Perché il suo orgoglio avrebbe sempre avuto la precedenza sulla sua parte razionale, e le avrebbe sempre impedito di sottrarsi a una battaglia? Non lo sapeva. Sapeva però che quel ragazzo era un abile allenatore e che, col giusto allenamento, avrebbe potuto bene battere Lance, Pokémon Master col quale lei aveva avuto l’onore di combattere per ben due volte, sia da alleata, che da avversaria.

“Non hai possibilità con me.”

“Te la farò vedere io, la prossima volta!”

Prossima volta? La prossima notte. Domani. Ma quella fu la notte in cui cambiò tutto.

Quella fu la notte in cui, dopo quattro anni di ricerche, la polizia rintracciò Argento sull’Altopiano Blu, nel cuore della regione di Kanto. E dopo quattro anni di ricerche, in cui lei aveva sempre parteggiato per i “buoni”, la Campionessa si frappose tra le due fazioni.

“Vattene!” gridò Luisa voltandosi. Vide per una frazione di secondo che il suo volto era pallido e terrorizzato e che egli tremava, ma non vi prestò attenzione.

Aveva altro a cui pensare.

“Aspettate” gridò nel vento, voltandosi. Vi erano uomini tra le fronte degli alberi, uomini alti e robusti, begli uomini giovani forse freschi di accademia, uomini in divisa e seri, ma lei aveva qualcosa più di loro, quella piccola ragazza di un paese di provincia. “Aspettate, non inseguitelo! Ho una proposta da farvi.”

Ma come le balzava alla mente quella malsana idea, come poteva proporre una cosa del genere, tanto stupida e forse disperata, ma proprio perché disperata l’unica cosa cui potesse aggrapparsi?

“Voglio darvi la mia parola per lui.”

A che poteva valere la sua parola per quegli uomini tanto ligi al loro dovere? Se lo chiese per molti anni, cercando una risposta e non trovandola. Ma l’unica cosa importante fu che ottenne ciò che voleva.

Cosa ci guadagnò? Poco e nulla. Un cenno, un saluto, un ammonimento. Un complimento. Si stiracchiò. Era fatta. E quando Luisa si voltò, Argento era sparito.

“Tipico della sua razza svanire così!”

Si chiese chi glielo aveva fatto fare di aiutarlo. Un ladro, un fuorilegge. Un uomo che la odiava.

Non sapeva perché l’aveva fatto, non sapeva perché continuava a intestardirsi, ma liberò Pidgeot e prese il volo per cercarlo.

Eccolo, era più in là, tra gli alberi, che scivolava giù da un pendio per scendere giù, di nascosto, dall’Altipiano…atterrò dinanzi a lui sulla terra friabile.

“LASCIAMI STARE!”

“Ti ho salvato. Ho la tua responsabilità. Non finirai in galera se resti con me.”

Un ghigno, una risata.

“Non sono un bravo ragazzo. Neppure sai chi sono!”

“So che sei un allenatore e che sei bravo con i Pokémon. So solo questo, ma mi basta. So che se finisci in galera perderai tutto ciò che hai e ne uscirai senza un futuro. Se resti con me…sarà un bel cambiamento, lo riconosco, ma sarai libero, alla luce del sole. Ci alleneremo insieme. Non te ne pentirai.”

“Vattene! Non voglio la tua pietà!”

“Non è pietà la mia. È solo un aiuto. Posso aiutarti. Voglio aiutarti. Posso salvarti. Per favore.”

“Perché vuoi farlo?”

“Non lo so. Ti giuro che non lo so, non lo so neppure io. Mi sei simpatico, sei coraggioso. E mi piacciono i tuoi Pokémon. Mi piace come li hai allenati. Sei stato duro, ma sei il Maestro crede che io lo sia stata meno di te, si sbaglia. Ai miei Pokémon ho chiesto molto e molto è ciò che ho ottenuto. Se li guardo combattere, i tuoi Pokémon mi paiono determinati. Si fidano di te. Se lo fanno loro, poso farlo anch’io. Allora…accetti, sì o no?”

“Ehm ehm…chiedo scusa.”

Con un sussulto, Luisa si voltò.

“Lance! Cosa ci fai qui?”

“Sai…questo terreno appartiene all’Indigo Plateau, e l’Indigo è la mia casa, perciò…”

“Okay, okay.”

“Ti chiederei di presentarmi al tuo amico, ma non ho tempo. Mi mandano a chiamarti.”

“Ti mandano a chiamarmi? Chi?”

“Credo che sia meglio che tu lo veda coi tuoi occhi.”

“Oh…okay.”

“Seguimi. Faccio strada.”

“Ti vengo dietro.” Un solo attimo. Si voltò e chiese, con finta noncuranza: “Allora, vieni?”

Argento la scrutò per un secondo. Poi chinò il capo e la seguì.

Camminando, Lance continuò a parlare. Non pareva del tutto a suo agio, ma una persona della sua natura non perdeva la calma in nessuna situazione.

