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Autore: Giaduz_smile    18/01/2012    1 recensioni
Mi teneva stretta a lui, come nessuno aveva fatto prima.
Nonostante le innumerevoli lotte con il mio cuore lui restava sempre il centro della mia esistenza. Era droga, pura estasi. Ero lì..immobile. Avvolta dai miei piccoli e profondi pensieri quando lasciò scivolare la sua mano sui miei panni umidi. Mi sentii sfiorare..un brivido. Poi, i miei muscoli in tensione e le mie guancie colorarsi.
Era eterna e insaziabile voglia di vivere. Capii subito di essere dipendente dalla sua bocca, da ogni sua parola.
Amavo il suo sorriso e quello che riusciva a regalarmi con uno sguardo.. quello che riesce ad oltrepassare qualsiasi barriera, il più bello mai visto. Uno sguardo innamorato.
Su quel letto, all'interno di quelle scandalose mura esistevamo solo io e lui. Niente di tutto il resto aveva più importanza.
Era per me un cappio, una catena alla caviglia ma una delle poche cose che ho imparato e che non bisogna mai tornare indietro perché se si va avanti si hanno tutte le ragioni per restare.
«Hai freddo?»
Non risposi, restavo immobile ad ascoltare il nostro silenzio avvolgerci in un vortice di vergogna, timore.. amore.
Forse non avevo ancora realizzato quanto fosse impossibile stare insieme...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Questa è la mia prima storia, e vorrei sapere il vostro parere, se vi piace o no... se avete consigli su come migliorare o cosa aggiungere dite pure, si accettano tutte le critiche costruttive ;D






Mi teneva stretta a lui, come nessuno aveva fatto prima.
Nonostante le innumerevoli lotte con il mio cuore lui restava sempre il centro della mia microscopica, grande esistenza. Era droga, pura e distruttiva estasi. Ero lì… immobile. Avvolta dai miei piccoli e profondi pensieri quando lasciò scivolare la sua mano sui miei panni ancora umidi. Mi sentii sfiorare… un brivido. Poi, i miei muscoli in tensione e le mie guancie colorarsi.
Era eterna e insaziabile voglia di vivere. Capii subito di essere dipendente dalla sua bocca, da ogni sua parola, da ogni suo gesto.
Amavo il suo sorriso e quello che riusciva a regalarmi anche solo con uno sguardo… quello sguardo che riesce ad oltrepassare qualsiasi barriera, lo sguardo più bello mai visto. Uno sguardo innamorato.
Su quel letto, all'interno di quelle scandalose mura esistevamo solo io e lui. Niente di tutto il resto aveva la minima importanza.
Era per me un grande cappio al collo o una pesantissima catena alla caviglia ma una delle poche cose che ho imparato e che non bisogna mai tornare indietro ne voltarsi perchè se si è andati avanti si hanno tutte le ragioni per restare.
«Hai freddo?» disse
Non risposi, restavo immobile ad ascoltare il nostro silenzio avvolgerci in un rumoroso vortice di vergogna, timore… amore.
Forse non avevo ancora realizzato quanto fosse impossibile stare insieme ma in quel momento, in quel preciso momento la mia testa era vuota come una noce di cocco. C'era il suo viso, il suo viso, e altre migliaia di volte il suo viso.
Lo guardai per ore e ore, senza dire nulla.
Non esistevano parole per descrivere come riusciva a farmi sentire…
«T-ti amo…» la mia voce tremò e poco dopo si spense.





Era appena finita la scuola e come ogni anno mamma decise di emigrare verso paesi più caldi.
Papà come sempre era uscito presto per comprare le ultime cose necessarie per il viaggio ed io non avevo neppure sentito la sveglia.
Scesi di corsa con gli occhi ancora socchiusi e trovai mamma prepararmi la colazione. Lei si che era brillante in ogni secondo della sua vita.
A dire la verità non avevo molta voglia di partire, ma diciamo che era un hobby di famiglia.
«Non sei contenta di andare in Messico, tesoro?» mamma si avvicinò scompigliandomi i capelli «Potrai farti nuovi amici e magari chissà, trovarti un fidanzatino!» sghignazzò.
Afferrai la mia solita tazza stracolma di succo d'arancia e mi accasciai sul divano davanti la tv.
«Sì…» dissi sottovoce.
«Isabel, non devi essere triste ogni anno. Ti troverai bene lì... puoi giurarci!»
Mamma era sempre di buon umore e non ho mai capito come facesse ad essere così vitale alle 8 del mattino!
«Preparo la valigia!» feci un sorriso superficiale e tremendamente finto e corsi di sopra.
