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Autore: taemotional    09/01/2012    1 recensioni
[Akame] [Accenni di JunDa e TaNaka]
"Kame fissava l’ideogramma ‘karada’ senza battere ciglio.
Perché era quello il complemento oggetto della sua macchina fotografica: il corpo.
Lui invece era solo il mezzo."
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Jin, Kazuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Questa fic è abbastanza vecchia, risale a due anni fa (precisamente, l'ho conclusa il 15 Luglio xD) quindi l'ho dovuta riguardare e correggere un po' la forma... mentre la rileggevo mi è venuta voglia di riscriverla da capo per quanto non mi piacesse x°D E invece ho solo fatto qualche piccola correzione e il contenuto è identico (quindi se l'avete già letta tranquille xD). Detto questo, spero vi piaccia ^o^ Douzo!

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“La tua azione così calma non sembra calcolata bene,
oh, mi confonde il cuore.

Il tuo comportamento che si oppone alle aspettative,
tuttavia mi eccita.

Come un fulmine che squarcia il cielo blu,
ancora oggi vengo manipolato dalle tue pretese..

Perché non riesco più nemmeno a fermarmi.”

 

Mattina.
Il sole iniziava a penetrare dalle enormi vetrate lucidate da poco.
Kamenashi se ne stava ad attendere il prossimo modello nel suo studio, con solo una sigaretta in mano e un foglio nell’altra.
Sulla scrivania, in cima a un mucchio di riviste di moda, aveva poggiato in bilico la sua macchina fotografica nera, l’ultimo modello, la più costosa che si poteva trovare sul mercato dei professionisti.
Continuava ad osservare il foglio nella sua mano senza accorgersi che, nel frattempo, la sigaretta iniziava a consumarsi da sola.
Sospirò.
Al centro del foglio, che altro non era se non una pagina strappata da una rivista di moda, c’era scritta in rosso una frase, e Kame fissava l’ideogramma ‘karada’ senza battere ciglio.
Perché era quello il complemento oggetto della sua macchina fotografica: il corpo.
Lui invece era solo il mezzo. In effetti non era mai stato attratto dalla corporeità dei propri modelli, semplicemente seguiva gli ordini.
Oltre la scritta in rosso, sullo sfondo, posava un ragazzo dai lunghi capelli marrone scuro mezzo nudo, che sarebbe stato proprio il suo prossimo modello.
All’improvviso bussarono alla porta dello studio con insistenza.
Spense la sigaretta senza nemmeno averla avvicinata alle labbra e si alzò dalla scrivania, gettando quell’articolo nel cestino, ed andò ad aprire.
Si aspettava di trovare quel ragazzo dai capelli marroni, e invece si presentò un uomo di mezza età con i capelli brizzolati.
“Signor Kamenashi,” poi fece un inchino. “Il mio ragazzo è malato e questa mattina non può venire a posare.”
“Kitagawa, mi sta facendo perdere tempo?”
“Assolutamente no, sono venuto io invece perché vorrei parlargli della mia prossima offerta.”
Kamenashi alzò gli occhi al cielo, con quella gente non puoi farci niente, ti danno retta solo quando si parla dei loro interessi.
Come minimo non avrà nemmeno chiamato a casa del suo modello malato per sapere come sta.
Lo lasciò entrare.
“La ringrazio,” gli disse l’uomo poi si sedette sulla poltrona davanti la scrivania e Kamenashi andò alla finestra accendendosi un'altra sigaretta.
“Che ha il suo modello?” gli chiese senza guardarlo.
“E che ne so io...” Ovviamente.
“Sa.. perché mi piaceva, avrei voluto scattargli qualche foto,” disse Kamenashi senza dargli peso.
“Ne avrà la possibilità, dopotutto è il nostro miglior ragazzo. Sul suo corpo sta bene qualsiasi tipo di capo.”
Si parlava ancora di corpo. Il complemento oggetto della macchina fotografica. Non il suo.
Ma forse lui non era poi tanto diverso da quell’uomo. Anche lui, per prima cosa, pensava se su un ragazzo potesse stare bene o no un certo abito.
“D’accordo, insomma, la sua offerta?”
“Le volevo proporre un servizio fotografico per un gruppo di mie modelle, ovviamente verrà pagato bene... e la rivista è...”
Kamenashi lo interruppe. Aveva sentito abbastanza. Le donne non erano fatte per posare seriamente, non sapevano fare altro che mostrare le cosce e ridacchiare.
“Lo sa benissimo che non faccio servizi per ragazze. Ora, la prego, arrivederci,” disse secco.
“Ma... Kazuya...”
“…signor Kamenashi, grazie,” lo corresse.
“Signor... Kamenashi... lo sa bene anche lei che ultimamente le donne fanno guadagnare di più...”
“Per quanto mi riguarda guadagno già abbastanza, dei suoi problemi finanziari ne parli con qualcun altro.”
L’uomo lo guardò interdetto poi si inchinò.
“Le manderò il mio modello al più presto possibile, e naturalmente le pagherò il doppio.”
“Non ce n’è bisogno.”
L’uomo si inchinò di nuovo e uscì.
Kamenashi sbuffò e si lasciò cadere sulla sedia, dietro la scrivania.
Allungò una mano e riprese il pezzo di carta straccia dal cestino. Lo distese poi lesse la scritta in romaji:
Il sole iniziava a dargli fastidio negli occhi. Si mise gli occhiali.
 
Era mattina, ma ovviamente Akanishi non poteva dirlo dato che le persiane della camera erano serrate e le pesanti tende tirate.
Si mise a sedere sul letto e si stropicciò gli occhi. La testa ancora doleva a causa dell’alcool della sera prima ma lui non gli dava peso, ci era abituato.
Si scoprì e gettò le coperte per terra.
“Aaaah!” gridò. “Che caldo!”
Chissà quando avrebbe perso il vizio di dormire con le coperte e a finestra chiusa anche d’estate.
Si alzò controvoglia e si diresse verso il calendario lunare appeso al muro.

Si grattò la testa.
Kame? Una tartaruga come fotografo? L’idea non lo allettava.
Mandò un messaggio al suo manager per avvisarlo che non sarebbe andato perché malato e spense il telefono, per non essere più disturbato.
Dopotutto ogni tanto ci vuole una pausa, pensò come per giustificarsi.
Andò alla finestra e la spalancò. Il sole gli fece chiudere gli occhi.
Poi si avvicinò allo specchio che aveva nell’armadio e restò un po’ a guardarsi. Prese a darsi dei pizzichi sulla pancia piatta.
Forse, pensò, se mettessi su qualche chilo i fotografi la smetteranno di farmi spogliare.
Dopotutto lui era un modello di abiti, mica lo spogliarellista di un qualche pub serale. E forse là ti trattano più da essere umano.
Fece colazione all’occidentale, con un cornetto e un cappuccino, poi si fece velocemente la doccia.
Guardò l’orologio, era già passata da mezzora l’ora stabilita per il servizio. All’improvviso sentì di doverci andare, il suo corpo lo voleva. La macchina fotografica era diventata per lui come una droga, ed era in astinenza.
Si vestì di fretta e uscì di casa con le scarpe ancora slacciate.
 
