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Autore: aki_penn    17/01/2012    7 recensioni
Alberi di Natale di sei metri, Babbi Natale incastrati nel camino, reclami dal vicinato, Maka arrabbiata come non mai: il Natale al Chupa Cabras. [Anche se un po' fuori stagione.]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Coppie: Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Trentotto scalini'
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Ecco la one-shot di Natale che avevo promesso più o meno un mese  fa, credo che sia un po’ strana e forse è stato meglio non pubblicarla per le feste, perché la vedo davvero troppo poco natalizia. Comunque sia, la storia si ambienta due anni dopo la fine di Trentotto scalini, ma la trama è di facile comprensione anche per chi non l’abbia letta. Spero davvero che non sia troppo male e che non consideriate gli argomenti trattati con sufficienza, dato che, a parer mio, è un argomento un po’ delicato. E’ ovvio che questa è la prima reazione di sconcerto, non una visione generale sull’accaduto. Ho cercato di rendere i personaggi il più IC possibile, ma è ovvio che questa è solo la visione che io ho di loro, nel caso pensiate fosse sbagliata fatemelo sapere e aggiungerò l’avvertimento.

 

Dedicata a Mimi, perché prometto un sacco di cose e ci metto un sacco a mantenerle. Spero sia una one-shot degna di essere dedicata.

 

 

Gli alieni nel camino

 

 

 

“Mio padre mi ha assegnato questa sacra missione e io la porterò a termine” sentenziò Kid con un’intonazione severa e lo sguardo grave, di fronte a uno scaffale di festoni natalizi.

Liz, lì accanto, alzò le sopracciglia e si grattò il mento. “Io di sacro ci vedo poco, se devo essere sincera” commentò con le palpebre a mezz’asta in un’espressione evidentemente scettica.

“Devo ammettere, però, che le renne glitterate non sono male” aggiunse  prendendone in mano una. Era una di quelle decorazioni coi brillantini, che perdono luccichio ovunque, poi ripulire tutto dopo il Natale sarebbe stato un incubo.

“Non dire idiozie, Liz. Quell’addobbo così piccolo si perderebbe nell’immensità dell’abete canadese di sei metri che ho scelto per festeggiare degnamente il Natale!” la rimbeccò lui, offeso.

Liz si voltò a guardarlo intensamente prima di ribattere con calma simulata “L’appartamento sfitto in cui festeggeremo tutti insieme la vigilia non arriva a tre metri d’altezza. Come pensi di farci entrare il tuo dannato abete canadese?”

Il ragazzo sbiancò e aprì istintivamente la bocca mentre le labbra gli tremavano “Oddio!” esclamò in preda a una crisi di nervi.

“Già” commentò Liz apatica guardandolo con le stessa espressione di poco prima “Potremmo ripiegare su un abete sintetico, cosa ne pensi? È più economico e si può riutilizzare” propose.

“Giammai!” urlò lui sdegnoso, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans “Non ti permetterò di uccidere lo spirito del Natale in questo modo. E ora, se non ti dispiace, devo telefonicamente fermare l’abbattimento di un abete canadese di sei metri, che per quest’anno ha avuto salva la vita”

L’ultima frase la disse in modo molto snob e allo stesso tempo professionale, mentre si allontanava per avere una conversazione telefonica privata.

Liz fece un sospiro esasperato a occhi chiusi “Dai, Liz, scampato pericolo!” esclamò Tsubaki per tirarla su. Nel suo cappottino blu scuro era molto elegante, anche se era intenta a lambiccare tra le mensole di un negozio di bricolage.

Liz annuì, grata di avere accanto una persona dotata di cervello funzionante “Non so davvero cosa sia passato nella testa al signor amministratore per lasciare a Kid tutte le incombenze riguardo agli addobbi. Ci sarà da diventare pazzi perché tutto sia di suo gusto”

Tsubaki annuì prima che qualcuno di molto rumoroso non cercasse di attirare la sua attenzione “Tsubaki! Cosa ne dici di questo?” chiese con l’aria di chi aveva già deciso. La ragazza zampettò  dal ragazzo che l’aveva chiamata  subito dopo aver detto sottovoce, con aria cospiratrice “Io e Black*Star abbiamo in mente di fare una cosa carina per Natale!”

