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Autore: Numwel    11/01/2012    3 recensioni
Londra, 1899. La storia parla di una ragazzina di 11 anni figlia di un banchiere che per la vigilia di Natale fa la conoscenza di Timothy Brown, uno strano ragazzino di strada che per vivere fa lo spazzacamino. Tra i due nasce una profonda amicizia, ma purtroppo a quei tempi l'amicizia tra una borghese e un ragazzo di strada non era vista di buon occhio, e i due sono costretti a vedersi di nascosto, fino al giorno che...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

 

 

 

 

 

 

Guardami, sono qui, chiusa nel mio studio davanti a questa vecchia macchina da scrivere e non vola una mosca, solo lo scoppiettio della pioggia che picchietta sul vetro della finestra.

E’ stato difficile, sai, decidermi a scrivere di noi. Un po’ per paura e un po’ per pigrizia ho sempre rimandato, ma come una mia cara amica mi ha ricordato: “le persone non se ne vanno via se c’è qualcuno che le ricorda”, cosi eccomi qua, a scrivere di noi, pronta a rivivere per l’ultima volta la nostra storia.

Credo che la parte difficile sia iniziare, di cose da raccontare ce ne sono tante, ma da dove posso cominciare? Che ne dici dal giorno in cui ci siamo conosciuti? Lo ricordo come fosse ieri. C’era profumo di neve nell’aria, lo dicevi sempre prima di una nevicata, ci ho messo un po’, ma dopo tutti questi anno anche io ho imparato a sentirla.

 

Era il 1899, nella vigilia di Natale, fuori il cielo era nuvoloso, Londra si accendeva di luci e tutti sembravano più felici, e per le vie della città la gente correva a prendere il regalo per i propri cari. Quella mattina anch’io mi trovavo in giro per negozi, avevo promesso a mia madre che sarei andata a finire le sue ultime commissioni insieme a tata Aisha.

 

“Lucy, per favore, smettila di correre”, mi urlò dietro, ma non la ascoltai, avevo sempre cosi tanta euforia da bambina quando uscivo per le strade, che mi perdevo a osservare i negozi e le persone che stavano dentro. Mi immaginavo sempre nelle loro vesti, quando anch’io sarei diventata grande e avrei potuto spendere i miei soldi in tanti bei vestiti.

 

“Guarda quel vestito, non sono favolosi?” mi chiese Aisha, dopo avendomi raggiunta e fermandosi vicino a me davanti a una vetrina. Lo stava indossando una donna di circa trent’anni, una di quelle femmine tutte attempate che ogni sera venivano invitate alle feste dei signori più importanti non tanto per la loro intelligenza, cosa che a quei tempi per noi donne era secondaria, ma per il loro modo di “comportarsi” con gli uomini. Non erano sgualdrine, ma si comportavano come se lo fossero, e a quei tempi ancora non capivo il perché di cosi tanta fama, lo capì solo con il tempo e il passare degli anni. Il vestito era di un colore rosso porpora, lungo fino a coprire i piedi, con un pò di strascico dietro e maniche corte a palloncino, stretto in vita da una fascia con un ricamo a forma di farfalla di colore nero.

 

“Andiamo, Lucy, altrimenti faremo tardi”, e così Aisha mi prese per mano e ci dirigemmo qualche metro più avanti, dove il fornaio teneva il suo negozio, ma prima che Aisha aprisse la porta per entrare, quella si spalancò di colpo, facendo volare fuori un ragazzino tutto pelle e ossa e il fornaio che gli urlava dietro, con il grembiule tutto sporco di farina.

 

“Sparisci subito, e non farti più vedere!”

 

Il ragazzino, scivolato per terra, si alzò subito, scrollandosi di dosso la polvere, e in quel momento lo vidi in faccia, rimasi incantata da quei grandi occhi azzurro cielo, i capelli arruffati color cenere e il viso pieno di lentiggini su una pelle ambrata. Ci fissammo negli occhi solo per un istante, ma a me sembrarono ore, e infine il ragazzo mi sorrise, fece l’inchino a me e ad Aisha  e ci salutò con un “buongiorno Signorine” e corse via, prima che il fornaio li lanciasse contro un pezzo di bastone che usava per accendere il fuoco.

Quella fu la prima volta che ti vidi.

 

“Oh, salve Aisha, entrate pure al caldo” la voce del fornaio interruppe i miei pensieri, e seguiti da lui  entrammo nel piccolo negozio. Era una stanza non tanto larga, con mura in pietra e davanti a noi stava un vecchio bancone in legno con sopra ogni tipo di pane appena sfornato.

 

“Quei ragazzi di strada, tutte le volte provano ad entrare e rubarmi sempre il mio pane” brontolava il vecchio, era famoso per la sua non gentilezza verso gli abitanti di strada, “sempre il solito, Aisha?”

 

“Si, Tom, e quest’oggi aggiungimi anche un panetto di burro”.

 

Non mi ricordo quello che la mia tata e il vecchio fornaio si dissero, avevo in mente ancora quegli occhi azzurri, non riuscivo immaginare il perché mi avessi preso cosi tanto, ma quando uscimmo di nuovo al freddo per le strade di Londra, mi voltai indietro verso dove eri sparito, per vedere se ti avessi rivisto ancora, ma non vidi altro che gente che passeggiava da sole o in compagnia, e con un po’ di amarezza tornai a guardare avanti prendendo per mano Aisha e dirigendomi di nuovo verso casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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