Kamenashi continuava a girare per il suo studio senza avere niente da fare. Era la prima volta che qualcuno non si presentava da lui per un servizio e si sentiva strano. L’aveva capito da come quell’uomo ne aveva parlato, che quel modello di nome Akanishi fingeva di stare male, e questa mancanza di responsabilità lo aveva scosso.
Iniziò a cercare sue fotografie in vecchi servizi fotografici e ne trovò di tutti i tipi. Però quelle che risalivano agli ultimi tempi lo ritraevano sotto una strana luce, o forse era il viso stesso ad essere cambiato, aveva perso in luminosità. Come spento.
Si fermò qualche secondo a guardare una foto da vicino, un piccolo neo al lato dell’occhio aveva attirato la sua attenzione.
“Le piace il mio viso?”
Kamenashi alzò gli occhi. Davanti a lui quelle foto avevano preso forma umana.
“Chi ti ha fatto entrare?” chiese il fotografo fingendo una certa calma.
“Nessuno, ho bussato ma non mi rispondeva.”
“Ah.. comunque che vuoi? Il tuo manager è già venut-”
“E’ il mio manager che deve posare o io?”
Restarono qualche secondo a guardarsi. Poi Kamenashi si alzò e prese dei vestiti da un armadio. Quel ragazzo era proprio al di fuori di qualsiasi regola.
“Prendi questi e seguimi.”
Lo portò al piano superiore, che era stato completamente allestito con scenari e set fotografici di tutti i tipi. Il modello riconobbe che quel fotografo non era affatto un principiante, anzi doveva essere pure ricco.
L’idea gli dava il voltastomaco ma a guardarlo bene, quel ragazzino che forse non aveva nemmeno la sua età, non gli stava antipatico.
Era pure più basso e questo era un punto a suo favore. Non gli piaceva che lo guardassero dall’alto verso il basso.
Il fotografo lo fece sedere su una sedia e subito fu accerchiato da alcuni assistenti al trucco.
“Fermi” disse Kamenashi tranquillo, “faccio io... potete tornare al numero di questo mese che vi avevo chiesto di impaginare, a che punto è?”
Akanishi seguì con gli occhi i suoi spostamenti e le sue direttive.
“Bene... scalate il primo servizio... metteremo all’inizio questo di Akanishi, e anche in copertina ci sarà la sua foto.”
“Scusi...” li interruppe il modello, “Veramente io non ho pagato per avere anche la copertina.”
“Allora vedi di impegnarti,” lo azzittì Kamenashi poi mandò via gli assistenti e si avvicinò.
Gli prese il viso tra le mani e gli scompigliò un po’ i capelli.
“Mmm.. di solito ti truccano?”
“Fondotinta, altre robe appiccicose e, se mi va proprio male, anche lucidalabbra.”
Kamenashi osservò la sua pelle liscia, poi bagnò un dito con la sua saliva e glielo passò sulle labbra. Akanishi restò immobile.
“Dovrebbe andare bene anche solo così, bagnale da solo ogni tanto, okay?” disse Kamenashi.
“Da solo?”
“Non vorrai mica che venga là a leccarle ogni due secondi. Se non ti sta bene, il lucidalabbra e là sopra,” poi gli diede le spalle e andò a prendere l’attrezzatura.
Akanishi sorrise, che tipo strano. Poi guardò i vestiti che gli aveva dato prima e, dato che non gli aveva indicato quali indossare, ne scelse alcuni e andò dietro una tapparella per indossarli.
Si presentò davanti a Kamenashi con una t-shirt verde oliva decisamente scollata e un paio di jeans strappati, tenuti in vita da un fazzolettone  quadrettato nero e bianco. Ai piedi, solo un paio di infradito scolorite.
Kamenashi lo squadrò da capo a piedi serio e il modello già era pronto a ricevere una qualche lamentela.
“Bene” annuì il fotografo,“Ora scegli un set che ti piace.”
Akanishi restò a bocca aperta, “Posso scegliere?”
“Certo, se non sei a tuo agio le foto non vengono bene.”
Era la prima volta che gli permettevano di scegliere. Quel fotografo non era normale.
“Ehm... va bene... allora, quello?”
“Perfetto,” rispose Kamenashi e fece segno a due ragazzi di sistemare le luci.
“Tanaka, Nakamaru, basta poltrire! Avanti!”
Tanaka Koki e Yuichi Nakamaru scattarono sull’attenti. Poi il fotografo si avvicinò al modello e gli indicò di sistemarsi.
“Ricordati la lingua,” disse Kamenashi a un certo punto.
“Eh?”
“La lingua! Bagnati le labbra... e se poi riesco a prenderla in uno scatto è anche meglio.”
Akanishi arrossì leggermente e fece come gli era stato detto.
Kamenashi sorrise. Era proprio bello.
Lentamente, la macchina fotografica diventò il mezzo e quel complemento oggetto mutò in soggetto.
 
Alla fine Akanishi si inchinò e lo stesso fece l’altro.
“Questa sera,” domandò il modello, “Posso offrirle da bere? Per ringraziarla.”
Kamenashi esitò un secondo.
“Non sono solito uscire la sera,” disse senza guardarlo.
“Allora preferisce che venga io a casa sua?” chiese Akanishi con malizia, per la prima volta dispiaciuto di non essersi potuto spogliare davanti all’obbiettivo.
“Ho capito, esco io... comunque potresti anche smettere di usare questo tono educato, mi da fastidio.”
“Okay, Kame-chan!” esclamò Akanishi sorridendo.
L’altro sospirò. Da un estremo all’altro.
 