Liz annuì stancamente, se anche Tsubaki era così divertita dall’idea non doveva essere così terribilmente folle e irresponsabile come ci si sarebbe potuti aspettare da Black*Star in altre situazioni. Meglio così!

Si rimise a guardare le palline per l’albero con aria un po’ stanca, avrebbe voluto spendere quei soldi in smalti e rossetti invece che in quintali di decorazioni natalizie.

“Che ne dici di questa?” domandò a Maka che toccava tutto quello che si trovava davanti con l’aria di chi non ci sta davvero facendo attenzione.

“Oh” fece Maka, che non si aspettava di essere interpellata.

“C’è dentro un Babbo Natale sulla slitta e sembra economica. E c’è anche la neve” spiegò Liz allungandogliela. Maka la prese e la guardò con scarso interesse.

“Oh, è c’è anche questa che ha incorporato un carillon. Se ci fossero dei bambini l’apprezzerebbero, peccato che il signor Mifune e Angela non ci siano questo Natale”

Soul, dietro di loro, trasalì. Era incredibile come la gente riuscisse a parlare a sproposito senza rendersene conto.

Anche se Maka gli dava la schiena poté immaginarsi fin troppo bene la mandibola di lei contrarsi.

“Sì, è un peccato” ammise Maka con un sorriso tirato “Tanto vale lasciarla qui, siamo abbastanza grandi per i carillon, non trovi?” chiese. Liz annuì decisa “Sì e poi costa uno sproposito!” disse accorgendosi  del cartellino col prezzo solo in quel momento.

“Sono pazzi! Credono che mi vada di vendere un rene per addobbare la casa per Natale?” sbottò indignata, facendo ricordare a tutti da che bassifondi veniva.

“Soul!” chiamò poi, Maka e Soul si irrigidirono nello stesso modo, ma Liz non si accorse di niente “Dacci una mano anche tu! Quale pallina ti piace?”

Soul si fece prendere alla sprovvista e indicò la prima che vide “Quella con il pattinatore”

L’amica l’osservò sbattendo le palpebre qualche volta “Ma è orrenda” e in effetti lo era “Dobbiamo scegliere qualche cosa che piaccia anche a Kid, se no chi lo sente quello!” fece, un po’ infastidita, estraendone un’altra con disegnata una renna “Vi pare abbastanza simmetrica questa renna?” domandò dubbiosa.

Un urlo sguaiato interruppe il concilio di decisione natalizia.

“Sorelliiiina!!! Guarda cosa ho trovato! Un’altalena-pneumatico!” urlò Patty in mezzo alle risa, dondolandosi ai limiti del pericoloso su quell’altalena rudimentale, tra lo sconcerto dei commessi.

“Patty! Per la miseria, scendi di lì! Siamo qui per compare gli addobbi, non le altalene!” ribatté Liz a voce alta, avviandosi verso la sorella a passo di marcia.

“Possiamo riempirla di vischio!” propose Patty ilare, mentre Liz lasciava soli Soul e Maka.

Soul deglutì nervosamente, Maka non lo stava guardando negli occhi e quella cosa gli faceva ancora più paura, se era possibile.

Vide distintamente una vena gonfiarsi sulla tempia della ragazza e la mandibola contrarsi, prima che iniziasse a parlare.

“Se non mi vengono, giuro che ti ammazzo” disse seria senza guardarlo, ma fissando le palline senza interesse. In quel momento avrebbe voluto romperle tutte dal nervoso e, se non fosse stata una persona assennata, l’avrebbe fatto più che volentieri.

“Maka…” cercò di dire lui con lo sguardo al soffitto e le mani in tasca, senza il suo solito tono strafottente.

“Sta zitto!” lo rimbeccò lei per poi continuare “E sappi che non è della reazione di mio padre che ti dovrai preoccupare se questa storia finisce male, perché prima che lui lo scopra ti avrò già spezzato le gambe” minacciò. Soul deglutì di nuovo prima di cercare di nuovo di parlarle “Maka…senti…”

“Non ti voglio sentire” soffiò minacciosa andandosene, con le braccia conserte.

