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Autore: White Gundam    11/01/2012    2 recensioni
“Sì, ricordo bene come noi tre ci siamo conosciuti, ma soprattutto ricordo come abbiamo conosciuto lui.”
Kiros indicò con un leggero movimento del capo il corpo addormentato del presidente. Cercò di trattenere una risata mentre guardava nuovamente in direzione di Ward e aggiunse a bassa voce:
“Eh sì, hai proprio ragione amico mio, fin dal nostro primo incontro, il nome Laguna era facilmente riconducibile alla parola guai.”
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kiros Seagill, Laguna Loire, Ward Zabac
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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INCONTRO

La luce fioca entrava dalla finestra della stanza da letto della residenza presidenziale. Le luci di Esthar non si spegnevano mai e nella camera il buio era ormai diventato soltanto un lontano ricordo.
Laguna dormiva, stanco dal lavoro, sdraiato sul letto abbracciando il cuscino.
Kiros sorrise, chiedendosi quanto tempo fosse passato dalla prima notte che loro tre avevano passato assieme; incrociò le braccia e se le appoggiò dietro la nuca.
“Ward?”
Si rivolse all’amico con un sussurro. L’uomo voltò lentamente la testa in direzione del letto del compagno.
“Sì, ricordo bene come noi tre ci siamo conosciuti, ma soprattutto ricordo come abbiamo conosciuto lui.”
Kiros indicò con un leggero movimento del capo il corpo addormentato del presidente. Cercò di trattenere una risata mentre guardava nuovamente in direzione di Ward e aggiunse a bassa voce:
“Eh sì, hai proprio ragione amico mio, fin dal nostro primo incontro, il nome Laguna era facilmente riconducibile alla parola guai.”
 
Le diciotto candeline azzurre si stavano ormai sciogliendo sopra la torta al cioccolato. Il ragazzo che compiva gli anni stava impietrito a guardare con occhi vuoti il movimento delle fiammelle, senza accennare a soffiarci sopra per spegnerle.
“Su tesoro, sono i diciotto anni, sono importanti!”
La madre gli appoggiò una mano sulla spalla e il giovane per riflesso sorrise.
Spero che non mi chiamino in guerra.
Il ragazzo concentrò le proprie energie sul suo desiderio e soffiò con forza sulle candele.
Applausi dei parenti. Grida. Abbracci.
“Grazie, grazie a tutti.”
Il giovane sorrise verso gli invitati, ricambiando gli abbracci e scartando i regali. Felpe, maglioni, una giacca blu, un portafoglio di pelle, un paio di portachiavi.
Sorrisi, ringraziamenti, auguri. Non stava andando poi così male il suo compleanno.
“Laguna, sei un uomo ormai, tanti auguri.”
La mano forte di suo padre gli strinse la spalla. Il ragazzo sorrise e si voltò ad abbracciarlo, poi prese il regalo e lo aprì. La carta frusciava tra le sue mani curiose e il nastro adesivo si rompeva, sfrigolando sotto ai suoi denti.
Spuntò una specie di impugnatura, l’oggetto era nero e metallico tuttavia risultava abbastanza maneggevole. Lo scoprì del tutto e sentì un tuffo al cuore. Le sue mani tremarono e lui dovette prendere un grosso respiro e fare appello a tutta la forza di volontà di cui disponeva per non lasciarselo cadere dalle mani.
“No…”
Mormorò a mezza voce, appoggiando la mitragliatrice sul tavolo. Un singhiozzo gli ruppe la voce e il respiro regolare.
Non voglio!
Pensò, le sue mani ancora tremanti. Sperava in una penna ed un calamaio o in una macchina da scrivere o ancora in un computer. Lui voleva fare il giornalista, maledizione, il giornalista, non il soldato!
La madre gli strinse con gentilezza le spalle tremanti e Laguna singhiozzò prendendo tra le mani la lettera che ella, con il dolore negli occhi chiari, gli stava porgendo.
“Prova a piangere e ti ammazzo!”
Il volto del genitore diventò scarlatto. Laguna abbassò il viso, leggendo con orrore le parole riportate sul foglio che lo avvisavano di recarsi alla caserma dell’esercito galbadiano dove avrebbe dovuto prestare servizio.
Dannata leva obbligatoria e dannata guerra che la impone!
Il pugno del giovane picchiò sul tavolo. Sua madre e suo padre cominciarono a litigare.
Grida. Minacce. Rabbia quasi feroce. Paura.
Laguna sbatté entrambe le mani sul tavolo.
“Non litigate, vi prego.”
Disse, cercando di calmare le lacrime che premevano sui suoi occhi verdi.
“Tanto litigare non servirà a niente, domani parto non ho alternative.”
Aggiunse e salì in camera, chiudendo la porta dietro di lui e non potendo fare a meno di pensare, con un nodo che gli stringeva la gola, che quella sarebbe stata l’ultima notte che avrebbe passato come civile.
 