“Vedi, non è uno scherzo. È quello che ho pensato io, ma non lo è, sai, ti giuro che non lo è. Comunque, lo capirai da te. Si capisce, dopo un po’, anzi, pare evidente…”

“Ma cosa ti sei fumato, Lance?”

“Fidati. Capirai quando lo vedrai.”

Luisa alzò le spalle e annuì.

“Ecco, è dentro l’Arena. Ehm…mentre andiamo, puoi fare le presentazioni, non credi?”

“Va bene, Lance…ti presento Argento. Un nuovo amico.”

“Molto piacere, Argento. Perdonami se non ti stringo la mano, ma non ce n’è il tempo.”

“Io lo so chi sei” disse il ladro. La sua voce suonava insieme dolcemente infantile e sfacciatamente maleducata. “Tutti lo sanno.”

“Non mi sorprende” rispose Lance con dolcezza infinita.

Giunsero all’Arena, infine. Una delle piccole porte di servizio era dischiusa. Lance l’aprì e li fece passare.

L’oscurità era bella, buona e ampia. Il silenzio era stregato.

“Dovete venire. Ecco, di qua.”

La porta conduceva sotto alle tribune. Era buio e molto ansioso. Passarono. Uscirono e la notte li riavvolse con la sua presenza.

Lì per lì la fanciulla non capì e non credette.

Lo vide. Lo sentì. Lo capì.

Era bello più ancora dei sogni. Era vivo e viveva, Ho-Oh.

Esisteva. Era. Perfetto, bello, infinito, eterno.

(ma era lì per lei, oh, sì, lo sapeva. Non si poteva mentire.)

E quando l’aria tornò e si mosse, il divino si mosse con lei. Perfetto, bello, infinito, eterno.

E il vento soffiò forte quando si avvicinò. Si avvicinò e fu travolta, e seppe di non essere più lei.

E seppe che un’altra entità nell’universo la stava cercando. Ma questo la creatura non voleva farglielo sapere.

Ritirò la mente Ho-Oh. Erano andati troppo oltre.

“Chi sei tu?” chiese la ragazza.

Ed egli rispose: “Sono io.”

“E io? Chi sono io?”

“Ed egli rispose: “La Prescelta Creatura.”

“E chi è?”

“È. Metà, tutto, il punto di mezzo.”

“Perché?”

“Mille e mille altri lo sono stati prima di te. Mille ancora lo saranno. Tutti chiedono sempre perché. Tutti lo sanno già, ma non sanno di saperlo. Vuoi?”

“Voglio. E loro?”

“Vengono con te.”

“Chi sono loro?”

“I tuoi compagni.”

“Da quando?”

“Da prima di esistere.”

E non chiese perché, perché lo sapeva già.

“Chi è?”

“Chi?”

“Chi mi sta cercando? È nell’universo.”

“Una creatura solamente ti cerca, in questo mondo” diss’ egli.

“C’è qualcun altro là fuori?”

“Può darsi.”

“Mi cerca?”

“Può darsi.”

“E chi, qui?”

“Lo saprai. Non ora. Vieni?”

“Vengo.”

“Venite?”

Ed essi risposero: “Sì.”

 

Buon pomeriggio a tutti!

Che schifezza vi ritrovate davanti? Una schifezza, avete capito bene, o quantomeno un progetto strampalato e incerto, che va avanti a balzelloni e saltelli e la cui prima stesura risale alla mia terza elementare (ora sono in quarta superiore). Un progetto, dunque, infantile e forse stupido, ma dal quale non sono mai riuscita a staccarmi e che quattro anni fa (a giudicare dalle annotazioni che ritrovo sui bordi delle pagine) ho ricominciato a scrivere, senza tuttora averlo concluso.

Una storia strana, forse banale per chi frequenta il fandom di Pokémon, ma la mia unica storia al riguardo, la mia unica concezione di questo videogioco. Tengo a precisare che questa storia fa riferimento, come peraltro l’altra mia storia (“Storia di Rosso e di Blu”) alla mia personale visione del videogioco Pokémon Cristallo, il mio primo (e fino a poco tempo fa unico) vero gioco di Pokémon. Vi saranno punti poco chiari che mi offro di spiegare a chiunque dovesse domandare. Non ero molto convinta di voler pubblicare questa storia, dopo averne postato la spin off “Storia di Rosso e di Blu”, ma vi sono stata convinta da nihil no kami (che ringrazio ancora per il suo continuo supporto a questa mia). 

Ebbene, non ho altro da aggiungere! V’invito soltanto a leggere e recensire, dandomi pareri di qualunque genere (so che potranno esservene molti negativi, in quanto questa era in teoria una storia a uso e consumo privato e dunque scritta per restare tale) su qualunque punto della storia.

Nel frattempo, a presto e buona domenica pomeriggio!

Afaneia :)

   
 
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