Soul appoggiò la fronte a uno scaffale, sconfitto. Avrebbe voluto farle notare che certe cose non si fanno da soli, ma un po’ lei non lo faceva parlare da due giorni a quella parte, un po’ aveva paura della reazione esagerata che avrebbe avuto rendendosi conto di non avere più un capro espiatorio. Doveva fare il capro espiatorio per farla stare meglio? Diciannove giorni erano un sacco di tempo.

“Mer-da” scandì a bassa voce.

 

§

 

“Mmh”. Il signor amministratore aveva un’aria un po’ perplessa e si grattava il mento con la mano, fissando due renne di metallo con attaccate delle lampadine.

“Credo che verremo scambiati per un’astronave, ma mi piace. Sid! Vai con quella spina!” ordinò infine, mentre Kid se ne stava in bilico su una scala intento ad attaccare i festoni.

Le due renne si illuminarono in un accecante bagliore di lucine di Natale, Spirit si coprì gli occhi con le mani, avrebbe avuto bisogno degli occhiali da sole.

“Signore, con questa roba ci beccheremo una denuncia per luci moleste, dai vicini” sentenziò Sid, staccando la spina per paura che qualcuno perdesse la vista. Soul si stropicciò gli occhi, mentre nel suo campo visivo si muovevano palline colorate e luccicanti, a intermittenza.

“Oh, vediamo quanti reclami collezioniamo quest’anno, allora!” esclamò allegro il suo principale. “L’anno scorso siamo arrivati a diciotto” gli fece presente Sid. Il lord amministratore batté le mani contento “Allora quest’anno puntiamo ai venti”

“Con quella roba i vicini crederanno che gli alieni siano atterrati sul nostro tetto” commentò Spirit, mentre Kid, provato dall’eccessiva luminosità delle renne, lamentava di non riuscire a riconoscere più i colori dei festoni (“Mettili e basta, Kid!” “Non se ne parla, Liz, questa è arte e l’arte è ordine!”).

Lord Shinigami si sfregò le mani, contento “Vorrà dire che saranno gli alieni a scendere dal camino per portarci i regali. Io direi che sia ora di andare al bar di Marje e fare gli assaggi degli spumanti per sta sera”

“Non sia mai che non si abbinino bene con l’arrosto” aggiunse, vagamente sarcastico, il dottor Stein.

“Io preferirei del tè” fece sapere il signor Sid, che era un fanatico.

“Allora dottor Stein, come vanno i suoi esperimenti sulle piantine?” domandò poi il signor amministratore, senza dare ascolto al suo assistente.

Il professore scosse la testa, non c’era stato nessun progresso. Lord Shinigami alzò le spalle “Peccato, sarebbe stato bello metterne un po’ nell’arrosto, al posto del rosmarino, sarà per la prossima volta” e quelle furono le ultime parole che sentì Soul, prima che la porta si chiudesse dietro ai quattro uomini.

Kid, intanto, era ancora in bilico sulla scala intento a imprecare.

“Ehm, ragazzi” cercò di attirare l’attenzione su di sé. Sia Kid che Liz si voltarono verso di lui per poi rispondere bruscamente “Che c’è?” in coro, adirati entrambi, ma per un motivo diverso.

Soul si passò la lingua sui denti, non particolarmente preoccupato “Ho portato i centrotavola dorati che mi avevate chiesto…” Kid lo interruppe per chiedere se però le candele erano rosse.

“Sì, sono rosse,  comunque…avete ancora bisogno di me? Volevo andare da Maka” domandò con le palpebre a mezz’asta.

Kid lo liquidò con un gesto della mano “Fai pure, qui ci pensiamo noi due” disse, per poi girarsi verso la ragazza e dire “Oddio che orrore, che cos’è quella roba? Quel fiore finto ha sette petali. Credo che potrei morire se lo guardassi per troppo tempo, Liz buttalo nel camino e accendi il fuoco!”

“Sai perché potresti morire? Perché ti ucciderò io se non la smetti di fare l’isterico!” sbottò Liz adirata mentre Soul si chiudeva la porta dell’appartamento sfitto alle spalle.

