Lui le carezzò dolcemente il viso e sorrise,
specchiandosi negli occhi di lei, che gioivano di un languido
piacere.
Giancarlo Cantagiusto, uno tra
gli scrittori più amati dal pubblico di ogni età, stava terminando l’ultimo
romanzo della sua serie più fortunata. Era ritenuto uno dei migliori autori
italiani dai lettori e dalla critica, che lo ammirava non solo per la sua inestimabile bravura, ma anche per il
suo aspetto per bene. Effettivamente,
l’uomo manteneva un portamento distinto e dignitoso anche nella solitudine della
propria casa, persino mentre dava alla luce i propri libri.
Conscio dell’importanza che quel
romanzo avrebbe avuto nella sua carriera, rilesse con attento rigore le ultime
righe che aveva scritto. Accennò un sorriso misto tra soddisfazione e
presunzione e riprese lentamente a comporre.
- Sei bellissima – disse l’uomo con voce
suadente e calda. Lei, ormai donna, ormai matura, rise leggermente e gli cinse
il collo con le esili e bianche braccia. – Ti amo – sussurrò
piano.
“Eh no, eh! Ora basta, non ne
posso più!” urlò una vocina lontana ma risoluta.
Lo scrittore sollevò gli occhi
dal foglio e si guardò attorno, senza vedere nessuno. Non appena riappoggiò la
penna sulla carta, però, la vocina si fece di nuovo sentire, con la stessa
forza. “Come pensi di poter scrivere sempre le stesse sciocchezze senza che
nessuno si ribelli, una volta ogni tanto?!” domandò con fare
retorico.
- Ma chi c’è? – chiese l’uomo,
piccato dalla sfrontatezza del suo misterioso detrattore.
“Chi sono?!” domandò offesa la
voce. “Nemmeno conosci coloro a cui devi ogni singola parte della tua fama e
della tua ricchezza! Sono Amare,
santo cielo! E sono stanco di essere usato con così tanta leggerezza. In ogni
tuo libro vengo utilizzato almeno settanta volte, lo sai? Nell’ultimo che hai
scritto io e i miei fratelli ci siamo contati: centoventotto! Eravamo
centoventotto! Abbiamo anche litigato per capire chi di noi fosse il più
importante, ma poi ci siamo resi conto di essere tutti inutili, dato che alla
fine si scopre che quella Clara tradiva il marito: un povero sciocco,
permettimelo! Uno che crede ad un Ti
Amo (la coppia più scontata e utilizzata della lingua italiana) detto al
chiaro di luna è proprio un illuso!”
Giancarlo osservò la propria
scrittura minuta, tracciata con decisione quasi nervosa, e, mentre ascoltava
quelle esclamazioni indignate, credette di veder muovere la parola “amo”. Sbatté
un paio di volte le palpebre per scacciare la stanchezza della giornata e guardò
l’ora segnata dal grande orologio appeso alla parete.
- Le dieci e venti! – esclamò
sorpreso, - devo essermi fatto trasportare dall’ispirazione! –
“Ispirazione? Questa la chiami
ispirazione?!” sbottò una voce diversa da quella precedente, più giovane. “Forse
intendevi dire banalità! Non ne posso più di essere sempre usato allo stesso
modo! E’ possibile che un Leggermente debba continuamente
sorbirsi le lamentele di Ridere? Che
poi, poverina, ha anche le sue ragioni, ma dopo secoli di letteratura la mia
famiglia non la sopporta più! Sta diventando una guerra, ormai, e non è nemmeno
stata scatenata da noi! Dai, Ridere,
perché non ne approfitti e dici la tua?”
“Già che ci siamo… Mi può
spiegare, per piacere, perché devo sempre essere messa vicino a quei debolucci
dei Leggermente? Ma lei ha mai visto
noi Ridere agire leggermente? Sembra un controsenso o mi
sbaglio?”
Lo scrittore, sentendosi chiamato
direttamente in causa, pensò ad una risposta da dare, ma, realizzando che erano
le sue stesse parole a rivoltarsi contro di lui, si sentì offeso e optò per un
nobile e dignitoso silenzio, che però gli diede la possibilità di razionalizzare
la situazione e di rendersi conto di quanto questa fosse assurda e, soprattutto,
soprannaturale. Fu allora che, osservando l’espressione disarmata e spaventata
di Giancarlo, le parole si sentirono più forti e, non solo quelle più spigliate,
ma anche le più timide, iniziarono a far valere i propri diritti.
