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Autore: annalisaechelon    22/01/2012    7 recensioni
"You were my fire, so I burned, now there's nothing left for me"
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, prima di leggerla vi consiglio di farlo con l'ascolto di Hesitate degli Stone Sour, spero vi piaccia :)

Un forte odore di vaniglia proveniente da alcune candele riempiva l’aria della stanza, mentre una leggera luce giallognola le donava un colore intenso che si propagava fin fuori dalla finestra che affacciava sulle strade ormai deserte. Uno specchio imponente e dalla cornice in legno ne riempiva una parete ed io, intenta ad osservarmi con attenzione, curavo delicatamente il mio abbigliamento e il trucco sul mio viso. Indossavo un abitino nero corto, con dei veli che cadevano leggeri sulla gonna  e dei tacchi alti, quasi vertiginosi con una fibbietta sottile che percorreva il collo del piede e l’intera caviglia. Con un gesto veloce sciolsi i capelli e li lasciai cadere, scuri e lucenti, sulla spalle dritte, sostenute da una schiena perfetta. Lanciai un’ultima occhiata allo specchio e credendo di esser pronta, mi voltai verso il resto della stanza. Era completamente vuota.  Alcuni mobili giacevano sul pavimento senza un filo di polvere a ricoprirli e il grande letto sistemato al centro, presentava un piumone di un rosa antico, interamente merlettato sui bordi.  Mi ricordava vagamente l’ arredamento di un’epoca passata, probabilmente il  Medioevo, ma non credo di poterlo assicurare, ho una gran confusione in testa per quanto riguarda la storia. E anche la matematica. E forse un po’ per tutto. Spostai velocemente il mio sguardo altrove che distrattamente cadde su di una lettera poggiata sopra ad un mobiletto affianco alla porta d’ingresso. Rimasi un attimo intontita, lì a fissarla, senza reagire minimamente. Poco tempo prima non c’era nulla lì sopra. Una leggera ansia s’intrufolò dentro di me portando il mio cuore a battere più veloce del dovuto e così, guidata dal desiderio di scoprirne il contenuto, mi diressi con passo deciso e, seguita dall’acuta eco delle mie scarpe, verso l’entrata della stanza. Sfiorai con le dita quella busta color crema per poi afferrarla tra le mani. In un solo attimo, il profumo che emanava, mi riportò alla mente alcuni ricordi e aprì un varco di speranza. Lentamente ne estrassi il foglio all’interno ed osservando attentamente la calligrafia, decisi di cominciare a leggere, dato che mi pareva conosciuta.

“Mia,”  – esitai un attimo prima di continuare, solo lui era solito chiamarmi così.
“Probabilmente ti starai chiedendo cosa mi passa per la testa, cosa diavolo mi è preso per esser qui a scriverti una lettera. Effettivamente sì, lo ammetto, anche a me tutto risulta fin troppo strano. E se solo tu potessi sentire il mio cuore adesso … Non riesco nemmeno a tenerlo dentro al mio petto, sembra voler scoppiare. E’ passato poco più di un anno da quando ci siamo incontrati per l’ultima volta, prima che la distanza ci separasse per sempre. E credo che dalle mie parole tu abbia già capito come mi sento. Mi manchi, Mia. Mi manchi terribilmente. Ho cercato di negarlo a me stesso per lungo tempo ma adesso mi sembra del tutto inutile. Le immagini dei nostri ricordi assieme continuano ad assalirmi i pensieri ed io non riesco a scacciarle, pur volendo. Cosa può significare? Io lo so, lo so già, ma vorrei che lo capissi anche tu perché sto impazzendo senza di te. La mia follia è cominciata con paranoie, continuata con incubi e allucinazioni e sta finendo con questa lettera, rivelatrice della mia verità. Ho bisogno di te altrimenti proprio non lo so cosa ne sarà di me.                                                     
Tuo Jared.”


La lessi tutta d’un fiato, interrompermi non sarebbe servito a nulla se non ad aumentare il dolore. Il trucco sulla quale avevo lavorato per circa dieci minuti mi era completamente colato sulle guance, ormai rigate di nero. Le lacrime avevano invaso il mio volto senza il minimo ritegno. Avevano corroso la mia serenità, tutta d’un colpo, in un solo attimo, distrutta e fatta a brandelli. Avevo sofferto troppo per lui ed ora era lì, di nuovo.  Avevo cambiato completamente la mia vita pur di dimenticarlo.