Svariati piani più in basso, Maka era intenta a sfogliare il libro di letteratura, le vacanze erano iniziate quel giorno, ma lei voleva mettersi avanti con i lavori. Il problema era che non riusciva a concentrarsi, non era nemmeno riuscita a studiare per l’interrogazione di storia di due giorni prima e non era andata bene. Più o meno era stato quello che aveva fatto scattare un campanello nella testa di Soul e l’aveva convinto a sfinirla di domande finché lei, urlando arrabbiata, non gli aveva spiegato il problema. Sapeva che lui non era l’unico colpevole, ma non ci poteva fare niente, era arrabbiata con lui, forse anche perché di quei diciannove giorni lui era stato in ansia solo due.

Fece un sospiro, pensando che i cioccolatini che sua madre aveva mandato dalla Svizzera fossero molto più invitanti  del libro di letteratura, fu più o meno in quel momento che suonarono alla porta.

Si alzò togliendosi dalle gambe la coperta con cui si teneva caldo e andò ad aprire camminando scalza sul pavimento freddo. I tubi dell’acqua calda riscaldavano solo alcuni punti e a lei a volte piaceva sostarvi, ce ne era uno proprio davanti all’ingresso.

Fece una smorfia quando vide Soul, appoggiato con una spalla allo stipite della porta. Non aveva la solita espressione strafottente, pareva quasi…malinconico.

“Ciao” salutò piatto, mentre lei stringeva forte la porta con la mano.

“Cosa vuoi?” domandò brusca, senza ricambiare il saluto. Soul fece un sospiro “Volevo sapere come stavi” rispose lui, mantenendo la calma.

“Come vuoi che stia?!” sbottò acida, guardandolo intensamente negli occhi. Lui rimase in silenzio per qualche secondo, non sapeva cosa dire. Quella situazione era davvero assurda, avrebbe preferito sapere di essere definitivamente nei guai, avrebbe preferito sapere che Spirit l’avrebbe brutalmente castrato, quella situazione di dubbio era più straziante di qualsiasi consapevolezza.

Avrebbe voluto dirglielo, probabilmente lo sapeva anche lei, ma non aveva il coraggio di andare ad accertarsi di nulla.

“Non mi dai un bacio?” chiese poi, indicando il vischio “Non avevi visto che l’hanno appeso qui?” domandò, la sua solita aria un po’ spavalda era tornata.

“Sì che me ne sono accorta, prima per poco non mi toccava baciare Patty, che è venuta a chiedermi delle puntine. Non voglio sapere cosa le servano, l’importante è che non le metta sulle sedia sta sera” rispose senza guardarlo.

“Quindi?” la sollecitò lui, ancora appoggiato allo stipite della porta.

“Non mi va di baciarti” rispose lei con aria scura, Soul avrebbe potuto giurare di aver intravisto un leggero rossore sulle gote della ragazza.

“Vuoi andare contro alle tradizioni?” la pizzicò lui staccandosi dallo stipite e mettendole una mano sulla spalla e poi piano sulla schiena per avvicinarla a sé con una leggera pressione.

Maka avrebbe potuto opporsi senza problemi, ma rimase a guardarlo con aria impotente mentre si avvicinava, finché, quando Soul appoggiò le labbra sulle sue, non chiuse gli occhi e si lasciò baciare.

Fu veloce, morbido e a fior di labbra e Soul distese di nuovo le gambe che aveva piegato per poter stare alla sua altezza. A diciassette anni era diventato piuttosto alto rispetto a lei, anche se comunque più basso di suo fratello Wes.

Maka fece qualche passo nel salotto lasciando la porta aperta, segno che Soul era invitato tacitamente a entrare. E lui così fece, chiudendosi l’uscio alle spalle. Maka gli dava la schiena, era vestita leggera e senza coperta addosso probabilmente aveva anche un po’ di freddo. Senza pensarci due volte l’abbracciò passandole le braccia sulle spalle e circondandola, fino a sentire la schiena di lei a contatto col proprio petto. Lei chiuse gli occhi e sospirò, la faceva sentire bene, non ci poteva fare niente. Stare vicino a Soul la faceva stare meglio, nonostante tutto.