Si diedero appuntamento davanti ad un locale che mostrava un’appariscente insegna occidentale viola.
Kamenashi era talmente agitato che si presentò lì davanti con largo anticipo. Mentre aspettava ebbe un brivido. Anche se era in piena estate, l’aria iniziava a farsi fredda e decise di allacciare il giacchetto in pelle bianca che indossava.
Un paio di tizi che uscivano di fretta dal locale e probabilmente già ubriachi a quell’ora lo notarono e si avvicinarono ridendo.
“Che abbiamo qua?” disse uno dei due portandosi alle sue spalle.
“Che ci fa una bellezza del genere tutta sola soletta?” chiese l’altro bloccandogli il passaggio frontalmente.
 Kamenashi si irrigidì. Non si era mai trovato in situazioni del genere.
“State cercando di abbordare un ragazzo?” chiese muovendo un passo di lato.
Quelli lo guardarono sgranando gli occhi.
“Sei un maschio?” disse uno avvicinando il suo viso. Puzzava terribilmente.
Kamenashi colse quell’attimo di smarrimento e tentò di fuggire ma non mosse nemmeno due passi che finì addosso a un terzo.
Senza nemmeno pensarci cercò di rifilargli un pugno sullo stomaco ma venne fermato. Ci provò di nuovo e stavolta il colpo andò a segno.
“Kame-chan...” mugugnò Akanishi premendosi la mano sulla pancia, “Non ti credevo così pieno di energie. Sei così anche a letto?”
Kamenashi alzò gli occhi. Dopo quella frase avrebbe voluto picchiarlo di nuovo.  
“Scusateci,” disse rivolto ai due ragazzi ubriachi, “Ma noi avremmo da fare, con permesso,” poi trascinò Kamenashi dentro al locale.
Una volta entrati, una piacevole musica li avvolse. Una cantante occidentale cantava una canzone smielata. Non c’erano strani odori ne strane persone. Due buttafuori sorvegliavano l’ingresso e sicuramente erano stati loro a cacciare i due molestatori di prima.
Era totalmente diverso da come Kamenashi si sarebbe aspettato. Si sentiva quasi a suo agio, se non ci fosse stata quella presenza al suo fianco che lo destabilizzava un po’.
Guardò Akanishi ma lui non lo notò. Era occupato a scrutare la sala per cercare un tavolo.
Poi un cameriere li accolse. “I signori desiderano un tavolo?” chiese con un gran sorriso.
Sembrava rivolto ad Akanishi e Kamenashi sentì una punta di gelosia per quel contatto visivo che i due si stavano scambiando.
Si pizzicò una guancia. Ma che vado pensando?
Akanishi lo prese per un fianco e seguì l’oste lungo la sala. Kamenashi fece finta di niente e poggiò la mano su quella dell’altro.
Nel momento in cui si sedettero Kamenashi ordinò del rum.
“Ci vuole anche un succo, signore?” chiese quel cameriere senza guardarlo.
“Succo? No, no solo rum, grazie.”
Akanishi lo guardava. “Ma lo reggi puro?” gli chiese ridacchiando.
“Certo, non sono mica un bambino,” rispose Kamenashi. Ma in verità non aveva bevuto un alcolico in vita sua. Da quando era diventato maggiorenne non aveva fatto altro che lavorare e non aveva avuto tempo. Ma quella sera non gli importava.
Portarono i loro drink in un battibaleno. Il bicchierino di Akanishi era colorato di arancio scuro mentre quello di Kamenashi era trasparente.
Ma è acqua? Lo annusò e tossì. Poi fece finta di nulla e lo bevve tutto d’un fiato.
Per un secondo la sua testa girò vorticosamente, poi pian piano tutti i colori tornarono al loro posto.
“Kame, ho la sensazione che non lo reggi,” disse Akanishi continuando a ridere, mentre Kamenashi stringeva gli occhi.
“Non ti preoccupare,” rispose lentamente Kamenashi, “Mi porti a ballare?”
Akanishi lo guardò arricciando le labbra.
“Poco però... poi torniamo a casa, che non hai un bell’aspetto,” e lo fece alzare.
La pista era gremita di gente e loro due passarono inosservati. Per evitare che venisse riconosciuto in quello stato, Akanishi lo strinse a sé.
Kamenashi alzò gli occhi lucidi e lo fissò per qualche secondo, inebriandosi del suo viso. Gli sorrise.
“Akanishi, mi dai un bacio?”
Attorno a loro la musica cambiò e la cantante attaccò un pezzo giapponese. I ballerini della pista non si accorsero di nulla, quando Akanishi mise una mano dietro alla sua nuca e poggiò le sue labbra su quelle dell’altro ragazzo.
Kamenashi socchiuse la bocca e lentamente Akanishi introdusse la sua lingua.
I due restarono qualche secondo immobili al centro della pista, continuando a staccare le loro labbra e a riavvicinarle senza far rumore.
Poi Akanishi si allontanò.
“Perché...?” sussurrò Kamenashi chiudendo gli occhi. La testa gli girava e si lasciò andare tra le sue braccia. Akanishi lo prese su nascondendo il suo viso e si allontanò, raggiungendo il loro tavolinetto per recuperare il suo giacchetto bianco.
Poggiò di nuovo il ragazzo a terra e lo costrinse a camminare. Non appena ritrovò l’equilibrio, si fiondo su un secondo bicchiere di rum che era stato portato al tavolo, ma gli andò di traverso e la metà finì sui suoi vestiti.
“Kame...” sospirò Akanishi dandogli dei colpi sulla schiena, “Non è stata una buona idea portarti qua.”
Decise che era ora di tornare a casa e, mentre uscivano, i due buttafuori li guardarono in cagnesco.
“Con permesso...” disse Akanishi inchinandosi al passaggio e trascinando l’altro.
L’aria si era fatta ancora più pungente e Akanishi gli infilò il giacchetto.
“Ce la fai a camminare?” chiese Akanishi mentre gli allacciava la zip del giacchetto di pelle.
 “Ovvio,” rispose Kamenashi, ma dopo qualche passo barcollò e si aggrappò al suo braccio per non cadere.
Certo, non sono mica un bambino,” lo canzonò Akanishi con una vocina stridula caricandolo sulle spalle.
“Quella non è la mia voce,” disse Kamenashi sprofondando la testa sui suoi capelli.
“Avanti, dimmi dove abiti, ti riporto,” lo incitò l’altro.
“No.. voglio venire da te”
“Non fare il bambino, se vieni da me non torni a casa vivo.”
“Non m’importa...” sussurrò poi il suo respiro si fece pesante.
“Oi! Ma che fai, dormi? Guarda che sei pesante!”
Akanishi sbuffò. Ma tu guarda questo ingrato, pensò mentre chiamava un taxi.
“Jin... grazie” gli sussurrò l’altro all’orecchio, poi tornò a dormire.
Akanishi ebbe un brivido.
 