“You were my fire, so I burned and now there’s nothing left for me”

Tentare di dimenticarlo con altri appuntamenti con uomini sconosciuti non era servito a nulla. E non so cosa mi spingeva a credere che quella sera sarebbe stato diverso. Poggiai la lettera da dove l’avevo presa e mi asciugai le lacrime, strofinandomi via il trucco sbavato. Osservai quel foglio ancora per un attimo, un lungo attimo, quando riprendendola lo strinsi tra le mani per farne un’inutile pallina di carta e sbatterla nella spazzatura; ma non ci riuscii. Non so per quale strano meccanismo, ma i muscoli delle mie mani si fermarono, i nervi si distesero e, impotente, mi lasciai cadere a terra con le spalle al muro.
Rimasi a lungo in silenzio, ad occhi chiusi mentre il tempo, senza che io ne fossi realmente cosciente, scorreva velocemente. Ci volle molto prima che potessi accorgermi che qualcuno stava bussando alla porta con leggera insistenza, probabilmente non era la prima volta che ci provava. Per non andare via, la persona in questione doveva sapere che ero sicuramente ancora in camera. Quando mi alzai dal pavimento, mi diressi, strisciando completamente i piedi al suolo, alla porta. Appena realizzai la figura di chi si trovava di fronte a me, mi sentii una terribile sfigata. Trucco colato, capelli sconvolti e sorriso smorto.

  • Signorina, cosa le succede? – mi chiese il cameriere di turno dell’hotel in cui alloggiavo temporaneamente.
  • Nulla, non si preoccupi, è tutto tranquillo.. – misi una mano davanti quasi per non permettergli di entrare e chinai il capo verso il basso.
  • Ne è sicura? –
  • Assolutamente! – allargai le labbra in un sorriso, uno dei più finti di sempre.
  • Vabbè, come dice lei! Comunque sia, le ho portato la cena come mi è stato richiesto.. – lasciò comparire dietro di sé un carrello pieno di piatti ricoperti da coperchi d’argento.
  •  Richiesto? Comunque no, veramente io.. – non avevo ordinato alcuna cena.
  •  Veramente lei? –
  • Non ceno in albergo.. – era davvero molto gentile, però avevo un appuntamento.
  • Ma come? Quando prima le ho servito da bere, le ho portato anche una lettera, non se n’è accorta?
  •  Beh, sì.. ma questo cosa c’entra? – chiesi chiaramente confusa. Era stato lui a portarmi quella busta in camera, quindi.
  •  Aaah, no niente niente, credo d’aver sbagliato camera, mi scusi! – sorrise prontamente e sgattaiolò via.
  • Si figuri.. – chiusi la porta sbarrando gli occhi, non ci avevo capito nulla.
 
Osservai la notte arrivare sempre più fitta fuori dalla finestre mentre le luci dei locali, come lucciole, illuminavano il buio. Quel buio che si stava impadronendo anche dei miei occhi, del mio sorriso, del mio volto e di tutta me stessa.  In quel momento avevo desiderato solo restare chiusa in quella stanza, infilata sotto le coperte calde e con un po’ di buona musica a farmi compagnia. Non potevo superare il colpo, non quella sera. Arrivai addirittura a pensare di rinunciare all’appuntamento poiché non sarebbe stato corretto fingere nei confronti del ragazzo, Frank, ma soprattutto nei miei, non potevo prendermi ancora in giro da sola. Iniziai quindi a struccarmi, legando i capelli in una coda assurdamente alta quando, tutto d’un tratto, il cellulare suonò e interruppe la mia autodistruzione. Mi guardai allo specchio, delusa dal mio aspetto, prima di rispondere alla telefonata.