Soul fece scivolare le mani fin sotto il seno di lei, fino ad appoggiarle sulle sue costole, mentre lei cercava di girarsi un poco per vederlo, anche con gli occhi socchiusi. Lui non perse altro tempo e appoggiò di nuovo le labbra su quelle della ragazza, che si voltò con un fruscio di stoffa. Gli passò a sua volta le braccia intorno al collo, mentre le mani di Soul scivolavano lente sui fianchi.

Si lasciò baciare lentamente schiudendo un poco le labbra per lasciar libero Soul. Le piaceva il suo respiro caldo sul viso e sul collo, lo strinse ancora costringendolo ad abbassarsi ulteriormente, in quei momenti odiava che fosse cresciuto così tanto da non essere mai alla sua portata. Si alzò sulle punte intercettando solo in quel momento un brivido di freddo partire dall’alluce per risalirle le gambe e la schiena e dissolversi a contatto con le mani calde di Soul.

Avrebbe voluto tenerlo ancora più stretto, avrebbe voluto annullarsi dentro di lui e non avere più pensieri solo quella sensazione famigliare che solo lui sapeva trasmetterle. Sentì la forma fredda delle fibbia sulla pancia e avvertì un altro brivido, non avrebbe saputo dire nemmeno lei il perché ma, in un solo momento, tutte le preoccupazioni che l’avevano abbandonata mentre si lasciava abbracciare, tornarono prepotenti e drammatiche come poco prima.

Soul la sentì scivolare in basso, ricadendo di nuovo sui talloni, e abbassare la testa, mettendosi a singhiozzare sul suo petto.

“Maka?” chiamò, preso alla sprovvista. Non sapeva cosa fare, non sapeva cosa dire, lei gli stava bagnando la camicia di lacrime. Alzò una mano, imbarazzato, indeciso se appoggiarla sulla testa di lei in una carezza un po’ impacciata, ma proprio in quel momento ricevette un pugno nelle costole che gli tolse il fiato.

“Siamo in un casino, cacchio! È colpa tua!” strillò allontanandosi di un passo e guardandolo con gli occhi annebbiati dalle lacrime.

In quel momento, Soul, non sentì altro che il sangue rombargli nelle orecchie e urlò “Beh, tu sei in un casino, è un problema tuo!” e così dicendo girò i tacchi e uscì dalla porta di casa  sbattendola con forza.

“Maledetto idiota!” gridò Maka sbattendo i piedi per terra, quando la porta si era ormai chiusa, e gli avrebbe lanciato qualche cosa dietro, se avesse potuto farlo.

Il ragazzo scese di corsa le scale del condominio, l’ascensore era rotto, come di consueto, ma se anche fosse stato funzionante non l’avrebbe preso, era così maledettamente arrabbiato e stordito che non sarebbe riuscito a chiudersi in uno spazio così angusto, neanche per starci per pochi secondi. Aveva bisogno di prendere aria. 

Appena mise un piede fuori dall’atrio del Chupa Cabras, giungendo in cortile, fu colpito in faccia da una ventata d’aria fredda. Rabbrividì e, nello stesso tempo, mentre gli veniva la pelle d’oca, si sentì rinsavire. Chiuse gli occhi e inspirò l’aria fredda, finché una voce non lo richiamò.

“Soul, che ci fai qui?”

Il ragazzo riaprì gli occhi sorpreso e guardò la sua interlocutrice, che era Liz, seduta sulla panchina di legno che d’estate lo accoglieva spesso quando era intento a mangiare i suoi ghiaccioli all’anice.

“Oh, predo un po’ d’aria” rispose lui con quella sua solita aria di sufficienza, poi aggiunse “Da quando fumi?” domandò vedendola intenta ad accendersi una sigaretta.

“Dall’inizio delle vacanze di Natale e credo non smetterò prima dell’Epifania” spiegò lei, tesa.