Mi dispiaceva lasciare la mia camera e i pochi amici che avevo lì ma soprattutto mi dispiaceva lasciare la mia migliore amica, l'unica che davvero contava più di qualsiasi altra cosa per me. La conobbi alle scuole elementari e da quel giorno non esiste alcun momento dove io mi sia ritrovata senza. Il suo nome è Thamara Willson. Una ragazza dai lunghi capelli neri e ricci,che secondo me,hanno sempre voluto accentuare il suo animo caldo e ribelle, occhi azzurrissimi come il mare e un bel fisico.
Era perfetta ai miei occhi e lo è ancora. Quello che mi sconvolgeva di questa partenza era il non poterla vedere per così tanto tempo, mi presi di coraggio e cercai in tutti i modi di prenderla nel miglior modo possibile.
Dopo poche ore sentii mamma e papà caricare le valigie in macchina, io restavo ancora seduta sul mio letto a riflettere invano.
Prima di scendere mi guardai allo specchio. I ricci color oro si posavano dolcemente sulle orecchie, coprendole. Piano piano scesi con lo sguardo fino ad arrivare alle mie labbra, rosee e leggermente carnose; la mia pelle era bianca come la porcellana… forse con il sole del Messico sarei riuscita a dare un po’ di colorito alle mie guancie, pensai.
«Isabel Rose Johnson! Hai solo tre minuti per sederti in macchina!» la voce di papà ronzò in ogni minima parte del mio cervello, scossi la testa e lo assecondai.
«Eccomi, eccomi!» lasciai scivolare la valigia nel cofano e rassegnata entrai in macchina.
Amavo guardare le nuvole fuori dal finestrino, era come se a volte potessi arrivare a toccarle e magari chissà, sdraiarmici sopra. Mentre osservavo tutto quello che il mio sguardo riusciva a cogliere i miei pensieri diventavano sempre più fitti, fino a far diventare tutto quello che mi circondava un invisibile puntino ai margini di ogni cosa.
«Arrivati!» dissero in coro.
«Wow» fu l'unico atomo di lettere che riuscì a fuori uscire,spento, dalla mia bocca.
La casa si trovava in una strada deserta, con tantissimi alberi ma tutto sommato non era male..
Si innalzava su tre piani forse un po’ troppo grande per tre persone. Sorrisi al pensiero.
«Vado nella mia stanza.» dissi curiosa.
Era gigantesca e la prima cosa che feci fu guardare fuori dalla finestra accorgendomi subito di avere altre due case attaccate ai lati. Si, inizio il mio momento paranoico. Non mi parlerà nessuno, sono noiosa. Oh mamma! Adesso che faccio?
Alla fine presi un respiro e giurai a me stessa che sarebbe andato tutto bene.
Restai quasi tutto il pomeriggio sdraiata sul letto ad ascoltare musica. Non sistemai subito le mie cose nella speranza che un meteorite cadesse sulla casa, che tale avvenimento non portasse nessun morto e che tutta l'intera famiglia si vedesse costretta a tornare a Torrence. La vita lì sembrava più che noiosa ma una speranza mi sollevò per qualche secondo quando suonò il campanello.
«Vado io!» mi precipitai sulla porta.
«Ciao, mia mamma vi manda questi dolcini e vi da il benvenuto.» esclamò una ragazza sorridente.
«Grazie, piacere Isabel.» ricambiai
«Chantal, beh allora ci si vede.»
Sicuramente non sarebbe stato cortese lasciarla andare via
«Ti va di entrare?»
Accettò subito «Prego.»
Chantal era veramente una bella ragazza, magari di più se non fosse stata una finta bionda.
«Dove abiti tu?» sembrava incuriosita
«Torrence, qui fa molto caldo ma con i miei non si discute>> feci una smorfia.
Restammo sul divano a parlare per ore, mi raccontò quasi tutta la sua vita, che per lei era abbastanza rilevante per un eventuale amicizia.
Loro vivevano a New York. Anche lei era figlia unica, suo padre lavorava in polizia nella loro città però riusciva nei tre mesi dell'estate a lavorare come sceriffo proprio in Messico. La mamma invece era una casalinga, più una nulla facente per come la descrisse. Poi beh, mi raccontò di tutto quello che le sbucava in mente durante la conversazione, incondizionatamente se fosse importante o meno.
«Tuo padre invece,che lavoro fa?»
Avevo super giù capito quale fosse la sua mentalità e vi confido che pensai subito che se avessi risposto "Il bidello" si sarebbe alzata e non l'avrei più rivista…
«È un avvocato, mia mamma gli fa da segretaria.» risposi seriamente, anche se non volevo che la "nostra eventuale amicizia" si basasse sull'idea della buona famiglia.
