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Autore: cranberry sauce    21/01/2012    2 recensioni
John/Paul.
John apre gli occhi, lentamente, e nel breve lasso di tempo che gli serve per rendersi conto di essere sveglio e di essere proprio lì, proprio in quel letto, in quella stanza, gli si apre davanti un infinito mondo di possibilità; fra le lenzuola e il cuscino, potrebbe essere qualsiasi persona, qualunque cosa, ovunque e da nessuna parte. {dal primo capitolo}
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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II .
Di come Paul si fece male
 
Paul sente che c’è qualcosa che non va.  Insomma, non gli pare proprio che il suo braccio si pieghi in due punti, l’ultima volta che aveva controllato aveva contato un solo gomito. Ma potrebbe anche sbagliarsi, adesso che ci pensa bene è passato molto tempo da quell’ultima volta. E poi è ovvio che uno cresce e cambia. Uno cresce e cambia e gli cresce la barba, ed è una cosa abbastanza noiosa perché poi bisogna tagliarla e Paul non ha voglia di tagliarsi la barba una mattina sì e una mattina no. Però Paul lo accetta, perché uno cresce e cambia, e gli cresce un gomito in più.
 
Il braccio non ha proprio un bell’aspetto, c’è una strana cosa bianca che spunta e a Paul non piace. La strana cosa bianca assomiglia a un osso.
Al ragazzo viene in mente quel giorno che, quando andava ancora a scuola e la mattinata sembrava non passare mai − come quando gli scappava tantissimo la pipì e correva al bagno, ma c’era dentro Mike e così lui doveva aspettare e aspettare e aspettare e il tempo si stiracchiava piano piano, si dilatava, si estendeva a diventare spazio, un prato, una valle, il mare e la spiaggia −, il suo professore aveva tirato fuori dall’armadio uno scheletro, uno scheletro vero, e aveva elencato i nomi di tutte le ossa, partendo dal cranio per arrivare alle dita dei piedi.
Falangette, falangine, falangi, carpo, metacarpo, radio e ulna, omero e spalla. Quello era un braccio. E Paul si ricorda che il professore lo aveva fatto alzare e mettere in piedi davanti alla cattedra; poi gli aveva tirato su una manica e gli aveva detto: “Di’ che ti piace la radio, e alza il pollice.”. Paul aveva steso l’avambraccio e lo aveva detto. Aveva detto “Mi piace la radio.” con il pollice alzato, e si era sentito abbastanza stupido. A quel punto il professore aveva percorso con l’indice il pollice di Paul, si era fermato un attimo sul polso e aveva continuato poi fino al gomito, seguendo la protuberanza dell’osso, come quando in giardino ci sono le talpe e la terra smossa attraversa il prato. Il sistema scheletrico del giardino di Paul. La terra smossa del suo avambraccio.
E il professore aveva detto: “Questo è il radio.”.
 
Paul è molto pignolo, vuole avere tutto sotto controllo e sapere cosa succede e quando succede e se possibile anche perché, perciò trova che scoprire se quella cosa bianca che gli esce dal braccio è un osso, e in particolare se è l’ulna o il radio, sia a dir poco essenziale. Si guarda un attimo intorno, ma nessuno è nei paraggi; le sue ciglia sfarfallano e Paul si rende improvvisamente conto della loro presenza e ne sente tutto il peso.
Il peso gli fa abbassare le palpebre ed è costretto a rivolgere lo sguardo al braccio, di nuovo. Paul raddrizza la schiena, alza il pollice e inizia a stendere l’avambraccio, lentamente.
 
Sta per farcela, è quasi steso del tutto, e il “Mi piace la radio” scivola dalle sue labbra ancora prima che se ne renda conto. Paul sente uno schiocco. Paul sente male.
 
Ora Paul è sveglio e sta mugugnando parole incomprensibili, si lamenta.
Non sa bene dove sia collocato il suo braccio, quintali di coperte, metri quadri di lenzuola a separarlo dal dolore, a impedirgli di trovarne la fonte e di fare smettere tutto.
Poi Paul lo ritrova, sepolto sotto John. John che dorme, con un’espressione contrita in viso, come se prendesse molto sul serio quello che sta facendo, qualunque cosa stia facendo e qualunque motivo lo spinga a farla.
Paul estrae il braccio, intrappolato tra schiena e materasso. Tra il sistema scheletrico di John e il tessuto stropicciato percorso da instancabili, minuscole, invisibili talpe.
Lo fa passare attorno al corpo dell’altro e si stringe a lui, perché improvvisamente ha freddo e i quintali di coperte e i metri quadri di lenzuola non bastano più.
   
 
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