Il giorno dopo la sveglia squillò troppo presto, scaraventandolo dai sogni sul duro pavimento della cruda realtà.
Si alzò e si infilò i suoi abiti quotidiani, raggiunse in silenzio la cucina e trangugiò un caffè amaro, sentendo la nausea salirgli alla gola a causa dei pensieri che gli affollavano la testa.
Riempì una sacca di tela colore blu scuro, dove infilò i suoi effetti personali, qualche vestito di ricambio, una penna biro e un blocco di fogli, ripromettendosi che si sarebbe tenuto in allenamento con la scrittura.
Raggiunse la caserma, guardando, con gli occhi intrisi di tristezza, il luogo che aveva distrutto ogni sua speranza di un futuro pacifico.
I numerosi palazzi color della strada, che si alzavano a tal punto da ferire il cielo con i loro spigoli, lo attendevano immobili e minacciosi. Laguna trasse un respiro ed entrò.
Militari. Divise. Armi d’ogni sorta.
Quello che vide gli bastò a fargli venire il voltastomaco, sentì la testa che gli girava e si appoggiò, ansimando, ad un muro.
Che cosa diamine ci faccio io qui? Non voglio.
Le ultime due parole dei suoi pensieri gli martellavano con forza dentro la scatola cranica, minacciando quasi di rompergliela.
Il ragazzo sentì dei rivoli appiccicosi bagnargli la fronte e il viso: sudore. Rimase immobile, appoggiato alla parete, fissando con occhi vitrei quanto accadeva intorno a lui.
Ordini. Saluti. Rigida gerarchia militare.
“Recluta Loire!”
La voce giunse quasi meccanica alle sue orecchie e Laguna annuì piano, alzando una mano per indicare che era lui la persona che stavano cercando.
Gli occhi del soldato si soffermarono, sprezzanti, sul giovane e sui suoi lunghi capelli neri.
“Si risponde con il saluto!”
Dichiarò il militare. Laguna si portò la mano destra aperta dinnanzi alla fronte, i muscoli irrigiditi dalla tensione fecero il loro dovere ma l’uomo che aveva di fronte non sembrò comunque soddisfatto.
“Non hai sentito l’ordine di adunata?!”
Gli sbraitò contro il soldato, con una domanda che pareva molto più un’esclamazione. Laguna si portò una mano sulla testa, scompigliandosi i lunghi capelli neri e mormorando una risposta negativa, quindi si avviò nel luogo dove avrebbe già dovuto trovarsi.
Gli altri soldati erano già in riga, la mano destra dinnanzi alla fronte in segno di saluto, le divise tutte uguali e lo sguardo freddo. Quasi tutti avevano i capelli corti, tagliati con il rasoio e un leggero pizzetto o la barba ad incorniciargli il volto.
Laguna raggiunse il suo posto, andandosi ad infilare tra due ragazzi ben più puntuali di lui.
Si stupì nel guardare il volto di colui che aveva alla sua sinistra: il ragazzino di colore aveva ancora il viso di un bambino, senza un pelo di barba e col volto ancora arrotondato della fanciullezza.
“Bene soldati, oggi insegneremo alle reclute a sparare!”
Gridò l’ufficiale e Laguna vide numerosi altri ragazzi pressappoco della sua età fare un passo avanti. Lo fece anche lui, seppur riluttante. Il ragazzo con l’aria da bambino restò fermo al suo posto, possibile che fosse un militare da più tempo di lui?
Parole secche. Ordini. Colpi di fucile.
Laguna sospirò guardando nel mirino della sua mitragliatrice, fece per premere il grilletto ma si fermò, scuotendo la testa.
“Non è difficile!”
La voce sarcastica e divertita arrivò dal ragazzino che aveva notato prima. Laguna gli tirò un’occhiata di sottecchi.
E’ che non voglio.
Pensò, e avrebbe voluto rispondere in quel modo.
“Lo so.”
Rispose invece, risentito. Guardò nuovamente nel mirino e le sue dita premettero sul grilletto. Una raffica di proiettili ne uscì e il rinculo e gli fece per un momento perdere l’equilibrio.
Il ragazzino rise più forte. Laguna gli lanciò un’occhiata in tralice, mentre guardava il bersaglio completamente vuoto.
“Lo sa, eh?”
Un ragazzo alto e grosso diede di gomito al ragazzino dalla pelle scura, e i due ripresero a ridere in tono di scherno.
“Recluta Loire!”
Il richiamo secco del suo superiore lo fece desistere dall’idea di rispondere ai due ragazzi, che continuavano a ridere sotto i baffi.
“Sì, signore?”
Chiese, cadendo dalle nuvole, e causando un secondo scoppio di ilarità da parte dei più piccoli.
“Le sembra il modo di sparare?!”
Gli gridò il militare nell’orecchio, e il ragazzo temette di aver perso il timpano destro in quello stesso istante. Laguna abbassò il volto mormorando quasi impercettibilmente una parola di scuse.
Ancora spari. Rimproveri. Grida.
Il tempo sembrava interminabile, e quelle ore passarono solo dopo quelli che a lui parvero secoli, con la chiamata per il pranzo.

