Introduzione:
E’
la
prima storia che pubblico, che ha come protagonista Ben Barnes e non so
nemmeno
cosa ne verrà fuori. Va be’, io ci provo lo
stesso.
Dico la
verità, all’inizio avevo pensato di pubblicarla
come un’unica One-shot – quindi
di concluderla con il primo capitolo – ma non escludo
l’eventualità di
continuarla, per questo non ho segnato la storia come completa.
Un’altra
cosa: la storia non ha nessuna pretesa. E anche la
situazione, come
leggerete – be’, se
leggerete – è un po’
inverosimile. In ogni caso, mi è capitato di leggere cose
talmente assurde che
la mia lo sembra forse un po’ meno.
Ecco, ho
finito.
Spero che
vi piaccia e, per piacere, se ne avete voglia lasciatemi la vostra
opinione,
per me sarebbe veramente
importante.
Buona
lettura,
TheOnlyWay.
L’importante
è incontrarsi
«Allora,
ragazze! Cosa ne dite?», domanda la
presentatrice, con un urlo stridulo che le ricaccerei volentieri in
gola.
Che
situazione assurda. Non ci posso credere che io,
Morgan Anderson, vent’anni, sia costretta a fare da
baby-sitter a
un’accozzaglia di cinque ragazzine di tredici anni, tra le
quali ho il dispiacere
di annoverare anche mia sorella Ellie.
Tanto per
iniziare, ancora non capisco come abbiano fatto
ad ottenere sei biglietti – no, dico: sei! – per
questo stupidissimo programma.
Passo a
spiegare: dopo l’uscita dell’ultimo film delle
Cronache di Narnia, certi produttori dalle tendenze bizzarre (e per
bizzarre
intendo alquanto stupide), hanno deciso di creare una sorta di momento
in cui
gli attori protagonisti possono interagire con i propri fan.
In questo
caso particolare con le fan, ossia una mandria
di ragazzine esaurite e totalmente fuori controllo in visibilio per un
attore
che ha trent’anni.
Io, quando
avevo tredici anni, non mi sarei mai invaghita
di qualcuno che ai miei occhi sembrava tanto vecchio.
Ellie invece
sì, e come lei tutte le duecento persone
assiepate nello studio. L’attore in questione, se ve lo state
chiedendo, è
proprio lui. Sì, lui:
Ben Barnes. Non
lo nego, è bello, soprattutto con i capelli un po’
più corti, però mi sembra
davvero assurdo che qui dentro non ci sia nessuno in grado di mantenere
un po’
di contegno.
Vi
stupirà saperlo, ma Ben Barnes risulta nella categoria
degli esseri umani, non delle divinità.
La
conduttrice è una sorta di stangona alta un metro e
ottanta, con le gambe chilometriche e con il seno palesemente rifatto.
Per non
parlare poi dei suoi zigomi e della faccia in generale.
Ha appena
fatto la proposta più idiota, assurda e
completamente insensata che io abbia mai sentito in tutta la mia vita.
E mi
stupisce che non ci sia nessuno a farglielo capire. Dai, non si
può sentire una
cosa del genere.
«D’accordo,
Ben. Ora sceglierai una ragazza tra il
pubblico. Dopodiché avrete un’ora di tempo per
stare da soli. Si, mia cara,
dico davvero», cinguetta in direzione di una marmocchia di
quindici anni. Santo
cielo, Ben Barnes ha il doppio della sua età.
Ben annuisce,
ma non sembra un granché soddisfatto della
proposta: a giudicare dalla sua faccia preferirebbe buttarsi
giù dal Tower
Bridge. E come dargli torto? La più grande qui dentro
avrà ventidue anni.
Si, avete
capito benissimo. C’è gente più grande
di me,
che si comporta come una pazza esaurita. Ellie non sta più
nella pelle, per
quanto spera di essere scelta.
Naturalmente,
se dovesse capitare una tale disgrazia, non
permetterò di certo che vada da sola chissà dove
con un trentenne.
«Un
po’ di silenzio, ragazze. Date a Ben il tempo di
scegliere».
Mi do
un’occhiata intorno, incredula: c’è chi
si mangia le
unghie, chi si attorciglia una ciocca di capelli nella speranza di
sembrare più
carina, c’è chi tiene le mani giunte in preghiera.
E infine c’è chi – solo io,
in realtà – se ne sbatte completamente.
Ben si guarda
intorno; il suo sguardo vaga per tutto lo
studio, soffermandosi ogni tanto su qualche speranzosa fanciulla. Alla
fine,
dopo minuti di intenso ragionamento, il suo sguardo si posa su di me.
Lo fisso
anche io, proprio come lui sta facendo con me, ma sono sicura che la
mia faccia
non ha nessuna espressione vagamente compiaciuta o speranzosa. Anzi,
più che
altro sono del tutto scocciata.
