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Autore: AntheaMalec    14/01/2012    7 recensioni
I pensieri di Klaus e Caroline dopo la scena vissuta nella 3x11.
[...]
Mi ucciderai? Mi ucciderai?
Nessuno in quella città che sapesse del mio essere ibrido non avrebbe scommesso nulla sul fatto che anche io tenessi un’umanità, imprigionata con catene d’acciaio dentro di me. Eppure era così ed era da quello che scaturiva tutta la mia rabbia ed il mio odio.
L’umanità che non volevo liberare e la paura dei sentimenti che mi portava ad allontanare ogni persona che cercasse di starmi vicina.
Fare il duro per far pensare che non t’importi quando la verità è che è la cosa che più t’importa al mondo.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hiding my heart

 

This is how the story went
I met someone by accident
It blew me away
It blew me away
It was in the darkest of my days
When you took my sorrow and you took my pain
And buried them away, you buried them away

 

[Hiding my heart – Adele]

 

 

 

Gli occhi chiusi a percepire le gocce di pioggia cadere su ogni parte del mio corpo, aggrapparsi alle ciglia, appoggiarsi sulla punta del naso, come fate su foglie già colorate dall’autunno. 
Le mani immerse nell’erba folta, le dita a cercare fili da poter spezzare e mani da poter toccare, dita umide che perdevano il controllo e cadevano sul terriccio bagnato, annegando dentro la natura. 
C’era silenzio, c’era pace, il buio a celare ogni cosa, il mondo pareva un posto migliore nella calma assoluta della notte, un posto senza brutte persone che vogliono uccidere, senza parenti rinchiusi in bare di legno, senza dolore o sofferenza. 
Respirai a pieni polmoni l’aria ricolma di profumi indescrivibili a parole, odori che solo la pioggia sapeva riportare a galla, come i ricordi. 
Un particolare ricordo continuava costantemente a riemergere dal baratro oscuro in cui lo avevo gettato, cercando di dimenticarlo per ovvie ragioni. 
Dopo secoli in cui la mia vita era concentrata sulla caccia, avevo salvato una persona dalla morte, una donna. 
E mi aveva ricordato così tanto, quella sua particolare tonalità di voce, e gli occhi luminosi in quel momento spenti dalla morte incombente. 
Mi aveva ricordato Rebekah, con i capelli biondi, sempre ben curati e l’energia che faceva parte di lei e del suo essere. 
Mi aveva ricordato me, così solo e abbandonato, senza via d’uscita da un vicolo cieco. 
Mi sdraiai sulla terra, sentendola pulsare sotto di me, come un cuore immortale. 
Era rilassante per un momento poter gettare la maschera, non essere più costretto ad essere il cattivo della storia. 
Era rilassante anche poter respirare e sorridere a nessuno, solo per il gusto di farlo. 
Mi mancava così tanto essere umano, poter avere dei rapporti veri e non all’insegna dell’asservimento, poter ridere senza alcun peso sopra le spalle, poter tornare da una famiglia. 
E io avevo visto tutto quello in Caroline, avevo visto una ragazza felice quando, nascosto da occhi indiscreti, spiavo gli affetti di Elena. 
Una ragazza genuina, nonostante l’essere una vampira. 
Mi ero recato alla sua porta in un secondo subito dopo che Tyler era venuto da me implorandomi di salvarla. 
Aveva perso tutto e nei suoi occhi avevo letto il ribrezzo verso se stesso e verso ciò che era diventato. 
Un essere senza volontà e pensieri propri, inginocchiato su chiodi appuntiti che facevano più male di quanto si fosse immaginato. 
Aveva mugolato frasi incomprensibili, gli occhi lucidi a proclamare un amore bruciato e mandato in frantumi da lui stesso. 
Era stato destino, di certo non colpa mia, il fato aveva riservato per lui una sorte molto più brutta del normale. 
Non avevo avuto la forza di negare il mio aiuto e, essendo onesto, nemmeno la volontà di negare la vita a quella fanciulla. 
Avevo ricavato la collaborazione dello sceriffo e il lasciapassare per casa sua, ormai accessibile. 
