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Autore: Jules_    11/01/2012    10 recensioni
"Quando Taylor era ricoverato in ospedale ero pronto a lasciare la musica. Perché, per me, sentivo come se la musica fosse eguagliata alla morte. Ho cominciato a pregare. Non sono mai stato in chiesa nella mia vita, e facevo avanti e indietro dall'ospedale di Taylor al nostro albergo tutte le notti, pregando ad alta voce per le strade di Londra. "
-Dave Grohl
Foo Fighters
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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On The Mend
 


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In quella mattina d'Agosto anche l'uggiosa Londra sembrava più grigia del solito.
Gli edifici tutti uguali passava velocemente attraverso il finestrino, davanti agli scuri e vuoti occhi del ragazzo. Non si era mosso, lui. Da quando erano saliti in auto lui era rimasto con il volto corruciato e con la mano che gli sorreggeva il viso, mentre gli altri due compagni non si permettevano di aprir bocca.
-Ho parlato al telefono con i dottori- osò dire Chris dal posto anteriore -Dicono...che è fottuto. E' in coma ma le possibilità che si risvegli sono assai basse-.
Nate guardò istintivamente verso Dave sperando che quello reagisse e dicesse qualcosa.
Niente.
Quel silenzio ovattato lì accompagnò fino all'ospedale.
 
L'ora  era tarda, ed ormai era rimasto solo.
Infilato in quella stanza poteva quasi odorare il bianco delle pareti che caratterizzavano l'edificio. L'amico giaceva lì, immobile, con quegli orrendi tubi ovunque e la bocca semiaperta. I suoi capelli biondi erano stati lasciati cadere delicatamente sul cuscino, mentre alcune ciocche rimanevano appiccicate al suo viso pallido per colpa del sudore. Dave non potè fare a meno di farsi sfuggire un gemito nel vederlo in quelle condizioni. Quell'attimo di insicurezza e impotenza, però, fu subito ricacciata dentro per dare spazio alla sua solita espressione seria e corruciata. Glielo aveva detto.  Lo aveva avvertito, più di una volta.
Quante volte gli aveva ripetuto di smettere con la droga?
Quante volte gli aveva detto che ci teneva, a lui, ma che ad ogni modo non poteva obbligarlo e che la scelta dipendeva solo da lui?
Fin troppe volte. Incontabili, forse, ma questo non cambiava le cose: ora Taylor era in ospedale, per una maledetta overdose, e forse non si sarebbe più svegliato.
Si accasciò sulla sedia e restò a guardarlo, immobile.
Nell'aria il silenzio gli permetteva di sentire solo il proprio battito e il ronzio delle macchine che invece tenevano in vita il suo migliore amico.
Appoggiò il gomito alla sedia e la testa sul palmo della mano, ma quando sentì che gli occhi gli si inumidivano cercò di distrarsi e il suo sguardo alla fine cadde su un foglio di carta bianco e una penna posati sul comodino affianco al letto. Una scintilla apparve  nei suoi occhi dopo un battito di palpebre e si precipitò ad afferrare il foglio e a scriverci sopra.
E le parole vennero da sole.
In quelle settimane successiva, lui se ne stava sempre lì, a scrivere, e non abbandonò mai quella sedia se non per tornare in albergo, dove imbracciava la chitarra e continuava a comporre, modificando sempre lo stesso foglio.
E quelle due settimane sembrava non passare mai, con il dubbio permanente per potessero prolungarsi in eterno.




 
"Quando Taylor era ricoverato in ospedale ero pronto a lasciare la musica. Perché, per me, sentivo come se la musica fosse eguagliata alla morte. Ho cominciato a pregare. Non sono mai stato in chiesa nella mia vita, e facevo avanti e indietro dall'ospedale di Taylor al nostro albergo tutte le notti, pregando ad alta voce per le strade di Londra. Non so nemmeno se io credo in Dio. Ma mi sentivo come, sai, come se tutto questo non fosse giusto, sai, che tipo di Dio avrebbe lasciato andare tutto questo?"




 
Il tempo era passato e i giorni si erano seguiti così lentamente da far perdere le speranze a tutti.
Ma lui era ancora lì, seduto su quella sedia che aspettava, rileggendo quello che due settimane avevano prodotto. Non fece in tempo a finire che un respiro affannoso spezzò il costante silenzio che aveva regnato in quella stanza tutto quel tempo. Nascose istintivamente il suo scritto nella tasca e posò, quasi senza neanche pensare, la sua mano su quella dell'altro.
-Taylor...?- sussurrò.
Lo osservava mentre cercava lentamente di riaprire i suoi occhi verdi, rimasti senza luce per troppo tempo. Al suo nome, il biondo si voltò verso l'amico aprendo leggermente la bocca per cercare di dire qualcosa.
-Hey, amico, andrà tutto ok, non preoccuparti...- continuava a dire Dave sottovoce, afferrando la sua mano. Accorgendosi che l'altro voleva parlare, avvicinò ancora di più il suo volto a quello di Taylor.
Silenzio.
-Dave, Vaffanculo.
E mentre una risata liberatoria riempiva la fredda e bianca stanza, qualcosa, nell'aria, faceva presumere che quella, forse, andava oltre la semplice amicizia.
  
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