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Autore: Mirokia    22/01/2012    6 recensioni
Era già giovedì.
In realtà, Kurt non teneva neanche più il conto dei giorni, delle ore, aveva messo via l’orologio che soleva troneggiare in cucina e si era rifiutato di indossare orologi da polso.
Ma era giovedì di certo. Temeva quel giorno come la morte. Poi arrivava, e sopraggiungeva quell’angoscia che implodeva in lui, ed era così silenziosa che nessuno riusciva ad avvertirla dall’esterno.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Finn Hudson, Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Thursday

 

 

 

 

 

Era già giovedì.
In realtà, Kurt non teneva neanche più il conto dei giorni, delle ore, aveva messo via l’orologio che soleva troneggiare in cucina e si era rifiutato di indossare orologi da polso.
Ma era giovedì di certo. Temeva quel giorno come la morte. Poi arrivava, e sopraggiungeva quell’angoscia che implodeva in lui, ed era così silenziosa che nessuno riusciva ad avvertirla dall’esterno.
E lui se ne stava in silenzio, sorrideva, forse trovava un po’ di tranquillità la sera tardi, quando s’affacciava alla finestra e lasciava che il vento fresco gli portasse via quelle lacrime che ormai solevano fare capolino dai suoi occhi. Quando appoggiava le braccia sul davanzale e aspettava che Dave si facesse vedere, che venisse a sorridergli e a farlo sorridere. Anche riempirlo di insulti andava bene, basta che, insomma, sentisse la sua voce. Con quello sì, riusciva a tranquillizzarsi. Lo vedeva, gli parlava, ci rideva, e le lacrime ormai erano asciutte, perché se le prendeva tutte lui. Era lui ad asciugargliele e a portarsele via, per farlo dormire tranquillo almeno quella notte.

-Buongiorno, amore.- Mugugnò Kurt nel sonno allungando la mano fredda sulla parte di materasso alla sua destra, ugualmente freddo. -Ti sei alzato presto anche stamattina, eh?- chiese poi, probabilmente al vuoto, mentre rotolava su se stesso e affondava il viso nel cuscino accanto al suo, quasi a volersi soffocare. Inspirò forte e si disse che sì, quel profumo di dopobarba c’era ancora e il fatto che in realtà non lo avvertisse non significava niente. C’era eccome, svaniva lento, ma c’era, anche se non lo sentiva. Alzò il capo muovendo la bocca impastata dal sonno, poi si mise a sedere e si stropicciò gli occhi sorridendo al sole che illuminava la stanza coi suoi raggi caldi.
Sì, era giovedì, il suo giorno libero, ma tentava di tenere la mente sgombra e di non pensarci affatto.
Il cellulare sul comodino vibrò e lo aiutò a distrarsi.

-Kurt, tesoro, buongiorno.- La voce di Mercedes, calda e familiare, lo fece sorridere.

-Ehi, Merc. Vuoi andare a fare shopping anche oggi?- chiese l’altro con gentilezza, e la ragazza fece un risolino.

-Possiamo anche solo vederci per un the, se preferisci.- disse bonaria. -Ti sento meglio stamattina. Non è che hai preso un’altra di quelle pillole infernali?-

-No, tesoro, ho buttato tutto come mi hai detto.- mentì Kurt, che in realtà una boccetta di sonniferi e di qualche altra roba ce l’aveva, lì nei cassetti del comodino.

-E le braccia come stanno?- chiese ancora la ragazza, e l’altro sospirò scuotendo la testa. Era sempre così dannatamente apprensiva.

-Stanno bene, mamma.- rispose l’altro ironico.

-Bene, sono contenta…Non fare idiozie, okay? Almeno fino alle tre.- fece Mercedes dopo aver sorriso a Kurt che lo chiamava mamma. Forse stava davvero meglio, adesso.

