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Autore: Cassandra14    28/08/2006    7 recensioni
Che brutta cosa la guerra. Più che altro strana. Sono i governi che dichiarano la guerra, mentre quelli che muoiono sono i poveri cittadini, coloro che fino ad un certo punto vivono felici, senza preoccupazioni, ma poi, all'improvviso, si ritrovano ad essere richiamati alle armi, e bisogna combattere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Minako/Marta, Rei/Rea, Usagi/Bunny
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Miei cari lettori rieccomi qui con una one-shot…è un po’ lunghina, ma non mi andava di allungare la storia creando interminabili capitoli senza fine

 

Miei cari lettori eccomi di nuovo qui con una nuova storia di due capitoli…all’inizio volevo scrivere una one-shot, ma poi ho notato che è un po’ lunghina e non mi andava di ridurre la storia all’osso. Alla fine mi sono decisa, e ho voluto scrivere questa storia; ditemi cosa ne pensate.

Allora, devo fare una piccola precisazione,: la storia è ambientata nel passato, nel secondo dopoguerra.

Bhè, che dire? Leggete e commentate!

Ringrazio tutti coloro che recensiscono le mie storie, e ringrazio sissy che mi ha corretto la storia rendendola più decente.

 

 

 

War

Che brutta cosa la guerra. Più che altro strana. Sono i governi che dichiarano la guerra, mentre quelli che muoiono sono i poveri cittadini, coloro che fino ad un certo punto vivono felici, senza preoccupazioni, ma poi, all'improvviso, si ritrovano ad essere richiamati alle armi, e bisogna combattere.

Combattere per cosa? Per degli ideali, per il paese e per la patria. Già, la patria, l’amata come la chiamano in molti, ma alla fine non fa nulla per alleviare il dolore delle povere famiglie, che hanno perso una persona cara nella loro guerra.

 

La guerra imperversava da lunghi anni, e ormai molti uomini erano stati chiamati a combattere, mentre le donne stavano in casa e sbrigavano le faccende adatte a loro: curavano la prole, pulivano casa, rammendavano le divise dei mariti, dei figli o dei fratelli, e poi rimanevano in ansia per il destino assegnato ai loro cari.

Una ragazza era alla scrivania della propria camera: stava scrivendo una lettera.

Suo padre era morto in battaglia. Lo stato aveva mandato a sua madre una medaglia all’onore, perché il marito era morto proteggendo la patria.

Alla fine anche il fratello della giovane, Sam, di ventitré anni, era stato richiamato e così aveva fatto le valigie ed era partito per l’Afganistan.

Usagi aspettava con ansia le lettere del fratello, le leggeva e poi cominciava a scrivere, raccontando al giovane lontano da casa, tutto quello che succedeva nella piccola città.

Era da mesi che andava avanti così, con l’angoscia nel cuore, ma almeno finché rispondeva alle sue lettere significava che era vivo. Nell’ultimo mese anche il migliore amico di Sam, Motoki, era stato richiamato alle armi, lasciando lo studio e l’università. Anche lui scriveva ad Usagi, la conosceva da quando era bambina, e i suoi genitori la lasciavano spesso andare a giocare con il fratello e con l’amico.

Lei aveva solamente sedici anni, ma pensava come una donna, e questo piaceva a molti ragazzi, specialmente a Motoki.

 

Lei stava china sul foglio bianco; la mano con il pennino scivolava velocemente sulla carta; ogni tanto la lunga corsa dell’arnese si fermava, la punta metallica veniva immersa nella boccetta con l’inchiostro nero, e poi, riemersa dal contenitore, riprendeva la sua marcia.

Mentre era intenta ad imbustare la lettera e a chiuderla, la voce di sua madre la chiamò “Usa, vieni! Ti vogliono al telefono.”

Usagi percorse il corridoio e arrivò in sala, dove era posizionato l'apparecchio; prese la cornetta e rispose.

“Pronto?”