«Mitico! Allora ti va di uscire con me stasera? Ovviamente ci saranno altri ragazzi, come noi intendo.» fece l’occhiolino.
Mi limitai a sorriderle, questa mentalità non mi piaceva affatto. Ma cosa avrei potuto fare? Risponderle e rovinare tutto? Ritrovarmi sola e magari restarci per altri lunghissimi tre mesi? So che quello che avevo appena fatto non era giusto nei confronti dei miei ideali, ma comunque incassai il colpo.

«Stasera esco!»
«Esci? Con chi?» mamma sembrava stupita
«Chantal e dei suoi amici…» nonostante tutto non ero poi così euforica.
Indossavo un vestitino rosa confetto alle ginocchia con un mega fiocco che stringeva le estremità del colletto, scarpette di una tonalità più chiara e un copri spalle nero.
«Ciao mamma…» chiusi la porta dietro di me e raggiunsi Chantal davanti casa sua.

«»Stai benissimo!» mi abbracciò non appena mi raggiunse, sbarrai gli occhi e ricambiai il complimento.
«Ciao io son-»
«Lui è Lucas, Christy, Jenny e Paul!» disse Chantal elettrica.
«I-io sono…»
«Isabel!» mi interruppe…
«Già.»mi sentii a disagio ma cercai di non farlo notare più di tanto.
Dopo qualche isolato trovammo un bar "chiccoso" dove non vi era alcuna ombra di gente nativa. Ma infondo loro questo già lo sapevano.
Restammo li seduti per un paio d'ore a parlare del più e del meno ma si finiva sempre col parlare dei soldi. Avevo ben capito quali fossero gli ideali all'interno di quella comitiva: ricconi, viziati ed estremamente snob, vedevano i messicani come gente inferiore. A dire il vero vedevano tutti così se non avevano un reddito annuale che superava i diecimila dollari.
«Il padre di Isabel fa l'avvocato.» disse Chantal agli altri ragazzi, che non persero tempo a classificarmi come "possibile amicizia". Di questo ne ero certa.
«S-sì proprio così…» o mi sbatto la testa al muro o scappo via urlando pensai.
Non erano male come ragazzi anzi erano abbastanza simpatici, magari se non fossero stati così chiusi mentalmente mi sarebbero piaciuti subito. Invece non fu così.
«Non pensate che per dei ragazzi sarebbe meglio qualcosa di diverso?» dissi guardandomi intorno
«Tipo?» Jenny era incuriosita da quello che sarebbe uscito dalla mia bocca, se solo Christy non mi avrebbe anticipata sono sicura che mi avrebbe dato retta..
«Magari domani sera, ormai abbiamo ordinato.»
Posai i soldi sul tavolo, chiaramente volevo scappare via.
«Non è sicuro camminare per strada a quest'ora.» Chantal fece una smorfia e gli altri scoppiarono a ridere.
«Il conto, grazie.» mi alzai di scatto..
«Subito signorina.»
Paul mi guardo sorridente e aggiunse: «Ti accompagno io se sei d'accordo…»
«S-sì certo.» non potei fare a meno di guardare Chantal. Il suo sguardo cambiò, era forse innamorata di Paul?
«Pago io…» mi mise i soldi tra le mani e mi aprì la porta.
«Ci vediamo domani…» dissi accennando un saluto collettivo.
Paul era veramente carino, il tipico principino biondo occhi azzurri.
«Sei davvero carina.» aveva un bel sorriso…
«Stavo pensando la stessa cosa…» abbassai il capo, non ero più abituata a stare così vicina ad un ragazzo.
La mia ultima storia risaliva a due anni prima, quando avevo soltanto quindici anni, mi innamorai del figlio di un amico di papà che finì con il mollarmi tramite sms.
La mia idea d'amore oscillava tra il non crederci affatto o nel crederci troppo. L'unica certezza che avevo era che in entrambi i casi faceva male. L'essenza della parola amore che avevo prima di tutta questa storia non aveva nulla a che fare con quello che era realmente. Smisi di pensare e tornai sulla terra.
«Allora dove mi porti?» cercai di cambiare discorso il più fretta possibile.
«C'è un locale dove si riunisce tutta la gente di queste parti, ho capito che è questo quello che vuoi vedere!» non sembrava contento, ma non esitai.
«Davvero? È lontano?»
«Non molto, andiamo…» prese le chiavi della macchina e mise in moto. Qualche volta lo guardavo e appena si incrociava il mio sguardo col suo lo buttavo giù immediatamente.