La mensa era gremita di persone, tutte vestite con la divisa blu dei soldati semplici o con quella rossa degli ufficiali.
Laguna si fece largo a fatica, tra spintoni e gomitate dei suoi commilitoni, fino ad arrivare davanti ad un uomo dall’aspetto rude che gli servi nel piatto un liquido di colore strano e gli diede un tozzo di pane.
“Grazie.”
Esordì il ragazzo, prima che il soldato dietro di lui gli diede l’ennesimo spintone per toglierlo di torno e servirsi il pranzo anche lui.
Laguna sgusciò tra i tavoli occupati alla ricerca di un posto dove sedersi, notando con rammarico che l’unico posto libero era al tavolo con un gruppo di soldati in divisa rossa.
“Ciao.”
Disse, facendo per prendere posto su di una sedia rimasta vuota.
Scherzi. Risate. Cattiveria.
La sedia gli venne spostata da dietro, facendolo quasi cadere.
“Ma che diavolo?!”
Laguna li guardò, quasi sorpreso dalla fredda crudeltà che si poteva avere nei confronti di uno sconosciuto. Gli occhi verdi, sgranati, rimase immobile a vederli rivoltare il vassoio che avevano davanti.
“Recluta!”
Lo chiamò il soldato in divisa rossa. Gli occhi di Laguna si alzarono a guardarlo.
“Vammi a prendere un’altra porzione!”
Gli ordinò questo, indicandogli il vassoio rivoltato in terra.
“Ma se l’hai appena buttata, la tua porzione?”
La lingua di Laguna fu più veloce dei suoi pensieri.
“Prego?”
L’uomo si alzò, afferrandolo per il bavero.
“Prenditela tu!”
Rispose lui, quasi urlando. Fu un secondo, in breve i soldati in divisa rossa gli erano tutti addosso.
Botte. Insulti. Calci.
Ad ogni pugno che lo colpiva allo stomaco, Laguna sentiva il suo fiato mozzarsi. Gli occhi cominciarono a chiudersi, tra il rosso e il nero delle botte e dello svenimento.
Vedeva ancora appannato quando notò accorrere due sagome: una alta e scura, l’altra chiara e grossa.
“Forza Ward, diamogli una lezione!”
Gridò la voce del ragazzo dalla pelle scura e l’altro annuì. Laguna si liberò colpendo con il pugno il naso del soldato che aveva davanti; lo schizzo scarlatto che ne fuoriuscì, macchiò la divisa di egual colore del soldato e, senza che Laguna fosse ancora riuscito a capacitarsi di quanto accaduto, si ritrovò a difendersi da attacchi ed insulti da ogni lato, al suo fianco quei due ragazzini che prima aveva quasi considerato odiosi.
“Che cosa succede qui?!”
La voce del capitano fermò i ragazzi.
“Voi tre, Laguna Loire, Kiros Seagill e Ward Zabac, finirete immediatamente in cella di punizione!”
Ringhiò nella loro direzione, lasciando un incredulo Laguna a chiedersi cosa avessero fatto loro di così male.

La porta sbatté con forza dietro di loro, lasciandoli soli in una cella microscopica con tre assi di legno duro ed inclinato.
“Bel modo di presentarsi all’esercito, sei riuscito a farti sbattere dentro già il primo giorno.”
Commentò Kiros, il tono nuovamente ironico.
“E noi, cretini, siamo riusciti a farci sbattere dentro con te.”
Commentò Ward, appoggiandosi una mano sulla fronte con fare sconsolato.
“Scusate…”
Balbettò Laguna, lasciandosi cadere sull’asse di legno.
“Lascia perdere, ti perdoniamo, per questa volta. Piuttosto: io sono Kiros, e lui è Ward… Tu devi chiamarti Laguna, stando a quanto ha detto il capitano.”
Rise il ragazzo dalla pelle scura, tendendogli la mano. Laguna la strinse, e poi la strinse anche all’altro.
“Esatto. Mi chiamo Laguna Loire.”
Rispose, quindi pose le mani sui fianchi e terminò la frase.
“Però non resterò nell’esercito a lungo. Io da grande farò il giornalista.”
Aggiunse, risoluto. I due ragazzi si guardarono, accennando nuovamente ad una risata.
“Eh sì, Ward…”
Concluse Kiros guardando gli occhi espressivi dell’amico:
“Pare proprio che le giornate si faranno più divertenti ed interessanti con lui.”
   
 
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