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Autore: _Bec_    09/01/2012    18 recensioni
Inghilterra, 1845. Emma Marie Wimsey, giovane aristocratica in rovina, è costretta ad accettare la proposta di matrimonio di Charles Edwin Wilkinson, figlio del più caro amico del suo defunto padre.
Emma ha sempre desiderato sposarsi per amore, avere un matrimonio perfetto, ma è presto costretta ad abbandonare i suoi sogni per salvare la sua famiglia dalla povertà, scoprendo così che la vita segue spesso un corso totalmente inaspettato.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 1. Grandchildren? Oh my God

 

 

 

Si era pentita esattamente un secondo dopo quella risposta, quando aveva visto lo sguardo dapprima sconcertato, poi più ostile, del suo futuro marito e quello appagato del suo futuro suocero.

La risatina stridula di sua madre aveva sovrastato qualsiasi altro commento, entrandole in testa e colpendola come tanti piccoli spilli appuntiti.

Si era sentita come se avesse appena bevuto uno di quegli intrugli disgustosi che sua zia Peach spacciava per tè, la nausea le era tornata più prepotente che mai e il respiro aveva iniziato a mancarle.

Aveva detto di sì. Aveva detto di sì, Santo Cielo! Che cosa le diceva il cervello?

Voleva davvero legarsi per tutta la vita ad un uomo che non amava? A Charles Wilkinson? Probabilmente la povera selvaggina che si divertiva a cacciare quel villano la domenica mattina era più intelligente di lui.

Perché aveva detto di sì? Per sentire gli strilli estasiati di sua madre?

Per aiutare tuo fratello, Emma. Le ricordò una parte del suo cervello.

Buon Dio, e chi aiuterà me?

A quella domanda, il suo saccente organo pensante non rispose, rimase zitto, spingendola ancora di più verso il panico totale.

Avrebbe voluto dileguarsi, nascondersi, rifugiarsi in uno dei suoi libri e invece fu costretta a restare lì, a sorridere, mentre dentro si era sentita morire.

Gli ospiti l’avevano avvicinata fin da subito per congratularsi, ed Emma aveva colto ipocrisia e invidia in più di uno sguardo.

-È per la perdita dell’ottimo partito-, le aveva suggerito tronfia sua madre.

Avrebbe volentieri voluto rispondere che l’ottimo partito le altre fanciulle in lutto per la perdita se lo potevano pure tenere, ma si morse la lingua e non replicò.

Le era sembrato che quella giornata avesse una durata infinita e ancora non si capacitava di come fosse riuscita a tornare integra alla sua tenuta, senza più incrociare nemmeno una volta lo sguardo del suo futuro marito, nemmeno durante il suo saluto, un lieve inchino accompagnato da un imposto baciamano.

Aveva trattenuto a malapena l’istinto di sfregarsi schifata la mano sulla gonna davanti a Charles, solo al sicuro nella sua carrozza si era lasciata andare a quel gesto.

-Annabelle?- Mormorò con voce stanca e rassegnata, una volta affondata nella sua poltrona preferita in salotto.

-Sì, signorina Wimsey?- La cameriera arrivò un secondo dopo, inchinandosi servile e incrociando le mani in grembo in attesa di ordini.

-Portami un tè.- Le sorrise appena e sentì dolere le guance per via di quell’ennesimo e forzato movimento facciale. Si era dimenticata il numero delle volte che aveva dovuto farlo per ringraziare gli invitati a quella festa –la loro festa, sua e di Charles.

-Subito signorina.- Annabelle si inchinò nuovamente e uscì svelta dalla stanza.

Rimasta sola, Emma si portò una mano alla fronte e sospirò.

Sentiva ogni singola fibra del suo corpo tremare, nemmeno prendere in mano uno dei suoi libri e sfogliarlo la tranquillizzò.

Sapeva quali sarebbero dovuti essere i suoi doveri di moglie, sapeva che suo marito sarebbe diventato la sua priorità assoluta di lì in poi, sapeva che avrebbe dovuto occuparsi della casa e dei domestici, ma…semplicemente non si sentiva pronta.

Una lacrima scivolò lenta sulla sua guancia e cadde silenziosa nel vuoto, bagnando la pagina ingiallita del vecchio libro preferito di suo padre. Quello dove lei aveva imparato a leggere, quello dove lui le aveva insegnato a leggere.