«El Toro Blanco… wow!» ero elettrica, lui neanche un po’. Non gliene feci una colpa; loro erano così perchè le loro famiglie erano così. Non appena sarebbero cresciuti un po’ sarebbe sicuramente cessato questo loro comportamento.
«Non so come faremo a farci capire…» sorrise
«Io forse potrei facilitare le cose, vamos!» mi avvicinai al tizio che stava davanti l'ingresso e lo salutai…
«Hola!» non ero molto convinta ma cimentarmi nella lingua spagnola mi divertiva molto
«Bienvenidos en el Toro Blanco, allì està un table…» disse con tono caldo e accogliente
«Gracias…»
Paul non sembrava estasiato. «Cosa ha detto?»
«Benvenuti li c'è un tavolo!» non riuscii a trattenere le risate.
Prendemmo da bere, tutto sembrava tranquillo. Mi infastidì qualche occhiata indiscreta puntata addosso, ma obbiettivamente non poteva essere diversamente. Alla maggior parte della "gente come noi" piace il Messico non i messicani, di conseguenza non siamo visti di buon occhio.
«Vamos a bailar gente!» la voce riempì tutto il locale, e tutti e dico tutti al suo interno si misero in pista.
Faceva molto balli proibiti alla Dirty dancing, mi sarebbe piaciuto ballare in quel modo. Era come se la musica pompasse al cuore ad una velocità straordinaria, c'era armonia fra tutti quei corpi che se fossero stati uniti, uno sopra l'altro, sarebbero diventati un magnifico quadro psichedelico.
In un attimo diventò parte integrante della serata, musica seria.
«Vamos a bailar chico?» mi alzai.
«Con piacere!» prese le mie mani e mi strinse a lui.
Restai immobile con il viso sul suo petto… non sapevo se allontanarmi o stringermi di più. L'unica cosa che riuscii a fare fu non pensare, in occasioni come queste mi riusciva benissimo.
«È… è divertente…» dissi sussurrando.
«Cosa? Non ti sento!»
In effetti era impossibile sentire qualsiasi cosa che non fosse la musica ed io avevo persino sussurrato perchè avevo paura che mi sentisse. Allora perchè dirglielo? E addirittura ripeterlo?
«Ho detto è divertente!» mi ritrovai quasi ad urlare.
«Paul?? Lucas ha detto che deve tornare! Paul!» rovinò tutto, chi? Chantal. Arrivo con il resto della comitiva e urlò come se la visione di me e Paul così vicini non la sfiorasse minimamente anzi addirittura come se non la vedesse.
«T-ti.. ti chiamano…» dissi infastidita.
Non perse tempo ad allontanarsi ed io non persi tempo a fingere che non importasse il fatto che avessero infranto tutto così velocemente.
Raggiunti gli altri cercai di raccontare la serata, ma tutti avevano le stesse facce che avevo io precedentemente al bar, quindi rinunciai.
«Beh, penso si sia fatto tardi…»
«Ti accompagniamo.» aggiunse Christy.

«È stata una bella serata, ci si vede…» non era così terribile, Paul intendo.
«Anche per me, buenas noches chico!» disse .
Non potei evitare di ridere «Buenas noches chica!» probabilmente non capì l'errore grammaticale, ma il suo stesso errore mi risultò dolce.
L'indomani la mattina passò velocemente tra il sistemare scatoloni e l'ascoltare musica spagnola. Chantal venne a trovarmi per pranzo e passammo la maggior parte del tempo a parlare di diete, soldi e ceti sociali. La discussione si fece più interessante quando arrivò l'ora del the.
«Allora. Paul ti piace?» disse indiscreta.
Non sapevo bene cosa rispondere perchè in realtà non lo sapevo neanche io, quindi decisi di prenderla per le lunghe
«Come, non piace a te?»
Le sembravo forse stupida? Avevo notato come lo guardava o meglio come seguiva con lo sguardo ogni suo spostamento. Nonostante ciò non volevo che questo creasse problemi tra di noi, per i ragazzi non ne vale mai la pena.
«A me? Oh no cara! Non sai qual è il mio prototipo di ragazzo.» sembrava imbarazzata, secondo me le piaceva tanto e lui non se la filava.
«Allora si, è carino ma non saprei.» restai vaga. Magari teneva una pistola in borsa, in quel caso sarei stata spacciata. «Hai il suo numero?» continuai.
«Certo.» fece una pausa prima di continuare il suo discorso, poi riprese: «Io ho il numero di tutti, prendi una penna.»