“Non vorrei parere sfrontata”
cominciò Bellissima “ma lei ha idea
di cosa significhi davvero essere Bellissima? Me lo sono chiesta spesso,
ultimamente, dato che vengo utilizzata per descrivere qualunque tipo di donna,
da quelle modestamente carine a quelle più banali, un po’ sciacquette, oserei
dire. Vorrei porre la sua attenzione su una frase particolare del suo ultimo
libro e vorrei che la mia amica Donna mi aiutasse a farle notare quanto
sia sbagliata e…com’è che dici sempre, Donna?”
“Maschilista” intervenne l’altra
parola, con tono fiero.
“Esattamente. Ecco: Dopo qualche bicchiere di champagne, Clara
era bellissima. Sembrava una vera donna, con quella risata così
rilassata e sincera, con quello sguardo così innocente e
disarmato...”
“Questa è la considerazione che
lei ha delle donne?” la interruppe Donna, profondamente offesa da quella
frase. “Abbiamo litigato per mesi io e le altre parole. Mi ci è voluto un bel
po’ per capire che non era colpa loro se erano state obbligate a stare in
quell’ordine! Ma si rende conto?”
Bellissima, un po’ infastidita
dall’interruzione, riprese le fila del proprio discorso. “E secondo lei può
essere davvero bellissima una donna del genere? Che si abbandona all’istinto,
che perde la cognizione delle cose, presumibilmente trasandata? Io non credo,
sa?”
- Beh – cercò di ribattere lo
scrittore, sentendosi diffamato da quelle quattro o cinque parole che, non solo
dovevano essergli grate per essere state utilizzate in uno dei suoi libri di
maggior successo, ma che, per di più, esistevano solo grazie al genere
umano.
“Ora cosa c’entro io?” chiese una
vocina estremamente flebile e infantile. “Mi fate correre di qua e di là, voi
scrittori, come se non ci fossero già troppe persone ad utilizzarci. Non siamo
mica tanti, noi Beh, lo sa, signore?
Non abbiamo tempo per crescere e per generare altri di noi. Siamo troppo pochi
per poter far tutto. E lei ci usa a sproposito, quasi in ogni dialogo. Perché i
suoi personaggi non imparano un po’ a parlare, prima di aprire bocca?” chiese
debolmente, interrompendosi in alcuni punti e balbettando
leggermente.
- Beh… - cominciò
Giancarlo
“Ancora?!”
- Scusa… Ehm… Mi dispiace
farti... Correre? –
“Sì sì, correre!”
- Ecco, sì. Mi dispiace farti
correre, ma io sono uno scrittore, devo usare le parole che mi servono e voi
dovete essere sempre al mio servizio, non devo mica chiedere il vostro permesso
prima! –
“Che faccia tosta!” gridò Viso, scatenando qualche risatina. “C’è
poco da ridere!”
“Io sostengo il contrario”
ribatté scherzosamente Ridere.
Un’altra risata si sollevò dalla pagina scritta.
“Vogliamo essere seri? Credo che
ne vada della nostra credibilità!”
Le parole tacquero e Viso poté continuare. “Dicevo che lei è
un insolente, signor Cantagiusto! Come può affermare una cosa del genere? Lei
crede davvero che noi siamo semplici strumenti al servizio
dell’uomo?”
- Direi proprio di sì – rispose
lo scrittore, incrociando le braccia per dimostrare ancora più
sfacciatamente la propria
convinzione in quello che affermava.
“E’ veramente illimitata la
superbia umana”, s’intromise Occhi.
