Storie originali > Nonsense
Ricorda la storia  |      
Autore: Red S i n n e r    21/01/2012    1 recensioni
Ho sognato che qualcuno prendeva un coltello e tagliava con precisione la carne di una mia gamba: vedevo il sangue, la pelle che si apriva in un sorriso rosso scuro. Io urlavo. Urlavo forte anche se non mi faceva male, anche se non sentivo nulla.
Da sveglia ho pensato che non riesco a dire la verità neanche quando dormo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ho fatto un sogno, una volta.












Ho fatto un sogno, una volta.

Ho sognato che qualcuno prendeva un coltello e tagliava con precisione la carne di una mia gamba: vedevo il sangue, la pelle che si apriva in un sorriso rosso scuro. Io urlavo.  Urlavo forte anche se non mi faceva male, anche se non sentivo nulla.

Da sveglia ho pensato che non riesco a dire la verità neanche quando dormo.

Da sveglia ho allineato tutti i miei fallimenti nella testa, ho desiderato riaddormentarmi di nuovo e non sono riuscita nemmeno in quello.

Ho preso il mio tabacco dalla sua custodia e ho girato dieci sigarette, le ho allineate con ordine sul davanzale e ho brindato alla mia vita col fumo nei polmoni, la puzza acre del tabacco e il freddo della sera.

È stato bello come solo la tristezza può essere.

Mia madre mi guarda con rassegnazione ogni giorno, e mi lancia addosso parole più brucianti di schiaffi sulle guance, ma io non so mai cosa dire, cosa fare, e forse le do ragione quando mi dice che non so fare proprio niente e che non servo a nessuno.  E se mi arrabbio non riesco mai a dire le parole giuste e finisco per balbettare,  è così stupido che mi verrebbe da ridere se non stessi già piangendo.

 

Ma non ce l’ho più la forza di sentirmi una merda, non ce l’ho più la voglia di piangere e quella di stare male. Non ho più tante cose, cose che ho perso, cose che forse non ho mai avuto.

Non mi scompongo più di me stessa perché ormai c’ho fatto l’abitudine ed è peggio, è molto peggio. È l’amara convinzione di non riuscire più a cambiare e di doversi accettare, perché sono stanca di dover cambiare, di non andare bene, di ascoltare loop infiniti di ‘non abbastanza’ e ‘non va bene’.

Sono stanca di non andarmi bene mai, nemmeno una volta, ma sono troppo stanca per smetterla.

 

No.

 

Non è vero, sto mentendo. Ho un problema con la verità.

 

 

 

Una volta mi hanno detto che solo le persone più belle soffrono tanto, me l’ha detto una ragazza bionda con gli occhi truccati e una sigaretta tra le dita, mi ha detto così: “solo le persone più belle soffrono così tanto, perché si preoccupano per gli altri. Si preoccupano e basta e alla fine sono loro a starci peggio.”

Allora ho pensato di essere una di quelle persone, e poi ho riso di me stessa con così tanta foga da farmi male alla gola.

Devi sapere che non sei proprio nessuno, mia piccola bambina stupida, che non lo sarai mai, proprio come tutti. Come la moltitudine di gente che non conosci e che vedi per strada, proprio come loro, ecco, proprio come qualcuno che non conosci.

 

Oh, una volta ho pensato di essere speciale, e ancora ne pago le conseguenze. È un pensiero selvaggio che sa di rivoluzione, di liberazione, tutte belle parole con cui non ho niente a che fare.

Un giorno ho visto il mondo fuori dalla finestra e l’ho visto sterminato, così tanto aperto da spaccarsi - da far male agli occhi – infinito, e senza un briciolo di senso.

Tutto quel senso sparito mi ha attaccato la gola, come il catarro nei mesi invernali. Un senso sparito fino all’orizzonte, con nessun confine a delimitarlo, pronto a saltarti addosso appena ti senti sicuro delle tue scelte.

Ho sentito il senso d’impotenza e questo folle pensiero che fosse tutto sbagliato e tutto da buttare, che fosse sbagliata qualsiasi cosa. Qualsiasi.