“Liz è un po’ sotto stress per via di Kid” illustrò Tsubaki, seduta accanto all’amica, mostrando un termos di camomilla. Dei tre, era l’unica ad indossare una giacca. Soul, infreddolito, si andò a sedere in mezzo alle due ragazze, stringendosi nelle spalle. La panchina era gelida, si sentiva che era dicembre inoltrato. Il cielo minacciava neve e Liz sbuffava fumo con la schiena appoggiata sul muro scrostato del Chupa Cabras.

“E’ tutto okay?” chiese Tsubaki, che aveva una spiccata attenzione per la natura umana. Soul alzò le spalle, forse stare in mezzo a un gineceo, che non comprendesse Maka tra i suoi membri, era proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento.

“Ero da Maka. Abbiamo litigato” si limitò a dire poi. Tsubaki alzò le sopracciglia “Nelle ultime due settimane, mi è sembrata un po’ tesa, ma forse è una mia impressione”

Soul mosse solo gli occhi per guardarla, senza spostare la testa di un millimetro “E’ in ritardo” ammise infine lui, allungando le gambe nella terra del giardino.

“La stai aspettando?” chiese Liz, che non stava seguendo al meglio la discussione. Soul le lanciò un’occhiata seria, se si fosse trattato di Black*Star, invece che di Liz, non avrebbe proprio carpito niente. Liz capì e si limitò a dire “Ah”.

“E’ un bel guaio” commentò Tsubaki senza guardarlo, tenendo le mani in grembo. Soul annuì “Per di più lei ce l’ha a morte come me perché dice che è colpa mia” spiegò arricciando le labbra “Mi ha anche tirato un pugno” aggiunse massaggiandosi le costole.

“Un classico” commentò Liz. Soul schioccò la lingua e se la passò sui denti davanti.

“Io le ho detto che è un problema suo” ammise guardando davanti a sé, per non incontrare lo sguardo delle due ragazze. Le due si voltarono infatti a guardarlo e Liz gli rifilò una gomitata dove Maka l’aveva colpito qualche minuto prima. Soul fece una smorfia di dolore.

“E lo pensi davvero?” investigò con la voce grossa e allungando la schiena per essere più alta di lui, che si stava facendo scivolare sulla panca.

“No” biascicò lui con una smorfia di evidente fastidio. “Ero arrabbiato perché mi aveva tirato un pugno” spiegò “però avrei dovuto stare zitto” ammise con un sospiro, chiudendo gli occhi. Sentiva ancora freddo, aveva la pelle d’oca e la stoffa della camicia era gelata.

“Dovresti scusarti” propose Liz, più tranquilla, dicendo ovvietà.

“Lo so” disse Soul con un sospiro, passandosi la mano sul viso.

 

§

 

Soul allungò il collo per vedere cosa stava facendo Maka, seduta accanto a suo padre. Black*Star aveva già sporcato di sugo la tovaglia che Kid aveva personalmente ricamato.

“Hai litigato con Miss Codine?” chiese Wes divertito, mettendosi in bocca un boccone di arrosto. “Stai zitto!” sbottò Soul, acido. Di solito si sedevano vicini, ma quella sera lei non l’aveva neanche salutato. Il signor Albarn se la teneva vicina e rideva parlando col signor Nakatsukasa, che col tempo aveva imparato a non curarsi troppo dell’esuberanza di Black*Star. Masamune, del canto suo, passando poco tempo in casa, si stupiva sempre di come una ragazza tranquilla come sua sorella potesse essere finita con un tipo tanto scalmanato. 

“Lei si è arrabbiata con te. Si vede perché lei ti ignora e tu invece la guardi sempre. Sei quasi inquietante” commentò divertito Wes, sussurrando nell’orecchio del fratello minore. “Zitto” soffiò Soul arrabbiato, pestandogli un piede sotto il tavolo. Wes fece un sorrisetto tirato e l’unica cosa che rivelò il suo dolore fu una maggiore presa sulle posate. Sta di fatto che anche lui si arrese e si limitò a guardare Soul sogghignando e cercando di capire che cosa fosse successo, senza però chiedere più niente direttamente.