Pensai che ciò che mostrava Chantal era più un autodifesa che una sorta di cattiveria. La conoscevo da soli due giorni quindi sarebbe stato banale giudicarla di botto.
Lo scrisse su un pezzo di carta e lo posò sulla scrivania.
«Grazie.» mi sentii subito in colpa, stavo per gettare nel cestino il post-it sul quale aveva scritto il numero ma interruppe ogni mia azione. «Comunque,per tua informazione, ha già chiesto il tuo.»
A cosa sarebbe servito gettarlo?
«Mitico!» cercai di imitarla ma il risultato fu scadente.
«Scendiamo al molo? Ne ho sentito parlare al El Toro Blanco.»
Mi guardò torva e poi parlò con una velocità indescrivibile.
«Non c'è gente come noi lì, non che io sia razzista ma diciamo che i miei non sarebbero d'accordo…»
Ecco che tutte le mie teorie vennero confermate, loro non erano realmente così, le loro famiglie lo erano. Avrei voluto tanto bussare alla porta di ognuno di loro e fargli una lezione di vita ma subito dopo realizzai di non essere un eroina come a volte riuscivo ad immaginare di essere.
«E allora? Sarà divertente vedere le loro facce invidiose.» ovviamente mentii, ma forse era l'unico modo per vederlo in compagnia.
«Ok chiamo gli altri!» sembrava divertita da qualcosa che a me invece non divertiva affatto, ma il secondo giorno ritrovarmi sola come ogni anno, non era nelle mie migliori prospettive.
Christy si rifiutò di venire, gli altri accettarono indifferenti.

«Paul, sei vestito divinamente oggi…» Chantal lo guardò e gli sorrise.
Capii subito che lo aveva fatto apposta, ma riuscii a mantenere la calma. Diventava sempre più difficile comprendere i suoi comportamenti o per meglio dire i suoi sbalzi di umore.
«Lucas, ti va di prendermi dei churros li all'angolo?»
mi guardò e accetto immediatamente.
Lucas era molto silenzioso, forse timido. I lineamenti del suo viso erano molto accentuati, ma restava comunque un bel ragazzo. Era poco più alto di Paul e aveva occhi e capelli castani. Un bel tipo.
«Grazie!, tu sei fidanzato?» dissi con la bocca piena «Scusami.» sorrisi.
«No, ho finito la mia storia con Christy qualche mese fa, troppo possessiva.» alzò un sopracciglio.
«Oh beh, meno male che non è qui allora!» scossi la testa e accennai un sorriso.
Chissà quanti segreti esistevano fra quelle cinque persone.
I segreti li ho sempre pensati in modo molto negativo. Non perchè io non ne avessi, ma venirne a conoscenza porta sempre a qualche rischio. Un segreto non è al sicuro se a saperlo sono in troppi, il segreto è un segreto quando lo tieni nascosto nell'abisso della tua propria anima senza condividerlo con nessuno.
Chissà quante cose nascondevano, e chissà quante bastonate dovevo ancora prendere.
Jenny invece era dolcissima, un po’ sulle sue e forse l'unica più vicina al mio nucleo di idee. La meno snob, ecco.
Tutti e cinque si conoscevano da un po’ poiché ogni anno le loro famiglie sceglievano sempre le stesse case per rincontrarsi, era una vera e propria comitiva ed io c'ero entrata bene.
«Eccoci qui!» disse Lucas indicando il "molo".
Il lago era immenso e anche il molo lo era.
«Potevamo portare i costumi!» disse Jenny.
In effetti faceva un caldo infernale e prendere il sole non sarebbe stata una cattiva pensata.
«Svegliati! Non siamo qui per divertirci! Al Pacific ci divertiamo, non qui.» aggiunse Chantal.
Subito dopo Paul mi spiegò cosa fosse il Pacific: una zona interamente per turisti, una sorta di parco per ricconi.
«Giusto?» Chantal si voltò verso di me ed io annuii.
Sul molo faceva un caldo pazzesco, iniziavo a sudare e non riuscivo a reggermi in piedi
«Prendiamo da bere? Fa veramente caldo...» chiaramente non ero abituata.
«Stai bene cara? Sei un po’ palliduccia.» disse Chantal posandomi la mano sulla fronte
«S-si, solo un calo di zuccheri, tutto ok.» risposi secca.
«Sì dai, prendiamo da bere.»
Non riuscii a capire bene chi rispose alla mia domanda e caddi per terra.

«Isabel… Isabel…» la voce di Paul mi ronzò in testa per qualche minuto, poi ripresi conoscenza.