“Ciao Usa, sono Motoki…ti ricordi di me, vero?” chiese una voce famigliare dall’altra parte dell’auricolare.

“Ma certo che ti riconosco Motoki! Allora, hai ricevuto la mia lettera?”

“Sì, e ti ho inviato la risposta. Ci hanno dato la possibilità di fare due chiamate, una ai famigliari e una agli amici, così ho chiamato te…ma tuo fratello?”

“Mio fratello è in Afganistan, non in Libia…in ogni caso sta bene, mi scrive e io rispondo alle sue lettere”.

“Ho capito…senti ora devo andare: ci chiamano. Ci sentiamo poi, ok? Ciao.”

“Ciao.

Lui aveva riattaccato e anche questa volta non era riuscito a dirle che l’amava, ma se adesso doveva combattere forse sarebbe morto rimanendo l’unico a conoscenza di questo segreto.

Motoki si volse; vicino a lui c’era l’amico Mamoru.

“Ehi, ma tu non hai chiamato nessuno?” chiese il biondino.

“Non ho nessuno da chiamare” rispose il moro.

“Mi spiace rivangare il tuo passato” concluse Motoki. L'amico non rispose, ma con uno sguardo gli fece capire che ormai il passato era passato.

 

I mesi passavano e la guerra andava avanti; molti soldati erano periti a causa delle bombe, ma anche i cittadini non erano messi bene: le case crollavano, gli allarmi impazzivano e il cibo scarseggiava, come anche l’acqua.

Usagi continuava a scrivere le sue lettere. Nell’ultimo periodo un’amica le aveva presentato per posta un certo Mamoru Chiba, così aveva incominciato a scrivere anche a lui, quasi periodicamente.

Le lettere del fratello arrivavano una volta a settimana, mentre quelle di Motoki ogni due settimane, dato che lui le aveva annunciato che era stato diviso dal plotone iniziale per andare in un centro, mentre il resto della truppa rimaneva all’accampamento; invece, le lettere di Mamoru arrivavano ogni tre giorni.

 

 

Un giorno il plotone ritornò all’accampamento, e il generale decise di lasciare i soldati liberi di chiamare le proprie famiglie; questa volta, però, la telefonata da fare era una, e Motoki doveva decidere se chiamare i parenti o Usagi; alla fine fu Mamoru che gli facilitò la scelta: il biondo chiamò i suoi, mentre il suo amico decise di sentire la voce della giovane ragazza che rispondeva alle sue lettere.

Al trillo del telefono Usagi corse a rispondere alla chiamata, alzò la cornetta e tutta eccitata disse “Pronto!”

“Ciao Usagi.” la voce dall’altra parte non era quella di Motoki come si aspettava, era calda e molto sensuale, e lei non la riconobbe.

“Pronto?” chiese la giovane.

“Usagi, sei tu? Non dirmi che ti ho spaventata. Sono Mamoru, Mamoru Chiba, ci sentiamo spesso tramite corrispondenza,  ho deciso di chiamarti perché oggi ci hanno dato una sola chiamata… ho voluto chiamarti io, ma se ti va puoi anche parlare con Motoki” rispose il moro.

Usagi ebbe un sussulto, la sua voce le piaceva molto. Ad un tratto si riprese e disse “Mi fa piacere sentirti, ora posso sentire anche la tua voce”.

“Grazie, ma ora ti passo Motoki. Vuole dirti una cosa”.

Usagi in quell’istante non voleva ascoltare la voce di Motoki, ma la voce del giovane che l’aveva chiamata, mentre Mamoru non desiderava lasciare la telefonata. Quando lei aveva risposto il cuore del giovane aveva fatto un balzo, al solo sentirla si era sentito strano, come se fosse a casa.

 Motoki ormai si era impossessato del telefono e disse “Usa, ascolta: fra tre giorni io e Mamoru torniamo in città, sei contenta?”

“Certo…verrete con il treno, vero?”