In effetti Soul passò tutta la serata a fissare Maka, tanto che più volte sporcò di sugo la tovaglia perché non stava attento a ciò che faceva. Kid, dinanzi a lui, dormiva placidamente sul tavolo, con la guancia schiacciata sulla tovaglia.

“Che gli è successo?” domandò il signor amministratore, senza preoccuparsi troppo. Liz sorrise passando la mano tra i capelli di Kid, addormentato, come se si fosse trattato di un gatto sonnacchioso, e poi indicò una bottiglia di vino che stava sul tavolo “L’ho anestetizzato. Sono sicura che anche lui mi ringrazierà”

Il signor amministratore annuì ammirato “Ottimo. Terrò presente questo metodo”

Patty, che stava rubando i tovaglioli a tutti i presenti per farne origami, ridacchiò contenta.

Ci fu poi la lettura degli auguri da parte di Free ed Elka, che erano andati a vivere in Venezuela e festivano un orto botanico. La prima metà della missiva era occupata da auguri e racconti di vita quotidiana, la seconda, scritta interamente da Elka, era un lista di improperi nei confronti di Medusa. Il turpiloquio fu interrotto dopo le prime due parole perché Medusa, rubato l’accendino a Stein, diede fuoco alla lettera che Arisa stava leggendo ad alta voce. Ci furono delle diapositive, tra le quali finì anche la cassetta dei nudi di Blair, che Spirit custodiva gelosamente tra i suoi tesori, e, a mezzanotte, il brindisi e i baci sotto il vischio. Patty, che amava il vischio, era la più contenta di tutti, Black*Star e Tsubaki a mezzanotte erano già spariti da un po’, non si sa finiti dove, ma nessuno se ne preoccupò, neanche Masamune che sembrava aver fatto amicizia con la band metal evangelica di Justin Law, la quale era stata diffidata dall’intero quartiere ed era costretta a esibirsi a chilometri da casa per via di un’ordinanza del giudice. I condomini del Chupa Cabras, che avevano perso parzialmente l’udito per colpa delle prove del gruppo, non potevano dirsi che contenti.

Dopo il brindisi ognuno si mise a fare quello che voleva, gli Evans che erano venuti solo perché non avevano altro da fare, ma in realtà odiavano tutti, in particolare il signor Albarn, con cui la signora Evans aveva avuto un corpo a corpo traumatico due anni prima, se ne andarono subito. Stein e Medusa rimasero a parlare con le portinaie cercando di farsi vergognare a vicenda, tanto che alla fine le poverine, annebbiate dall’alcol, non capirono più niente. Il responso fu che il signor Stein, in gioventù, aveva sposato un cammello e che Medusa aveva ottant’anni ed era tutta rifatta, entrambe le cose sembravano poco plausibili. Crona si mise in un angolo, turbata dal fatto che il vestito rosso (“È natalizio” aveva detto sua madre) facesse a pugni con la tonalità dei suoi capelli. Maka, invece, si era andata a sedere in terrazza, da sola, a leggere un libro al freddo.

Soul era rimasto a guardarla mentre si infilava il giubbotto e si sistemava i capelli legati con due elastici rossi e spumosi. Con quella roba in testa sembrava molto più piccola, ma non poté fare a meno di pensare che fosse incredibilmente carina. Si morsicò l’interno delle guance cercando di accumulare il coraggio per andare da lei e chiedere scusa. Maka si arrabbiava con lui molto facilmente, ma quella volta sarebbe stato piuttosto difficile chiedere di essere perdonato, era stato davvero un cretino.

Sospirò e, senza nemmeno infilarsi la giacca, uscì in terrazza a passo lento. Per quanto cercasse di fare il meno rumore possibile fu inevitabile che Maka sentisse lo scricchiolio delle imposte che si aprivano dietro di lei. Nonostante questo non mosse un muscolo, sapeva già che si trattava di lui.

“Maka” chiamò piano, con quel suo modo un po’ strascicato che allo stesso tempo, per una volta, teneva dentro di sé un po’ di preoccupazione.

Maka emise un suono indefinibile che gli fece capire che l’aveva sentito, ma non si voltò e lui le si mise dietro rimanendo in piedi, piuttosto infreddolito.