Si chiese che cosa avrebbe detto o pensato suo padre se fosse stato lì con lei.

Era stato lui a combinare il tutto, forse con l’assurda convinzione che un matrimonio di convenienza con un ricco Lord inglese avrebbe potuto renderla felice e darle tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno.

Oh, quanto si era sbagliato. Non avrebbe avuto una cosa, la più importante di tutte: l’Amore.

Non era pronta ad essere una buona moglie, non era pronta a sostenere e servire un uomo che non amava per tutta la vita.

Lei non era come sua madre, non le importava nulla del denaro o del titolo nobiliare di chi avrebbe sposato. 

Un rumore proveniente dallo scrittoio lì accanto la distrasse bruscamente dai suoi pensieri e la fece sobbalzare.

-Il vostro tè, signorina.- Annabelle le porse la tazzina esitante, visibilmente preoccupata per le condizioni in cui aveva trovato la sua padroncina.

Emma si ricompose in fretta e finse di non aver visto quella compassione serpeggiare per un attimo negli occhi della donna.

-Grazie Annie.-

Conosceva Annabelle da una vita intera, serviva la sua famiglia da anni, quindi le veniva spontaneo a volte chiamarla in quel modo.

Sua madre non approvava, ovviamente. Socializzare con la servitù era disdicevole secondo il suo punto di vista, così come qualsiasi altra cosa che non comprendesse lo stare zitta e sorridere.

-Tutto bene signorina?- Si azzardò a chiedere Annabelle, senza però osare sedersi lì accanto alla sua padrona.

Emma sì passò svelta una mano sugli occhi umidi, –Sì, va tutto bene, grazie.-

Avrebbe voluto sfogarsi con lei, avrebbe voluto urlare e parlare con qualcuno, ma sapeva bene che se si fosse lasciata andare ad una confessione del genere, per di più con una domestica, sua madre si sarebbe infuriata. Se la sarebbe letteralmente mangiata in un sol boccone a cena.

La cameriera annuì e, senza aggiungere altro, uscì dalla stanza.

Dopo aver sorseggiato appena il suo tè, Emma appoggiò la tazzina al tavolo lì vicino e si alzò bruscamente, incominciando a muoversi a passo nervoso per la stanza.

Così non andava, non si riconosceva neanche più! Doveva assolutamente riprendersi, di certo non avrebbe permesso a quello spocchioso, arrogante e altezzoso Lord di rovinarle la vita, ci voleva ben più di un uomo dal cervello piatto quanto la suola dei suoi stivali per farla piangere come una mammoletta.

Non stava andando al patibolo, stava solo per sposarsi con un ricco uomo inglese, poteva forse lamentarsi? No. Sposare Charles sarebbe stato terribile, certo, ma l’importante era che suo fratello avesse i soldi necessari a mantenere sua moglie e suo figlio.

Rincuorata da quei pensieri, si avviò stancamente verso la sua stanza.

Dio solo sapeva che cosa aveva in mente sua madre per il giorno dopo, conoscendola sarebbe stata capace di tenerla ore in piedi per farle provare quell’osceno vestito da sposa che anni prima aveva indossato lei stessa.

Scrollando le spalle, scostò le coperte e sprimacciò il guanciale.

Dopotutto un vestito valeva l’altro, andava bene anche quello orrendo, non le interessava indossarne uno nuovo o essere carina. Carina per chi poi?

L’importante era che tutti quei preparativi finissero presto, prima si sposava, meglio era a quel punto: non avrebbe retto per molto tutto quell’entusiasmo generale.

Si sdraiò e, spente le candele, attese paziente che il sonno la cogliesse.

 

                                      

***

 

Era stata informata dell’arrivo della sua futura famiglia ancor prima che un membro della servitù la venisse a chiamare.

Il rumore degli zoccoli sulla ghiaia e i nitriti dei cavalli l’avevano destata da quel sonno leggero e inquieto, guadagnato dopo ore passate a rigirarsi nel letto.

Quella notte non aveva chiuso occhio, aveva sperato invano di riuscire a cacciare il ricordo del suo “sì” pronunciato con tanta e superficiale leggerezza.

