Aveva lottato tanto per arrivare fin
dove era arrivata.
Partita da Borgo Foglianova, il
più piccolo dei paesini di
provincia della regione di Johto, con un Cyndaquil come unico compagno,
aveva
viaggiato in lungo e in largo per quattro anni, sconfitto chiunque
tentasse di
ostacolarla, sputato sangue e sudato per diventare ciò che
era. La Campionessa.
La più grande allenatrice di Pokémon al mondo.
Una Pokémon Master.
La donna che aveva sconfitto Lance. La ragazza che Suicune
aveva sfidato: tra
tutti gli allenatori che volevano essere scelti, Suicune aveva scelto
lei. La
bambina che più di una volta aveva sconfitto Team Rocket.
Luisa aveva lottato per giungere al
limite estremo cui
neppure Rosso era giunto; e, più abile di chiunque, non
avrebbe mai permesso a
quel ragazzo di metterle i piedi in testa.
Per questo Argento la odiava.
Perché era più brava di lui.
Perché c’era anche lui tra gli allenatori in
paziente attesa a Torre Latta, ma
Suicune aveva deciso che era lei che voleva sfidare. Se era Suicune a
dirlo –
un Pokémon leggendario, parere troppo alto per non essere
considerato- allora
lei doveva essere davvero la migliore.
Argento l’aveva inquietata,
Lance stupita ed emozionata,
Rosso addirittura terrorizzata, Blu l’aveva messa a dura
prova ma nessuno, mai,
era riuscito a sconfiggerla. Per
questo,
quella ragazza non avrebbe mai tremato di fronte a un ragazzo che
viveva come
il ladro che era. E per questo anche quella volta l’avrebbe
sconfitto.
Perché lui tremava di
fronte a lei, nonostante non fosse cambiato
molto da quando proclamava che lui, con quella ragazzina viziata, non
aveva
tempo da perdere.
“LANCIAFIAMME!”
“PISTOLACQUA!”
Come due poli opposti che si
attraevano. Perché, in fondo,
Luisa lo apprezzava. Quel ladruncolo da bassifondi che la odiava e la
invidiava
le era simpatico. Perché era bello e perché non
si arrendeva mai; perché era
folle, ma era forte. Ogni notte l’attendeva, appostato sulla
cima
dell’Altopiano Blu, e ogni notte la sfidava. Sgradevole
incombenza cui su
malgrado Luisa si sottoponeva. Sempre, nonostante non sapesse
perché.
Perché erano pochi minuti
di volo che le permettevano di
allenare Thyplosion con un degno (anche se alquanto misero) avversario?
Perché
il suo orgoglio avrebbe sempre avuto la precedenza sulla sua parte
razionale, e
le avrebbe sempre impedito di sottrarsi a una battaglia? Non lo sapeva.
Sapeva
però che quel ragazzo era un abile allenatore e che, col
giusto allenamento,
avrebbe potuto bene battere Lance, Pokémon Master col quale
lei aveva avuto
l’onore di combattere per ben due volte, sia da alleata, che
da avversaria.
“Non hai
possibilità con me.”
“Te la farò
vedere io, la prossima volta!”
Prossima volta? La prossima notte.
Domani. Ma quella fu la
notte in cui cambiò tutto.
Quella fu la notte in cui, dopo
quattro anni di ricerche, la
polizia rintracciò Argento sull’Altopiano Blu, nel
cuore della regione di
Kanto. E dopo quattro anni di ricerche, in cui lei aveva sempre
parteggiato per
i “buoni”, la Campionessa si frappose tra le due
fazioni.
“Vattene!”
gridò Luisa voltandosi. Vide per una frazione di
secondo che il suo volto era pallido e terrorizzato e che egli tremava,
ma non
vi prestò attenzione.
Aveva altro a cui pensare.
“Aspettate”
gridò nel vento, voltandosi. Vi erano uomini tra
le fronte degli alberi, uomini alti e robusti, begli uomini giovani
forse
freschi di accademia, uomini in divisa e seri, ma lei aveva qualcosa
più di
loro, quella piccola ragazza di un paese di provincia.
“Aspettate, non
inseguitelo! Ho una proposta da farvi.”
Ma come le balzava alla mente quella
malsana idea, come
poteva proporre una cosa del genere, tanto stupida e forse disperata,
ma
proprio perché disperata l’unica cosa cui potesse
aggrapparsi?
