Si era pentita esattamente un secondo dopo quella
risposta, quando aveva visto lo sguardo dapprima sconcertato, poi più
ostile, del suo futuro marito e quello appagato del suo futuro suocero.
La
risatina stridula di sua madre aveva sovrastato qualsiasi altro commento,
entrandole in testa e colpendola come tanti piccoli spilli appuntiti.
Si
era sentita come se avesse appena bevuto uno di quegli intrugli disgustosi che
sua zia Peach spacciava per tè, la nausea le era tornata più
prepotente che mai e il respiro aveva iniziato a mancarle.
Aveva
detto di sì. Aveva detto di sì, Santo Cielo! Che
cosa le diceva il cervello?
Voleva
davvero legarsi per tutta la vita ad
un uomo che non amava? A Charles Wilkinson? Probabilmente la povera selvaggina
che si divertiva a cacciare quel villano la domenica
mattina era più intelligente di lui.
Perché aveva detto di sì? Per sentire gli
strilli estasiati di sua madre?
Per aiutare tuo
fratello, Emma. Le
ricordò una parte del suo cervello.
Buon Dio, e chi
aiuterà me?
A
quella domanda, il suo saccente organo pensante non rispose, rimase zitto,
spingendola ancora di più verso il panico totale.
Avrebbe voluto dileguarsi, nascondersi, rifugiarsi in uno dei
suoi libri e invece fu costretta a restare lì, a sorridere, mentre
dentro si era sentita morire.
Gli
ospiti l’avevano avvicinata fin da subito per congratularsi, ed Emma
aveva colto ipocrisia e invidia in più di uno sguardo.
-È
per la perdita dell’ottimo partito-,
le aveva suggerito tronfia sua madre.
Avrebbe
volentieri voluto rispondere che l’ottimo
partito le altre fanciulle in lutto per la perdita se lo potevano
pure tenere, ma si morse la lingua e non replicò.
Le
era sembrato che quella giornata avesse una durata infinita e ancora non si capacitava di come fosse riuscita a tornare integra alla sua
tenuta, senza più incrociare nemmeno una volta lo sguardo del suo futuro
marito, nemmeno durante il suo saluto, un lieve inchino accompagnato da un
imposto baciamano.
Aveva trattenuto a malapena l’istinto di sfregarsi
schifata la mano sulla gonna davanti a Charles, solo al sicuro nella sua
carrozza si era
lasciata andare a quel gesto.
-Annabelle?- Mormorò con
voce stanca e rassegnata, una volta affondata nella sua poltrona preferita in salotto.
-Sì,
signorina Wimsey?- La cameriera arrivò un
secondo dopo, inchinandosi servile e incrociando le mani in grembo in attesa di ordini.
-Portami
un tè.- Le sorrise appena e sentì dolere
le guance per via di quell’ennesimo e forzato movimento facciale. Si era
dimenticata il numero delle volte che aveva dovuto farlo per ringraziare gli
invitati a quella festa –la loro festa, sua e di Charles.
-Subito signorina.- Annabelle
si inchinò nuovamente e uscì svelta dalla stanza.
Rimasta sola, Emma si portò una mano alla fronte e
sospirò.
Sentiva
ogni singola fibra del suo corpo tremare, nemmeno prendere in mano uno dei suoi
libri e sfogliarlo la tranquillizzò.
Sapeva
quali sarebbero dovuti essere i suoi doveri di moglie, sapeva che suo marito sarebbe diventato la sua priorità assoluta
di lì in poi, sapeva che avrebbe dovuto occuparsi della casa e dei
domestici, ma…semplicemente non si sentiva pronta.
Una
lacrima scivolò lenta sulla sua guancia e cadde silenziosa nel vuoto,
bagnando la pagina ingiallita del vecchio libro preferito di suo padre. Quello dove lei aveva imparato a leggere, quello dove lui le aveva insegnato a leggere.
Si
chiese che cosa avrebbe detto o pensato suo padre se fosse stato lì con
lei.
Era
stato lui a combinare il tutto, forse con l’assurda convinzione che un
matrimonio di convenienza con un ricco Lord inglese avrebbe potuto renderla
felice e darle tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno.
Oh, quanto si era sbagliato. Non avrebbe avuto
una cosa, la più importante di tutte: l’Amore.