Al risveglio Kamenashi non aprì gli occhi. Rimase qualche secondo al buio cercando di capire da dove potesse venire quel mal di testa che lo faceva star male.
Sotto la sua testa poteva sentire la presenza di qualcosa di morbido, probabilmente un cuscino, mentre se allungava la mano arrivava a toccare qualcos’altro, sempre di morbido.
Aprì gli occhi di scatto e vide Akanishi disteso accanto a lui che lo fissava trattenendo le risate.
“Che fai, tocchi?” chiese facendo finta di essere offeso.
Kamenashi lanciò un urlo e si lanciò all’indietro cadendo dal letto con tutte le coperte.
“Akanishi! Ma che diavolo... che hai fatto?” gridò agitato tentando di districarsi dal lenzuolo.
“Non ho fatto niente,” rispose l’altro con calma, sempre ridendo.
“Ma, ma, siamo mezzi nudi... e io... sono tutto sudato!”
“Questo perché mi sei stato appiccicato tutta la notte.”
Kamenashi guardò le persiane serrate e le pesanti coperte del letto.
“E va bene...” disse Akanishi sospirando, “Te lo dico: l’abbiamo fatto. Diverse volte,” poi lo guardò con la coda dell’occhio.
Kamenashi sbarrò gli occhi.
“Eeh? No, no impossibile, me lo ricorderei!” esclamò l’altro quasi istericamente.
Akanishi rise più forte.
“Ma la smetti di prendermi in giro?” lo rimproverò Kamenashi, “Che ore sono?”
“Mmm... le cinque del mattino.”
Kamenashi andò ad aprire la finestra, il sole sorgeva in quel momento. Si voltò a guardare l’altro.
Akanishi se ne stava ancora disteso sul letto a petto nudo, in compenso si stava infilando dei jeans. Lui invece era ancora in mutande.
“Dove sono i miei vestiti?” chiese diventando un po’ rosso.
“Puzzavano da morire, così gli ho dato una lavata e li ho messi fuori... forse sono già asciutti.”
“Oh... ehm... grazie,” disse Kamenashi inchinando un po’ la testa, poi continuò ad osservarlo mentre si infilava una t-shirt nera con disegnato sopra un teschio argentato.
“Che c’è?” chiese Akanishi a un certo punto.
“Niente... mi piacerebbe avere con me la mia macchina fotografica.”
Akanishi socchiuse gli occhi.
“Vuoi fare delle foto osé sul letto?” chiese. Kamenashi gli lanciò il cuscino che si era portato dietro tutto il tempo.
“Sta’ zitto,” poi uscì dalla camera. In effetti l’idea era quella.
Andò sul terrazzo e recuperò i propri vestiti, profumavano. La camicia però era ancora leggermente umida così chiese all’altro se poteva prestargli una delle sue.
Ovviamente ci nuotava dentro ma non ci fece caso e si sedette al tavolo all’occidentale della sua cucina.
Fecero colazione in fretta. Akanishi pensò che sarebbe stato bello se avessero continuato a vivere così per sempre.
“Non abbiamo fatto sesso, vero?” disse a un certo punto Kamenashi addentando un toast.
“No, non sedurrei mai un ubriaco.”
Kamenashi arrossì. Maledetto rum.
“Però...” continuò Akanishi sorridendo sopra il suo bicchiere di succo rosso, “Qualcosa c’è stato...”
A Kamenashi andò di traverso il latte. “Dimmelo,” ordinò tossendo, “Che mi hai fatto?”
“Guarda che non è colpa mia,” rispose “Sei te che mi hai chiesto di baciarti!”
“Eeh? Impossibile,” disse Kamenashi alzandosi di scatto poi guardò l’orologio alla parete, “Vado al lavoro.”
Akanishi lo guardò mentre aggirava il tavolo. Allungò un braccio e gli afferrò il polso.
“Tornerai?” gli chiese, poi allungò anche l’altra mano e gli afferrò il colletto trascinandolo giù verso di lui.
Kamenashi non rispose, l’altro lo avvicinò ancora un po’ e poggiò le labbra sulle sue. Il cervello di Kamenashi andò in tilt ma riuscì lo stesso ad allontanarsi.
“Ora potrai dire che sono stato io a costringerti,” disse Akanishi mollandolo.
Kamenashi prese la sua roba e si fiondò fuori senza dire una parola.
Akanishi pensò con un sorriso che doveva essersi proprio innamorato. 
 
Kamenashi entrò nel suo studio sbattendo la porta. Le mani gli tremavano.
Cosa gli prendeva? Lui, che non si era mai innamorato e che aveva messo sempre il lavoro prima di tutto, ora perdeva la testa per un modello?
Certo, la sua prima regola era quella di non fidanzarsi mai con una modella, ma ora era la stessa cosa? Quello era un ragazzo.
No, non era poi tanto diverso. Non andava bene lo stesso.
Passò un’ora buona a passeggiare su e giù per la stanza senza fare nulla, poi si sedette alla scrivania.
Prese una matita e iniziò a disegnare un abito a caso ma la punta gli si spezzò tre volte e alla fine la lanciò verso la porta.
In quel momento qualcuno bussò. Entrò Taguchi, il suo modello privato.
“Ah ben tornato, Junno,” disse Kamenashi e l’altro sorrise,
“Kamenashi-san,” disse poi raggiungendo la scrivania, “Ha chiamato Kitagawa, dice che verrà tra poco col suo modello per ringraziarla della copertina di persona.”
Kamenashi annuì senza dargli troppo peso. Poi si accorse di indossare ancora la camicia che Akanishi gli aveva prestato.
Si sbrigò a toglierla e la poggiò sul tavolo, poi chiese a Taguchi di passargli una maglia a caso dall’armadio.
Mentre Kamenashi la indossava vide l’altro diventare leggermente rosso.
“Che c’è, Junno? Io ti vedo sempre nudo.”
“Davvero?” chiese qualcuno alle sue spalle.
Kamenashi si sporse e vide Akanishi e il suo manager sul ciglio della porta.
“Jin!” lo rimproverò l’uomo, “Comportati bene.”
“Prego entrate,” disse Kamenashi portandosi una mano alle tempie.
I due si avvicinarono affiancando Taguchi, che si spostò leggermente di lato.
Akanishi guardò l’altro modello: era più alto di lui. Arricciò il naso.
“Signor Kamenashi, la volevo ringraziare sentitamente per aver permesso lo stesso di posare al mio ragazzo e per averci addirittura concesso la copertina della sua rivista,” poi si inchinò e lo stesse fece Akanishi. “Sappia che avrà sempre i miei modelli a sua disposizione.”
“Prego, prego, è stato un piacere per me lavorare con Akanishi, spero che accadrà di nuovo.”
“Quando vuole,” rispose l’uomo con un sorriso. Poi volse lo sguardo al tavolo.
“Jin, ma quella non è la tua camicia?” disse indicandola.
“Ehm...” iniziò Kamenashi. “Devo averla lasciata qua ieri,” concluse Akanishi riprendendola. Kitagawa si avviò verso la porta con un altro inchino.
“Grazie ancora,” disse Akanishi guardando Kamenashi negli occhi, poi abbassò il tono, “Kame-chan.”
Il fotografo distolse lo sguardo.
Infine i due uscirono chiudendo la porta alle loro spalle.
Taguchi osservò il proprio capo attentamente. Teneva lo sguardo a terra e si contorceva le mani, poi sospirò.
“Kamenashi-san... è innamorato di quel ragazzo?”
“Eh? Chi? Dove?” chiese Kamenashi agitandosi ancora di più “Ma che... impossibile,” concluse ritrovando la calma, poi sprofondò nella sua sedia e stracciò lo schizzo che aveva malamente iniziato qualche minuto prima.
Sospirò.
“Si vede tanto?” chiese sottovoce al suo modello, con un altro respiro profondo.
“Non fa altro che sospirare da quando se n’è andato...”
“Comunque...” cambiò discorso Kamenashi “Sei stato bene allo stage a Tokyo? C’era gente?”
“Sì” rispose Taguchi, poi arrossì al ricordo.
 