Sperò fino all’ultimo che si fosse trattato solo di un incubo, ma quando scostò le tende della sua stanza e vide la carrozza degli Wilkinson proprio lì sotto, nel vialetto, ogni speranza fu crudelmente annientata.

-Signorina Wims…-

-Sì, lo so Jane.-

La domestica esitò per un attimo sull’uscio, prima di inchinarsi e richiudere la porta alle sue spalle.

Stava per staccarsi dal freddo e appannato vetro della finestra, quando la sua attenzione fu catturata dal giovane che proprio in quel momento stava scendendo dal calesse.

Charles Wilkinson si guardò intorno con la sua consueta espressione sprezzante da nobile, analizzando con occhio critico l’ambiente di sicuro troppo poco sontuoso per lui.

Con un gesto fluido, si tolse poi il cappello e i suoi capelli biondi sembrarono quasi brillare alla luce del sole.

Emma, senza rendersene conto, si perse ad analizzarlo più del dovuto, tanto che quando il giovane alzò lo sguardo, la ragazza si ritrovò a fare un balzo all’indietro che le costò una bella caduta e un bel livido sul fianco.

Si portò le mani al viso e si morse con forza il labbro inferiore.

Oh maledizione! L’aveva vista! E lei, non appena quegli occhi così freddi si erano posati sulla sua persona, si era ritratta e nascosta come una bambina colta nel bel mezzo di una monelleria.

Che vergogna! Aveva fatto una figura tremenda!

Va bene, niente panico. Si disse, rialzandosi piano ed evitando di lamentarsi per il dolore al fianco.

Era stato stupido nascondersi, aveva appena fornito al suo futuro marito un motivo in più per considerarla una sciocca.

Non che lei avesse un’opinione tanto migliore di lui, però…

Scosse la testa, fece un respiro profondo e si riaffacciò alla finestra.

Il cortile era vuoto, sicuramente gli ospiti erano entrati.

Decisa a non farsi rimproverare da sua madre per il ritardo nell’accoglierli, si fece aiutare da Jane per vestirsi e scese il più velocemente possibile a salutarli, consapevole del fatto che se avesse ulteriormente indugiato, una ramanzina non gliel’avrebbe risparmiata nessuno.

-William!- Esclamò contenta quando, sulle scale, incontrò suo fratello.

Questi le lasciò un delicato bacio sulla fronte, prima di scostarsi ed esaminarla in volto, -Sorellina…Impaziente di vedere il tuo sposo?-

La stava mettendo alla prova, la giovane lo sapeva bene. Se William avesse anche solo sospettato di essere il motivo di quella scelta sbagliata, non avrebbe esitato a litigare con sua madre per opporsi a quelle nozze.

-Mi hai scoperta.- Sorrise. Non dovette neanche sforzarsi di arrossire, la piccola corsa fatta per cercare di non farsi attendere dagli ospiti le aveva già conferito un colorito roseo piuttosto credibile.

-Emma, ho dato il mio consenso, ma…- William sospirò e balbettò un attimo, non sapendo bene come proseguire il discorso.

La sorella intervenne subito in suo aiuto, avendo già intuito cosa stesse per dire, -Sì, William, ne sono sicura.-

Non si sarebbe tirata indietro, anche se così facendo avrebbe per sempre rinunciato ad un matrimonio felice.

Aveva messo in conto tutto, quella notte insonne era pur servita a qualcosa. Non sarebbe stato forse peggio veder la sua famiglia vivere in miseria? Quanto poco valeva la sua felicità rispetto a quella dei suoi cari?

-Emma…- Il ragazzo si passò una mano fra i capelli, non del tutto convinto, -È Charles Wilkinson.- Aveva pronunciato quel nome fra i denti, come se fosse stato un insulto.

Non era una novità che al giovane Wimsey non piacesse il figlio del Lord di Winchester; appena un anno prima, durante il suo periodo di fidanzamento con Moira, Charles si era lasciato andare più di una volta a sorrisi maliziosi e sconvenienti rivolti alla sua dama.

Di certo l’antipatia provata per il giovane Wilkinson non si era assopita, era anzi aumentata dopo che a quella si era associato il pensiero del matrimonio fra lui e sua sorella.