Non
era pronta ad essere una buona moglie, non era pronta a sostenere e servire un
uomo che non amava per tutta la vita.
Lei
non era come sua madre, non le importava nulla del denaro o del titolo nobiliare
di chi avrebbe sposato.
Un
rumore proveniente dallo scrittoio lì accanto la
distrasse bruscamente dai suoi pensieri e la fece sobbalzare.
-Il vostro tè, signorina.- Annabelle
le porse la tazzina esitante, visibilmente preoccupata per le condizioni in cui
aveva trovato la sua padroncina.
Emma
si ricompose in fretta e finse di non aver visto quella compassione serpeggiare
per un attimo negli occhi della donna.
-Grazie
Annie.-
Conosceva
Annabelle da una vita intera, serviva la sua famiglia
da anni, quindi le veniva spontaneo a volte chiamarla in quel modo.
Sua
madre non approvava, ovviamente. Socializzare con la servitù era
disdicevole secondo il suo punto di vista, così come qualsiasi altra
cosa che non comprendesse lo stare zitta e sorridere.
-Tutto
bene signorina?- Si azzardò a chiedere Annabelle,
senza però osare sedersi lì accanto alla sua padrona.
Emma
sì passò svelta una mano sugli occhi umidi, –Sì, va
tutto bene, grazie.-
Avrebbe
voluto sfogarsi con lei, avrebbe voluto urlare e
parlare con qualcuno, ma sapeva bene che se si fosse lasciata andare ad una
confessione del genere, per di più con una domestica, sua madre si
sarebbe infuriata. Se la sarebbe letteralmente mangiata in un
sol boccone a cena.
La
cameriera annuì e, senza aggiungere altro, uscì dalla stanza.
Dopo
aver sorseggiato appena il suo tè, Emma appoggiò la tazzina al
tavolo lì vicino e si alzò bruscamente, incominciando a muoversi
a passo nervoso per la stanza.
Così
non andava, non si riconosceva neanche più! Doveva assolutamente riprendersi, di certo non avrebbe
permesso a quello spocchioso, arrogante e altezzoso Lord di rovinarle la vita,
ci voleva ben più di un uomo dal cervello piatto quanto la suola dei suoi
stivali per farla piangere come una mammoletta.
Non
stava andando al patibolo, stava solo per sposarsi con
un ricco uomo inglese, poteva forse lamentarsi? No. Sposare Charles sarebbe
stato terribile, certo, ma l’importante era che
suo fratello avesse i soldi necessari a mantenere sua moglie e suo figlio.
Rincuorata
da quei pensieri, si avviò stancamente verso la sua stanza.
Dio
solo sapeva che cosa aveva in mente sua madre per il giorno dopo, conoscendola sarebbe stata capace di tenerla ore in piedi per farle
provare quell’osceno vestito da sposa che anni prima aveva indossato lei
stessa.
Scrollando
le spalle, scostò le coperte e sprimacciò il guanciale.
Dopotutto
un vestito valeva l’altro, andava bene anche quello orrendo, non le
interessava indossarne uno nuovo o essere carina. Carina per chi poi?
L’importante
era che tutti quei preparativi finissero presto, prima si sposava, meglio era a
quel punto: non avrebbe retto per molto tutto quell’entusiasmo generale.
Si
sdraiò e, spente le candele, attese paziente che il sonno la cogliesse.
Era
stata informata dell’arrivo della sua futura famiglia ancor prima che un
membro della servitù la venisse a chiamare.
Il
rumore degli zoccoli sulla ghiaia e i nitriti dei cavalli l’avevano
destata da quel sonno leggero e inquieto, guadagnato dopo ore passate a
rigirarsi nel letto.
Quella
notte non aveva chiuso occhio, aveva sperato invano di
riuscire a cacciare il ricordo del suo “sì” pronunciato con
tanta e superficiale leggerezza.
Sperò
fino all’ultimo che si fosse trattato solo di un
incubo, ma quando scostò le tende della sua stanza e vide la carrozza
degli Wilkinson proprio lì sotto, nel vialetto, ogni speranza fu crudelmente
annientata.
-Signorina
Wims…-
-Sì,
lo so Jane.-
La
domestica esitò per un attimo sull’uscio, prima di inchinarsi e
richiudere la porta alle sue spalle.