Akanishi uscì dal palazzo affiancato dal suo manager che continuava a ripetergli gli impegni del pomeriggio.
Alla fine il giovane si fermò e chiamò un taxi.
“Che fai?” gli chiese l’uomo.
“Oggi non ho voglia,” rispose semplicemente il modello.
“Hey te, vedi di...” ma le sue parole non arrivarono più alle sue orecchie nel momento in cui chiuse la portiera.
Disse all’autista il proprio indirizzo e fece tutto il viaggio con gli occhi chiusi.
Chissà se Kame verrà da me dopo il lavoro, pensò mentre rincasava. Si bloccò sull’uscio, non trovando le chiavi.
Iniziò a guardarsi intorno.
“Porca miseria! Le ho lasciate sul tavolo della cucina questa mattina,” disse facendo il giro per vedere se almeno riusciva a entrare per qualche finestra aperta. Niente. L’unica aperta era al piano superiore, quella della camera che Kamenashi aveva lasciato spalancata la mattina.
Prese il cellulare e scorse l’agenda.
“Pronto, Akanishi?” rispose una voce dall’altra parte.
“Uepi! Ho un problema...” disse sottovoce.
“Non sarai rimasto chiuso fuori, di nuovo.”
“E’ proprio così,” confermò Akanishi, pronto a prendersi la sfuriata dell’altro ragazzo.
“Ma non ti si può lasciare da solo una settimana! Anzi che sei ancora vivo...” disse Ueda “Comunque sto rientrando proprio ora, sarò la in meno di mezzora.”
“Ah, torni prima?” chiese Akanishi nervoso, cercando di ricordare se Kamenashi potesse aver lasciato qualcosa di suo in casa.
Ueda era il vero proprietario della casa e le regole le dettava lui. La prima diceva: niente ragazze dentro casa. Ma quello era un ragazzo, quindi andava bene. O no?
Akanishi rise sottovoce, sedendosi sui gradini dell’entrata. Erano stati compagni di classe e se Ueda non lo avesse ospitato da lui dopo il liceo non avrebbe saputo proprio che pesci pigliare.
 “Che ridi? Akanishi?” gridava Ueda all’altro capo.
“Eh? Ah... non avevo ancora chiuso?” disse portando di nuovo il cellulare all’orecchio.
“Che hai combinato? Guarda che se torno e trovo casa un disastro te la faccio pulire con la lingua!”
“Tutto apposto, non ti preoccupare,” poi gli chiuse in faccia.
Iniziò a tamburellare le dita sulle ginocchia. Il sole si trovava nel punto più alto del cielo e lui si decise a volerlo fissare.
Dopo un po’ iniziarono a lacrimargli gli occhi.
“Akanishi?” qualcuno lo chiamò ma lui in quel momento vedeva tutto giallo.
Dopo un po’ mise a fuoco. Kamenashi camminava lungo il vialetto verso la sua direzione e entrava nel cancelletto.
“Ah Kame!”
Oddio, oddio, Ueda torna e mi uccide, pensava, devo trovare una scusa.
“Che hai?” gli chiese il fotografo, “Pensavo che saremmo potuti andare a pranzo insieme, ma se non vuoi...”
“Ah ecco si buona idea! Te precedimi al ristorante, poi ti raggiungo!” esclamò Akanishi guardandosi intorno nervoso.
“Ma... qualche problema?”
“No, no! Assolutamente! Però, ecco meglio che ti sbrighi o non troveremo posto” disse Akanishi ma era già troppo tardi. Sospirò, mentre una macchina nera si fermò davanti alla casa.
Kamenashi si voltò e seguì con lo sguardo i movimenti di un ragazzo dai capelli ramati che risaliva il vialetto con un trolley.
Si fermò davanti a loro e diede uno sguardaccio ad Akanishi.
“Chi è?” disse indicando Kamenashi.
Akanishi farfugliò qualcosa che somigliava con molta fantasia alla parola ‘fotografo’.
In quel momento Kamenashi capì tutto.
“Ecco perché avevi due tazze in cucina, ma soprattutto due letti uniti nella tua stanza!” esclamò, poi gli diede le spalle e corse via lungo il vialetto.
“Kame! Ma che... no aspetta!” gridò Akanishi pronto a seguirlo ma Ueda lo bloccò.
“Hai unito i letti in camera??” gli chiese, poi si portò una mano alle tempie, “Aspetta, aspetta... mi vorresti dire che quel tizio ha dormito nel mio letto?”
“Ehm... no, l’ho fatto dormire nel mio... e io nel tuo...”
Restarono in silenzio. Ueda riordinò le idee nella testa.
“Oddio, non dirmelo... la prima regola, Akanishi, la prima!” gridò Ueda pensando alle lenzuola.
“Ma parlava di ragazze!”
“No, parlava del ‘tuo’ sperma che avrebbe sporcato il ‘mio’ letto!”
Akanishi trattenne una risata.
“Non è successo niente...” disse, poi lo aiutò coi bagagli, “Ma non sei stupito della cosa?”
“Di che parli...” chiese Ueda dopo essersi calmato.
“Del fatto che non sia una donna.”
“Cavoli tuoi,” rispose Ueda entrando in casa, “E poi anche io ho conosciuto qualcuno allo stage.”
“Eeh? Naaa! Impossibile!” gridò Akanishi saltandogli quasi sopra e iniziando a pizzicarlo, “Il piccolo Uepi cresce!”
Ueda gli rifilò un pugno su un fianco.
“Ricordati che oltre a dirigere un paio di riviste di moda,” iniziò, mentre Akanishi era piegato in due, “Pratico pure la boxe nel tempo libero.”
“Ma uffa... è il secondo che mi becco in due giorni!” si lamentò Akanishi dolente.
“Si vede che ti meritavi anche il primo.”
Akanishi ci pensò su. “In effetti no... comunque come si chiama? Eh?”
“Taguchi...” rispose con un filo di voce. Akanishi ci pensò su ma non gli venne in mente nessuno “Mai sentito...”
“Comunque mi dispiace, il tuo ragazzo ha frainteso la cosa,” disse Ueda mentre saliva le scale.
“Non è il mio ragazzo! E poi non ti preoccupare... dato che ancora non so cosa pensi lui della cosa, se si è ingelosito sono contento.”
“Mi sarei ingelosito anche io, vedendo la persona che mi piace con una bellezza quale la mia.”
“Eeh! Non esageriamo,” disse Akanishi prendendo le chiavi della sua auto, “Allora ti rubo la macchina per oggi.”
“Ma non credo proprio!” gridò Ueda dal piano di sopra.
“Volevi farti perdonare per aver fatto scappare Kame? Ecco, siamo pari.”
“Non ho mai detto una cosa simile! E poi non ho fatto scappare nessuna tartaruga! Aspetta!”
Troppo tardi, Akanishi era già fuori.
Possibile che parlasse del famoso Kamenashi? Quel ragazzino era quindi il fotografo più bravo che circolava in quel periodo?, pensò Ueda poi andò alla finestra della camera e vide la decappottabile nera allontanarsi con un rombo.
“Addio, piccolina,” disse. Poi si voltò e mise a fuoco la stanza: era un disastro. Portò le mani ai capelli.
“Lo uccido, sul serio.”
 
