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Autore: MaTiSsE    25/01/2012    4 recensioni
"....Nessuno ha idea di quanto il tuo sorriso possa scaldarmi il cuore.
Sono degli stupidi, ovviamente.
E lo sono anch'io.
Perchè ti sento e ti amo come il primo giorno.
E perchè parlo di te - di noi - così scioccamente... come se fossimo ancora insieme..."
Louis e Constance...Due giovani uniti da un amore difficile. Un amore tormentato dallo spettro della Rivoluzione.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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louis9
La guardavo nel buio della notte.
La guardavo e sorridevo...

Per un tempo infinitamente lungo.
Infinitamente nostro.
Profondamente felice.

Poi, non l'ho vista più.












Al di là del nostro amore












Aprile 1793




Constance contava i giorni.
O, per meglio dire, ne contava i minuti. Poi le ore, con devozione e minuziosa precisione.
E quando giungeva la sera, sospirando, ringraziava Dio per averle donato la forza necessaria per superare l'ennesima, orribile giornata.
Perché seppur con lentezza esasperante, era finita senza che lei decidesse infine di votarsi al suicidio.



Dunque, non poteva far altro che rassegnarsi, pazientare e pregare, la piccola Constance. E poi dormire e mangiare meccanicamente ed ancora pregare.
Da sola.


Senza la luce di quel sorriso furbetto e delizioso che soltanto lui sapeva rivolgerle.
Senza le sue braccia forti pronte a riscaldarla in ogni momento di quelle lunghe notti primaverili, paradossalmente più buie e terrificanti da quando se n'era andato.
Senza quel bacio del buongiorno che sapeva offrirle, ogni volta, il più dolce dei risvegli.


Senza Louis, in altre parole.




Costance era certa di impazzire.
Se lui non fosse tornato nel più breve tempo possibile, avrebbe dato di matto. Avrebbe preso a piangere in maniera forsennata. Non com'era solita fare nel silenzio della sua casa, in altre parole, bensì urlando e chiamandolo a gran voce finché non avesse fatto di nuovo il suo ingresso da quella maledetta porta.



Stava perdendo la pazienza e la sua proverbiale gentilezza la piccola Constance.
Perché la Rivoluzione s'era portata via Louis un'altra volta e per un tempo più lungo: già da un mese e mezzo si trovava lontano da lei, presso le Armate del Reno, così come stabilito - con fermezza e totale egoismo - dalla Convenzione e questa volta lei non ce l'aveva fatta a digerire in silenzio quel boccone amaro.
A distanza di oltre un mese ancora ricordava la sua reazione di fronte alle parole di Louis.


Quella sera era rientrato più tardi dal lavoro e con aria decisamente affaticata.
Provata.
Inizialmente Constance non aveva compreso quel suo sguardo accigliato e confuso e si era preoccupata, chiedendosi cos'avesse potuto turbare a tal punto il proprio innamorato da costringerne le belle labbra ad una smorfia di dolore.
Proprio lui, sempre così impenetrabile.
Successivamente aveva afferrato: nessun evento catastrofico in generale. Semplicemente, Louis temeva il suo disappunto di fronte a ciò che avrebbe dovuto dirle.




"Constance, devo partire." - Esordì.
"Partire? Per dove?" - E già la  voce della fanciulla appariva incrinata. Aveva avvertito il pericolo, la piccola Constance.


"Raggiungo le Armate del Reno. La Convenzione mi ha designato commissario in carica a rappresentanza del dipartimento dell'Aisne. Pare che ci siano un po' di tumulti ed è necessario ripristinare l'ordine e reclutare nuovi soldati prima che..."



Louis aveva continuato a parlare, spiegandole con estrema professionalità tutti i dettagli  della sua missione. Ma Constance neppure l'aveva ascoltato: la sua attenzione si era fermata ad "Armate del Reno" e dopo l'aveva abbandonata.



Louis avrebbe dovuto fare...cosa, esattamente?




Raggiungere le truppe al fronte?
Qualcuno - forse lo stesso Louis, tempo addietro - le aveva detto che c'era una guerra in atto, che i francesi stavano combattendo contro molti popoli nemici per portare avanti la causa rivoluzionaria.

Ma Louis non era un soldato: di professione era ancora un avvocato, a dirla tutta.
Che diamine c'entrava lui con la guerra?