“Senti…per prima…non lo pensavo davvero…” inizio indeciso, tormentandosi le mani. Gli facevano male per il freddo, ma quasi non ci fece caso dal tanto che era assorbito a fissare la nuca di Maka.

“Lo so, ma sei un cretino lo stesso”

Soul si morse la lingua, lei continuava a non voltarsi e la sua intonazione non era delle più rassicuranti. Si avvicinò di qualche passo fino ad appoggiare la fronte sulla spalla di lei, chinandosi.

Maka rimase immobile stringendo i bordi del libro che stava leggendo e deglutendo faticosamente.

“Senti, se deve succedere affrontiamo questa Natività…è anche il giorno di Natale…” aggiunse un po’ sprezzante come sempre, anche se la posizione in cui era stemperava un po’ la strafottenza.

Maka sospirò un po’ irritata “Il giorno della Natività è quello del Natale, non mi sembra che debba nascere nessuno oggi…se devi fare delle battute falle per bene” sbottò. Quando una nasce precisa, nasce precisa, e Soul era più che sicuro che Maka fosse nata così. Rialzò la testa rimanendo comunque piegato in avanti abbastanza da poter sussurrare all’orecchio di lei.

“Beh, hai capito, no?” fece mordendosi il labbro inferiore. Non poteva farci niente, era ancora agitato, perché lui e Maka erano nei guai e perché lei lo odiava.

Fu solo allora che lei si girò, con un sospiro “Non sono incinta e adesso, se non ti dispiace, ho mal di pancia” sbottò infine, un po’ scocciata. Soul, che si era raddrizzato, la guardò un po’ perplesso sbattendo le palpebre, senza capire immediatamente cosa le desse così tanta sicurezza, poi s’illuminò “Ah. Bene…cacchio…”commentò senza sapere bene cosa fosse giusto dire in quelle situazioni, poi, molto poco furbamente, continuò “Ma quindi…quindi…niente…”. Maka dimostrò  di non aver capito niente, se Soul avesse spiegato il suo pensiero a parole probabilmente non sarebbe successo niente di grave, l’idea di illustrare la situazione a gesti si dimostrò invece piuttosto nefasta dato che il tomo che lei stava leggendo gli si incastonò nel cranio.

“Maledetto porco” e così dicendo se ne tornò dentro con gli altri, lasciandolo esanime sul terrazzo.

 

§

 

Il tetto era parzialmente ghiacciato e Tsubaki aveva un gran freddo alle gambe, nonostante la calzamaglia marrone. Si tolse gli occhiali da sole, dato che Black*Star aveva abbattuto le renne aliene a pedate.

“Black*Star, è proprio necessario tutto ciò?” domandò piagnucolando infreddolita “io ero convinta saremmo entrati dalla porta” spiegò. Aveva capito male le intenzioni di Black*Star, era per quello che l’idea pareva così innocua.

“Non se ne parla” ribatté il ragazzo sistemandosi la barba finta da Babbo Natale, mentre le corna da renna di Tsubaki franavano da una parte “Babbo Natale scende dal camino, non entra certo dalla porta”.

“Potrebbe essere un Babbo Natale alternativo” propose la ragazza. Black*Star scosse la testa risoluto, indicando il buco del camino. Lei sospirò, quello sarebbe stato il peggior Natale di sempre, per lo meno non usciva più il fumo del fuoco, questo voleva dire che non rischiavano di morire arrostiti.

La prima a infilarsi fu lei, costretta dal ragazzo, il quale non aspettò abbastanza prima di buttarsi a sua volta ed entrambi finirono incastrati nella canna. Ci volle un bel po’ prima che riuscissero a liberarsi e a cadere in un mare di fuliggine, alzando un gran polverone.

Le luci erano tutte spente e la sala era deserta, se ne erano andati tutti. Black*Star sbuffò offeso “Questa non è la mia epoca, sono arrivato in anticipo”

Tsubaki si appoggiò col volto nero, sporco di fuliggine, alla spalla calda da Black*Star, esasperata “Avrei detto che fossimo in ritardo invece, sai. Buon Natale, Black*Star”

 

 

   
 
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