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Autore: miss dark    24/01/2012    5 recensioni
“E’ veramente illimitata la superbia umana. […] Come fa a ritenersi uno scrittore?
Una persona che non rispetta le parole che lo nutrono non merita una definizione così importante."

Come le parole zittirono lo scrittore.
[Seconda classificata al contest "Origami di carta" di Fe85]
Genere: Comico, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parole in libertà

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lui le carezzò dolcemente il viso e sorrise, specchiandosi negli occhi di lei, che gioivano di un languido piacere.

Giancarlo Cantagiusto, uno tra gli scrittori più amati dal pubblico di ogni età, stava terminando l’ultimo romanzo della sua serie più fortunata. Era ritenuto uno dei migliori autori italiani dai lettori e dalla critica, che lo ammirava non solo per la sua inestimabile bravura, ma anche per il suo aspetto per bene. Effettivamente, l’uomo manteneva un portamento distinto e dignitoso anche nella solitudine della propria casa, persino mentre dava alla luce i propri libri.

Conscio dell’importanza che quel romanzo avrebbe avuto nella sua carriera, rilesse con attento rigore le ultime righe che aveva scritto. Accennò un sorriso misto tra soddisfazione e presunzione e riprese lentamente a comporre.

- Sei bellissima – disse l’uomo con voce suadente e calda. Lei, ormai donna, ormai matura, rise leggermente e gli cinse il collo con le esili e bianche braccia. – Ti amo – sussurrò piano.

“Eh no, eh! Ora basta, non ne posso più!” urlò una vocina lontana ma risoluta.

Lo scrittore sollevò gli occhi dal foglio e si guardò attorno, senza vedere nessuno. Non appena riappoggiò la penna sulla carta, però, la vocina si fece di nuovo sentire, con la stessa forza. “Come pensi di poter scrivere sempre le stesse sciocchezze senza che nessuno si ribelli, una volta ogni tanto?!” domandò con fare retorico.

- Ma chi c’è? – chiese l’uomo, piccato dalla sfrontatezza del suo misterioso detrattore.

“Chi sono?!” domandò offesa la voce. “Nemmeno conosci coloro a cui devi ogni singola parte della tua fama e della tua ricchezza! Sono Amare, santo cielo! E sono stanco di essere usato con così tanta leggerezza. In ogni tuo libro vengo utilizzato almeno settanta volte, lo sai? Nell’ultimo che hai scritto io e i miei fratelli ci siamo contati: centoventotto! Eravamo centoventotto! Abbiamo anche litigato per capire chi di noi fosse il più importante, ma poi ci siamo resi conto di essere tutti inutili, dato che alla fine si scopre che quella Clara tradiva il marito: un povero sciocco, permettimelo! Uno che crede ad un Ti Amo (la coppia più scontata e utilizzata della lingua italiana) detto al chiaro di luna è proprio un illuso!”

Giancarlo osservò la propria scrittura minuta, tracciata con decisione quasi nervosa, e, mentre ascoltava quelle esclamazioni indignate, credette di veder muovere la parola “amo”. Sbatté un paio di volte le palpebre per scacciare la stanchezza della giornata e guardò l’ora segnata dal grande orologio appeso alla parete.

- Le dieci e venti! – esclamò sorpreso, - devo essermi fatto trasportare dall’ispirazione! –

“Ispirazione? Questa la chiami ispirazione?!” sbottò una voce diversa da quella precedente, più giovane. “Forse intendevi dire banalità! Non ne posso più di essere sempre usato allo stesso modo! E’ possibile che un Leggermente debba continuamente sorbirsi le lamentele di Ridere? Che poi, poverina, ha anche le sue ragioni, ma dopo secoli di letteratura la mia famiglia non la sopporta più! Sta diventando una guerra, ormai, e non è nemmeno stata scatenata da noi! Dai, Ridere, perché non ne approfitti e dici la tua?”

“Già che ci siamo… Mi può spiegare, per piacere, perché devo sempre essere messa vicino a quei debolucci dei Leggermente? Ma lei ha mai visto noi Ridere agire leggermente? Sembra un controsenso o mi sbaglio?”