Stava
per staccarsi dal freddo e appannato vetro della finestra, quando la sua
attenzione fu catturata dal giovane che proprio in quel momento stava scendendo
dal calesse.
Charles
Wilkinson si guardò intorno con la sua consueta espressione sprezzante
da nobile, analizzando con occhio critico l’ambiente di sicuro troppo
poco sontuoso per lui.
Con
un gesto fluido, si tolse poi il cappello e i suoi capelli biondi sembrarono
quasi brillare alla luce del sole.
Emma,
senza rendersene conto, si perse ad analizzarlo più del dovuto, tanto che quando il giovane alzò lo sguardo, la ragazza si
ritrovò a fare un balzo all’indietro che le costò una bella
caduta e un bel livido sul fianco.
Si
portò le mani al viso e si morse con forza il labbro inferiore.
Oh
maledizione! L’aveva vista! E lei, non appena quegli
occhi così freddi si erano posati sulla sua persona, si era ritratta e
nascosta come una bambina colta nel bel mezzo di una monelleria.
Che vergogna! Aveva fatto una figura tremenda!
Va bene, niente
panico. Si
disse, rialzandosi piano ed evitando di lamentarsi per il dolore al fianco.
Era stato stupido nascondersi, aveva appena fornito al suo
futuro marito un motivo in più per considerarla una sciocca.
Non
che lei avesse un’opinione tanto migliore di lui, però…
Scosse
la testa, fece un respiro profondo e si riaffacciò alla finestra.
Il
cortile era vuoto, sicuramente gli ospiti erano
entrati.
Decisa
a non farsi rimproverare da sua madre per il ritardo nell’accoglierli, si
fece aiutare da Jane per vestirsi e scese il
più velocemente possibile a salutarli, consapevole del fatto che se
avesse ulteriormente indugiato, una ramanzina non gliel’avrebbe risparmiata nessuno.
-William!- Esclamò contenta
quando, sulle scale, incontrò suo fratello.
Questi
le lasciò un delicato bacio sulla fronte, prima
di scostarsi ed esaminarla in volto, -Sorellina…Impaziente di vedere il
tuo sposo?-
La
stava mettendo alla prova, la giovane lo sapeva bene. Se William avesse anche solo sospettato di essere il motivo
di quella scelta sbagliata, non avrebbe esitato a litigare con sua madre per
opporsi a quelle nozze.
-Mi
hai scoperta.- Sorrise. Non dovette neanche sforzarsi di
arrossire, la piccola corsa fatta per cercare di non farsi attendere dagli
ospiti le aveva già conferito un colorito roseo piuttosto
credibile.
-Emma, ho dato il mio consenso,
ma…- William sospirò e balbettò un attimo, non
sapendo bene come proseguire il discorso.
La
sorella intervenne subito in suo aiuto, avendo già intuito cosa stesse per dire, -Sì, William, ne sono sicura.-
Non
si sarebbe tirata indietro, anche se così facendo avrebbe per sempre
rinunciato ad un matrimonio felice.
Aveva messo in conto tutto, quella notte insonne era pur servita a
qualcosa. Non sarebbe stato forse peggio veder la sua famiglia vivere in
miseria? Quanto poco valeva la sua felicità
rispetto a quella dei suoi cari?
-Emma…- Il ragazzo si passò una mano
fra i capelli, non del tutto convinto, -È Charles Wilkinson.- Aveva
pronunciato quel nome fra i denti, come se fosse stato un insulto.
Non
era una novità che al giovane Wimsey non piacesse il figlio del Lord di Winchester; appena un anno
prima, durante il suo periodo di fidanzamento con Moira, Charles si era
lasciato andare più di una volta a sorrisi maliziosi e sconvenienti
rivolti alla sua dama.
Di
certo l’antipatia provata per il giovane Wilkinson non si era assopita,
era anzi aumentata dopo che a quella si era associato il pensiero del
matrimonio fra lui e sua sorella.
Emma
si morse più volte il labbro, incapace di contenere il nervosismo, -Lo so, ma…nostro padre avrebbe voluto questo.-
Una
parte, dentro di lei, le suggeriva che forse Charles non sarebbe stato un
cattivo marito, suo padre non l’avrebbe mai
messa nelle mani di qualcuno di cui non si fidava.