  • Si, pronto?
  • Heylàààà! –  “Oh, no” era Frank.
  • Ciao Frank! – mi finsi entusiasta cercando di mascherare i miei veri toni.
  • Allora, sei pronta? Io sono quasi sotto al tuo albergo! – esclamò pienamente convinto di far colpo, vista la puntualità.
  •  No, in realtà.. – non mi lasciò nemmeno finire di parlare.
  • Voi donne siete tutte uguali! – “Credici”, pensai.
Finsi una risatina e cercai di liquidarlo il prima possibile, ma lui  non capì perché continuava ad allungare la telefonata, fin quando non me lo spiegò.
  • Dai su, fammi compagnia mentre arrivo! – solo sentendo il tono di voce, mi sembrava un deficiente.
  • Frank, non posso, devo finirmi o no di preparare? – risi fra me e me, cercando di calarmi sempre più nella parte, un po’ anche per convincermi di poter dimenticare.
  • Tanto alla fine ti spoglierai ugualmente! – rise beffardo.
  • Maniaco! – quasi lo sgridai, odiavo ammiccamenti di questo tipo.
  • Ma scherzo, ti pare?! – lo sentì sorridere, rassegnato alla mia facile ira.  – Dai allora, preparati, ci vediamo tra un po’, ok? Se vuoi m’intrattengo per darti più tempo..  – era pazzo, credo.
  • Si, si, va bene! – attaccai immediatamente.
 
Mi diressi in bagno per sciacquarmi delicatamente la faccia e massaggiarmi le tempie stanche, mi guardai piano nel riflesso appannato dello specchio e cercai di sforzarmi di sorridere.

  • Non è la fine del mondo, Mia, ce la puoi fare! – sentii una voce, vicina ma lontana.
Sbarrai gli occhi, completamente agitata da quella mezza allucinazione sonora. Corsi ad accendere lo stereo in camera per evitare di sentire altre voci inesistenti. Mi ripreparai, sistemando nuovamente trucco e capelli, fortuna che il resto era ancora perfetto ed impeccabile. M’infilai velocemente un trench nero lucido e poi mi sbrigai a preparare la borsa.
  • Mia, aprimi! – sentii qualcuno bisbigliare.
Dovevo smetterla e non ci riuscivo. Era sempre lì ad occuparmi la mente.
Presi il cellulare e composi il numero di Frank. Dopo nemmeno due squilli, mi rispose e si mostrò estremamente felice di aver ricevuto quella telefonata. Dentro di me cominciò a ribollire una sorta di odio nei confronti di Jared, aveva rovinato tutto, in me, magari stavolta ce l’avrei fatta se non fosse intervenuto in precedenza. Cos’avrei dovuto fare?

  • Allora, ti muovi? Ti sto aspettando! – gli dissi sinceramente, volevo passare una serata serena con lui e dimenticare, di nuovo, il passato ormai andato.
  • Signorsìsignora, corro! – lo senti scattare con un po’ d’affanno e riagganciare lasciandomi appesa al telefono.
 
“Ma guarda un po’ questo!” – risi tra me e me – “E’ veramente pazzo!”

  • Mia, sono io! – altro sussurro, caldo e tagliente.
Mi gettai sul letto e poggiai il cuscino sulle orecchie per estraniarmi da quelle illusioni e lì, sotto la musica, aspettai l’arrivo di Frank. Pochi minuti dopo sentii qualcuno bussare alla porta. Corsi ad aprire convinta che fosse lui ed un sorriso radioso s’impossessò delle mie labbra.  Aprendo la porta invece, non fu la calma ad accogliermi, ma un’improvvisa tachicardia. Davanti ai miei occhi si era magicamente materializzato Jared, con una tulipano rosso tra le mani, il mio fiore preferito e con un sorriso, più che sincero, terrorizzato. Socchiusi per un attimo la porta, per nascondergli le lacrime che si erano già formate negli occhi, come se non aspettassero altro.  Quando percepì i miei sospiri per trattenere il pianto, Sentii la sua mano fare forza accanto alla maniglia.
  • Mia! – anche la sua voce era dolorante.
  • Vai via, Jared.. – mi lasciai andare.
  • No, non lo farò! – quando smisi di mantenere porta, per trascinarmi lontano da lui, spinse la porta e si fece spazio per entrare nella mia stanza.
  • Invece si.. – ormai piangevo.
  • Perché dovrei? Stai piangendo, Mia. – lessi l’assoluta serietà nei suoi occhi.
  • Perché mi fai solo del male e non posso sopportarlo, non più. – sputai schiettamente continuando a mantenere il mio sguardo lontano dai suoi occhi ipnotici.
  • Non voglio fartene, non più, come nemmeno a me, costringendomi a starti lontano. –
  • E cosa sarebbe questa storia? – sarcastica, lo guardai. Mi aspettavo una risposta banale, forse un silenzio interminabile, ma le mie convinzioni non diventarono realtà.
  • La verità, Mia! Devi credermi! – i suoi occhi erano assenti, persi in chissà quale parte più profonda del suo essere.
  • Jared, basta! Sta arrivando Frank, vai via.. 
  • E chi sarebbe?
  • Frank e basta.
 