Emma si morse più volte il labbro, incapace di contenere il nervosismo, -Lo so, ma…nostro padre avrebbe voluto questo.-

Una parte, dentro di lei, le suggeriva che forse Charles non sarebbe stato un cattivo marito, suo padre non l’avrebbe mai messa nelle mani di qualcuno di cui non si fidava.

L’altra parte, invece, più grande e pressante, non faceva che rimproverarla per quell’assurda convinzione, più una speranza in realtà, partorita dal subconscio con l’intento di farla sopravvivere all’idea di un matrimonio proprio con lui.

Conosceva Charles da anni e le risultava difficile immaginarlo diverso dall’insulso e arrogante nobile altezzoso che più di una volta l’aveva derisa per la sua passione per la lettura.

Una cosa era certa: non avrebbe di certo rinunciato ad essa per volere del marito, era pronta ad affrontare i suoi doveri di moglie, non a farsi mettere i piedi in testa dal primo Lord che la chiedesse in sposa.

William fece un respiro profondo, prima di chiudere gli occhi, -Spero solo che sapesse quello che stava facendo…quando ha deciso in questo modo della tua vita…-

Lo sperava anche lei, con tutta se stessa.

Salutò il fratello, che la rassicurò dicendole che l’avrebbe raggiunta poco dopo insieme a sua moglie, e arrivò al salotto dove sua madre accoglieva gli ospiti. Sperava solo che non fosse troppo arrabbiata.

-Figlia mia, eccoti qui!-

Finalmente.

Non l’aveva detto, ma l’occhiata che le lanciò glielo suggeriva.

Le sorrise e, sforzandosi di non mutare espressione, si voltò verso i coniugi Wilkinson e il loro unico erede.

-Lord Peter, Lady Charlotte…- Fece un po’ più fatica a sorridere e a rivolgersi al futuro marito, presumibilmente a causa della scenetta di poco prima, -Charles.- Si sorprese lei stessa di quanto quel nome sibilato fra i denti assomigliasse più ad un’offesa che ad un amichevole saluto, -E’ un onore avervi qui.- Si esibì nel suo migliore inchino, reprimendo l’istinto di sbuffare, sospirare o scappare per via della tensione.

Sentiva lo sguardo dei presenti puntato insistentemente addosso, quasi stessero valutando ogni sua mossa.

Lord Peter Wilkinson e suo figlio si limitarono a ricambiare l’inchino con un cenno del capo, mentre Lady Charlotte le fece intendere, con un gesto civettuolo della mano, che l’inchino non fosse affatto necessario, -Oh Emma cara, non serve.-

Ciononostante, Emma aspettò un segno da parte di sua madre per alzarsi.

-Stavamo giusto discutendo con tua madre dei preparativi per il matrimonio, siamo entrambe d’accordo sul fatto che non debba esserci sposa più bella di te.-  

Si era distratta solo un attimo, giusto il tempo di pensare a quanto fosse raccapricciante la pettinatura di Lady Wilkinson e a come riuscisse a portarla in giro con tanta disinvoltura, ma quella disattenzione le fu fatale.

Potente e letale arrivò: l’attacco della madre e della suocera.

-Oh, io...- Aggrottò la fronte incerta, non tanto sicura della risposta.

-Bisognerà pensare al vestito e al corredo!- La interruppe Lady Charlotte.

-E all’acconciatura!- La assecondò sua madre.

-E alle partecipazioni!-

-Si dovrà trovare anche qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato…e qualcosa di blu!-

-Oh sarai meravigliosa mia cara, già immagino che nipotini splendidi usciranno da questo matrimonio!-

Emma spalancò la bocca senza nemmeno rendersene conto. Solo quando sua madre le restituì, come uno specchio, la stessa espressione sconvolta, si ricordò di chiuderla, -Ni…nipotini?- Chiese non tanto sicura di aver capito bene. Poteva essere che quella pettinatura l’avesse nuovamente distratta.

-Ma certo, nipotini!- Intervenne sua madre, con lo stesso tono di voce stridulo della sua futura suocera.

Si sentì subito esaminata da tutti i presenti, era certa che persino Lord Peter e Charles, prima sicuramente disattenti e disinteressati ad ascoltare quella conversazione tipicamente femminile, la stessero improvvisamente osservando, ma non ebbe il coraggio di voltarsi verso di loro per verificarlo.