Con Stefan in possesso dei miei famigliari non potevo far altro che reclutare un esercito più grande del suo e più persone entravano a far parte della mia schiera più sarei diventato forte. Il suo gesto avventato mi aveva fatto capire che non dovevo sottovalutarlo come avversario. 
Impulsivo come solo un vampiro con solo cenere fra le dita può essere. 
Stranamente riuscivo a comprendere tutti in quella misteriosa città. 
Gli amori sbagliati, i segreti nascosti, le amicizie stravaganti, i patti infranti e poi riscritti. 
Una città piena di fascino e di qualcos’altro che mi aveva convinto a rimanere, qualcosa di astratto, ma lo stesso tangibile, o forse era solamente la voglia di trovare un posto fisso da poter chiamare casa, un posto che non riusciva più ad appartenermi da moltissimo tempo. 
Aprii nuovamente gli occhi, cercando di abituarmi al nero inchiostro che aveva colorato ogni cosa. 
Aveva finito di piovere e la luna aveva fatto capolino da dietro ad una nuvola, illuminando di una fioca luce l’erba rilucente. 
La bellezza del mondo, l’unica cosa che il diventare un vampiro non aveva cambiato. 
Mi alzai, cercando di strizzarmi gli abiti bagnati il più possibile. 
Rebekah avrebbe adorato questo posto. 
Una patina di tristezza mi intorpidì i sensi, facendomi passeggiare senza meta tra gli alberi della foresta di Mystic Falls. 
Salvare una vita non avrebbe cambiato quello che ero veramente, un mostro. 
Caroline mi aveva osservato così intensamente da attirarmi come una calamita, ma la sua paura, la sua paura mi aveva fatto venire un conato di vomito verso me stesso. 
E la sua domanda che aleggiava ancora nella mia testa, colpendomi come se fossero milioni di paletti di legno. 
Mi ucciderai? Mi ucciderai? 
Nessuno in quella città che sapesse del mio essere ibrido non avrebbe scommesso nulla sul fatto che anche io tenessi un’umanità, imprigionata con catene d’acciaio dentro di me. Eppure era così ed era da quello che scaturiva tutta la mia rabbia ed il mio odio. 
L’umanità che non volevo liberare e la paura dei sentimenti che mi portava ad allontanare ogni persona che cercasse di starmi vicina. 
Fare il duro per far pensare che non t’importi quando la verità è che è la cosa che più t’importa al mondo. 
La mia famiglia mi era stata strappata dalle mani, come tutto il resto. 
Un padre che non mi voleva, una madre a cui avevo accollato tutto il mio rancore. 
Per questo avevo dato a quella ragazza l’opportunità di scegliere se vivere o morire. 
La morte era facile, ti faceva porre fine a tutti i problemi. 
Ci avevo pensato anche io molte volte, quando scappare da mio padre diventava troppo stancante, quanto la solitudine faceva mancare il fiato. 
Ma c’erano così tante cose belle al mondo, le città, la cultura, e ogni cosa avrebbe aspettato te e te soltanto. 
Avevo guardato negli occhi di Caroline e avevo visto tutto ciò che era riflesso nei miei e quella paura di morire che accompagnava anche me e quella paura di non essere mai abbastanza, che rattristiva ogni mio giorno. 
Aveva qualcosa di speciale, quella ragazza, qualcosa che andava oltre il semplice osservarsi. 
Mi ero sentito come incatenato a lei, come se non fossi più così solo al mondo. 
Capito, considerato, i suoi occhi che non accusavano più ma che capivano e basta. 
Avevo percepito i miei occhi lucidi e la sua preghiera di non farla morire. 
Così fragile tra le mie braccia che avevano dato il benvenuto a molti cadaveri. 
Era stato bello, mi ero sentito bene. 
E, specchiandomi nella superficie del lago nella cava, non potei non pensare a quanto potesse donargli il gioiello che le avevo lasciato sul comodino, quando tutti si erano assopiti. 
L’avevo vista dormire e avevo capito che non esisteva nessun tasto per spegnere o accendere le emozioni. 
Si poteva solo fare il gradasso fin quando non si fosse incontrata una persona in grado di far cedere tutte le difese. 
“Caroline Forbes.” Sussurrai a fior di labbra e poi immersi una mano nell’acqua ghiacciata a increspare il mio riflesso, facendo scomparire le mie parole.

 

 

 

 

 