L’altra
parte, invece, più grande e pressante, non faceva che rimproverarla per
quell’assurda convinzione, più una speranza in realtà,
partorita dal subconscio con l’intento di farla sopravvivere
all’idea di un matrimonio proprio con lui.
Conosceva
Charles da anni e le risultava difficile immaginarlo diverso
dall’insulso e arrogante nobile altezzoso che più di una volta
l’aveva derisa per la sua passione per la lettura.
Una
cosa era certa: non avrebbe di certo rinunciato ad essa
per volere del marito, era pronta ad affrontare i suoi doveri di moglie, non a
farsi mettere i piedi in testa dal primo Lord che la chiedesse in sposa.
William
fece un respiro profondo, prima di chiudere gli occhi, -Spero solo che sapesse
quello che stava facendo…quando ha deciso in
questo modo della tua vita…-
Lo
sperava anche lei, con tutta se stessa.
Salutò
il fratello, che la rassicurò dicendole che
l’avrebbe raggiunta poco dopo insieme a sua moglie, e arrivò al
salotto dove sua madre accoglieva gli ospiti. Sperava solo che non fosse troppo
arrabbiata.
-Figlia
mia, eccoti qui!-
Finalmente.
Non
l’aveva detto, ma l’occhiata che le lanciò glielo suggeriva.
Le
sorrise e, sforzandosi di non mutare espressione, si voltò verso i
coniugi Wilkinson e il loro unico erede.
-Lord
Peter, Lady Charlotte…- Fece un po’
più fatica a sorridere e a rivolgersi al futuro marito, presumibilmente
a causa della scenetta di poco prima, -Charles.-
Si sorprese lei stessa di quanto quel nome sibilato fra i denti assomigliasse
più ad un’offesa che ad un amichevole saluto, -E’
un onore avervi qui.- Si esibì nel suo migliore inchino, reprimendo
l’istinto di sbuffare, sospirare o scappare per via della tensione.
Sentiva
lo sguardo dei presenti puntato insistentemente
addosso, quasi stessero valutando ogni sua mossa.
Lord
Peter Wilkinson e suo figlio si limitarono a
ricambiare l’inchino con un cenno del capo, mentre Lady Charlotte le fece
intendere, con un gesto civettuolo della mano, che l’inchino non fosse affatto necessario, -Oh Emma cara, non serve.-
Ciononostante,
Emma aspettò un segno da parte di sua madre per alzarsi.
-Stavamo
giusto discutendo con tua madre dei preparativi per il matrimonio, siamo
entrambe d’accordo sul fatto che non debba esserci sposa più bella
di te.-
Si
era distratta solo un attimo, giusto il tempo di pensare a quanto fosse raccapricciante la pettinatura di Lady Wilkinson e a
come riuscisse a portarla in giro con tanta disinvoltura, ma quella
disattenzione le fu fatale.
Potente
e letale arrivò: l’attacco della madre e della suocera.
-Oh,
io...- Aggrottò la fronte incerta, non tanto sicura della risposta.
-Bisognerà pensare al vestito e al corredo!- La
interruppe
Lady Charlotte.
-E all’acconciatura!- La assecondò sua madre.
-E alle partecipazioni!-
-Si
dovrà trovare anche qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato…e
qualcosa di blu!-
-Oh
sarai meravigliosa mia cara, già immagino che nipotini splendidi
usciranno da questo matrimonio!-
Emma
spalancò la bocca senza nemmeno rendersene conto. Solo quando sua madre
le restituì, come uno specchio, la stessa espressione sconvolta, si
ricordò di chiuderla, -Ni…nipotini?-
Chiese non tanto sicura di aver capito bene. Poteva essere che quella
pettinatura l’avesse nuovamente distratta.
-Ma certo, nipotini!- Intervenne sua madre, con lo stesso
tono di voce stridulo della sua futura suocera.
Si
sentì subito esaminata da tutti i presenti, era certa che persino Lord Peter e Charles, prima sicuramente disattenti e
disinteressati ad ascoltare quella conversazione tipicamente femminile, la
stessero improvvisamente osservando, ma non ebbe il
coraggio di voltarsi verso di loro per verificarlo.
-Oh.- Fu tutto ciò che riuscì a
dire, benché non fosse per nulla consono alla conversazione.