-Oh.- Fu tutto ciò che riuscì a dire, benché non fosse per nulla consono alla conversazione.

Nipotini. Bambini. Ma certo, che sciocca, aveva davvero sperato che il suo matrimonio con Charles si riducesse ad una mera convivenza nella stessa dimora? Avrebbe dovuto…giacere nel suo stesso letto, nel letto con suo marito.

Il tempo di realizzare la cosa e la testa prese a girarle vorticosamente, mentre le sue guance si coloravano di rosso.

Cielo, bambini! Sua madre e Lady Charlotte si aspettavano dei nipotini! E lei avrebbe dovuti darglieli, avrebbe dovuto dare degli eredi alla famiglia Wilkinson!

Dio, a cosa pensava quando aveva detto di sì a tutto quanto?

Pensava forse di passare il tempo a giocare a scacchi con suo marito nel letto? O magari di leggersi un bel libro come faceva tutte le sere e di mettersi a dormire come se Charles non ci fosse?

Improvvisamente, svanirono tutti dalla sua testa: sua madre, suo fratello, sua cognata, il suo nipotino. I suoi problemi economici erano diventati di colpo irrilevanti di fronte a quella prospettiva.

Non voleva sposarsi. Non voleva consumare quel matrimonio. Non voleva Charles al suo fianco per tutta la vita, voleva un uomo che l’avrebbe amata e coccolata, non un superbo Lord che la considerava solo una fastidiosa pezza da piedi, da sposare esclusivamente per evitare di essere diseredato.

-Emma?-

Quasi non sentì la voce della madre, arrivò lontana ed ovattata.

Si sedette su una poltrona e si sforzò di fare dei lenti e profondi respiri.

Le mancava l’aria, le guance erano bollenti e qualcosa di opprimente nel petto le impediva di respirare.

-Emma, cara!-

Alzò lo sguardo e lo puntò sulle due donne preoccupate.

Sua madre aveva appena agguantato il suo orrendo ventaglio nuovo per cercare di farle aria e, probabilmente, se la situazione non fosse stata tragica, Emma avrebbe riso della sua faccia: stava praticamente boccheggiando come un pesce!

La sua attenzione si spostò su Lord Peter e Charles Wilkinson, immediatamente dietro le due dame; il primo mostrava un’espressione sinceramente angosciata per le sue condizioni, mentre il secondo, nonostante l’apparente cruccio, sembrava essere quasi…divertito. E lo era di sicuro, Emma ci avrebbe scommesso i suoi libri preferiti. Probabilmente l’idea che lei potesse restarci secca doveva allietarlo molto, visto che non sarebbe più stato costretto a sposarla.

-Sto bene,- Rantolò a fatica, -Sto bene.- Ripeté poggiandosi una mano sul petto.

-Oh Cielo, Emma! Hai rischiato di farmi venire un infarto, lo sai che…- Non ascoltò nulla del discorso delirante della madre, si massaggiò le tempie e si alzò di colpo interrompendola.

-Io…Scusatemi, non volevo farvi preoccupare.- Azzardò un sorriso imbarazzato e fu lieta di vedere Lady Charlotte ricambiarlo.

-Credo solo di aver bisogno di respirare un po’ d’aria fresca.- Sua madre non avrebbe potuto rimproverarla per quel tentativo di congedarsi: non si sentiva bene, era certa che i suoi ospiti avrebbero capito.

-Ma certo cara, certo…- Lady Wilkinson annuì indulgente, poi puntò lo sguardo su qualcosa alle spalle della giovane e sorrise nuovamente, -Charles!-

Emma, sollevata e rincuorata da tanta comprensione, si immobilizzò nel sentire pronunciare quel nome dalla donna.

-Charles, caro, accompagna la tua fidanzata a prendere un po’ d’aria fresca.-

-Ma no…- Quattro paia di occhi si posarono curiosi su di lei, -Non è necessario.- Tentò speranzosa. Non avrebbe sopportato l’idea di restare da sola con lui, non dopo quel palese ed imbarazzante accenno ai nipoti.