Vedi il prezzo di sentirsi speciali, mia piccola bambina stupida? Si cade da un’altezza ancor più vertiginosa e ci si fa male sul serio. Forse non riuscirai ad alzarti più e vivrai in ginocchio.

Ho avuto così tanta paura della vita che ho voluto fuggire, dimenticare, ma non si può fuggire: il mondo è pieno di vita, di vita sbagliata, di momenti spaccati, di esistenze stropicciate, di tutte le cose che non vorrei affrontare.

Ho voluto fuggire, ma sono solo riuscita a tremare ed è un fallimento che ho aggiunto agli altri così staranno tutti insieme, nella mia testa, e non si sentiranno soli mai. Mai.

 Ho visto piovere al coperto, con l’acqua che non evapora mai, ho visto il cielo chiudersi di botto e ho sentito qualcosa rincorrermi con rumore metallico, un tintinnio che sa di tutto il tempo che ho sprecato, buttato, violentato.

Di tutto il tempo che non tornerà mai, di tutte le volte che non ho detto nulla e mi sono fissata le scarpe per tutto il tempo, di tutte le cose che mi sono fatta e che non riesco a… non riesco.

No, non voglio essere speciale, non voglio essere come i quadrifogli, perché loro sono anomalie, imperfezioni, errori di una natura disinteressata – e se fossero persone farebbero schifo  a tutti. A tutti.

**

 

In un giorno come tanti altri, ho visto un buco nella mia faccia, sul mio petto, nelle ossa. Prima non c’era, o forse non me n’ero accorta, ma è lì ad aspettarmi ogni volta che guardo meglio.

Ci finisce tutta la mia vita dentro, come in quelle giornate in cui non succede niente di importante, ma fanno schifo comunque. Una di quelle giornate che ti spaccano a metà senza un reale motivo, e ti marciscono dentro come un cancro ai polmoni.

L’ho aperta con le mie stesse mani questa voragine, a forza di dare e non prendere mai. Ho dato così tanto che non mi rimane nulla e poi la notte devo fare uno sforzo per riuscire  a dormire.

La gente mi distrugge, mi fa a pezzi, mi spacca a metà con la forza di una domanda non detta, un sospiro di troppo, un sorriso negato… ma non lo fa di proposito, e mi fa solo incazzare, perché non so mai con chi prendermela e finisco per stare zitta ad ascoltare il rumore che fanno le cose che scivolano via per non tornare più. Mi sono accorta che tutte quelle cose sono me, ma forse è già troppo tardi.

Ho voluto credere, una volta, che l’empatia mi rendesse migliore, ma non è vero. Non è vero. Mi rende solo più misera e patetica, con un buco nello stomaco e la faccia rassegnata di chi non sa più che fare per aiutarsi almeno un po’, e cammina ogni giorno in una pelle che gli sta stretta, con la voglia assurda di essere qualcun altro, qualcos’altro, qualsiasi cosa, perché non si riconosce più nelle proprie mani e nel proprio viso.

Ed è un pensiero che fa paura, davvero, ma è la verità, solo la verità.

 

Ho visto troppo, o forse non abbastanza. Ho visto i silenzi che mi tremavano attorno, poi però si spaccavano (perché alla fine si rompe tutto) e tanti sbagli. Tanti squarci di mondo troppo aperto sulla pelle.

E mi viene da ridere a pensare che la gente ha paura della morte e non della vita.

 

 

 

















Ma no, ma no, stavo mentendo! Ci avevi creduto?  Stavo mentendo! Va tutto bene, dico sempre stupidaggini, sai?

Sì, sto bene, grazie. No, nessun problema, ti pare?

Grazie. Prego. Ti voglio bene, sì.

Ah, una volta ho fatto un sogno. Ho sognato di essere il quadrifoglio più verde del prato, quasi a fargli un dispetto, bellissimo e speciale. Speciale, sì.

Però il coniglio che mi ha mangiato non se n’è curato.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Nonsense / Vai alla pagina dell'autore: Red S i n n e r