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Autore: xtomlindad    11/01/2012    4 recensioni
Prologo: E sfiorai le sue mani, ci scovai un’ essenza che da allora in poi non sentii mai più in vita mia.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Your love is my drug

‘Tac tac tac’ il rumore dei miei tacchi sul pavimento di marmo riecheggiava nell’aria. C’era un silenzio sordo. Silenzio che seguiva ogni sfuriata del leader dei Tokio Hotel. Non so cosa non gli andasse bene, stavolta. Sì, perché ogni volta c’era qualcosa che non gradiva particolarmente, e allora tutto il piano doveva essere stravolto. Io ero l’organizzatrice di tutti i loro eventi, nonostante la mia giovane età: i miei soli ventidue anni.

‘Non si fa così!Le cose non dovrebbero andare così!’

‘Calmati Bill’

‘No, le mie richieste erano state esplicitamente chiare’.

Ed ecco le sue urla isteriche, che cessarono al mio arrivo in sala: «Jenny!Questo non è quello che avevo chiesto!».

Sentivo il suo sguardo addosso, come un padrone arrabbiato guarda il suo cane disobbediente.

‘Ed io cosa posso farci, Bill?’ gli avrei tanto voluto rispondere, ma dissi solo:

«Va bene cambieremo tutto…di nuovo» dissi sospirando.

Iniziò ad elencare le maree di cose che, secondo lui, non erano idonee al concerto.

E bla bla bla, lo lasciai parlare sino a consumarmi, poi, con aria stanca e logorata dalle cretinate sparate da quel ragazzo così pieno di egocentrismo, uscii dalla stanza. Accellerai il passo, il rumore dei miei tacchi si faceva più forte, sino ad arrestarsi appena svoltai l’angolo. Finii la mia corsa frenetica e sbattei la schiena contro la parete, anch’essa di marmo, per riprendere fiato. Chiusi gli occhi. Dei passi, uno struscio contro la parete e alzai di colpo le palpebre.

«Ah!» mi spaventai e feci cadere la cartelletta con tutti i fogli su cui c’erano appuntati gli ordini di Bill. Il mio battito era accelerato e avevo il fiatone come dopo una maratona.

«Ehi ti sei spaventata?» la sua risata, divertita ed imbarazzata.

«S-sì, scusa» mi lasciai scappare un sorriso e mi abbassai per raccogliere la cartelletta. Anche lui si abbassò, nel mio stesso lasso di tempo.

‘E sfiorai le sue mani, ci scovai un’ essenza che da allora in poi non sentii mai più in vita mia’.

«Tranquilla, faccio io»

«No Tom lascia stare» dissi con voce tremante invano.

Raccolse i fogli sparsi sul pavimento e quando mi rialzai me li porse.

Attimi di silenzio, interrotti dalla voce del bassista della band. ‘Tom! Tom dobbiamo andare!’ urlava la voce.

«Volevo solo dirti che non devi badare a mio fratello. E’ solo stressato, non ce l’ha con te»

«Okay» dissi con una flebile voce

«Ci si vede!».

La sua voce era profonda, molto profonda. E morbida. Mi lasciai cullare dal suono che emettevano le sue corde vocali, e chiudendo gli occhi immaginai di sfiorare le sue labbra. Le sue rosee labbra. Scrollai la testa. Il mio lavoro era più importante di stupidi sentimenti a cui, senza dubbio, non dovevo badare. E lasciai quell’angolo facendo scivolare giù dal mio volto una lacrima cristallina che, si infranse contro il pavimento freddo e duro di marmo. Duro come doveva essere il mio cuore, ma che in realtà non era.
*
Il giorno dopo tornai in quella sala. Mi sistemai i capelli nero corvino come se fosse un rito propiziatorio, ed entrai stringendo tra le mani la cartelletta gialla. Avevo le mani sudate, non credo potesse essere solo la paura del giudizio del frontman, ma forse anche il timore di un casuale incrocio di sguardi. Un incrocio che avrebbe potuto spezzarmi il cuore. Lo vidi, seduto sulla poltrona rossa accanto al tavolo, baciato da un raggio di sole. E mi venne alla mente una delle sue frasi più famose ‘Sono il sostituto del sole, può bastare?’. Un sorriso istintivo che venne interrotto da una voce:

«Jenny? Jenny ci sei? Mi ascolti?» continuava a ripetere stizzito il leader. Scrollai il capo.

«Oh si, scusa Bill. Dimmi pure».

Risatina trattenuta da parte del resto della band.

Prima di alzare lo sguardo verso Bill, rivolto sino ad allora verso il pavimento, scorsi il viso di Tom. Mi sorrise.