“Sì…bene, ora devo andare. Ti ripasso Mamoru,ok?" concluse il giovane senza aspettare risposta. Infatti, diede la cornetta a Mamoru e corse a preparare le sue cose.

“Mamoru, sei tu?” chiese la ragazza.

“Certo…ci sono, scusa se ti ho spaventato, ma volevo provare a sentirti, dato che ci scriviamo”.

“Già…in ogni modo mi ha fatto piacere.”

“Bene, sono contento. Ora vado a radunare la mia roba. Ci vediamo, ciao”.

“Ciao Mamoru.”

La ragazza mise giù la cornetta. Quella telefonata l’aveva rallegrata, non tanto per la notizia di Motoki, ma per l’aver sentito la voce di Mamoru. Nel sentirlo aveva provato un sussulto poi, si era tranquillizzata, ed ora era smaniosa di vederlo.

 

I tre giorni passarono in fretta, e così, il giorno stabilito, Usagi uscì verso il pomeriggio da casa, diretta alla stazione.

Se ne stava seduta su una panchina; osservava le rotaie, deserte, sperando di vedere un treno in arrivo. Pensava a Mamoru, al suo aspetto, dato che ormai conosceva già i suoi pensieri e la sua voce. Ad un tratto si rese conto che lei non era lì per Motoki, ma per Mamoru!

Il fischio di un treno la fece sobbalzare, molte donne cominciarono a gridare felici: quello era il treno che avrebbe riportato in patria gli uomini.

Ma quando la locomotiva si fermò scesero prima tre bare di legno, e poi i sopravvissuti. Le si gelò il sangue. Cominciò a ricordare il giorno in cui, desiderosa di riabbracciare il padre, si accasciò piangendo su una bara di legno, perché lui, insieme a molti altri, era morto. Scacciò il pensiero, e quando vide Motoki scendere dal treno, gli corse incontro, ma lo abbracciò come una sorella abbraccia il fratello; dietro di lui scese un giovane molto carino, i capelli color ebano, gli occhi come il mare in tempesta, alto, fisico ben curato. Era Mamoru.

Usagi rimase d’incanto mentre lo fissava e lui aveva qualche problema a respirare: la biondina era davvero carina, indossava un vestito color panna che risaltava la sua forma, in testa aveva un cappellino bianco in tinta con le scarpe. Anche lei era una meraviglia.

Si salutarono dandosi la mano e poi cominciarono a camminare verso l’uscita della stazione.

I tre si diressero verso la casa di Motoki dove li aspettavano i genitori del giovane e ovviamente c’era anche la madre di Usagi. Arrivati, ci fu una piccola festicciola per Motoki, tutti erano felici, ma Usagi notò che Mamoru era sparito, così decise di cercarlo; lo trovò in cucina, stava seduto su una sedia e fissava il vuoto.

“Perché te ne stai qui tutto solo?” chiese Usagi.

“Eh? …me ne sto qui perché di là sono d’impiccio…” rispose Mamoru.

“No, non è vero. Motoki tiene tanto a te. E poi... ci sono io”. Disse lei.

“Mmm…sono felice per Motoki, ma quando arriverò a casa, non ci sarà nessuno e…” disse il ragazzo con tono triste e malinconico, ma non finì la frase perché Usagi lo abbracciò, trasmettendogli tutto l’affetto che provava. Il tocco della ragazza era dolce e rassicurante, tra quelle braccia Mamoru si sentiva bene, come un bambino che, triste, va dalla madre, e lei lo consola con amore e protezione.

Motoki, vedendo che la coppia era sparita, decise di cercarli, ma quello che vide non fu per lui assolutamente piacevole: i due erano abbracciati.

 

Finita la festa tutti tornarono a casa, mentre Mamoru era stato invitato a trattenersi da Motoki. L’amico, infatti, su consiglio della ragazza bionda, aveva chiesto al giovane di stare ancora in compagnia, così il moro aveva deciso di rimanere. Non sarebbe rimasto solo nel suo appartamento.