Akanishi raggiunse il suo studio sperando di trovarlo là.
Entrò senza bussare ma dentro c’era solo quel modello antipatico che cercava qualcosa sotto una pila di riviste.
“Junno, giusto?” come dimenticarsi il suo nome.
Il ragazzo si voltò e sembrò come sbiancare.
“Tu!” disse l’altro modello indicandolo, “Che ci fai qua?”
“Scusa?”
“A parte che non mi piace quando mi si chiama col nome, sono Taguchi, grazie.”
Akanishi sbarrò gli occhi. “Taguchi??” poi tornò in sé in fretta, “Vabé, comunque dov’è Kame?”
“E’ quello che avrei voluto chiedere a te! Non lo trovo da nessuna parte, e al telefono non risponde.”
“E a casa?”
“Secondo te dove sono appena stato?” chiese Taguchi ironico.
“E che ne so io, e abbassa la cresta che sei già abbastanza alto senza... ma abitate insieme?”
“Certo.”
“Ma come certo! E Ueda lo sa?... vabé in effetti anche io abito con lui...”
Taguchi inciampò sulla scrivania.
“Come abiti con lui?”
“Senti...” disse Akanishi, “La faccenda è venuta fuori più complicata di quanto sembrava, ma ne riparliamo d’accordo?”
“D’accordo...”
“No aspetta!” gridò Akanishi, “Hai fatto sesso con Kame?”
“Ma sei fuori? È il mio capo!... e tu?”
“Con Kame?” domandò Akanishi sospirando, “Purtroppo non ancora... ma è sulla lista delle cose da far-”
“Ma che me ne frega di Kame!” gridò Taguchi, “Intendevo Ueda!”
“Aah! Ho capito, comunque sì, un paio di volte... niente di che...”
Taguchi quasi svenne.
“Ma dai! Scherzo!”
Poi la porta si aprì e apparvero i due aiutanti alle luci.
“Ma che urlate!” disse Nakamaru prendendo un paio di foto dalla scrivania.
“Parlavate di sesso?” si intromise Tanaka, “Eccomi, ci sono anche io!”
“Koki piantala, abbiamo da lavorare!” lo rimproverò Nakamaru trascinandolo fuori, “Altrimenti parlarne sarà la sola cosa che potrai fare d’ora in avanti,” poi chiuse la porta alle sue spalle.
I due modelli si guardarono.
“Ma qua c’è qualcuno a cui piacciano le donne?” chiese Akanishi.
Taguchi fece spallucce.
“Vabé andiamo a cercare Kame,” disse Akanishi uscendo, “Ti porto con la mia decappottabile.”
Taguchi sgranò gli occhi “E’ tua?”
“Ovvio,” rispose già immaginando la reazione di Ueda quando sarebbe venuto a sapere di quella piccola bugia.
Entrarono in auto e Akanishi mise in moto.
“Senti che potenza?”
“Quanti cavalli sono?” chiese Taguchi estasiato.
“Ehm... tanti,” rispose Akanishi vago.
“Non lo sai?”
“L’ho dimenticato.” 
“Non è tua, vero... è di Ueda?”
Akanishi annuì e Taguchi iniziò a saltellare sul posto per la felicità.
“Insomma, dove può essere Kame?” chiese poi, interrompendo quel suo balletto idiota.
“Non ne ho idea...” rispose Taguchi iniziando a preoccuparsi.
“Ma abiti con lui!”
“E tu sei il suo ragazzo!”
“Non ancora!”gridò Akanishi, per la seconda volta. Taguchi sbuffò, “Intanto metti in moto, io provo a richiamarlo.”
“Questo sole che tramonta inizia a darmi fastidio.”
 
Kamenashi si gettò sul letto piangendo. Alla fine, dopo una lunga passeggiata, aveva deciso di rientrare.
Fuori il sole aveva iniziato a scendere e colorava il cielo di arancio.
In mente non aveva altro se non quel visino angelico del ragazzo che aveva visto a casa sua.
Akanishi lo aveva ingannato, era ovvio.
Di sicuro il suo ragazzo era rientrato da chissà quale vacanza e ora quei due si stavano senza ombra di dubbio rilassando sul letto. Magari abbracciati.
In quello stesso letto in cui aveva dormito anche lui poche ore prima. Singhiozzò più forte.
Non pensava di poter stare così male a causa di qualcuno, lui, che era così egoista.
Immaginò di dover estendere la sua regola di non far posare le donne anche ai ragazzi. Avrebbe fatto foto ai bambini, magari.
Poi scrollò la testa e affondò di più nel cuscino. Non ci riusciva.
Non riusciva a smettere di pensare al suo odore, ai suoi capelli, al suo corpo. Perché per la prima volta aveva davvero provato attrazione per qualcuno.
Si mise a sedere di scatto. Non poteva arrendersi, non se lo sarebbe perdonato mai.
Mentre infilava il giacchetto bianco sentì il suo telefono squillare: era ancora Taguchi. Non avrebbe risposto, lo spense, poi uscì. Aveva altro da fare. Doveva salvare il suo cuore.
Arrivò davanti a casa sua e si attaccò al campanello. O usciva, o sarebbe entrato lui per una finestra.
Qualcuno rispose, ma non Akanishi. Era il ragazzo dai capelli color rame.
Gli sorrise e lo fece entrare. Kamenashi serrò i pugni.
 
