E’ fumo, ma solo in questa stanza vuota.


Plic. Plic. Plic.
Sembra di assistere ad una colata di frammenti di vetro, tanti sono i brandelli di cuore che cadono giù, sul tappeto, sul pavimento di marmo nero, negli angoli polverosi della stanza. Non riesce nemmeno a contarli, forse sono migliaia.
Plic.
L’ultimo si stacca con un suono strano – è mezzanotte passata- e lui rimane immobile. Non ha nemmeno pianto, tanto le lacrime non la riporteranno indietro.
Plic.
Il vetro nell’angolo più lontano esplode in una pila di frammenti. Forse sono ricordi oppure la sua immaginazione galoppa così tanto da fargli credere che l’amore può davvero distruggere tutto. E’ patetico, sa di esserlo.
Plic.
Questa volta è una lacrima. Non una, un centinaio. Si condensano e cadono nel vuoto, nel silenzio, in quel nulla schifoso con cui farebbe volentieri a pugni – se solo avesse la forza.
Il suono dei frammenti combatte con il ticchettio dell’orologio. Tic, tac.
E’ meglio non calcolare il tempo – che cos’è poi, se non una stupida convenzione umana? E’ meglio non pensare, non pensarla.
Tic, tac.
E’ meglio non scendere a patti con la verità. E’ meglio non voler urlare di averla amato. Tacere, lasciare il rumore all’orologio.
Lasciarla. Definitivamente.
Ha imparato a dimenticare il suo odore, il suo sorriso, la consistenza della sua pelle. Ha imparato a perderla, senza mai saperlo fare davvero.
Tic, tac.
L’orologio batte i suoi rintocchi più pesantemente. Lei non c’è più.
E’ fumo, ma solo in questa stanza vuota.
E’ amore, tra le braccia di quello stronzo dal ciuffo verde.