Nipotini. Bambini.
Ma certo, che sciocca, aveva davvero sperato che il
suo matrimonio con Charles si riducesse ad una mera convivenza nella stessa
dimora? Avrebbe dovuto…giacere nel suo stesso
letto, nel letto con suo marito.
Il tempo di realizzare la cosa e la testa
prese a girarle vorticosamente, mentre le sue guance si coloravano di rosso.
Cielo, bambini!
Sua madre e Lady Charlotte si aspettavano dei nipotini!
E lei avrebbe dovuti darglieli, avrebbe dovuto dare
degli eredi alla famiglia Wilkinson!
Dio, a cosa pensava quando
aveva detto di sì a tutto
quanto?
Pensava forse di passare il tempo a giocare a scacchi con suo marito nel
letto? O magari di leggersi un bel libro come faceva
tutte le sere e di mettersi a dormire come se Charles non ci fosse?
Improvvisamente, svanirono tutti dalla sua
testa: sua madre, suo fratello, sua cognata, il suo
nipotino. I suoi problemi economici erano diventati di colpo
irrilevanti di fronte a quella prospettiva.
Non voleva sposarsi. Non voleva consumare quel
matrimonio. Non voleva Charles al suo fianco per tutta la vita, voleva un uomo
che l’avrebbe amata e coccolata, non un superbo Lord che la considerava solo
una fastidiosa pezza da piedi, da sposare esclusivamente per evitare di essere
diseredato.
-Emma?-
Quasi non sentì la voce della madre,
arrivò lontana ed ovattata.
Si sedette su una poltrona e si sforzò
di fare dei lenti e profondi respiri.
Le mancava l’aria, le guance erano
bollenti e qualcosa di opprimente nel petto le
impediva di respirare.
-Emma, cara!-
Alzò lo sguardo e lo puntò sulle
due donne preoccupate.
Sua madre aveva appena agguantato il suo
orrendo ventaglio nuovo per cercare di farle aria e, probabilmente, se la
situazione non fosse stata tragica, Emma avrebbe riso della sua faccia: stava praticamente boccheggiando come un pesce!
La sua attenzione si spostò su Lord Peter e Charles Wilkinson, immediatamente dietro le due
dame; il primo mostrava un’espressione sinceramente angosciata per le sue
condizioni, mentre il secondo, nonostante l’apparente cruccio, sembrava
essere quasi…divertito. E lo era di sicuro, Emma ci avrebbe scommesso i suoi libri
preferiti. Probabilmente l’idea che lei potesse
restarci secca doveva allietarlo molto, visto che non sarebbe più stato
costretto a sposarla.
-Sto bene,-
Rantolò a fatica, -Sto bene.- Ripeté poggiandosi una mano sul
petto.
-Oh Cielo, Emma! Hai rischiato di farmi venire
un infarto, lo sai che…- Non ascoltò
nulla del discorso delirante della madre, si massaggiò le tempie e si
alzò di colpo interrompendola.
-Io…Scusatemi, non volevo
farvi preoccupare.- Azzardò un sorriso imbarazzato e fu lieta di vedere
Lady Charlotte ricambiarlo.
-Credo solo di aver bisogno di respirare un
po’ d’aria fresca.- Sua madre non avrebbe potuto rimproverarla per
quel tentativo di congedarsi: non si sentiva bene, era certa che i suoi ospiti
avrebbero capito.
-Ma certo cara, certo…- Lady Wilkinson annuì indulgente,
poi puntò lo sguardo su qualcosa alle spalle della giovane e sorrise
nuovamente, -Charles!-
Emma,
sollevata e rincuorata da tanta comprensione, si immobilizzò
nel sentire pronunciare quel nome dalla donna.
-Charles,
caro, accompagna la tua fidanzata a prendere un po’ d’aria fresca.-
-Ma
no…- Quattro paia di occhi si posarono curiosi
su di lei, -Non è necessario.- Tentò speranzosa. Non avrebbe
sopportato l’idea di restare da sola con lui, non dopo quel
palese ed imbarazzante accenno ai nipoti.
Aveva bisogno di restare per conto suo, aveva bisogno di tempo per
riflettere e decidere di portare avanti tutta quella faccenda, per il bene
della famiglia.
