RATING: Arancione.
GENERE:
Romantico, Malinconico.
AVVERTIMENTI:
Slash, AU,
Angst, Song-fic, sprazzi di OOC.
DEDICA:
I’ve
got a lot of resentment for old friends -for letting me go without a
fight. I
just want someone to call and say, "I miss you, how are you?". I just
want to call someone and say, "I miss you, I’m sorry".
NOTE: In realtà dovrei
dedicarmi all’ultimo
(probabilmente) capitolo della mia long, ma quando la Musa chiama chi
sono io
per resistere al suo volere fascino? La
verità è che sono una persona
debole e senza volontà, per cui non mi resta altro che
sottomettermi alla sua autorità
e sfornare l’ennesima song-fiction
su
‘sti due poveri ragazzi. Poveri, avete capito bene,
perché accettano di farsi
maltrattare dalla sottoscritta senza lamentarsi (troppo).
Il link della canzone non riesco a darvelo (ho qualche problema con
YouTube,
yay!). Comunque sia, è Echo
di Jason
Walker.
Buona lettura!
Quando è
morta sua madre, Arthur aveva otto anni.
Anche
adesso -ad un passo dal compierne ventisei- ricorda perfettamente
l’odore di
disinfettante che permeava la suite 18 della costosissima ed esclusiva
clinica
privata dove era stata ricoverata.
La sua
stanza. Arthur era abbastanza grande da capire che la mamma era
gravemente
malata -cancro, gli aveva spiegato dolorosamente sbrigativo Uther, suo
padre- e
che i medici che le si affaccendavano intorno stavano cercando una cura
per
salvarle la vita.
Era abbastanza grande da capire che gli occhi del papà erano
perennemente
arrossati e gonfi perché non dormiva mai abbastanza,
preferendo restare al
capezzale della moglie ore ed ore ed ore ogni giorno, e
perché piangeva quando
pensava di non essere visto. Piangeva di rabbia, di impotenza;
sommessamente,
trattenendo il più a lungo possibile i singhiozzi e
asciugando velocemente le
lacrime che rotolavano sulle sue guance.
Arthur lo sapeva,
perché faceva esattamente lo stesso. Di notte, sotto le
coperte e al riparo
dagli occhi impietosi del mondo, stringeva forte i pugni e soffocava i
lamenti
contro il cuscino, che al risveglio trovava umido e spiacevolmente
freddo.
Hello, hello
Anybody out there?
'Cause I don't hear a sound.
Alone, alone
I don't really know where the world is, but I miss it now.
Ygraine è morta alle
2:27
di un diciotto gennaio che né lui né suo padre
riescono a dimenticare.
Arthur era stanco. Era
stata una giornata stressante, tra scuola, lezione di scherma e di
pianoforte; Uther,
forse nel tentativo di trasmettere una parvenza di normalità
al figlio, gli
aveva imposto di continuare con la vita e gli impegni di tutti i
giorni. Per
quanto si fosse ripromesso di comportarsi da bravo ometto coraggioso,
semplicemente ad un certo punto non era più riuscito a
tenere le palpebre
alzate e si era addormentato, poggiando la guancia sinistra accanto
alla mano
della mamma, che gli accarezzava piano l’arruffata chioma
bionda.
Quando si era svegliato,
neanche un’ora dopo, un urlo disumano gli aveva ferito i
timpani. La voce era
quella del papà, l’aveva riconosciuta subito.
Spaesato, aveva cercato conforto
nella mano nivea della mamma. Ma era fredda, freddissima, e prima che
potesse
realizzarne il motivo un paio di braccia accoglienti e ferme
l’avevano
circondato e lui si era sentito tirare via. Poi il cielo si era
oscurato di
nuovo.
L’ironia del destino ha
voluto che il decesso della donna che l’aveva messo al mondo
e amato più di se
stessa per sette anni avvenisse il giorno del suo compleanno. Diciotto
gennaio,
stanza numero diciotto. Sono quasi diciotto anni che Arthur non dorme
più.
