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Autore: iusip    03/09/2006    4 recensioni
Un'immagine assillante e ripetitiva. Una decisione drammatica. E buio fu.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’è una macchia rossastra sul lenzuolo.

Che strano, non l’avevo mai notata.

Si tratta molto probabilmente di smalto…ma come è finito dello smalto sul mio lenzuolo? Ci penso, fingo di pensarci. Sicuramente è successo quella volta che io e Miki abbiamo voluto colorarci le unghie dei piedi di rosso, in onore dei sandali nuovi che avevamo comprato insieme.

Cerco di concentrarmi sullo smalto, sui sandali nuovi, fisso la macchia nel tentativo di distogliere la mente da quella scena, che pure si ripete incessantemente nel mio cervello, e più cerco di non pensarci più quella scena mi riappare davanti, ancora e ancora, e fa male, e mi conficco le unghie nei palmi della mano, ma il dolore fisico non sostituisce l’altro dolore, quello più profondo, si somma semplicemente ad esso.

Se piangessi sarebbe tutto più facile. È strano, ma le lacrime non vogliono scendere.

Penso a tutte le volte che ho pianto per lui, era così facile piangere, sentivo gli occhi bruciarmi, poi arrossarsi, poi quella tensione in gola che rischiava di soffocarmi e poi arrivavano, liberatorie, le lacrime. Mi colavano lungo le guance e non facevo niente per fermarle, creavano aloni frastagliati sulla federa del cuscino e quell’umidore era fastidioso sotto la mia guancia, ma non importava, perché almeno sentivo qualcosa. Almeno mi sentivo viva.

Adesso, invece, quelle maledette lacrime non vogliono scendere. Strizzo gli occhi, ma è come se fossero completamente secchi. Come se la mia riserva naturale di lacrime si fosse esaurita, ma so che non è possibile, gli occhi sono continuamente lubrificati, le lacrime sono infinite, allora perché, perché non riesco a piangere.

Anche quando è morto mio fratello, non ho pianto. È strano, piangevo come una fontana ogni volta che vedevo il Titanic, quando Leonardo Di Caprio moriva per salvare la sua amata, ma quando il dolore è troppo acuto, quando ti sembra che il cuore sia stretto in una ferrea mossa, e il tuo cervello comincia a fare strani pensieri, quando le lacrime servirebbero davvero, allora non riesci a versarle. Fisso il soffitto, stesa sul letto. Mi sembra di essere sospesa in un limbo, il buio attorno a me, dentro di me, mi fa paura. Non sento più niente. Solo questo dolore, pulsante, e quella immagine e mi sembra di impazzire.

Appena è entrata dalla porta, l’ho subito capito che quella non era una cliente come le altre. Il suo sguardo, quello sguardo mi ha impaurita. Era uguale a quello di Ryo. Opaco, profondo, lo sguardo di chi ha imparato a fare i conti con un passato che quotidianamente ti chiede di pagare il conto. Era una donna palestinese, anche lei aveva vissuto la guerriglia, proprio come Ryo. Anche lei non aveva una patria, proprio come Ryo. Il Giappone era stata la sua terra promessa, ma il passato è un fardello che ognuno si porta addosso, e si possono anche mettere continenti e oceani tra sé e il proprio passato, ma è inutile, perché lui ti segue come la tua ombra.

Si chiamava Selina. Era stata accusata di adulterio, e la famiglia di suo marito la stava cercando per farle chissà cosa. Probabilmente l’avrebbero linciata, è questa la sorte che tocca alle adultere, aveva detto lei. Si intendevano alla perfezione, Selina e Ryo. Li guardavo di nascosto, passavano ore intere a parlare e io mi sentivo così esclusa, così inutile.

Lui le aveva raccontato il suo passato, quel passato che io conoscevo solo in linee generali e li fissavo, ma loro non si accorgevano del mio sguardo perchè erano troppo presi l’uno dall’altra e lo sapevo che lo stavo perdendo, lo sapevo. La notte rimanevo sveglia e me la prendevo con Dio, con il destino, con mio fratello per avermi lasciata da sola, e cominciavo a parlare da sola e avevo paura, perché stavo impazzendo e ne ero cosciente.

Adesso non sono più cosciente di niente. Solo quel fotogramma, lui e lei che si baciano, e la cosa peggiore è che non è uno dei soliti baci di cui Ryo era affamato, è un bacio diverso, un bacio che si scambiano solo le persone che si amano davvero.

E a baciare Ryo era lei, non io, non io che gli sono stata accanto otto anni, non io che troppe volte l’ho giustificato, non io che troppe volte l’ho perdonato e mi sono umiliata e lui non lo capiva che lo amavo, non lo capiva.

Mi chiedo tra quanto tempo farà effetto il veleno che ho ingerito.

Preferisco che la morte arrivi rapida, non voglio avere il tempo di pensare, non voglio avere il tempo di pentirmi, voglio solo chiudere gli occhi, trovare un po’ di pace e non vedere più quell’immagine, quel bacio, che non è solo un bacio ma è un inizio. Per loro.

Per me, è una fine. La fine.

Che ironia. Io, che per otto anni ho sopportato le sue storie e le sue buffonate, i suoi insulti, le sue battutine, ho preso una decisione così drastica in un secondo.

Le membra cominciano ad irrigidirsi. Ho perso la sensibilità alla gambe e alla braccia, ma quell’immagine continua a scorrere senza sosta davanti ai miei occhi.

Ora sento che la fine si avvicina.

Finalmente, non sento più niente.

L’oblio mi spalanca le sue braccia, tra le quali mi getto fiduciosa. Non ci sarà più dolore adesso, solo tanto silenzio.

L’immagine scompare.

E buio fu.


FINE
  
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