Mentre i due preparavano i letti Motoki chiese “Mamoru, sii sincero con me. Ti piace Usagi, vero?”.

Il ragazzo rimase spiazzato da quella domanda e non rispose.

“Lo avevo intuito alla stazione, poi per sbaglio vi ho visto in cucina e…” continuò il biondo “non volevo spiarvi, ma è capitato”. Mamoru allora prese parola “Se piace a te, la lascio...”

“Non pensarci neanche! Sarà lei che deciderà, ma penso che lo abbia già fatto. Lei mi ha sempre visto come un amico, e mi vedrà sempre così”. concluse Motoki.

 I due giovani si fissarono; i loro sguardi valevano più di mille parole.

 

Usagi era seduta sulla cassapanca che stava all’altezza della finestra della sua camera e fissava il cielo notturno. In quel giorno erano accaduti tanti fatti, ma soprattutto si era resa conto di essersi innamorata di Mamoru. Già con le lettere si era innamorata di lui, ma quando lo aveva visto, si era completamente sciolta.

Istintivamente andò verso la scrivania e cominciò a rileggere tutto quello che il moro le aveva scritto, sognandolo ad occhi aperti.

 

Il giorno dopo, Usagi decise di accompagnare di pomeriggio la sua amica Minako al centro, la quale doveva incontrare il suo fidanzato.

Erano sedute su una panchina davanti a una fontana e aspettavano l’arrivo del treno. Parlavano del più e del meno fino a quando Minako non chiese ad Usagi “Allora, com’è questo Mamoru?”

“Carino” rispose Usagi arrossendo.

“Qui c’è qualcosa sotto…dimmi la verità!” disse Minako.

“D’accordo, è molto di più, ma non so se i miei sentimenti siano ricambiati” rispose Usagi un po’ triste.

“Oh, dai, secondo me è impossibile che non ti venga dietro. Insomma, sei una ragazza carina e…” cominciò Minako.

“E…” disse Usagi aspettando con impazienza la risposta.

“Oh, ora non mi viene in mente niente, quando lo saprò te lo dirò” rispose Minako evitando lo sguardo omicida della bionda.

“Minako-chan, sei sempre la stessa!” concluse Usagi.

 

Arrivarono a destinazione e Minako notò subito che fuori dalla stazione c’era il suo ragazzo, che l’attendeva. Minako gli andò in contro e lo baciò, lui ricambiò con tutto l’amore che provava; nel mentre Usagi guardò con una punta d’invidia l’amica: anche lei desiderava una persona da amare ed essere ricambiata, ma purtroppo il principe azzurro non l’aveva ancora trovato.

 Takao era un bravo ragazzo, era perfetto per Minako: era castano chiaro, occhi castani con una punta di verde, fisico ben atletico e aveva un bel carattere; lui e lei si completavano a vicenda: l'una esuberante, mentre l'altro tranquillo, e formavano una bella coppia.

“Ciao Usa, come va?” chiese Takao rivolto alla bionda che fissava la coppia rimasta abbracciata.

“Bene, grazie” rispose Usagi.

“Se sapevo che venivi anche tu avrei portato un amico” disse Takao rivolto ancora ad Usagi.

Usagi non riuscì a rispondere che si sentì chiamare, lei si volse verso la persona che aveva detto il suo nome, e... non ci poteva credere, era Mamoru!

La bionda si rallegrò vedendo il giovane. Aveva pensato a lui per tutta la mattina e desiderava vederlo, anche solo per poco.

 

Alla fine Mamoru e Usagi si staccarono dall’altra coppia e cominciarono a passeggiare per conto loro, parlando del più e del meno.

Arrivarono nei pressi di un lago; l’acqua era cristallina e rifletteva i raggi dorati del sole. La ragazza si appoggiò alla ringhiera fissando la distesa azzurra davanti a sé, Mamoru le stava vicino, e anche lui ammirava il panorama che il luogo gli offriva.