«Sì… sì… va tutto bene.» balbettai.
Mi aiutarono ad alzarmi e un messicano mi portò dell'acqua fresca.
«Muchas gracias señor…» sorrisi, ricambiò il saluto e si allontanò.
«Non dovevi accettarla.» disse Chantal quasi schifata.
Mi sentivo un verme dopo aver solo finto di essere infastidita dai nativi, quindi scoppiai coprendo Chantal di parole sparate a raffica strapiene di rabbia.
«Senti, perchè non la pianti? Mi ha aiutata! Se non avrebbe voluto non sarebbe stato così gentile da portarmi dell'acqua! Dovresti cercare di essere meno infantile e più disponibile! Sai, non è buona gente solo chi possiede più di due proprietà, o chi può permettersi di comprare un oggetto nuovo al giorno! La vera ricchezza sta nel cervello Chantal, e nel cuore! E sai una cosa? Io non sono contro i Messicani ne contro nessun ceto sociale!! non lo sono mai stata!! mi stanno piuttosto più simpatici della "gente come noi", torno a casa…» sentii il sangue arrivarmi al cervello quasi da sentirlo scoppiare, raccolsi le mie cose e sinceramente non mi importava se li avrei rivisti o meno.
«Vengo con te.» disse Jenny sorridendomi. Avevo un forte mal di testa e ora quella disgustata ero io.
Gli altri restarono lì, compreso Paul.
Faceva così tanto per farmi capire che gli piacevo e poi mi piantava in asso così?
Erano tutti così stupidamente uguali che persi tempo a riconoscerlo.
«Chantal non è una cattiva persona.» disse Jen continuando a camminare.
«Lo so.» non sapevo cosa altro aggiungere e quindi mi fermai a quelle due sole parole rinsecchite.
«Comunque, sei molto carina Isabel…» era timida e forse più piccola di noi di un anno.
«Grazie…» sorrisi «Io sono arrivata, a domani piccola Jen!»
Mi guardò e scappò via.

«Che giornata…» dissi sbuffando
«Ti sei fatta dei nuovi amici eh?» papà non desiderava altro, insomma, così non lo avrei riempito di paranoie e non lo avrei costretto a guardare la tv e a giocare a scacchi tutto il giorno.
Mi sforzai di non far capire il mio malessere ma risultò tutto inutile.
«Sei un po’ pallida tesoro.» mamma iniziò a toccarmi il viso, a controllarmi il corpo e perfino le orecchie…
«Mamma! Non ho nulla, solo un po’ di mal di testa.» la rassicurai «Davvero mamma, devo solo riposare.» dissi distratta, non la feci neanche rispondere e corsi in camera.
La sensazione era strana, come se la testa si preparasse ad uno scoppio primordiale oppure come se qualcosa potesse uscirne fuori da un momento all'altro. Ad un tratto sentii squillare il cellulare.
«Pronto?» dissi con fiato corto.
«Sono Paul, come ti senti?» al telefono aveva ugualmente una voce bellissima.
«Va meglio,grazie, voi ancora tutti insieme?»
Sì, mi aveva "bidonata" lasciandomi lì, ma infondo non potevo essere arrabbiata con lui. Non ne ero ancora capace.
«Aspetta.. Chantal voleva parlarti.»
Feci un respiro profondo e l'ascoltai silenziosa.
«Ciao… v-volevo dirti che potevi benissimo dirmelo che la pensavi diversamente.»
«Ah si? Non credo l'avresti accettato.» dissi piccata.
«Lo avrei fatto, forse ti avrei un po’ presa in giro ma poi sarebbe passata.» disse sarcastica
«Sarebbe passata? Non capisci quanto sia grave avere questi ideali per i tempi che corrono? Scommetto che tu non sai nemmeno cosa significa avere difficoltà economiche. Non è qualcosa di cui vergognarsi anzi, è più dignitoso sudarsela la bella vita che ereditarla…» ero determinata, mi sarebbe piaciuto cambiarle il cervello, ma come già detto era una cosa tipica della sua famiglia pensarla così. Parlai così velocemente che ebbi bisogno di prendere aria, poi aggiunsi: «Non ho tempo da perder-»
«Aspetta.. Ti chiedo scusa, forse ho esagerato con la storia dell'acqua, non succederà più.» sembrò ironica ma nello stesso tempo sincera. Ad ogni modo persi le speranze… la salutai e chiusi la chiamata.
Affondai la faccia nel cuscino ma il mal di testa non passò per niente, lo sentivo anche mentre dormivo.
