Il negozio dei pegni
~ anything you
like?
È come il
suono dei campanelli sulla porta. Appena percettibile, e completamente al di
là del suo controllo.
È
iniziata, crede, per pura e semplice curiosità. Le prime volte che
è entrata nella polvere del locale non si è guardata intorno,
troppo presa dall’urgenza delle questioni umane che così spesso
prevalgono sul sentimento e sull’emozione; ma a poco a poco è
stata la storia di quel posto a
prendere il sopravvento, un racconto fatto di sussurri senza voce e di echi
senza suono, e di ricordi. Ora che ha il libero accesso a tutta la
città, può dire con ragionevole certezza che in nessun angolo di Storybrooke si avverte tanta umanità quanta ce
n’è in quel silenzio vibrante di vita.
Non sa
perché abbia iniziato a respirarne la polvere, non capisce perché
non si sia fermata prima di rischiare di soffocare. Sa solo che l’odore
del negozio dei pegni è buono. Assuefacente
è il termine giusto.
È il
profumo degli oggetti dimenticati. Un odore delicato e intenso, che ogni volta
la ferma per un lungo istante nel cuore della stanza, lasciandola lì a
farsi investire dalle storie dei mobili e delle lampade e delle stoffe.
È lo stesso odore che per un attimo la stordisce addirittura, ogni volta
che quell’uomo scosta la tenda e la raggiunge.
« Vede
qualcosa che le piace? »
È
iniziata per pura e semplice curiosità. Perché, allora, va avanti?
{ mysterious, that’s what I call you }
All’inizio
lui si è limitato a osservarla, in volto il solito vago sorriso che dice
tutto e non dice niente.
La guardava
entrare e la guardava fermarsi e la guardava esaminare le scaffalature antiche
e forti, non perché cercasse qualcosa in particolare ma solo
perché erano interessanti. Non
ha mai fatto commenti. C’è voluto del tempo – due visite?
Tre? Così tante? – prima
che si unisse a lei e iniziasse a ragguagliarla con aneddoti fitti di dettagli.
La sua memoria sembra infallibile. Forse è normale, quando si vive circondati
delle memorie altrui.
Il servizio da
tè della prima vetrina sulla sinistra è appartenuto a una ragazza
parigina. Veniva da una famiglia poverissima, e solo il suo fortunato
matrimonio con un giovane benestante aveva salvato lei e l’anziano padre
dalla miseria. Era parsa una magia, una favola. Poi qualcosa era andato storto,
e col tempo i suoi più bei regali di nozze sono finiti qui, a prendere
polvere.
Se sfiora la
vetrina anche solo con la punta di un dito, ascoltando la voce bassa e
partecipe dell’uomo che la segue costantemente con gli occhi, le sembra
quasi che i disegni sulle tazzine prendano vita, che la porcellana risplenda,
che la teiera la saluti con uno sbuffo. È un abile narratore, glielo
concede. E lui si limita a sorridere il suo sorriso vago.
C’è
voluto del tempo – quanto con esattezza? – prima che si rendesse
conto che la sua compagnia non le dispiace.
{ I’m curious about you }
A un tratto,
così di colpo, ha capito di aspettarsi da lui un qualcosa di ben definito.
Dev’essere
per quello che va avanti. Dev’essere perché è rimasto tutto in
sospeso, perché quel patto che hanno stipulato nella sala
d’aspetto di un ospedale sembra essere morto lì e ciò non è naturalmente
possibile, non dal momento che si tratta di lui. Quell’uomo non
è uno che dimentica. Le cose che le racconta sono solo una delle
conferme; l’altra sta nel suo sguardo, in tutti i sensi interessato, col
quale sembra sempre sfidarla a rompere il muro, a parlare per prima.
Lei non lo fa.
Qualcosa la trattiene, le dice che non vuole davvero sapere cosa gli deve. E si odia perché – nel
profondo, all’insaputa persino di se stessa, proprio come chiunque altro –
ha paura di lui.
E tuttavia non
riesce a staccarsi da quel posto: continua a presentarsi alla sua porta quasi
ogni giorno, continua a sentire in modo appena percettibile il suono
incontrollato dei campanelli mentre già si chiede cosa le
mostrerà oggi, e continua a cercarlo, ad ascoltarlo, a respirarlo.
La lampada sulla
mensola della seconda vetrina era di un ragazzo orientale. Non possedeva niente
se non quella lampada a olio, che era diventata un po’ il suo
portafortuna. Non è ben chiaro come e quando l’abbia persa, ma a
quanto pare dopo averla ritrovata ha ritenuto più opportuno tenerla in
un posto sicuro. Non è più tornato a prenderla. Probabilmente un
giorno la fortuna passerà a qualcun altro.
Vicino alla
lampada c’è un tappeto stinto, ma l’attenzione
dell’uomo si è spostata su di lei, lei che è pensierosa.
« Vede
qualcosa che le piace? »
Non è uno
che dimentica. Perché non le dice chiaramente cosa vuole? Perché,
con la sua voce e i suoi occhi e il suo odore buono, continua ad attirarla qui?
{ and now I know that words cannot describe the
power that I feel when I’m with you }
Ha imparato a
ricambiarlo dello stesso interesse.