Aveva bisogno di restare per conto suo, aveva bisogno di tempo per riflettere e decidere di portare avanti tutta quella faccenda, per il bene della famiglia.

Se fosse restata un solo minuto in più in quella stanza e con tutti quegli sguardi addosso…probabilmente sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe implorato sua madre di annullare tutto.

Lady Charlotte scosse lievemente il capo, -Insisto cara. Charles!-

I lineamenti della donna dinanzi a lei mutarono nel momento in cui i suoi occhi si posarono sul figlio: la bocca diventò una linea sottile, mentre le palpebre si socchiusero mostrando nel complesso una certa ostilità.

Evidentemente Charles doveva aver appena fatto intuire alla madre che non fosse affatto incline ad accompagnare la fidanzata fuori, solo che, essendo il ragazzo alle sue spalle, Emma non aveva avuto modo di vederlo.

Sperava si trattasse solo di un altro brutto incubo, ma quando si trovò il suo fidanzato ad un passo di distanza con un braccio alzato per scortarla e un’espressione scocciata dipinta in volto, sentì nuovamente il caldo asfissiante di poco prima.

La guardava come se stesse guardando un qualcosa di sgradito ed imprevisto, come un temporale o una macchia sul frac nuovo.

E sempre così mi guarderà.

Malgrado il respiro corto e il battito accelerato, Emma non poté fare a meno di stizzirsi leggermente per quella scortesia: nemmeno lei gradiva la sua compagnia, eppure non si comportava così sgarbatamente. Poteva almeno mostrare un minimo di gentilezza!

Anche se, era pur sempre di Charles Wilkinson che si parlava, quando mai era stato gentile con lei? Quando mai lo sarebbe stato? Dopo il matrimonio non sarebbe cambiato nulla.

-Grazie.- La voce le tremò appena ed Emma arrossì per l’umiliazione.

Deglutì a vuoto e alzò il mento orgogliosa prima di poggiare la sua mano sull’avambraccio del Lord.

Di nuovo, per qualche strano motivo, avvertì la stessa scossa del giorno precedente non appena le sue dita sfiorarono il polso di lui, ma non lo diede a vedere.

Non si interrogò sul motivo di quel brivido, era troppo occupata a concentrarsi su particolari frivoli e sciocchi quali le tende nuove o i tappeti per evitare anche solo di sfiorare l’idea che avrebbe dovuto avere dei bambini con quel maleducato.

Salutò nuovamente Lord Peter e Lady Charlotte, prima di incamminarsi per quella che sarebbe stata una lunga ed estenuante passeggiata.

 

 

*Note dell’autrice*

 

Grazie infinite ancora a Tania (La Evans) e Sara (Pettyfer) per aver realizzato quest’altra meravigliosa immagine che vedete qui in cima.

 

Lo so, già questo secondo capitolo dev’essere una delusione rispetto al primo, mi dispiace. L’ho scritto e riletto diverse volte prima di trovare il coraggio di pubblicarlo, temevo potesse deludere le aspettative.

È principalmente un capitolo di passaggio, dove vengono spiegati tutti i dubbi e le paure di Emma.

Sarà dal prossimo capitolo che si conoscerà bene Charles (che è ancora un enorme punto interrogativo), ora che son rimasti soli, dovranno conversare per forza di qualcosa, no? Sono pur sempre fidanzati…

Idee su quello che si diranno? Chi prenderà la parola per primo e per dire cosa?

Mi dispiace di avervi fatto aspettare tutto questo tempo per questo secondo capitolo, ma scrivere di Emma, scrivere del passato, è più difficile che scrivere dei giorni nostri, più di quanto pensassi. Al solito, se notate qualche incongruenza o qualcosa non vi torna, non esitate a dirmelo. Per qualsiasi domanda sono qui.

Risponderò man mano alle recensioni del primo nel frattempo, ho già iniziato con alcune e proseguirò fino a –spero- finirle tutte il prima possibile.

Vi ringrazio infinitamente per l’entusiasmo che avete mostrato nell’accogliere questa storia, non so davvero che altro dire, se non che è stata una piacevolissima sorpresa :)

Cercherò di non farvi attendere ancora così tanto per il prossimo, ho già in mente la conversazione fra i due e sta già scalpitando per essere scritta!

Un bacione.

Bec

   
 
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