Mi trovavo al molo, il sole batteva forte sul mare, l'aria fresca sbatteva contro il mio viso violenta, dolce… era tutto così piacevole da volerci rimanere una vita intera.
La sensazione di libertà e di leggerezza era qualcosa che difficilmente si crede esista realmente. Ma come tutti i sogni arriva quel momento dove si capisce che niente lì è reale.
Tutto d'un tratto quel sole che batteva cocente si spense, quell'aria fresca si trasformò in una brezza gelida e intorno a me soltanto l'alone di una bellissima voce premere insistente nei miei timpani.
«Isabel.»
Non riuscivo a vedere nulla, stesi le mani in avanti per trovare un appoggio, era come se mi trovassi in un altra dimensione. Attorno a me il nulla.
«Isabel!» ripeté la voce. Quel sussurro si fece sempre più chiaro fino a sembrar essere pronunciato,forse, eccessivamente vicino..
«Chi c'è?» quasi urlai.
«ISABEL!»
Mi svegliai di soprassalto.
La mia vista era sfocata, avevo tutti i muscoli del corpo completamente bloccati, volevo urlare ma dalla mia bocca non uscì nemmeno un suono. Era come se stessi ancora sognando e quel sussurro non faceva che echeggiarmi nella mente.
«Il caldo non fa per me.» finalmente riuscii ad alzarmi e scesi di sotto.
«Ho fatto un sogno strano, più un incubo direi.» mamma mi ascoltava incuriosita, continuai «Sentivo una voce ma non capivo da dove provenisse, poi il buio…» mentre raccontavo cercavo di ricordare qualcosa di più, ma niente da fare.
«Succede quando il corpo non è in perfetta forma, è solo un sogno.» mi stampò un bacio in fronte e tornò in cucina.
«A proposito, esco più tardi!»
«Ormai non ci sei quasi più a casa! Ma è meglio così cara…» se lo diceva lei perchè non crederci?
Decisi di vedermi sola con Paul, senza gli altri era più simpatico.
Mi venne a prendere davanti casa, ma prima di uscire dovetti fare i conti con la gelosia di mio padre…
«Preso lo spray?» disse sbirciando fuori dalla finestra, lo scrutava per bene.
«Papà, siamo solo amici… facciamo una passeggiata tutto qui…» sorrisi.
«Qualsiasi cosa faccia, un destro e poi un sinistro! E poi una bella strigliata di orecchie!» si mise a fare mosse di arti marziali. Lo guardai torva.
«Ciao papà.» sbarrai gli occhi e per qualche secondo credetti di avere un genitore parzialmente pazzo e feroce.
Guardarmi allo specchio prima di un appuntamento era uno dei miei incubi peggiori. Indossavo un jeans stretto e una maglia che a malapena mi copriva l'ombelico, i capelli erano raccolti in una grande coda di cavallo e per completare misi un paio di occhialoni da sole intenti a coprire le borse sotto gli occhi che erano quasi diventate due valigie.

«Ti sei ripresa alla grande eh?» mi guardò dolcemente ed io ricambiai lo sguardo.
Mi piaceva o no? Era carino ma infondo era passato troppo poco tempo e vi erano stati alcuni suoi atteggiamenti che non mi avevano ancora convinta.
Non sapevo bene dove eravamo diretti, camminavamo e basta, era piacevole farlo con lui accanto, ecco.
Entrammo in un sentiero vicino casa, lo avevo visto più volte dalla finestra ma non andai mai ad osservarlo da vicino, lui invece lo conosceva molto bene. Chissà quante volte si è portato qui Chantal pensai.
«Hai detto qualcosa?» oh cacchio. Sperai di non aver pensato a voce alta.
«Oh, no! Proprio niente!» mi agitai, non ero brava a mentire.
«Ci sono negozi o bar qui?» ero imbarazzata.
«Negozi e bar?» scoppiò a ridere «No, è solo una strada che porta dritta al molo, piena di vari insetti e scoiattoli zombie.»
Era divertente, il suo senso dell'umorismo non era poi così male.
Mi prese per mano e scostò qualche cespuglio.
«Qui possiamo sederci, ci venivo da piccolo a mangiare merendine…»
«Che bello! Non lo conosce nessun altro?» chiesi.
«Soltanto gli altri.»
Mi accomodai per bene. Era come se nessuno potesse vederci ne sentirci. Una sorta di casetta sull'albero nonostante fosse soltanto un piccolo prato coperto da rami e cespugli. Non era buio lì, i raggi del sole trapanavano tra le foglie creando una bellissima armonia.
«Posso baciarti?» mi chiese mantenendo una certa distanza.