Il momento di rilassante quiete dovuta ai postumi della meravigliosa dormita che mi ero concessa era forse una delle sensazioni più appaganti che potesse esistere nella vita di una persona. 
Quel momento in cui socchiudi gli occhi mentre la luce del mattino colpisce il letto e illumina la camera, facendo scoprire mille sfumature ad ogni cosa. 
Mi passai una mano sul collo, massaggiandomi la spalla indolenzita, prima che i ricordi ritornassero con prepotenza alla memoria, riportandomi bruscamente alla realtà di tutti i giorni. Il morso di Tyler, la rovina definitiva di un rapporto che speravo potesse essere eterno. 
Avevo percepito la morte in quei minuti trascorsi con lo sguardo fisso sul pavimento e il corpo madido di sudore e non avevo potuto fare a meno di pensare, in un momento di pura paranoia, che me lo sarei meritato, perché i morti non vivono su questa terra. 
Poi era arrivato Klaus, senza alcun preavviso, e avevo avuto paura, all’inizio. 
Paura che veramente la mia vita fosse finita, una morte così scialba, su un comune letto e senza aver avuto il modo di salutare nessuno adeguatamente. 
Ma Klaus non mi aveva fatto del male, anzi. 
Umano, come nemmeno gli esseri viventi potevano essere, profondo, come le sue iridi, remote e irresistibili. 
Non mi ero mai soffermata troppo a pensare a come potesse essere la vita per lui, aveva ucciso molte persone, aveva schiavizzato il mio ragazzo, non meritava perdono né compassione. Eppure si era seduto sul mio letto, con il volto stravolto da emozioni diverse e mi aveva dato una scelta, mi aveva raccontato del pensiero di uccidersi nella sua lunga esistenza e ci avevo scorto rabbia e solitudine. 
Mi aveva narrato di meravigliose città, di arte e di cultura, di genuina bellezza, e avevo potuto scorgere nell’azzurro dei suoi occhi quei posti fantastici in cui aveva vissuto, l’avevo osservato e avevo provato la sicurezza di meritarmi di vivere ancora, per poter osservare tutto quello ed avere altre mille compleanni. 
Mi aveva abbracciata con un moto di familiarità e dolcezza e mi aveva curata. 
Osservai le mie mani, ricordando com’era stato stringere prepotentemente la sua maglia, in cerca di una protezione innaturale che mi aveva trasportato verso di lui. 
La consistenza delle sue labbra sulla mia nuca quando aveva riposto un delicato bacio sui miei capelli, infondendomi un’emozione strana che mi aveva lasciato un fastidioso nodo in gola. 
L’avevo guardato sparire dietro la porta della mia camera ed ero stata ad ascoltare i suoi passi fin quando mi era stato possibile. 
Combattei la voglia di ritornare a letto e feci per alzarmi, quando notai un oggetto anormale nella mia stanza. 
Un regalo, una scatola nera con un elegante fiocco bianco rilegato intorno. 
Ed un biglietto, scritto con la calligrafia elegante come il suo possessore. ‘Da Klaus’, diceva la carta, e per un momento pensai ad un qualche meccanismo per tentare di uccidermi, visto che il mio compleanno era ormai passato. 
Sorpresa era ciò che si disegnò sul mio volto quando, al posto di una bomba alla verbena ci fu un bellissimo bracciale di diamanti. 
Sorpresa, stupore e perplessità
Cosa voleva dire quel regalo? Che cosa avrebbe voluto in cambio? Accerezzai il bracciale come se fosse un animale in cattività. 
Era di una bellezza accecante e sicuramente non doveva averlo pagato poco, vista la lucentezza pura che emetteva sotto la luce. 
Non potevo credere che Klaus provasse un interesse di qualsiasi genere verso di me. 
Ero una semplice ragazza ferma nei suoi diciassette anni e quella non era di certo una favola, dove l’antagonista si innamorava di una povera e assolutamente insignificante donzella. 
Non credevo nelle fiabe: credevo negli occhi che luccicavano e nelle mani che tremavano. 
Come i suoi occhi che non perdevano di vista i miei mentre riempiva con la sua voce la mia camera e la mia anima. 
Come le sue mani, che mi avevano stretto scacciando via la paura. 
Chiusi la scatolina con un gesto secco, infilandola sotto il cuscino, al sicuro da sguardi indiscreti. 
Non volevo più pensare a lui, né ai suoi gesti immotivati. 
Mi diressi verso il bagno a piedi nudi, tenendo il contatto con la realtà tramite il freddo delle piastrelle. 
Presi un elastico dal ripiano del lavandino e provai a farmi una coda. 
Al terzo tentativo mal riuscito sbattei le mani sul tavolo da toilette, rischiando di romperlo. 
Mi guardai le mani e spontaneamente mi uscì un gemito di incredulità.
Mani che tremano.
 
Mi osservai allo specchio ed il mio riflesso mi diede tutte le risposte che non avrei voluto avere.
Occhi che brillano.

E la consapevolezza di sbagliare o di stare per ammattire. 
“Klaus.” Mormorai, prima che mia madre fece irruzione nella mia bolla di quotidianità. 
“Tesoro, è pronta la colazione.” 
Nessun pensiero, solo occhi che brillano e mani che tremano tendendosi spasmodicamente verso il nemico.

 

 

   
 
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