Lo scrittore, sentendosi chiamato direttamente in causa, pensò ad una risposta da dare, ma, realizzando che erano le sue stesse parole a rivoltarsi contro di lui, si sentì offeso e optò per un nobile e dignitoso silenzio, che però gli diede la possibilità di razionalizzare la situazione e di rendersi conto di quanto questa fosse assurda e, soprattutto, soprannaturale. Fu allora che, osservando l’espressione disarmata e spaventata di Giancarlo, le parole si sentirono più forti e, non solo quelle più spigliate, ma anche le più timide, iniziarono a far valere i propri diritti.

“Non vorrei parere sfrontata” cominciò Bellissima “ma lei ha idea di cosa significhi davvero essere Bellissima? Me lo sono chiesta spesso, ultimamente, dato che vengo utilizzata per descrivere qualunque tipo di donna, da quelle modestamente carine a quelle più banali, un po’ sciacquette, oserei dire. Vorrei porre la sua attenzione su una frase particolare del suo ultimo libro e vorrei che la mia amica Donna mi aiutasse a farle notare quanto sia sbagliata e…com’è che dici sempre, Donna?”

“Maschilista” intervenne l’altra parola, con tono fiero.

“Esattamente. Ecco: Dopo qualche bicchiere di champagne, Clara era bellissima. Sembrava una vera donna, con quella risata così rilassata e sincera, con quello sguardo così innocente e disarmato...

“Questa è la considerazione che lei ha delle donne?” la interruppe Donna, profondamente offesa da quella frase. “Abbiamo litigato per mesi io e le altre parole. Mi ci è voluto un bel po’ per capire che non era colpa loro se erano state obbligate a stare in quell’ordine! Ma si rende conto?”

Bellissima, un po’ infastidita dall’interruzione, riprese le fila del proprio discorso. “E secondo lei può essere davvero bellissima una donna del genere? Che si abbandona all’istinto, che perde la cognizione delle cose, presumibilmente trasandata? Io non credo, sa?”

- Beh – cercò di ribattere lo scrittore, sentendosi diffamato da quelle quattro o cinque parole che, non solo dovevano essergli grate per essere state utilizzate in uno dei suoi libri di maggior successo, ma che, per di più, esistevano solo grazie al genere umano.

“Ora cosa c’entro io?” chiese una vocina estremamente flebile e infantile. “Mi fate correre di qua e di là, voi scrittori, come se non ci fossero già troppe persone ad utilizzarci. Non siamo mica tanti, noi Beh, lo sa, signore? Non abbiamo tempo per crescere e per generare altri di noi. Siamo troppo pochi per poter far tutto. E lei ci usa a sproposito, quasi in ogni dialogo. Perché i suoi personaggi non imparano un po’ a parlare, prima di aprire bocca?” chiese debolmente, interrompendosi in alcuni punti e balbettando leggermente.

- Beh… - cominciò Giancarlo

“Ancora?!”

- Scusa… Ehm… Mi dispiace farti... Correre? –

“Sì sì, correre!”

- Ecco, sì. Mi dispiace farti correre, ma io sono uno scrittore, devo usare le parole che mi servono e voi dovete essere sempre al mio servizio, non devo mica chiedere il vostro permesso prima! –

“Che faccia tosta!” gridò Viso, scatenando qualche risatina. “C’è poco da ridere!”

“Io sostengo il contrario” ribatté scherzosamente Ridere. Un’altra risata si sollevò dalla pagina scritta.

“Vogliamo essere seri? Credo che ne vada della nostra credibilità!”

Le parole tacquero e Viso poté continuare. “Dicevo che lei è un insolente, signor Cantagiusto! Come può affermare una cosa del genere? Lei crede davvero che noi siamo semplici strumenti al servizio dell’uomo?”

- Direi proprio di sì – rispose lo scrittore, incrociando le braccia per dimostrare ancora più sfacciatamente  la propria convinzione in quello che affermava.