-Passi a prendermi a quell’ora?-

-Certo, dolcezza. Fatti trovare in tiro, che ti porto in uno dei bar più chic di Lima.- disse la ragazza di colore col tono amorevole della migliore amica, che adesso sembrava fargli anche da mamma e da sorella.
Kurt fece uno dei suoi risolini a bocca chiusa, poi salutò Mercedes e chiuse la chiamata. Diede un’occhiata all’orologio sul cellulare e vide che non era neanche tanto presto, alla fine. Anzi, era già ora di pranzo. E in realtà, Kurt non avvertiva il languore della fame da un bel po’, ma probabilmente avrebbe messo comunque qualcosa sotto ai denti, così, per abitudine, e per non svenire per strada dalla debolezza.
Il cellulare vibrò di nuovo, e Kurt si allungò per vedere chi fosse. Sullo schermo illuminato appariva e scompariva il nome di Finn con tanto di foto in cui beveva una cola e si strozzava da solo. Ignorò bellamente la chiamata e buttò la mano sul comodino per prendere una pillola rimasta lì dalla sera prima. La ingerì senza neanche accompagnarla con l’acqua e poi si avvolse nella vestaglia, ‘che i brividi di freddo si facevano sentire.
Scese al piano di sotto sbadigliando con discrezione, poi un sorriso apparve sul suo volto quando vide una schiena immensa impegnata a trafficare con pentole e pentoline.

-Ehi, femminuccia.- lo chiamò Kurt avvicinandosi a braccia conserte. –Che cucini di buono? La mia donnina di casa.-

-Sta’ zitto.- borbottò quello mentre tagliava quella che sembrava essere una banana.

-Toast francese con banane? Dio, sei così ripetitivo!- esclamò Kurt, che prese posto a tavola, che sembrava apparecchiata tale e quale alla sera prima.

-Questo so fare e questo ti mangi. Se Vostra Maestà non si fosse svegliato a tipo mezzogiorno, a quest’ora si sarebbe fatto il suo bel flambè qualcosa e non mi avrebbe scassato le palle.- rispose Dave acido mentre portava sul tavolo velocemente i due piatti col toast francese e si accomodava di fronte a Kurt.

-Siamo suscettibili oggi, eh?- chiese retoricamente Kurt, che però ancora non riusciva a togliersi dal volto quell’espressione da idiota.

-Hai iniziato tu, fatina. Non avresti dovuto chiamarmi femminuccia. Sono un titano, io.- borbottò quello con lo sguardo torvo. S’era svegliato col piede storto, probabilmente. Kurt lo guardò con il mento appoggiato sul palmo della mano e quando riuscì ad allacciare il suo sguardo, gli sillabò con la bocca un ‘Ti amo, titano.’ E Dave abbassò lo sguardo arrossendo, fece colpi di tosse nervosa e sembrò volersi concentrare sul piatto, ma poi disse un goffo: ‘Anche io, però non rompere per il toast’, e Kurt pensò che quelle pillole che prendeva fossero miracolose, altro che infernali. Lo alleggerivano, gli tenevano gli occhi lucidi, gli lasciavano quel sorriso poco spontaneo sul volto.

-Oggi resti, vero?- chiese Kurt a Dave che se ne stava lì ad arrossire.

-Fatina, non è che oggi è un giorno diverso dagli altri. No che non resto.- fece l’altro, categorico.