“Voglio darvi la mia parola
per lui.”
A che poteva valere la sua parola per
quegli uomini tanto
ligi al loro dovere? Se lo chiese per molti anni, cercando una risposta
e non
trovandola. Ma l’unica cosa importante fu che ottenne
ciò che voleva.
Cosa ci guadagnò? Poco e
nulla. Un cenno, un saluto, un
ammonimento. Un complimento. Si stiracchiò. Era fatta. E
quando Luisa si voltò,
Argento era sparito.
“Tipico della sua razza
svanire così!”
Si chiese chi glielo aveva fatto fare
di aiutarlo. Un ladro,
un fuorilegge. Un uomo che la odiava.
Non sapeva perché
l’aveva fatto, non sapeva perché continuava
a intestardirsi, ma liberò Pidgeot e prese il volo per
cercarlo.
Eccolo, era più in
là, tra gli alberi, che scivolava giù da
un pendio per scendere giù, di nascosto,
dall’Altipiano…atterrò dinanzi a lui
sulla terra friabile.
“LASCIAMI STARE!”
“Ti ho salvato. Ho la tua
responsabilità. Non finirai in
galera se resti con me.”
Un ghigno, una risata.
“Non sono un bravo ragazzo.
Neppure sai chi sono!”
“So che sei un allenatore e
che sei bravo con i Pokémon. So
solo questo, ma mi basta. So che se finisci in galera perderai tutto
ciò che
hai e ne uscirai senza un futuro. Se resti con
me…sarà un bel cambiamento, lo
riconosco, ma sarai libero, alla luce del sole. Ci alleneremo insieme.
Non te
ne pentirai.”
“Vattene! Non voglio la tua
pietà!”
“Non è
pietà la mia. È solo un aiuto. Posso aiutarti.
Voglio
aiutarti. Posso salvarti. Per favore.”
“Perché vuoi
farlo?”
“Non lo so. Ti giuro che
non lo so, non lo so neppure io. Mi
sei simpatico, sei coraggioso. E mi piacciono i tuoi
Pokémon. Mi piace come li
hai allenati. Sei stato duro, ma sei il Maestro crede che io lo sia
stata meno
di te, si sbaglia. Ai miei Pokémon ho chiesto molto e molto
è ciò che ho
ottenuto. Se li guardo combattere, i tuoi Pokémon mi paiono
determinati. Si
fidano di te. Se lo fanno loro, poso farlo anch’io.
Allora…accetti, sì o no?”
“Ehm ehm…chiedo
scusa.”
Con un sussulto, Luisa si
voltò.
“Lance! Cosa ci fai
qui?”
“Sai…questo
terreno appartiene all’Indigo Plateau, e
l’Indigo è la mia casa,
perciò…”
“Okay, okay.”
“Ti chiederei di
presentarmi al tuo amico, ma non ho tempo.
Mi mandano a chiamarti.”
“Ti mandano a chiamarmi?
Chi?”
“Credo che sia meglio che
tu lo veda coi tuoi occhi.”
“Oh…okay.”
“Seguimi. Faccio
strada.”
“Ti vengo
dietro.” Un solo attimo. Si voltò e chiese, con
finta noncuranza: “Allora, vieni?”
Argento la scrutò per un
secondo. Poi chinò il capo e la
seguì.
Camminando, Lance continuò
a parlare. Non pareva del tutto a
suo agio, ma una persona della sua natura non perdeva la calma in
nessuna
situazione.
“Vedi, non è uno
scherzo. È quello che ho pensato io, ma non
lo è, sai, ti giuro che non lo è. Comunque, lo
capirai da te. Si capisce, dopo
un po’, anzi, pare evidente…”
“Ma cosa ti sei fumato,
Lance?”
“Fidati. Capirai quando lo
vedrai.”
Luisa alzò le spalle e
annuì.
“Ecco, è dentro
l’Arena. Ehm…mentre andiamo, puoi fare le
presentazioni, non credi?”
“Va bene,
Lance…ti presento Argento. Un nuovo amico.”
“Molto piacere, Argento.
Perdonami se non ti stringo la
mano, ma non ce n’è il tempo.”