Stettero in silenzio, elaborando i loro pensieri, ma ad un certo Mamoru prese coraggio e tutto d'un fiato disse “Usako, ascolta, io vorrei dirti una cosa. Ci conosciamo da poco, ma mi piacerebbe approfondire la nostra conoscenza. Ti va?”

Usagi rimase in silenzio. Non sapeva che dire. Le sarebbe tanto piaciuto uscire con lui, ma...c’era un minuscolo ostacolo tra lei e lui, e si chiamava Rei.

Rei era la ragazza che le aveva presentato Mamoru. Lei non poteva corrispondere con lui a causa di un malore che l’aveva costretta al ricovero, così Usagi aveva deciso di scrivergli le lettere al posto suo, conoscendo poco di questo misterioso ragazzo. Ovviamente la mora, prima di entrare nella sala operatoria, aveva dichiarato ad Usagi i suoi sentimenti nei confronti del giovane. Aveva anche aggiunto che quando Mamoru fosse tornato, il padre di Rei, un noto impresario che possedeva il miglior ospedale della città, gli avrebbe offerto un posto come medico.

Mamoru fissava la giovane aspettando un suo segno di vita, ma dopo un po’ cominciò a ridere. La bionda, sentendo queste risate, distolse i suoi pensieri e cominciò a fissare incredula il giovane che non smetteva di ridere. “Posso sapere, di grazia, perché ridi?” chiese la giovane.

“Hai una lucertola sulla testa” disse il moro tra le risate.

“Cos..” Usagi non fece in tempo a terminare la frase che lanciò un urlo,.

Mamoru fu molto veloce, riuscì a levare la lucertola dal capo della ragazza, mentre lei si era rifugiata tra le sue braccia. Usagi si sentì a suo agio e protetta dalla mole di lui, si sentiva tranquilla, mentre il ragazzo si sentì un po’ in imbarazzo: lei si era praticamente gettata tra le sue braccia, e lui l’aveva accolta come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.

Lentamente la giovane alzò il capo e fissò gli occhi del ragazzo che la teneva ancora stretta a sé. Le sue gote cominciarono ad infiammarsi, si sentiva strana, le farfalle nelle stomaco, il respiro non più regolare. Mamoru la fissava con dolcezza, e ad un tratto discese su di lei, fino ad incontrare le sue labbra color ciliegia. Fu così che i due si scambiarono un tenero e dolce bacio.

Quando si staccarono non furono dette parole, ma solo intensi sguardi. Gli occhi rispecchiavano i loro sentimenti e la loro anima; non erano dispiaciuti per il gesto, ma liberi di poter mostrare i propri sentimenti. Ma in quell’istante, nella mente di Usagi rimbombavano le parole di Rei, così, quasi meccanicamente, si staccò dall’abbraccio di Mamoru e disse un flebile “Mi dispiace”.

Mamoru rimase un po’ di stucco da quel gesto, non si aspettava una cosa del genere, ma mentre cercava le parole fu richiamato dalle voci di Minako e Takao.

 

Durante il viaggio Usagi era strana, così Minako decise di parlarle “Usa, che hai?”

“Niente Minako-chan, Mamoru…” rispose la ragazza.

“COSA HA FATTO MAMORU-KUN ALLA MIA MIGLIORE AMICA!!!” urlò Minako.

“Non urlare Minako-chan, Mamoru mi ha solo…” disse Usagi.

“TI HA SOLO…?!” incitò la ragazza.

“Baciato” disse la bionda con un tono di voce molto basso.

“COSA?! Lui ti ha…baciato” disse l’altra ragazza non credendo alle sue orecchie.

“Sì” rispose la bionda.

Minako si rimise seduta, vedeva che la sua amica nascondeva un alone di tristezza.

Il viaggio proseguì e per tutto il tempo le ragazze rimasero ai loro posti senza dire nulla, rielaborando il filo logico dei loro pensieri.

 

   
 
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