Che palle.
«È
scaduto il tempo!», annuncia la presentatrice,
alzandosi in piedi ed invitando tutte quante a seguire il suo esempio.
Oh, ma
certo! Prostratevi, comuni mortali. Ben Barnes ha scelto
l’agnello sacrificale.
Io me ne sto seduta, primo perché sono in piedi da
stamattina e le gambe mi
fanno un male cane e secondo perché
l’eventualità di essere scelta è
talmente
remota che non ho la minima intenzione di sforzarmi di apparire
partecipe.
«Chi
sarà la fortunata?». Io la ammazzo. Davvero, non
credo di aver mai sentito un’altra voce così
fastidiosamente stridula. È la
cosa più odiosa che esiste al mondo.
Ben sorride,
ma appare ancora poco convinto. Il che,
ripeto, è completamente comprensibile, a mio parere.
«Lei».
Nello studio
cala il silenzio più totale. Giuro, è una
cosa inquietante.
«Finalmente.
Ehi, Ellie, adesso possiamo andare?»,
bisbiglio, nell’orecchio di mia sorella che mi rivolge
un’occhiata incredula. È
la sua amica Julia, una bambina che io avrei proprio evitato di mettere
al
mondo, a rispondere.
Tecnicamente
risponde a Ellie, che ancora se ne sta con
gli occhi strabuzzati a fissarmi come se fossi un’apparizione
angelica.
«Certo
che tua sorella è proprio stupida, Ellie. Non ha
neanche capito che Ben ha scelto lei», si lagna, quasi con le
lacrime agli
occhi.
«Stammi
a sentire, mocciosa. Stupida lo dici a tua m… cosa?»,
so di aver lanciato un acuto
degno della presentatrice, ma ho appena realizzato.
«Fantastico!
La graziosa signorina in sesta fila, ci
farebbe la cortesia di venire sul palco?». Che? Ma tu sei
scema. Primo: graziosa signorina a
chi? E secondo:
cosa? Io non ci vado lì, a fare figure di merda. Ellie mi
tira delicatamente la
manica della felpa, poi si abbassa fino al mio orecchio.
«Per
favore, Morgan. Gli chiedi l’autografo?», mi
supplica, con quegli occhioni azzurri che scioglierebbero anche un
iceberg.
Alzo gli occhi al cielo, ma annuisco.
Poi, seccata
e lievemente indispettita, mi alzo e salgo
sul palco. Ben si è seduto e mi osserva con uno sguardo poco
decifrabile,
mentre la presentatrice è completamente uscita di senno.
«Ti
rendi conto, cara, che tra tante bellissime ragazze,
sei tu la prescelta?», mi domanda, passandomi un microfono.
Lo afferro
titubante, ma vorrei solo sbatterglielo in testa fino a farle passare
la voglia
di dire cazzate.
«Che
fortuna», borbotto quindi, sforzandomi di sembrare
convincente.
«Prima
che voi due andiate, dicci almeno il tuo nome», mi
invita, amabile. Quanto vorrei sparire in questo momento lo so solo io,
credetemi.
«Morgan»,
sputo il mio nome come se fosse un insulto, ma
la presentatrice sobbalza compiaciuta.
«Che
nome fantastico. Se mai avrò una figlia la
chiamerò
proprio come te». Piccolo appunto mentale: se mai questa
dovesse avere una
figlia, vai all’anagrafe e cambia il nome in Guendalina.
Prima che
possa rendermene conto, vengo spinta verso una
porta sulla destra del palco. Una volta dentro, capisco di essere in
una
stanza, sola insieme ad un uomo che non conosco e che è un
attore.
«Non
ci posso credere», sussurro, stranita.
«Cosa,
di essere qui con me?», risponde Ben, andando a
sedersi sul divanetto di pelle bianca posto rasente al muro.
«Ma
per favore. Non posso credere di essere così sfigata.
Non so se puoi capire, ma quella vuole chiamare sua figlia come
me», spiego,
ancora sbigottita. Assurdo. Assurdo.
Ben ride,
divertito.
«E
così ti chiami Morgan. È un nome poco
comune»,
commenta, versandosi un bicchiere d’acqua e porgendone uno
anche a me. Mi
accomodo accanto a lui, mantenendo lo stesso una certa distanza.
«Già.
Se proprio vuoi saperlo, credo che mia madre si sia
drogata, prima di decidere». Ride ancora, prima di porgermi
la mano.
«Non
mi sono ancora presentato. Sono Ben».
Lo guardo, un
po’ stranita. Mi dimentico persino di
stringergli la mano, troppo confusa dal suo sguardo. Ha uno sguardo
ammaliante,
Ben Barnes. Molto profondo.
«Fai
sul serio?», chiedo quindi.
«Se
ti avessi incontrata fuori, mi sarei presentato. Non
funziona così?», chiede, inarcando un
sopracciglio. Ecco, mi ha zittita.