“Senti, io torno a casa mia, forse è tornato da me...” disse Akanishi compiendo un’inversione a U azzardata.
Dopotutto avevano vagato per un ora senza trovare nemmeno l’ombra di Kamenashi.
“E’ colpa tua se è scappato,” gli disse Taguchi.
“Guarda che è stato Ueda! Io non c’entro!”
Taguchi sgranò gli occhi e Akanishi si decise a raccontargli tutta la storia.
“In poche parole lui non vuole che si porti ragazze o ragazzi a casa sua a causa del letto, giusto?” disse Taguchi.
“Ma hai ascoltato tutta la storia o sei rimasto là, all’inizio?” Poi sbuffò, “Comunque sì, è la prima regola... però credo che valga solo per me. Lui il suo letto lo può sporcare.”
Taguchi arrossì.
Arrivati a destinazione, parcheggiarono.
“Ah!” gridò Akanishi, “Il cancelletto è aperto e io l’avevo chiuso! Il che vuol dire che... o Ueda è uscito, o qualcuno è entrato! E sai chi?”
“Kamenashi”
“Sei un genio. Anzi, io sono un genio.”
Taguchi alzò gli occhi al cielo e lo seguì dentro.
Mentre si toglievano le scarpe Akanishi sentì delle voci dall’interno e riconobbe quella di Kamenashi.
“Ueda, ti prego, non picchiarlo!” gridò il modello entrando in sala. I due erano seduti a bere del tè.
“Akanishi, possibile che tu debba gridare sempre,” disse Ueda calmo.
Poi anche l’altro modello si affacciò.
“Taguchi!” disse Ueda saltando in piedi.
“Ah, allora è lui il ragazzo di cui mi parlavi ieri,” disse Kamenashi rivolto al proprio modello. Taguchi annuì.
“Sentite...” iniziò Akanishi, “Io mi sono perso, non ci capisco più niente.”
“Non è grave,” disse Kamenashi ridendo, “Che dici, andiamo a ballare? Come ieri. Però stavolta ti chiederò di baciarmi senza essere ubriaco.”
Taguchi tossì.
“Scusate,” disse Akanishi, “Noi avremmo dei piani per la serata, addio!”
Ueda gli tirò le chiavi della sua auto e Akanishi le afferrò al volo.
“Questo è per avermi portato Taguchi.”
Akanishi sorrise, poi condusse Kamenashi fuori.
“Se fossi in te, avrei paura a lasciare un mio amico da solo con Ueda.”
“Sopravvivrà,” rispose Kamenashi ridendo.
 
Arrivarono davanti al locale che era notte fonda. Scesero dall’auto. Là davanti c’era parecchia gente a chiacchierare.
“Oggi non è poi tanto freddo,” constatò Kamenashi avviandosi verso l’entrata.
Akanishi rimase immobile. “Ho cambiato idea,” disse e Kamenashi si fermò, restando a guardarlo.
“Non... vuoi stare con me?”
“No, non è quello! Pensavo... vuoi ancora farmi il servizio fotografico sul letto?”
A Kamenashi andarono a fuoco le orecchie. Annuì e lentamente rientrò in macchina.
“Però la macchina fotografica... è a casa mia,” disse Kamenashi mentre Akanishi metteva in moto.
“Non so ancora dove abiti...”
“Proprio accanto al mio studio.”
“Davvero? Tu e Taguchi fate presto allora la mattina,” poi accelerò incanalandosi tra la circolazione.  
 Arrivarono in meno di cinque minuti e Kamenashi aprì la porta.
Gli tremavano le mani, non ce l’avrebbe fatta.
Akanishi sbirciò un po’ in giro poi trovò la sua camera da letto. Era buia, accese la abatjour.
“Ma è matrimoniale!” disse Akanishi mentre Kamenashi prendeva la sua macchina.
“Taguchi ha paura del buio,” spiegò semplicemente il fotografo. Akanishi si sedette togliendosi la maglietta col teschio.
“Ma che fai?” chiese Kamenashi avvampando.
“Scelgo il set e i miei vestiti, così le foto vengono bene...” poi sorrise malizioso e slacciò i jeans.
“Ma così li togli i vestiti!” si lamentò Kamenashi bloccandogli le mani prima che potesse tirare giù anche la zip.
Akanishi lo afferrò per i polsi e lo tirò verso di sé. “Volevi farlo te?”
Kamenashi fu costretto a sedersi su di lui.
“Akanishi...” sussurrò Kamenashi al limite della sua resistenza. Il modello sorrise e iniziò a sfilargli la t-shirt.
“Le foto posso farle domattina,” sussurrò Kamenashi, poi gli bagnò le labbra con la saliva. “Ecco, così sei bellissimo.”
Akanishi lo tirò giù con sé, poi cambiò posizione e si mise cavalcioni su di lui.
“Fortuna che è matrimoniale,” commentò Kamenashi sorridendo, “Altrimenti queste acrobazie non potresti farle.”
“Ringraziamo Taguchi e la sua fobia,” poi prese a baciargli il collo, scendendo fino al petto e ai piccoli capezzoli rosati.
Kamenashi gli strinse i capelli, mentre il modello iniziava a divertirsi col suo ombelico.
“Qua abbiamo un buchino, dove sarà l’altro?” chiese Akanishi ridendo.
“Jin!” gridò Kamenashi, col cuore che tentava di uscirgli dal petto.
“Scusa,” sussurrò Akanishi tornando su, poi lo baciò sulle labbra, “E’ che non resisto più.”
Kamenashi si sentì soffocare, quasi non respirava più.
“Jin,” disse ansimando, “Vuoi farlo?”
Akanishi lo guardò un momento, indeciso se credere o no alle sue orecchie.
“Kame-chan...”
“No perché, se vuoi farlo, ti conviene sbrigarti o qua finisco male,” disse l’altro sorridendo.
Akanishi non se lo fece ripetere due volte. “Agli ordini!” e si sfilò i pantaloni.
“Però fa piano...” mormorò Kamenashi, poi arrossì vedendolo completamente nudo.
“Non ti farei mai male, ma sai questa è la prima volta, sono un po’ inesperto.”
Kamenashi non sapeva se essere felice o no. Strinse i denti.
“Almeno ce l’hai il lubrificante?” chiese Kamenashi mentre Akanishi finiva di spogliare anche lui.
“Ma te sei esperto invece!”
“Macché... ne ho sentito parlare da due miei assistenti al lavoro.”
“Yuichi e Koki?” chiese Akanishi noncurante.
“Li conosci?”
“No.”
Poi Akanishi tirò fuori un piccolo contenitore e un preservativo dalla tasca dei jeans che aveva buttato alla rinfusa sul letto.
“E tu invece sei partito proprio con questa intenzione...” commentò Kamenashi vedendo l’attrezzatura.
“Beh, se non era oggi, sarebbe stato un altro giorno... ma meglio essere prevenuti.”
Kamenashi si mise a ridere, poi mutò espressione non appena Akanishi avvicinò due dita alla sua apertura.
“Vediamo di non farti male” disse Akanishi, poi lo penetrò.
Kamenashi si tappò lo bocca, ma si sentì lo stesso un gemito.
“Scusa...” sussurrò Akanishi, “Ma ora prova a rilassarti...” poi iniziò a muoverle.
Kamenashi, lentamente, non sentì più dolore. Allora Akanishi le sfilò e prese a masturbarlo finché non venne nella sua mano.
“Sei pronto?” chiese Akanishi e l’altro annuì afferrando il lenzuolo con forza. Poi Kamenashi inarcò la schiena e l’altro si introdusse dentro di lui.
Kamenashi gemette forte. “Ecco, è tutto dentro Kazuya,” ansimò Jin, poi prese a muovere il bacino.   
Iniziava a fare davvero caldo, ma sta volta non era colpa delle coperte o della finestra.
Kamenashi cercò tastoni la mano dell’altro, e la strinse nella propria.
 