I'm out on the edge and I'm screaming
my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough...
‘Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
My shadow, shadow
Is the only friend that I have.
“Arthur, non puoi
ignorare il problema sperando che prima o poi passi”
esordisce, seccamente.
Uther Pendragon,
fondatore e CEO delle Pendragon Industries, ha sempre voluto un gran
bene al
suo unico figlio, ma è alquanto maldestro nel
dimostrarglielo. I suoi modi sono
bruschi, impacciati. Era Ygraine quella brava a rapportarsi con le
persone.
“Papà, mi hai
davvero
convocato nel tuo ufficio mentre ero nel bel mezzo di una
videoconferenza con i
soci giapponesi per parlare della mia insonnia?” è
la replica, pacata ma venata
di esasperazione, di Arthur. “Sono l’amministratore
delegato, ho degli obblighi
a cui assolvere”.
“Questo lo so meglio di
te, figliolo. E’ appunto per via del ruolo che ricopri che ti chiedo di prendere il
toro per le corna,
una volta per tutte” insiste il padre. “La
dottoressa Emrys-”
“Ti prego, ancora con
questa storia?” Arthur alza gli occhi al cielo, sbuffando.
“Te l’ho già detto,
dalla dottoressa Emrys non ci torno più. Sono adulto,
vaccinato e perfettamente
autosufficiente, non ho bisogno dell’aiuto di nessuno.
Specialmente di una
strizzacervelli”.
“Sarà anche
come dici tu,
ma levati dalla testa la convinzione di essere infallibile. Sei mio
figlio,
Arthur, e ti conosco. Sei testardo, ma io lo sono di più: ho
deciso per il tuo
bene che seguirai il mio consiglio e lo farai” il tono di
voce è perentorio,
impossibile contraddirlo.
“Posso almeno sapere di
che si tratta?” indaga Arthur, cedendo giusto un
po’.
“E’ un gruppo
di sostegno
per persone che hanno problemi di emotività. Quando ancora
andavi in cura da
lei, la dottoressa aveva appurato che la tua insonnia è di
natura traumatica. In
questi ultimi cinque anni lei ed un’equipe di psicologi hanno
condotto degli
studi al riguardo, e sono giunti alla conclusione che una gamma molto
vasta di
disturbi comportamentali sono riconducibili ad un’origine
comune: una spiccata
emotività. Hanno avuto degli ottimi riscontri e, sebbene
tutti i posti per i
prossimi sei mesi fossero prenotati, la dottoressa è stata
così gentile da
riservarne uno per te. Cominci domani sera”.
“Hai organizzato tutto
fin
nel minimo dettaglio, vedo. Quando pensavi di dirmelo?” prova
a ribellarsi.
“Non fare il ragazzino
viziato, Arthur. Se sei indipendente e autonomo come sostieni,
dimostramelo. Partecipa
alle sedute del gruppo, impegnati e cerca di guarire”.
“Ti vergogni di me, non
è
vero? Ti vergogni perché sono strambo, è
così papa?” lo accusa Arthur, ferito.
“Non pensarlo nemmeno per
un attimo. Sei la sola cosa bella che mi sia rimasta e non voglio
perderti.
Sono diciassette anni che prego perché tu riesca a lasciarti
la morte della
mamma alle spalle, ma il tuo dolore è andato in cancrena.
E’ diventato una
malattia, un parassita che ti sta rodendo piano,
dall’interno. Non posso
perdere anche te per colpa di un cancro, figliolo, lo capisci? Ti
prego, fatti
aiutare. Datti pace; uccidi la bestia, Arthur” lo supplica
Uther, bisbigliando.
Listen, listen
I would take a whisper if
That's all you have to give.
But it isn't, isn't
You could come and save me
Try to chase it crazy right out of my head.
“Uhm, salve a tutti. Il
mio nome è Arthur”.
“Ciao, Arthur”
gli
rispondono in coro gli altri Emotivi Anonimi, una decina in tutto.