Se fosse restata un solo minuto in più in quella
stanza e con tutti quegli sguardi addosso…probabilmente sarebbe scoppiata
a piangere e avrebbe implorato sua madre di annullare tutto.
Lady Charlotte scosse lievemente il capo, -Insisto
cara. Charles!-
I
lineamenti della donna dinanzi a lei mutarono nel momento in cui i suoi occhi
si posarono sul figlio: la bocca diventò una linea sottile, mentre le
palpebre si socchiusero mostrando nel complesso una certa ostilità.
Evidentemente
Charles doveva aver appena fatto intuire alla madre che non fosse
affatto incline ad accompagnare la fidanzata fuori, solo che, essendo il
ragazzo alle sue spalle, Emma non aveva avuto modo di vederlo.
Sperava
si trattasse solo di un altro brutto incubo, ma quando si trovò il suo fidanzato ad un passo di distanza con un
braccio alzato per scortarla e un’espressione scocciata dipinta in volto,
sentì nuovamente il caldo asfissiante di poco prima.
La
guardava come se stesse guardando un qualcosa di
sgradito ed imprevisto, come un temporale o una macchia sul frac nuovo.
E sempre così mi guarderà.
Malgrado il respiro corto e il battito accelerato, Emma
non poté fare a meno di stizzirsi leggermente per quella scortesia: nemmeno
lei gradiva la sua compagnia, eppure non si comportava così
sgarbatamente. Poteva almeno mostrare un minimo di gentilezza!
Anche se, era pur sempre di Charles Wilkinson che
si parlava, quando mai era stato gentile con lei? Quando
mai lo sarebbe stato? Dopo il matrimonio non sarebbe cambiato nulla.
-Grazie.-
La voce le tremò appena ed Emma arrossì per l’umiliazione.
Deglutì
a vuoto e alzò il mento orgogliosa prima di
poggiare la sua mano sull’avambraccio del Lord.
Di
nuovo, per qualche strano motivo, avvertì la stessa scossa del giorno
precedente non appena le sue dita sfiorarono il polso di lui,
ma non lo diede a vedere.
Non
si interrogò sul motivo di quel brivido, era
troppo occupata a concentrarsi su particolari frivoli e sciocchi quali le tende
nuove o i tappeti per evitare anche solo di sfiorare l’idea che avrebbe
dovuto avere dei bambini con quel maleducato.
Salutò
nuovamente Lord Peter e Lady
Charlotte, prima di incamminarsi per quella che sarebbe stata una lunga ed
estenuante passeggiata.
*Note dell’autrice*
Grazie
infinite ancora a Tania (La Evans) e Sara (Pettyfer)
per aver realizzato quest’altra meravigliosa immagine che vedete qui in
cima.
Lo so, già questo secondo capitolo dev’essere
una delusione rispetto al primo, mi dispiace. L’ho scritto e
riletto diverse volte prima di trovare il coraggio di pubblicarlo, temevo
potesse deludere le aspettative.
È
principalmente un capitolo di passaggio, dove vengono
spiegati tutti i dubbi e le paure di Emma.
Sarà
dal prossimo capitolo che si conoscerà bene Charles (che è ancora
un enorme punto interrogativo), ora che son rimasti
soli, dovranno conversare per forza di qualcosa, no? Sono pur sempre
fidanzati…
Idee su quello
che si diranno? Chi prenderà la parola per primo e per dire cosa?
Mi dispiace di
avervi fatto aspettare tutto questo tempo per questo secondo capitolo, ma
scrivere di Emma, scrivere del passato, è
più difficile che scrivere dei giorni nostri, più di quanto
pensassi. Al solito, se notate qualche incongruenza o
qualcosa non vi torna, non esitate a dirmelo. Per
qualsiasi domanda sono qui.
Risponderò
man mano alle recensioni del primo nel frattempo, ho già iniziato con
alcune e proseguirò fino a –spero- finirle tutte
il prima possibile.
Vi ringrazio
infinitamente per l’entusiasmo che avete mostrato nell’accogliere
questa storia, non so davvero che altro dire, se non
che è stata una piacevolissima sorpresa :)
Cercherò
di non farvi attendere ancora così tanto per il
prossimo, ho già in mente la conversazione fra i due e sta già
scalpitando per essere scritta!
Un bacione.
Bec