«Hai capito tutto Jenny?» disse con voce un po’ più calma.

«Sì, certo Bill» presi un respiro e sorrisi sistematicamente. Oramai sapevo anche quando sorridere e quando non.

«Sarà tutto fatto secondo le vostre preferenze»

«Speriamo».

Mi allontanai con la voce spazientita di Bill che rimbombava nella mia testa. A quel punto avevo la testa che scoppiava dal dolore. Feci un salto in bagno a darmi una sciacquata e a prendere un’ aspirina. Sentii una voce familiare che mi chiamava. La conoscevo troppo bene, e l’avrei riconosciuta tra mille. Mi girai con un sorriso stampato sulle labbra. Sta volta non era simulato, era spontaneo.

«Ciao Tom» dissi entusiasta

«Ma come… non fa niente, lascia stare. Come stai?»

«Oh un po’ di mal di testa, ma è tutto okay, tu?»

«Bene, grazie. Senti, mi chiedevo se domani sera volessi uscire con me».

Un colpo al cuore, una fitta. Una lacrima voleva scendere, ma la ricacciai dentro.

«Tutto a posto?»

«Sì, solo un po’ di allergia. Sai, di questo periodo…».

Mi guardò negli occhi e deviai il suo sguardo al pavimento. Non riuscivo a reggerlo.

Si leccò le labbra: «Va bè, quando vuoi sono qui» mezzo sorriso falso.

«Aspetta, scusa» risi «Domani va bene» lo guardai negli occhi.

Lui annuì «A domani allora». Sorrisi.

‘A domani’ sussurrai dopo che se ne andò.
*
Due gocce di profumo ai lati del collo dovevano contraddistinguermi dal resto delle ragazze che lui avesse mai visto od odorato. Sapevo di buono. Jeans slavati e aderenti, i miei preferiti. Una maglietta rigorosamente nera ed abbinata alle scarpe col tacco. Adoravo i tacchi, ne avevo una collezione intera. Mi facevano sentire più alta. I miei capelli neri ricadevano lunghi sulle spalle, assieme alla frangetta che si adagiava sulla mia fronte poco prima degli occhi. Uscii dalla stanza d’albergo e andai a bussare alla sua. Lo aspettai nervosa, come una ragazzina al suo primo appuntamento.

«Ciao» proferì con la sua calda voce

«Ciao» sorrisi «Che hai intenzione di fare?»

«Ti va di mangiare qui? Servizio in camera»

«Così mi tenti» risi ed entrai nella sua camera «Permesso».

Aspettai che lui mosse i primi passi. Aveva una camera grande, non come la mia che con due passi passavi dal bagno alla camera.

«Ti piace?»

«Hm, sì, mica male» sorrisi.

All’inizio c’era un po’ di tensione, ma poi parlammo tranquillamente, sino alla fine della nostra cena. Sfornò da due coperti due coppe di gelato.

«Cavolo» mi leccai le labbra alla sola vista di un cibo così fresco, e notai che mi stava guardando. Feci finta di niente e sorrisi.

«Vuoi un po’?» sorrise. Prese un cucchiaio, lo riempì di gelato al fiordilatte e me lo porse, avvicinandomelo alle labbra. Lo guardai negli occhi e assaggiai quello che mi offriva.

«Mm» portai l’indice dalla mia mano alla bocca e lo ripulii leccandolo «E’ buono» risi.

Si avvicinò a me. Non capii all’inizio, ma poi ricordai ‘la sua fama’ e mi bloccai. Il mio battito si accelerava, il suo capo si inclinava, le nostre labbra si sfiorarono sino ad incontrarsi definitivamente in un bacio. Dischiusi le labbra e le nostre lingue si scontrarono. Si attorcigliavano in una danza. Una danza piena di emozioni. Le sue mani sulle mie braccia erano fredde al tatto, e quando le sue rosee labbra scesero fino a baciarmi il collo. Un momento di libidine mi colse all’improvviso. Ma non feci nemmeno in tempo ad accorgermene che ero già scattata in piedi sotto i suoi occhi scrutatori.

«Scusa Tom, devo andare. Davvero».
Presi la borsa e feci per uscire, dirigendomi alla porta.
«Grazie di tutto» uscii da lì sbattendomi la porta alle spalle.
*
Fiumi di lacrime bagnavano il mio cuscino. Le mie urla erano soffocate. Urla di rabbia, di dolore. I miei capelli erano inumiditi dal mio dispiacere. E scoppiai in un pianto isterico. Un pianto che trascinava le mie emozioni nel cesso. Mi odiavo in quel momento, ma se fossi andata oltre sarei stata peggio. Il suo corpo non poteva essere mio, se la sua anima non mi apparteneva.
 


  
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