“E’ veramente illimitata la superbia umana”, s’intromise Occhi. Il brusio che si era venuto a creare durante la discussione si placò immediatamente. Occhi era una delle parole più anziane, esattamente come Amare, ma, al contrario di quest’ultimo, raramente parlava. D’altronde, come la sua natura stessa prevedeva, preferiva affidarsi agli Sguardi, suoi fedeli amici e, in qualche modo, sottoposti. “Come fa a ritenersi uno scrittore? Una persona che non rispetta le parole che lo nutrono non merita una definizione così importante. Ho conosciuto molti veri scrittori; grandi poeti hanno scelto con cura di usarmi nei loro componimenti, sin dagli albori della scrittura. Loro, i veri amanti delle parole, ci hanno scoperte e si sono presi cura di noi, tramandandoci nel tempo e permettendoci di continuare a vivere, ma è grazie a noi se hanno ottenuto la fama e se sono riusciti a placare il loro dolore. Uomini e parole hanno sempre avuto un rapporto di reciproco rispetto e aiuto e mai nessuno scrittore ha osato oltraggiarci come l’epoca moderna sta facendo.”

Tutte le altre parole annuirono commosse, le più antiche piansero, al ricordo del passato splendente che avevano vissuto. Amare, che era quello che meglio poteva capire ciò che Occhi stava cercando di spiegare e che era più abile nei rapporti con gli uomini, credette di intravedere un barlume di pentimento negli occhi di Giancarlo.

- E’ la società che sta cambiando, non è colpa mia. Io mi adatto semplicemente – cercò di difendersi blandamente.

“Lei non dovrebbe adattarsi!” esclamò Piacere, che forse era il più rivoluzionario tra tutte le parole sul foglio. “Io ho dovuto impormi nella mente degli uomini per poter ottenere uno spazio nella loro letteratura e in quella che lei chiama società. Io ho cambiato la concezione dell’amore ed è solo grazie a me se lei può scrivere quello che le piace scrivere, scene piene di passione e di godimento. Lei, che si vanta di aver studiato approfonditamente l’opera omnia italiana, lei dovrebbe sapere quello di cui parlo e dovrebbe essermi riconoscente. Anzi, dovrebbe esserlo nei confronti di ognuna di noi!”

Tutte le parole applaudirono con vigore, facendo vibrare con entusiasmo il foglio di carta.

- E, sentiamo, secondo voi cosa dovrei fare per dimostrare la mia riconoscenza? Come potrei cambiare la società? – chiese caustico.

Le parole, che attendevano quel momento da tempo immemore, sentirono un fremito attraversare le loro lettere, che si fecero più brillanti e corpose. Nessuna osava parlare per prima, tant’era l’emozione che le animava.

“Lasci scrivere a noi questo libro” disse semplicemente Viso “e vedrà che non ci rimetterà la faccia”.

Questa volta nessuna delle parole rise al doppio senso involontario, ma, al contrario, tutte quante attesero in silenzio la risposta del signor Cantagiusto.

Questi, con un po’ di titubanza, prese la penna in mano e, contrariamente a quello che pensavano le parole, che temevano di tornare subordinate all’azione umana, scrisse solo: D’accordo.

 

Qualche mese dopo, in seguito a numerose disavventure editoriali, il libro era sugli scaffali delle librerie più importanti. Tutte le parole, davvero tutte, avevano contribuito con eccitazione ed ispirazione e ognuna di loro compariva sulle pagine di quell’opera rivoluzionaria.

La critica fu crudele, perché purtroppo Giancarlo aveva ragione: la società non era ancora pronta.

Ma, in fondo, non era ai critici letterari che le parole si rivolgevano, bensì ai giovani, ai nuovi scrittori che, leggendo quel libro, avrebbero capito quanto potessero essere meravigliose le parole, se lasciate in libertà.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ammetto di essermi divertita molto a scrivere questa storia.
Mi piace la piega che ha preso, nonostante l'intento iniziale fosse completamente diverso, e mi fa davvero piacere che la storia si sia classificata seconda. Come ho detto alla giudice, è come se ad aggiudicarsi il podio sia stato il messaggio della storia e questo non può che rendermi felice.
E' la prima favola che scrivo e devo dire che mi piace come genere e probabilmente ne scriverò altre.

Ringrazio la giudice, ovviamente, e tutti coloro che vorranno recensire o che, semplicemente, leggeranno e apprezzeranno questa storia.

Miss Dark

 

 


 

  
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