Le sedie sono disposte a
cerchio. Su una di queste è seduto un medico anzianotto che
risponde al nome
obsoleto e piuttosto buffo di Gaius. Lo fissa, inarcando un
sopracciglio
candido come i suoi capelli, e scribacchia qualcosa su un blocco di
appunti.
“Vuoi parlarci del
perché
sei qui, Arthur? Sempre se te la senti, beninteso” ci tiene a
precisare.
“Certo, nessun
problema”
scrolla le spalle con noncuranza.
Non nutre più alcuna
fiducia in questo genere di cose -non dopo dieci anni
dall’analista senza alcun
risultato- ma ha promesso di fare un ultimo tentativo. In fondo, che
gli costa?
Magari l’ostinazione paterna, di fronte
all’ennesimo buco nell’acqua, si
placherà definitivamente.
“Dovete sapere che esiste nel mondo una
specie di setta della quale fanno parte uomini e donne di tutte le
estrazioni
sociali, di tutte le età, razze e religioni: è la
setta degli insonni, e io ne
sono un fedele adepto da diciassette anni, da quando è morta
mia madre. Gli
uomini non aderenti alla setta a volte dicono a quelli che ne fanno
parte: 'Se
non riesci a dormire puoi sempre leggere, guardare la tv, studiare o
fare
qualsiasi altra cosa'. Questo genere di frasi irrita profondamente i
componenti
della setta degli insonni. Il motivo è molto semplice. Chi
soffre d'insonnia ha
un'unica ossessione: addormentarsi” conclude con enfasi, e si
accomoda al suo
posto.
“Uhm”
commenta Gaius, prendendo appunti. “Molto bene, Arthur.
Davvero molto bene. A
chi tocca, adesso?”
“A me”
risponde una voce cristallina proveniente dalla sinistra di Arthur.
Si volta e cazzo-
E’ un uomo,
è giovane, al posto degli occhi ha due zaffiri e delle
orecchie gigantesche,
sgraziate. Un profilo dolce, labbra soffici, il collo lunghissimo e
ciuffi di
capelli corvini che gli ombreggiano delicatamente la fronte. Sembra un
elfo: lungo
e flessuoso, con un che di etereo e inafferrabile.
E’ bello
come un’eclissi, come un tramonto infuocato di rosa e
d’arancio, come le
cascate. La sua è una bellezza notturna e malinconica,
fragile che lo si
potrebbe spezzare solo stringendogli i polsi sottili.
Arthur è
incantato -colpo di fulmine, epifania- e si perde la presentazione
dell’altro. Il
quale, una volta sedutosi, si volta verso di lui. Si guardano. Non
fanno altro
per il resto della seduta.
I'm out on the edge
and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough…
‘Cause my echo, echo
Is the only voice coming back
My shadow, shadow
Is the only friend that I have.
Il ragazzo, viene a
sapere Arthur durante il secondo incontro, si chiama Merlin Emrys ed
è figlio
della sua ex psicanalista. Soffre di onicofagia (ovvero sfoga il
nervosismo
rosicchiandosi le unghie) e ha qualche problema a gestire la sua
castrante e
paralizzante timidezza.
Mano a mano che gli
incontri si susseguono, scopre anche che è vegetariano ed
intollerante alle
fragole e ai latticini; che è figlio unico ma ha una cugina,
Freya, che adora e
che considera la sorella di cui sente la mancanza; che ha perso il
padre in un
incidente d’auto cinque anni prima e che è un
mezzo genio. Frequenta il secondo
anno di ingegneria aereospaziale e conta di laurearsi in sei mesi.
E’ un
appassionato lettore di manga, e venera le CLAMP pur odiandone il
sadismo. E’
sensibile, spiritoso, totalmente ignaro del fascino che esercita sugli
altri.
I don't wanna be down
and
I just wanna feel alive and
Get to see your face again once again.
Just my echo, my shadow
You’re my only friend…
Mancano diciotto giorni
al diciottesimo anniversario della sua morte.
Quel numero lo perseguita.
“Terra-chiama-Arthur.