Infiniti minuti di silenzio percorsero quello che era il buio tra di noi. Quando tutto d’un tratto quella persona che risiedeva di spalle davanti a me, quella senza la quale non avrei saputo più vivere, cominciò a parlare di nuovo.
 

  • Perché hai rifiutato la mia cena? – chiese visibilmente deluso.
“Oddio, era lui, sempre e solo lui”
  • Frank.
  • Ah.
 
Altro silenzio inondò violentemente la stanza, ma stavolta lui non parlò minimamente, anzi, tutt’altro, si alzò dalla piccola poltrona ricamata e se ne andò, lasciandomi sola, ancora, tra le mie inutili lacrime. M’infilai sotto le coperte, ancora. Avevo nuovamente deciso di abbandonarmi, di abbandonare Frank e ogni possibilità di riprendermi. Squillò il cellulare, sempre in uno dei momenti meno opportuni. Tirai su col naso e risposi.
 

  • Frank..
  • Hey! Senti, farò un po’ ritardo, ho avuto un piccolo imprevisto, mi si è bucata la ruota della macchina, sto aspettando il meccanico qui come un ebete in mezzo alla strada!
  • Inventatene un’altra, Frank!
  • Ohi, ma che dici? Non è che se tutti usano questa scusa, significa che lo faccia anch’io!
Piansi ancora.
  • Hai ragione, ti aspetto! – sorrisi disperata e attaccai, posando il cellulare sul comodino.
 
Non so quanto tempo passò, ma aspettare non mi pesò per niente.
Tutto d’un tratto vidi la porta aprirsi e un’ombra scura allargarsi sulle parete opposta all’entrata.

  • Fraaaaaaaank! – gridai estasiata.
  • Non sono Frank. – si girò a guardarmi con quegli occhi sempre spenti.
Il buio della stanza regnava su di noi, timidi ed imbarazzati da quell’amore incapace di essere confessato. Jared reggeva tra le mani la sua chitarra. Quando si sedette su di una sedia, prese a strimpellare qualche nota. Le corde lunghe e tese s’intersecavano perfettamente con le sue dita sottili e poco curate.
  • Mi prometti di stare zitta per cinque minuti e lasciarmi parlare? Non l’hai mai fatto, concedimelo almeno adesso, un attimo solo.. – leggevo troppa sincerità in ogni sua movenza, quasi mi asfissiava.
  • Promesso.. – biascicai con la gola secca.
  • Lo devi sapere, lo devi capire che ti amo, e che non c’è verità più assoluta di quella che hai letto nella lettera che ti ho scritto. Mia, credimi e basta. Lo sai perché sono qui, sai ogni minima cosa.
  • Jared, io.. – gli occhi bruciavano e la voce tremava.
  • Shh, non puoi ancora parlare.. – si poggiò il dito sulla bocca e mi zittì in un secondo.
 
“No warning sign, no alibi, we’re fading faster than the speed of light, took our chance, crashed and burned, no we’ll never ever learn, I fell apart, but got back up again.. We both could see, crystal clear, that the inevitable end was near, made our choice.. “
 

  • Ho capito.. – provai a dire.
  • Shhhh, non puoi.. – ritogliendomi la parola, poggiò a terra la chitarra e mi si avvicinò piano. Stavolta poggiò il dito sulla mia di bocca.
 
