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Autore: _failed dreamer    13/01/2012    1 recensioni
Probabilmente sarò l'ennesima fan che scrive una fanfiction su questa parte della vita di Billie. Ma ci tenevo a dare anche la mia interpretazione.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In macchina, la madre fu costretta a spiegare tutto. Il bambino udì parole come "cancro", "funerale", "vi voleva bene", "ce la caveremo". E gli bastarono per capire che non avrebbe mai più riabbracciato il suo papà. In quel momento, guardò fuori da finestrino. E guardò il mondo con una sguardo diverso. Quasi adulto. Troppo adulto per la sua età. Nel tempo passato in quel luogo lugubre che era l'ospedale, era cresciuto. Grazie alla consapevolezza che la vita in un certo senso è contro di te, che nulla va mai per il verso giusto, era maturato.


Così, ad un semaforo rosso, aprì la portiera ed uscì. La macchina non si fermò nemmeno, ma partì al segnale del verde. Lo conoscevano. Sapevano che era strano. Ma non sapevano che "strano" non è sinonimo di "stupido". 


Camminò fino a casa. Un bel po' di kilometri. Le mani sprofondate nelle tasce dei blue jeans consumati. I capelli neri come la pece, ricci e lunghi fradici. Sapeva benissimo che a casa le avrebbe prese per essere scappato e tutte quelle cretinate, ma  non gli importava. Voleva camminare, e nessuno gliel'avrebbe impedito. Poi, una lacrima. Così, all'improvviso. Senza preavviso. Poi un'altra. No, si disse. Non piangerai. Ma pochi secondi dopo i suoi occhi erano talmente gonfi che, come una diga che non regge più il peso dell'acqua, scoppiarono. Lacrime amare gli rigavano il viso, violenti singhiozzi lo scuotevano dalla testa ai piedi. 



A casa, trovò la porta aperta. Sgattaiolò in camera sua senza farsi vedere. Non voleva farsi vedere così commosso. Da nessuno.


Pochi giorni dopo si celebrò il funerale di Andy (così si chiamava il padre). La famiglia uscì di casa proprio quando stava arrivando una lunga macchina nera. Sembrava una limousine, ma al bambino non piaceva. Arrivati al cimitero, il bambino resistette alla stretta della mano della mamma. Era cresciuto in quel giorno. Non era più un bambino che dava la mano alla mamma. Cominciò a guardarsi attorno. Riconobbe qualche volto tra gli invitati. Ma gli sembrava tutta una presa in giro una fregatura. Quelle persone non soffrivano realmente, non piangevano realmente. Erano solo maschere per stare al gioco. E all'improvviso si accorse di ciò che l'aveva sempre circondato. Finzione. "Nulla è sincero in questo mondo", decretò. Si ricordo dei sorrisi della sua maestra, che poi lo derideva quando prendeva un brutto voto. I sorrisi dei compagni di classe, che poi lo picchiavano, lo prendevano in giro per ogni cosa. E ritrovava tutto ciò in quelle finte lacrime. Quelle lacrime erano una copertura, come se da un momento all'altro quelle persone fossero pronte a pugnalarlo alle spalle. E lui non poteva nemmeno essere protetto dal suo papà, chiuso in quella dannata bara. E così, pensò, al diavolo tutto. Al diavolo quella dannata gente. A suo padre non sarebbe importata la sua presenza o meno al funerale, pensava, A suo padre importava che lui gli volesse bene. E così era. Per cui si girò verso l'uscita, e corse.



Non sapeva perchè stesse correndo. Correva perchè gli andava così. Correva per la disperazione. Per la tristezza. Per liberazione. Per una serie di cose che non si era mai accorto di dover sopportare tutti i giorni. Sentiva le urla della madre dietro a sè, che lo rincorreva. Ma le sentiva in lontananza, come se lui fosse rinchiuso in una bolla. Non gli importava di nulla. L'unico suo pensiero era: "Corri, Cristo, corri e non farti beccare. Fallo per papà!". E così fece.


Arrivato a casa, non seppe come entrare. All'improvviso si ricordò che la madre metteva sempre la chiave di riserva nel sottovaso della pianta che avevano affianco alla porta, nel caso il padre fosse dovuto tornare. Così la prese. Non sarebbe più servita. Aprì frettolosamente la porta, entrò in casa e si chiuse in camera sua. Solo lì si accorse che stava singhiozzando, e che il suo volto era rigato da lacrimoni pieni di tristezza, che forse gli stavano depurando la sua anima fino ad allora macchiata. Sentì i passi furiosi della madre salire le scale e, per aiuto alla serratura, mise una sedia a bloccare la porta. Non voleva che lei entrasse. Voleva stare solo, accidenti! E' una cosa che i genitori non concepiscono. I figli hanno bisogno di stare soli, a volte, e pensare, fissare il vuoto, ascoltare musica. Anche fare niente, ma ne hanno bisogno. E lui DOVEVA farlo, lo sentiva.

La madre, arrivata, urlò tra le lacrime: " Esci immediatamente!"

Lui rispose: "Svegliami quando finisce Settembre!"


 

 
Sera a tutti di nuovo! Questa è la seconda parte. Spero vi piaccia. L'avviso della prima torna anche qua: qualunque consiglio è bene accetto :D
-iWannaBeTheMinority
   
 
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