Paul mi piaceva, era un bel ragazzo. Avevo promesso a me stessa che sarebbe andato tutto bene, che mi sarei lasciata andare almeno quest'estate.
Sembrava dolce ma nonostante tutto sentivo che non era lui il ragazzo che stavo aspettando, il ragazzo di cui mi sarei innamorata, a cui avrei concesso il mio cuore.
Comunque sia, pensai fosse troppo presto per farmi paranoie, mi lasciai andare.
«Se non me lo chiedi, s-sì… puoi farlo..>> sentii immediatamente il mio viso scoppiare in mille farfalline colorate. La mia mente ed il mio corpo sembravano non andare d'accordo, tutto quelle sensazioni finirono per disorientarmi.
Si avvicinò e posò le sue labbra sulle mie molto delicatamente, come fossero impercettibili.
«B-baciami ancora…» dissi prendendo respiro.
La sensazione che provai era l'esatto contrario di quello che mi aspettavo. La bocca si asciugò e il mio cuore era in perfetta sintonia con le nostre lingue. Sbatteva contro la parete toracica così velocemente che quasi non lo sentivo.
Mi aveva baciata, come mi sentivo restò un punto interrogativo per il resto della giornata.
L'unica cosa che riuscii a dire fu «Baci bene.» Sì, da vera e propria sfigata.
Restammo lì per un po’ facendo delle piccole soste tra baci e parole che non riuscivamo a terminare, per poi ricominciare a baciarci.
«Mi sono invaghito di te.» disse sfiorandomi il naso con il suo.
Non disse innamorato, quindi l'allarme del "Sta mentendo" non scattò fortunatamente.
Mi limitai a sorridere fissando i suoi compiaciuti occhi blu… proprio perchè non sapevo cosa provavo, se mi piaceva o se era semplice infatuazione. Troppo poco tempo.
«Ti piace leggere?» appoggiai la testa sull'erba e osservai il cielo in attesa di una sua risposta.
«Preferisco giocare a Tennis.» sorrise disorientato «E a te?»
«Tanto, penso sia il mio passatempo preferito.» ricambiai il sorriso e tornai nuovamente ad osservare il cielo. «È bellissimo.»
Annuì e poi guardandomi disse: «Tu lo sei di più.» si avvicinò nuovamente, ma la mia attenzione fu catturata da altro in un attimo.
«Che c'è? Il bacio adesso è d'obbligo.» disse ironico.
«No.. è solo che… sssh…»
«Che succede?>> gli tappai la bocca.
«C'è qualcuno… ho sentito qualcosa.» cercai di guardare dietro Paul ma non vidi nulla.
«Sarà stato uno scoiattolo, o qualche insetto gigante» continuava a scherzare, io invece ero incuriosita.
«Ma che fai?»
«Controllo.» dissi secca «Anzi ci ho ripensato, sarà meglio andare…» mi diede un bacio sulla guancia e mi fece strada spostando i rami. Passai avanti ma lui restò indietro.
«Non dovresti essere qui.» mi apparve tutto d'un tratto un ragazzo davanti. Urlai.
«Sono rimasto impigliato Isabel! Cosa succede?» urlò Paul in lontananza.
«T-tu non dovresti essere qui.» il mio cuore scalpitava, mi aveva presa alla sprovvista e mi ero spaventata. «C-chi s-sei?»
Non mi rispose, restò fermo a guardarmi impietrito, sembrava insicuro e più spaventato di me
«Mi hai spaventata..» cercavo di strappargli qualche parola, ma sembrava ammutolito, quasi di pietra.
«Mi sono liberato! Arrivo!»
Il ragazzo andò via subito dopo l'esclamazione di Paul ed io restai immobile proprio dove mi ero fermata precedentemente. Tutto successe così velocemente che non ne capii nulla.
«Perchè hai urlato? Volevi mettermi paura?» si spolverò la maglia.
«No… c'era un ragazzo… non lo avevo visto e così mi sono impaurita.» sorrisi «Non è niente.»
«Bene, allora andiamo ci aspettano gli altri in cortile.»
Passai il resto del pomeriggio con loro, ma pensai completamente ad altro.
Vidi qualcosa nello sguardo di quel ragazzo, qualcosa di profondo, qualcosa di mai visto.
Restò davanti a me per pochi secondi, ma fu come se il mio cervello avesse registrato il suo viso alla perfezione.
I suoi occhi, verde smeraldo, era proprio lì quel qualcosa di mai visto.
Non so spiegare bene cosa riuscii a vederci dentro in così poco tempo, l'unica cosa che posso dirvi e che volevo rivederli, ancora e… ancora.

  
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