Terra-chiama-Arthur” lo pungola, con le mani a coppa davanti
alla bocca a mo’
di megafono, pericolosamente vicino al suo orecchio.
“Scemo”
sorride,
colpendolo affettuosamente sulla spalla. “Non me ne vado. Ero
solo un po’
soprappensiero”.
“Stavi pensando a tua
mamma, vero?” indovina, con un intuito ed una delicatezza che
sono così
merliniani.
“Un giorno di questi
dovrai
spiegarmi come diamine fai a leggermi nella mente, stregone”.
“Non ci vuole
chissà
quale potere magico, asino. Quando pensi a lei ti si scava una ruga tra
le
sopracciglia, proprio qui” e gli tocca il volto per indicare
il punto preciso,
lisciando la pelle corrugata con i polpastrelli.
“Sei un grande
osservatore” replica lui, turbato e ammirato al tempo stesso.
“I timidi notano tutto,
ma sono molto bravi a non farsene accorgere”.
I'm out on the edge
and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough…
‘Cause my echo, echo
Oh my shadow, shadow.
E’ tutto talmente
paradossale ed assurdo. Una qualsiasi altra persona, una persona normale, trascorrerebbe quel giorno di lutto e
di festa insieme, di morte e celebrazione della vita, rintanato in
camera da
letto -avvolto in un plaid di lana, magari- e rifiutando qualsiasi
contatto con
il mondo esterno.
E invece è
lì, davanti
alla tomba di sua madre. E’ il diciotto gennaio, lui compie
ventisei anni ed è
al cimitero. Con Merlin. E si sta dichiarando.
“Ascolta”
balbetta, rosso
in faccia e afferrando la manica del giubotto dell’altro.
“So che è il luogo
sbagliato, il momento sbagliato, il giorno sbagliato. E so di essere
sbagliato
io. Sono fatto male, ho un sacco di turbe e sono complessato da
morire”.
“Perché io
invece ti
sembro una persona perfettamente equilibrata?” lo interrompe
Merlin,
ridacchiando di gusto.
“Non- fammi finire, ok?
Dicevo: sono abbastanza patetico e testardo come un mulo. Sono
perseguitato dai
miei fantasmi e forse non me ne libererò mai. Ma tu mi hai
aiutato. Ieri notte
ho dormito, sai?, per cinque ore di fila. Senza usare sonniferi o gocce
o
calmanti. Niente di niente. E ti ho sognato. Ti ho sognato, Merlin. Eri
lì,
nella mia testa, ed ero così dannatamente felice
perché tu sei ovunque, in
realtà. Nel mio cuore, nel mio cervello bacato, nella bocca
dello stomaco. Ok,
detta così fa schifo, ma quello che intendo dire
è-” una mano privata del suo
guanto gli sigilla la bocca.
“Guardami le unghie,
Arthur”.
Arthur obbedisce e sorpresa:
le dita di Merlin sono meno martoriate del solito. Le unghie stanno
ricrescendo,
millimetro per millimetro, e la carne viva non sanguina più.
Si guardano.
“Non me le mangio
più da
una settimana” spiega con dolcezza. “Siamo entrambi
sbagliati, Arthur. Abbiamo
le nostre fisime e i nostri handicap, e siamo ancora ben lontani dal
poterci
considerare normali. Ma sai che ti dico? Me ne frego. Tu ed io,
insieme, siamo
giusti. Siamo perfetti. Nient’altro conta, per quanto mi
riguarda” e lo bacia.
Hello, hello
Anybody out there?
Well, eccoci
arrivati alla fine (non ci speravate più, eh?). E’
la più strana delle mie
song-fiction scritte finora, e forse anche la più noiosa,
pesante e deprimente.
Consideratela un esperimento, ecco. E criticatemi quanto volete, se vi
va; sono
molto curiosa di sentire il vostro parere. (Citazioni sparse dal film
“Le
conseguenze dell’amore”, anyway.)
I vari
errori di battitura verranno autobetati il prima possibile. E questo
è tutto:
passo e chiudo! <3