“Io lo so chi
sei” disse il ladro. La sua voce suonava insieme
dolcemente infantile e sfacciatamente maleducata. “Tutti lo
sanno.”
“Non mi
sorprende” rispose Lance con dolcezza infinita.
Giunsero all’Arena, infine.
Una delle piccole porte di
servizio era dischiusa. Lance l’aprì e li fece
passare.
L’oscurità era
bella, buona e ampia. Il silenzio era
stregato.
“Dovete venire. Ecco, di
qua.”
La porta conduceva sotto alle
tribune. Era buio e molto
ansioso. Passarono. Uscirono e la notte li riavvolse con la sua
presenza.
Lì per lì la
fanciulla non capì e non credette.
Lo vide. Lo sentì. Lo
capì.
Era bello più ancora dei
sogni. Era vivo e viveva, Ho-Oh.
Esisteva. Era. Perfetto, bello,
infinito, eterno.
(ma era lì per lei, oh,
sì, lo sapeva. Non si poteva
mentire.)
E quando l’aria
tornò e si mosse, il divino si mosse con
lei. Perfetto, bello, infinito, eterno.
E il vento soffiò forte
quando si avvicinò. Si avvicinò e fu
travolta, e seppe di non essere più lei.
E seppe che un’altra
entità nell’universo la stava cercando.
Ma questo la creatura non voleva farglielo sapere.
Ritirò la mente Ho-Oh.
Erano andati troppo oltre.
“Chi sei tu?”
chiese la ragazza.
Ed egli rispose: “Sono
io.”
“E io? Chi sono
io?”
“Ed egli rispose:
“La Prescelta Creatura.”
“E chi
è?”
“È.
Metà, tutto, il punto di mezzo.”
“Perché?”
“Mille e mille altri lo
sono stati prima di te. Mille ancora
lo saranno. Tutti chiedono sempre perché. Tutti lo sanno
già, ma non sanno di
saperlo. Vuoi?”
“Voglio. E loro?”
“Vengono con te.”
“Chi sono loro?”
“I tuoi compagni.”
“Da quando?”
“Da prima di
esistere.”
E non chiese perché,
perché lo sapeva già.
“Chi
è?”
“Chi?”
“Chi mi sta cercando?
È nell’universo.”
“Una creatura solamente ti
cerca, in questo mondo” diss’
egli.
“C’è
qualcun altro là fuori?”
“Può
darsi.”
“Mi cerca?”
“Può
darsi.”
“E chi, qui?”
“Lo saprai. Non ora.
Vieni?”
“Vengo.”
“Venite?”
Ed essi risposero:
“Sì.”
Buon pomeriggio a tutti!
Che schifezza vi ritrovate davanti?
Una schifezza, avete capito
bene, o quantomeno un progetto strampalato e incerto, che va avanti a
balzelloni e saltelli e la cui prima stesura risale alla mia terza
elementare
(ora sono in quarta superiore). Un progetto, dunque, infantile e forse
stupido,
ma dal quale non sono mai riuscita a staccarmi e che quattro anni fa (a
giudicare dalle annotazioni che ritrovo sui bordi delle pagine) ho
ricominciato
a scrivere, senza tuttora averlo concluso.
Una storia strana, forse banale per
chi frequenta il fandom
di Pokémon, ma la mia unica storia al riguardo, la mia unica
concezione di
questo videogioco. Tengo a precisare che questa storia fa riferimento,
come
peraltro l’altra mia storia (“Storia di Rosso e di
Blu”) alla mia personale
visione del videogioco Pokémon Cristallo, il mio primo (e
fino a poco tempo fa
unico) vero gioco di Pokémon. Vi saranno punti poco chiari
che mi offro di
spiegare a chiunque dovesse domandare. Non ero molto convinta di voler
pubblicare questa storia, dopo averne postato la spin off
“Storia di Rosso e di
Blu”, ma vi sono stata convinta da nihil no kami (che
ringrazio ancora per il
suo continuo supporto a questa mia).
Ebbene, non ho altro da aggiungere!
V’invito soltanto a
leggere e recensire, dandomi pareri di qualunque genere (so che
potranno esservene
molti negativi, in quanto questa era in teoria una storia a uso e
consumo
privato e dunque scritta per restare tale) su qualunque punto della
storia.
Nel frattempo, a presto e buona
domenica pomeriggio!
Afaneia :)