-Dimmi perché non possiamo stare insieme.- disse Kurt, e già il sorriso gli si era spento. Le labbra erano piegate all’ingiù e tremavano. –Sarei dovuto venire con te, salire su quel maledetto aereo. Adesso saremmo insieme, avremmo un posto nascosto tutto nostro, in cui riposano quegli amori belli e impossibili di cui nessuno parla, perché tanto a chi importa di noi, di quanto ci amiamo?- e a Kurt era sempre piaciuto essere drammatico, ma mai, mai lo era stato come in quel momento. Aveva guardato il proprio piatto mentre parlava, poi però alzò lo sguardo e l’angoscia lo assalì quando s’accorse che Dave se n’era già andato, e l’effetto della pillola era già svanito.
Suonarono alla porta, ma Kurt era già caduto nel suo vortice dai colori scuri che finiva in un nero inchiostro capace di inghiottirlo ogni volta. Lasciò cadere la forchetta ancora sporca della cena della sera prima e la fece tintinnare nel piatto anch’esso sporco, poi scivolò dalla sedia e si strinse i polsi fasciati mordendosi le labbra e stringendo gli occhi per il dolore.
Lì fuori della porta qualcuno lo chiamava a gran voce, ma Kurt si muoveva convulsamente a terra, le lacrime che avevano preso a scendere su tutto il viso veloci e prepotenti, i polsi martoriati che pulsavano e bruciavano, i singhiozzi che diventavano lamenti disperati.
La porta si aprì, e Kurt sapeva già che era Finn col doppione delle sue chiavi di casa, ma sapeva anche che non gliene importava davvero nulla del fratellastro; in realtà non gli importava più di nulla, benché meno di Finn che si buttava su di lui e lo scuoteva dalle spalle e lo chiamava urlando e gli diceva di rispondere, di reagire, ‘Kurt, ti prego, Dio, Kurt!’, ripeteva convulsamente.

-Voglio morire.- mormorava invece Kurt, gli occhi rotolati all’indietro, il volto completamente bagnato. –Lasciami morire, voglio andare da lui.-

-Non permetterò che tu lo faccia, Kurt. Reagisci, ti prego!- e Finn urlava disperato, perché da quando l’aveva trovato tutto nudo rannicchiato accanto alla vasca da bagno impegnato a recidersi i polsi, col sangue che già colava denso lungo il braccio e gocciolava sulla coscia bianca, non era stato più capace di riacquistare la calma, e ogni giorno non faceva che pensare a Kurt, che chiamarlo per sapere come si sentisse, che entrare in casa sua per recuperarlo dopo che quasi sveniva dal dolore.
Kurt vaneggiò ancora. Disse che era il destino, il destino li aveva fatti trovare, li aveva resi gli uomini più felici del pianeta, e poi aveva deciso che forse quegli anni di felicità erano un po’ troppi, qualcosa si doveva pur fare. E tra tutti quei voli, tra tutti quegli aerei, solo quello di Dave era sparito in mare.

-Non vivo, muoio, io sto morendo, lasciami stare.- blaterava Kurt, e tentò di liberarsi dalla stretta del fratellastro, che credeva davvero che Kurt ultimamente si stesse sentendo meglio, stesse tentando di farsene una ragione, di reagire. E piangeva anche lui mentre si rendeva conto che Kurt stava ancora peggio, che dopo la morte di Dave era morto anche lui.

-…Finn.- mormorò Kurt a fatica dopo che probabilmente s’era liberato per l’ennesima volta di tutta l’acqua che aveva in corpo. Sentiva la pelle appiccicosa e le lacrime che s’asciugavano lentamente, e Kurt sapeva che era Dave a pulirle via. –L’amavo così tanto, e me l’hanno portato via.- disse in un soffio, e Finn asciugò le proprie lacrime con la manica della giacca, perché vedere il fratello in quelle condizioni era come essere trafitto da decine di stilettate in pieno petto. E non sapeva come avrebbe fatto, credeva di non essere in grado di far tornare il sorriso sul volto di Kurt, un sorriso che non fosse provocato dai medicinali che ancora si ostinava a prendere di nascosto. Si limitò ad avvicinarlo al proprio petto e a stringerlo forte sfregando le proprie mani sulle sue spalle. Come a fargli capire che lui c’era e ci sarebbe sempre stato.

Ma Dave era volato in cielo e non era più sceso.




Era di nuovo giovedì.
Kurt questa volta s’era svegliato all’alba, ed era più tranquillo del solito. Se ne stava seduto in equilibrio fuori dalla finestra e sorrideva alle prime luci dell’alba.
Non guardò neanche un attimo giù. Inspirò e riempì i polmoni di aria fresca, mentre quel venticello piacevole gli spostava i due ciuffi che ricadevano scomposti sulla fronte.
Sorrise lieto, e si disse che quello era il giorno perfetto per andare a trovare Dave e poi rimanere con lui per l’eternità.





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Mirokia

 

 

 






   
 
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