Non è
stato intenzionale; non che il resto
lo fosse. Si è solo ritrovata suo malgrado a scrutare oltre le vetrine,
oltre gli scaffali, verso il suo viso antico e misterioso. C’era una
creatura mitologica che aveva un’espressione così. Sfinge o Minotauro?
E lui,
com’era naturale, non ha finto di non notare la sua attenzione. Non si
è ritratto, non si è esposto. Ha continuato a sorridere vago e a
rispondere ai suoi sguardi senza mai mostrarsi sorpreso. Questo potrebbe anche
farle pensare che abbia raggiunto il suo scopo. Non può certo
dimenticare quante trame abbia ordito, quanto potere abbia esercitato pur di
farle raggiungere la meta che lui
aveva già scelto per lei, chissà quanto tempo fa.
Se era la sua
curiosità che voleva, beh, ora ce l’ha. Ma le cose non cambiano.
Lei continua a sprofondare nel sottile incantesimo del negozio dei pegni e lui
continua a tenerla lì, stregata, come un sapiente burattinaio col suo
giocattolo più prezioso.
Lo strumento di
legno accanto al banco è un arcolaio. L’ha portato una vecchia,
una donna curva e incupita che diceva di aver perso tutto per colpa di un fuso
che non aveva fatto il suo dovere. Non si sa il perché, ma su
quell’arcolaio circola una bizzarra diceria, come una maledizione; in tutti questi anni
nessuno, neppure un estimatore di vecchio artigianato come Marco, è mai
venuto anche solo a dargli un’occhiata...
A volte l’abbraccio
del suo accento scozzese è così caldo da costringerla a
distogliere lo sguardo dal suo sorriso, odiandosi più che mai.
Non è
stato intenzionale. Ha solo capito che persino la sua voce emana quel profumo di ricordi e di segreti.
{ this is not a dream that I’m living / this
is just a world of your own }
Ha intuito che
là dentro, ancora oltre gli oggetti dimenticati, c’è un mondo
intero di cui lei non saprà mai nulla.
Che
quell’uomo avesse molto da non
dire l’ha sempre saputo, fin da quando l’ha chiamata per nome. Che
avesse qualcosa di cui non vuole
parlare l’ha sospettato, fin da quando le ha chiesto di Henry e ha abbassato gli occhi.
Che tutto
ciò riempisse lei di rammarico
e rimpianto è stata una sconvolgente sorpresa.
Le piacerebbe
poter dire che ciò che si è instaurato tra loro è basato
sulla reciproca contribuzione, che è per
questo e basta. Ha il sospetto che mentirebbe a se stessa. Perché,
è vero, lui è una miniera di informazioni per il suo nuovo lavoro
– e, certo, lei è pronta ad aspettarsi da parte sua una qualunque
richiesta in qualunque momento; ma la verità ha un sentore diverso. Sa
di sorrisi vaghi che scorrono da una parte all’altra e di sguardi
interessati in tutti i sensi e di mani che mostrano, raccontano, a poco a poco
sfiorano e incrinano una barriera sempre più sottile. Sa di parole
giuste al momento giusto, che dicono tutto e non dicono niente. Sa di un odore
buono.
Gli unicorni di cristallo sono qui da ventotto anni,
due mesi e un giorno.
Sa di passato.
Di ciò che lei cerca da ventotto anni, due mesi e un giorno.
« Qual
è il suo prezzo? »
« Non ci
pensi adesso. Potremmo discuterne questa sera a cena. »
« Vede
qualcosa che le piace, Emma? »
Sì. Vede
qualcosa che le piace.
È per
questo che va avanti.
{ feels like I’m living in a
lion’s mouth, but the lion is an angel }
Spazio dell’autrice
{Pericolo SPOILER – epp. 1x08/1x09}
Perché ‘Desperate Souls’ è, in pratica, un tributo al Gold/Emma. F*ck yeah!
Ohh, ho sognato di scriverci
su fin dalla prima delle cinque volte che l’ho guardato. Avrei voluto
focalizzarmi molto di più su Rumpelstiltskin e
sulla sua tristissima storia (è riuscito a farmi piangere. Ancora una volta è riuscito a
farmi piangere. Robert Carlyle mi vuole morta), ma come on, non si possono ignorare i
molteplici indizi sul pairing. Sia lode all’1x08!
♥
In realtà, però, la vera ispirazione per questa
confusissima shot mi è venuta dal quarto sneak peek dell’episodio
successivo. Si tratta di una scena in cui Emma, con in faccia lo stesso sorriso
che ho io quando penso al signor Gold (u__ù),
gli chiede: What’s your price?
Beh, potete immaginare i viaggi mentali. xD
I riferimenti al servizio da tè, alla lampada ad olio, all’arcolaio
sono allusioni alle storie de La bella e
la Bestia, Aladdin e La bella addormentata nel bosco; gli
unicorni di cristallo li vede anche David nell’1x06, quando Regina lo
indirizza da Gold: sono quelli che aveva la piccola
Emma in culla.
Le lyric inframmezzate nel testo sono
tratte da Lion
di Rebecca St James, una canzone che in pratica urla a pieni polmoni ‘Mr.
Gold waz here’.
Temetemi. Questa serie mi sta
facendo impazzire >w<
Aya ~