C’era luce e Kamenashi si svegliò. La finestra era aperta e lasciava entrare dei raggi di luce obliqui che illuminavano la stanza.
“Kamenashi? Sei sveglio?” chiese Akanishi piano. Kamenashi sorrise. Sentiva le sue braccia che lo stringevano.
“Come stai?”
“Dovrei chiedertelo io,” rispose il modello scivolando con le dita lungo la sua schiena. “Ti fa male?”
Kamenashi fece di no con la testa, “Che ore sono?”
“Le sette e trenta,” rispose Akanishi.
“Eeh?” Kamenashi scattò in piedi e iniziò a raccattare i suoi vestiti in giro, “Sono in ritardo! Perché non mi hai svegliato?”
Akanishi rise, “Speravo che tu non andassi oggi.”
Kamenashi si bloccò trovando la proposta allettante. “Taguchi starà aspettando,” disse “E anche gli altri...”
“D’accordo,” accordò Akanishi senza mettere in dubbio il fatto che anche Ueda lo avrebbe lasciato andare, poi iniziò a cercare nell’armadio dei vestiti adatti a lui.
“Ma quanto sei piccolo?” si lamentò con in mano un paio di pantaloni.
Kamenashi non lo ascoltò e finì di vestirsi, poi vide la sua macchina fotografica che era finita a terra la sera prima.
Si voltò verso Akanishi e iniziò a scattare.
“Kame!! Ma che...! Aspetta, non sono pronto!” urlò mentre tentava di coprirsi con quello che poteva.
Kamenashi scoppiò a ridere, poi uscì dalla camera e prese la borsa.
“Io vado!” gridò all’altro che ancora non si decideva, “Se esci chiudi a chiave!”
Akanishi tirò su il volto dal mucchio di vestiti che aveva gettato sul letto. Ne scelse un paio a caso e se li infilò. Poi uscì anche lui. Mentre chiudeva gli squillò il telefono. Era il suo manager. Sbuffò.
 
Kamenashi si precipitò nel suo studio di corsa, poi gettò le sue cose alla rinfusa nello studio e corse di sopra assumendo un atteggiamento professionale.
“Scusi l’attesa,” disse al modello che lo stava aspettando, accerchiato dagli assistenti al make-up.
Nakamaru gli si avvicinò.
“Kamenashi-san! Dov’eri!” gli chiese sottovoce, “Neanche Taguchi si vede”
Kamenashi sbarrò gli occhi, poi si sentirono dei rumori provenire dal piano di sotto e Taguchi sbucò dalla porta correndo.
“Taguchi, sei in ritardo! Vuoi che non ti paghi?” lo rimproverò Kamenashi mentre Yuichi alzava gli occhi al cielo allontanandosi.
All’improvviso entrò Akanishi, sempre correndo.
“Ma cos’è qua, siete tutti di fretta?” chiese quel modello con uno strano accento.
Lo ignorarono.
“Akanishi, che fai qua?” sussurrò Kamenashi prendendolo da parte.
“Kame...” piagnucolò il modello, “Mi ha licenziato...”
“Eh?”
“Sono stato licenziato perché ieri non mi sono fatto vedere tutto il giorno,” poi lo afferrò per le spalle, “Ma io ieri pomeriggio stavo cercando te, ricordi?” Kamenashi rimase a bocca aperta.
“Kame-chan! Fammi lavorare per te!” disse quindi Akanishi con un sorriso enorme.
“Non ci credo.”
“Cosa?”
“Che ti hanno licenziato,” poi lo guardò storto e Akanishi sospirò.
“E va bene... mi sono licenziato io... volevo farti sentire in colpa così mi avresti fatto lavorare con te...”
Kamenashi gli diede un pugno sul braccio.
“Idiota.”
“Ti prego, ti prego! Voglio lavorare qui con te!” lo implorò Akanishi “Così tra una pausa e l’altra...” poi sorrise e gli sfiorò il collo con le dita.
Kamenashi divenne del colore di un pomodoro, “Va bene, ma guai a te se salti un giorno di lavoro!”
Akanishi rise, “Nemmeno se la causa sei te?”
Kamenashi si allontanò facendo finta di niente poi si voltò.
“Akanishi... verrai anche ad abitare con me?” chiese sottovoce.
L’altro sorrise. “Vedremo.”
“Signor Kamenashi!” gridò qualcuno dello staff, “Abbiamo finito, venga!”
Kamenashi andò da loro.
 
Quel pomeriggio Kamenashi si trovava nel suo studio e Akanishi era là con lui che sbirciava i costumi nell’armadio.
Qualcuno bussò. Entrarono Ueda e Taguchi.
“Akanishi, che fai qua?” chiese Ueda raggiungendo la scrivania.
“Passo il tempo.”
“Ciao Ueda, dimmi,” disse Kamenashi ignorandolo.
“Sì, volevo chiederti se per te era possibile cambiare il contratto di Taguchi, in modo da poterlo far venire a lavorare per la mia rivista ogni tanto.”
“Ah, capito,” annuì Kamenashi, “D’accordo allora, non ci sono problemi.”
Ueda e Taguchi si inchinarono. “Grazie Kamenashi-san.”
Poi uscirono. Ueda si bloccò sulla porta.
“Ah Akanishi...” disse voltandosi, “Ti ho buttato fuori di casa.”
“Ehh??”
“Le tue cose sono già a casa di Kamenashi...” poi chiuse la porta sorridendo.
“Kame! Tu non ne sai niente, vero?”
“Io? Certo che no...” rispose il fotografo trattenendo le risate.
“Ora vengo là e ti faccio sputare tutto!” lo minacciò Akanishi avvicinandosi, poi prese a fargli solletico.
“A-Akanishi! Smettila!” gridò Kamenashi con le lacrime agli occhi. Akanishi si chinò e lo baciò.
“Va bene allora,” sussurrò il modello sulla sua bocca, “Vediamo come va a finire questa cosa.”
Kamenashi sorrise.
“Ricordami di lavare i lenzuoli del letto.”
 

“Se ti dicessi I miei sentimenti ora,
poi non sarei capace di tornare indietro..

In questo momento, posso solo stringerti forte.

Di un milione di persone, solo una...
Ho trovato il mio posto accanto a te.”


 


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Commento: Piaciuta? :D Concluderei con una citazione dal "Kame kamera VOL.9 - Karada": More than the form, what is important is the sensitivity. I think that a body which is completely absorbed and can enjoy those moments is wonderful.

(Non ricordo i crediti della traduzione, semmai fatemi sapere ^^ ma forse è dal livejournal di Iside89 ^o^)
   
 
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