Dopo pochi secondi il suo viso era decisamente troppo vicino al mio, come non avrei mai immaginato dopo così tanto tempo. Le labbra si richiamavano, desideravano lasciarsi tutto alle spalle e creare un nuovo inizio. Quelle labbra erano l’unico strumento di perdono, altre parole non sarebbero servita a nulla, se non a peggiorare la situazione. Nello stesso momento però, sulla soglia della porta si presentò un’altra figura, quella di Frank. Entrò in punta di piedi per non farsi sentire, ma a causa del buio non si accorse di nulla, né di me, né di Jared.

  • Miriam, ci sei? – lo sentii chiamarmi.
Evitai di rispondere cercando di nascondermi ma lui mi anticipò accendendo la luce. Quando la stanza fu illuminata, trovò me e Jared, mentre lui mi stringeva una mano.  Ci scambiammo uno sguardo vuoto che necessitava spiegazioni. Lessi sul suo volto un intenso velo di delusione.
  • Cosa succede qui? – chiese balbettante, indietreggiando verso l’uscita.
Rimasi ancora in silenzio, non avevo scusanti.
  • Miriam, cos’è questa storia? – cominciò ad agitarsi, lo notai dai suoi occhi e dallo sbattere delle sue palpebre sottili.
  • Niente, Frank.. – mi allontanai da Jared che subito mi riprese per mano.
  • Niente, eh? Stavolta lo dico io “Inventatene un’altra!” – gridò perforando il sacro silenzio che, pochi minuti prima, regnava pacificamente in quella stanza.
L’atmosfera s’irrigidì immediatamente e davanti a me si erano appena aperte due piccole stradine.
Era il momento di scegliere.

  • Hai ragione Frank, non ho scusanti. – dichiarai seriamente, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo. – Perdonami.. –
  • Vaffanculo Miriam! – sbattuta la porta, corse via lasciandomi lì col cuore a mille.
Ritornai a guardare Jared che si era allontanato vicino alla finestra. Il vetro lucido dava su un paesaggio buio riempito di luci colorate provenienti da posti lontani. Alcune nuvole riempivano il cielo cupo di quella sera e probabilmente una lieve pioggia avrebbe pulito le strade della città. Si stava facendo tardi ed io non avevo più forze, quella giornata mi aveva devastato. Non riuscii a rivolgergli la parola ma mi limitai ad osservarlo, mentre sovrappensiero, poggiava il suo sguardo altrove. Cingendogli un fianco, lo avvolsi  in un abbraccio di riconciliazione finendo per poggiare la mia testa sull’incavo della sua spalla.
  • Perdonami.. – fu questa l’unica parola che riuscii a pronunciare.
  • Tu non hai niente da farti perdonare, Mia.. – mi strinse a sé,  accarezzandomi i capelli e chiudendo gli occhi, come per perdersi per sempre in quell’istante.
  • Non so cosa dire.. – confessai ancora stretta tra le sue braccia.
  • Io sì, e non voglio che tu vada via.. – sospirò – Non voglio che roviniamo tutto, di nuovo.. -
Colsi i suoi occhi puntati nei miei e mi avvicinai al suo viso per poggiare la mia fronte sulla sua.
  • Cosa dobbiamo fare, Jared? – chiesi disarmata, avevo perso la concezione di ogni cosa.
Non mi rispose, ma prese il mio mento e lo tirò a sé. Poggiò le sue labbra sulle mie facendomi sussultare.  Un tocco leggero, quasi impercettibile, ma che arrivò fino all’anima. Avete presente quando un forte sentimento di amore finisce per controllarvi? Beh, era così in quel momento. Iniziai a piangere,quasi commossa, e anche lui fece lo stesso. Eravamo incatenati a quel sentimento che ci aveva portato ad unirci ancora una volta, nonostante tutto. Eravamo schiavi di ciò che ci legava. E nessuno dei due poteva rinunciarvi.  
  • Hai ancora bisogno di risposte? – mi chiese sorridendo col volto bagnato dalle lacrime.
  • Credo di no. – mi liberai dal pianto, felice e lo abbracciai di nuovo.
Questo è l’amore, non saprei spiegarvelo diversamente.

“Just to be the death of me, save the rest of me”
 
  
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