Il brusio che si era venuto a creare durante la discussione si placò
immediatamente. Occhi era una delle
parole più anziane, esattamente come Amare, ma, al contrario di
quest’ultimo, raramente parlava. D’altronde, come la sua natura stessa
prevedeva, preferiva affidarsi agli Sguardi, suoi fedeli amici e, in
qualche modo, sottoposti. “Come fa a ritenersi uno scrittore? Una persona che
non rispetta le parole che lo nutrono non merita una definizione così
importante. Ho conosciuto molti veri scrittori; grandi poeti hanno scelto con
cura di usarmi nei loro componimenti, sin dagli albori della scrittura. Loro, i
veri amanti delle parole, ci hanno scoperte e si sono presi cura di noi,
tramandandoci nel tempo e permettendoci di continuare a vivere, ma è grazie a
noi se hanno ottenuto la fama e se sono riusciti a placare il loro dolore.
Uomini e parole hanno sempre avuto un rapporto di reciproco rispetto e aiuto e
mai nessuno scrittore ha osato oltraggiarci come l’epoca moderna sta
facendo.”
Tutte le altre parole annuirono
commosse, le più antiche piansero, al ricordo del passato splendente che avevano
vissuto. Amare, che era quello che
meglio poteva capire ciò che Occhi
stava cercando di spiegare e che era più abile nei rapporti con gli uomini,
credette di intravedere un barlume di pentimento negli occhi di
Giancarlo.
- E’ la società che sta
cambiando, non è colpa mia. Io mi adatto semplicemente – cercò di difendersi
blandamente.
“Lei non dovrebbe adattarsi!”
esclamò Piacere, che forse era il
più rivoluzionario tra tutte le parole sul foglio. “Io ho dovuto impormi nella
mente degli uomini per poter ottenere uno spazio nella loro letteratura e in
quella che lei chiama società. Io ho
cambiato la concezione dell’amore ed è solo grazie a me se lei può scrivere
quello che le piace scrivere, scene piene di passione e di godimento. Lei, che
si vanta di aver studiato approfonditamente l’opera omnia italiana, lei dovrebbe
sapere quello di cui parlo e dovrebbe essermi riconoscente. Anzi, dovrebbe
esserlo nei confronti di ognuna di noi!”
Tutte le parole applaudirono con
vigore, facendo vibrare con entusiasmo il foglio di carta.
- E, sentiamo, secondo voi cosa
dovrei fare per dimostrare la mia riconoscenza? Come potrei cambiare la società?
– chiese caustico.
Le parole, che attendevano quel
momento da tempo immemore, sentirono un fremito attraversare le loro lettere,
che si fecero più brillanti e corpose. Nessuna osava parlare per prima, tant’era
l’emozione che le animava.
“Lasci scrivere a noi questo
libro” disse semplicemente Viso “e
vedrà che non ci rimetterà la faccia”.
Questa volta nessuna delle parole
rise al doppio senso involontario, ma, al contrario, tutte quante attesero in
silenzio la risposta del signor Cantagiusto.
Questi, con un po’ di titubanza,
prese la penna in mano e, contrariamente a quello che pensavano le parole, che
temevano di tornare subordinate all’azione umana, scrisse solo: D’accordo.
Qualche mese dopo, in seguito a
numerose disavventure editoriali, il libro era sugli scaffali delle librerie più
importanti. Tutte le parole, davvero tutte, avevano contribuito con eccitazione
ed ispirazione e ognuna di loro compariva sulle pagine di quell’opera
rivoluzionaria.
La critica fu crudele, perché
purtroppo Giancarlo aveva ragione: la società non era ancora pronta.
Ma, in fondo, non era ai critici
letterari che le parole si rivolgevano, bensì ai giovani, ai nuovi scrittori
che, leggendo quel libro, avrebbero capito quanto potessero essere meravigliose
le parole, se lasciate in libertà.
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Ammetto di essermi divertita molto a scrivere questa
storia.
Mi piace la piega che ha preso, nonostante l'intento iniziale fosse
completamente diverso, e mi fa davvero piacere che la storia si sia classificata
seconda. Come ho detto alla giudice, è come se ad aggiudicarsi il podio sia
stato il messaggio della storia e questo non può che rendermi felice.
E' la
prima favola che scrivo e devo dire che mi piace come genere e probabilmente ne
scriverò altre.
Ringrazio la giudice, ovviamente, e tutti coloro che
vorranno recensire o che, semplicemente, leggeranno e apprezzeranno questa
storia.
Miss Dark