Arrossisco,
come una povera scema.
«Si,
hai ragione. Però non credo che se mi avessi
incontrata fuori ti saresti mai avvicinato», sostengo, in
tutta tranquillità.
Insomma, quando mai un uomo – perché è
ciò che è – così
affascinante si è mai
interessato a me? Appunto, mai.
«Dubiti
così tanto di te stessa?», domanda, incuriosito.
Perfetto, ora mi sembra di essere dall’analista.
«No,
solo che… lascia stare».
«Sono
curioso. Spiegami», e lo sembra davvero.
«Be’,
se ci fossimo incontrati fuori – cosa completamente
impossibile – sono certa che non mi avresti nemmeno notata.
Non mi spiego
neanche come mai tu abbia scelto me. Non prendertela a male, ma non ero
venuta
qui per vedere l’uomo dei miei sogni o per confondermi con
una massa di oche
starnazzanti. Anzi, la mia idea era rimanere completamente invisibile
per tutto
l’incontro, o come cavolo si chiama», gli spiego.
Sento altre parole salire
prima che lui riesca a rispondermi, così le butto fuori. Chi
se ne frega,
tanto.
«Che
poi, scusa se te lo dico, ma è un po’ da pedofili,
scegliere una ragazzina e rinchiudersi con lei in una
stanza». Sembra un po’
piccato, mentre gli parlo e lo capisco, perché ci sono
andata davvero pesante.
Cavolo, gli ho dato del depravato.
«Tanto
per iniziare, non sono un maniaco. E poi, cosa
principale, non ho deciso io di fare questa pagliacciata. Credimi, non
entusiasmava nemmeno me, l’idea. Lì
fuori…».
«È
un delirio, lo so. Urlano e basta».
«E
allora perché sei qui?».
«Ho
promesso a mia sorella che l’avrei accompagnata a
vedere il suo attore preferito. A proposito, dovrò anche
inventarmi una
conversazione alternativa. Non posso dirle di averti dato del
pedofilo»,
ragiono. Lo so, lo so, sto sparando davvero un sacco di cavolate, ma
che volete
farci?
Posso
confermare una cosa: dopo un’ora intera passata con
Ben Barnes, posso assicurarvi che lui è un uomo.
Ed è bello, intelligente e tremendamente affascinante.
È l’uomo che io vorrei
al mio fianco e trovo crudele che la sua realtà sia
completamente differente
dalla mia. Se l’avessi incontrato in un altro contesto,
credetemi, avrei fatto
di tutto per avere una possibilità con lui.
Mancano pochi
minuti allo scadere dell’ora e finalmente mi
ricordo:
«Mi
faresti un autografo?», gli domando, improvvisamente
imbarazzata.
Dio, Morgan.
Sembri una bambina di cinque anni.
«A
chi devo dedicarlo?».
«A
mia sorella. Si chiama Ellie».
Ben
scarabocchia qualcosa con una penna nera, poi mi
restituisce due fogli. Penso abbia fatto un autografo anche per me, ma
non
voglio guardarlo o rischierei di tirarglielo in testa. Sarebbe
parecchio
presuntuoso, da parte sua, avermi firmato un autografo senza che io
gliel’abbia
chiesto. E non sono ancora tanto disperata da credere che un pezzo di
carta sia
la cosa più importante della mia vita.
«È
stato un piacere conoscerti, Morgan».
«Anche
per me», gli sorrido, poi gli porgo la mano. Lui
sorride, ignora la mia mano tesa e si avvicina. Mi lascia un bacio
sulla
guancia, in un punto pericolosamente vicino alla bocca. Sento il sangue
affluire
al viso e l’unica cosa che riesco a fare è
sorridergli timidamente, prima di
uscire dalla stanza.
«Vogliamo
sapere tutto», comunica la presentatrice.
Sai che ti
dico? Và al diavolo. Io non apro bocca.
È
solo più tardi, una volta tornate a casa, che mi ricordo
di dover dare l’autografo a Ellie. Tiro fuori i due foglietti
dalla tasca,
porgo il primo a Ellie, che si mette a saltellare, euforica e
completamente
soddisfatta.
Poi, una
volta rimasta sola, spiego l’altro foglio.
Sapete, mi sono venute le lacrime agli occhi, quando l’ho
letto.
“È
vero, non ci
siamo incontrati fuori ma, se fosse successo, ti avrei guardata di
certo. Così
come ti ho vista tra duecento persone. Non ci siamo
incontrati fuori, è vero, ma ci siamo incontrati. Non
è già qualcosa? E, per
inciso, Morgan è davvero un bellissimo nome.
Ben”
Sotto, in un
angolo, c’è un numero di telefono.
“P.s.
Cosa ne pensi se ci incontrassimo davvero fuori? A cena, Magari.”