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Autore: CowgirlSara    20/01/2012    6 recensioni
Sei morto non sai più quante volte. Sei stato solo davanti alle certezze di molti. Lo hai difeso sempre e comunque. Hai creduto così forte che...
SPOILER 2.03
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'The Great Divide'
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The distance
Mi capita. Quando m’innamoro di qualcosa mi succede di doverci scrivere, per quello finisco su un milione di fandom! ^_^ Insomma, come può un’appassionata di gialli non amare Sherlock Holmes… Quindi eccomi qui!
Volevo esordire con una fiction più lunga – che è in lavorazione – ma poi l’ultimo episodio mi ha colpito tanto che m’è uscita questa one shot. Non mi piace parlare di morti, ne descrivere il dolore di chi resta. Preferisco altro. A voi dirmi se è anche di vostro gradimento.

ATTENZIONE: contiene spoiler 2.03!

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle e di coloro che li hanno così perfettamente adattati al tempo presente; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Vi lascio alla lettura e aspetto i vostri commenti!
A presto!
Sara


The Distance

There's a thread that runs between us, pulling 'cross this great divide
It's only there for the believers
Don't stop believing, don't stop believing…
(Bon Jovi)

Eri morto non sapevi più quante volte. Ed eri tornato solo, come un cane zoppo in un vicolo. Ma, alla fine, la vita era andata avanti.
Perché funziona così e tu non sei il tipo che si consuma come il protagonista di un romanzo d’appendice. Certo, il tuo carattere ne ha sicuramente risentito, non che tu sia mai stato uno showman.
E poi, il dolore è così. La maggior parte del tempo stai bene, quasi non ci pensi. Poi ritrovi nel fondo del congelatore un alluce mozzato e per una settimana ti dura il magone.
E tornano tutti i ricordi e i brutti sogni. Ma non somigliano più ad un arido deserto afgano. Sono gelidi e dello stesso colore della lama di un pugnale. E allora ti concedi di piangere, come appena tornato dalla guerra.
E poi c’è la rabbia, l’indignazione. Come quando li imploravi di vederlo, di vedere il suo corpo, che eri un medico. E loro, con la pena negli occhi, ti dicevano: “No, John, è meglio di no”.
È meglio di no. Meglio per chi? Avresti dovuto insistere. Non hai dubitato di Lestrade, troppo sincero il dolore nei suoi occhi. Ne di Molly, anche se… Mycroft, invece. Ma di suo fratello lui non si fidava.
Ora, però, ti senti come lo scemo del villaggio, perché il dolore ti accecato per tutto questo tempo, per tutta questa grande separazione.
E in questa gelida notte inglese, con un cielo stranamente chiaro che minaccia neve, fermo, con le mani in tasca e senza sciarpa sotto un cazzo di ponte a pochi metri dai gorghi del Tamigi, ti trovi davanti questo… Come diavolo dovresti chiamarlo? Fantasma? Apparizione? Grandissimo stronzo bastardo?
Ma è davanti a te e, a parte il freddo che ti sta arrivando fin dentro la più piccola cellula, credi di essere in possesso delle tue facoltà mentali, per quanto deboli e comuni, e di certo non sei sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente.
E lui è lì. Alto, con un cappotto scuro piuttosto logoro, il bavero rialzato su quegli zigomi chiari resi ancora più sporgenti dalla magrezza del resto del viso. E con quegli occhi. I suoi occhi. Che ti fissano stranamente lucidi, troppo poco freddi. Ma incredibilmente suoi.
E non sai se hai più voglia di ucciderlo davvero o di portarlo subito a casa, fargli un the e aspettare le sue spiegazioni. Al momento non sei sicuro nemmeno di saper parlare.
“John…”
La sua voce, più roca e profonda che mai, sembrano ere che non la senti. L’eco di un tempo che avresti voluto dimenticare e che improvvisamente è diventato il presente.
“È meglio se stai zitto.”
La tua voce. Stranamente arida e secca. La bocca ti sa di ferro, è troppo tempo che tieni i denti serrati.
Lui abbassa il capo e gli occhi, contrae la mascella. Oh, ci speri che si senta almeno un po’ in colpa.
Tu, al momento, ti senti praticamente paralizzato. Forse è il freddo, ma sei sicuro di non avere il perfetto controllo del tuo corpo. Se riuscissi a muoverti, probabilmente, lo prenderesti a pugni. Sei più incazzato di quando è morto.
Di quando ti ha fatto credere di essere morto.
“Era diventato troppo difficile essere me.” Mormora lui.
“E ti sei mai chiesto quanto sia stato difficile essere me, in tutti questi mesi?” Sbotti tu.
Alza gli occhi di scatto e ti guarda. È come se una corrente elettrica gli attraversasse quelle iridi d’acciaio. Aggrotta le sopracciglia.
“Ogni giorno, John.” Confessa infine, come se combattesse col proprio orgoglio, ma forse la vita randagia gli ha insegnato ad essere più umile.
Stringi i pugni nelle tasche. Non senti le dita, primo segno di ipotermia. Stai tremando, ma dubiti che sia la temperatura. Tremi perché dentro di te c’è un conflitto lacerante. Si può essere incazzati e felici allo stesso tempo?
“Perché?” Riesci infine a soffiare.
Lui ti fissa. Ha occhi che possono uccidere. Li ha sempre avuti. Ma ora sono tristi, colpevoli della distanza che c’è stata – che c’è – tra di voi.
“Solo così potevo salvarvi la vita.” Sussurra. “Salvare la tua vita.”
Respiri profondamente l’aria fredda della notte. Vi guardate. I vostri respiri si condensano in nuvole di vapore bianco che si perde sulla riva buia del fiume.
Lo sai, lo hai sempre saputo che ci doveva essere una ragione diversa, dietro a quel salto. Non hai mai smesso di credere, di credergli. Anche davanti alla lapide.
Sei morto non sai più quante volte.(*) Sei stato solo davanti alle certezze di molti. Lo hai difeso sempre e comunque. Hai creduto così forte che ora lui è qui.
“Per te, John.”
La sua voce ti fa tornare sotto quel ponte, ad un tempo presente che sembra un sogno. Ma fa troppo freddo perché tu stia dormendo. E lui è dannatamente lì.
Sherlock è tornato. Ha percorso il filo attraverso la distanza tra voi. Ed è tornato.
La verità è che il tuo cuore impazzito ti grida: Abbraccia il tuo amico! Ma sei troppo soldato e troppo inglese per farlo. E lui… Lui è Sherlock.
“Cristo, andiamo a casa.” Ordini tremando. “Mi si sono gelate le chiappe.”
Lui fa un sorriso dei suoi, strano e un po’ inquietante, ma per una volta gliela leggi davvero la gioia negli occhi.
“Dimmi che non hai buttato il divano.”
Non hai buttato niente. Perché hai creduto. E lui è tornato.

FINE

(*) la ripetizione è voluta.



   
 
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