"Constance, mi stai ascoltando?" - Aveva quindi aggiunto lui, indagando con perplessità lo sguardo vacuo della propria giovane fidanzata. Tanto assente mentre fissava un punto indefinito che chiunque, al posto suo, avrebbe finito col preoccuparsi.
"Tu..." - Aveva ad un certo punto mormorato la giovane, tanto impercettibilmente che Louis, per un attimo, si era convinto che in realtà non avesse mai parlato - "Tu cosa...?"
"...Devo....devo partire." - Confermò.


"Louis...Che...Quando? Perché?! Louis, perché!?" - Aveva preso ad urlare senza neppure rendersene conto e, nella foga del momento, mentre la vista le restituiva tutt'altri paesaggi rispetto a ciò che la circondava, aveva travolto il tavolo della cucina, sbatacchiato porte e sedie.
"Constance, calmati..."





La mani protese di Louis.
Protese verso di lei.
Una trappola. La sua salvezza.




"Non chiedermi di calmarmi! Non chiedermelo!"


Una trappola, in conclusione.
Lo spinse via.




"Che ti salta in mente?! C'è la guerra, è pericoloso!"
"Non importa. E' un ordine maggiore."




Il suo sguardo si era fatto duro.
Constance sapeva che sarebbe andata a finire così.



"Ordine di chi? Di quei quattro pazzi più incoscienti e folli di te?!"



L'aveva detto, infine. Ed era riuscita persino a non pentirsene.
Per i primi cinque minuti, almeno.


"Quei quattro pazzi, come dici tu..." - Aveva sputato lui astiosamente - "...stanno salvando la Francia intera dall'usurpatore, Constance. E se tanto t'importa, io sono il quinto di quei folli incoscienti che tanto disprezzi."




Di fronte a tanta incorruttibilità, Constance gli aveva dato le spalle dunque, e prima che le gambe smettessero di sorreggerla, si era poggiata al legno scuro e massiccio del tavolo cercando riparo. E non avrebbe voluto farlo ma aveva preso a piangere come una bambina, sussultando ad ogni singhiozzo.
Disperata.
Louis aveva atteso qualche istante prima di raggiungerla costringendola a voltarsi contro la sua volontà.
Costringendola a guardarlo in quegli occhi scuri che a volte le facevano paura.



"Perché piangi?"
"Perché te ne andrai...E'...è pericoloso, Louis." - Aveva mormorato ed a Louis il cuore si era stretto in una morsa, dimenticando immediatamente la rabbia di poco prima, perché la piccola Constance sapeva - in certe occasioni - fargli ancora più tenerezza del solito.


Quando lo guardava con quegli occhi lacrimosi, così pieni di una premura che mai neppure sua madre aveva mostrato nei suoi confronti, Louis non riusciva più a riconoscere in lei la giovane fioraia indipendente e sicura che aveva conosciuto in un giorno di nebbia di neppure sei mesi prima, né la fanciulla appassionata che ogni notte gli regalava se stessa ed il proprio cuore.
Neppure gli sembrava di avere a che fare con la stessa donna che cucinava per lui e, ridendo, abbottonava con fare amorevole il suo cappotto affinché non prendesse troppo freddo uscendo di casa.


In quei momenti in cui Constance piangeva  - piangeva per lui - tornava ad essere la bambina che Louis non aveva mai conosciuto. Indifesa ed ingenua, ancora tremava stando tra le sue braccia.
Ed il suo cuore si spezzava di fronte a tanto dolore.


"Non vado a fare io la guerra, amore mio." - L'aveva quindi rassicurata a ben ragione, lasciandole un bacio tra i capelli. - "Dovrò soltanto controllare i soldati e reclutarne di nuovi. Sta' tranquilla."
"Ma..." - Aveva tirato su col naso, un po' comicamente.
"Ma niente...Sarò di ritorno prima che tu stessa possa sentire la mia mancanza." - Le aveva promesso. Sfiorandole l'anello di fidanzamento con un bacio, aveva infine aggiunto:


"Giuro solennemente sul simbolo della nostra unione che non mi accadrà nulla, Constance. Ti prego, abbi fiducia in me. Non facciamoci di nuovo la guerra, sarebbe soltanto un problema in più su quelli che già ci tengono lontani."



Aveva parlato con così tanta convinzione e sincerità che Constance era finita col capitolare fin troppo facilmente.Quelle parole di supplica sapevano di comando e contro un tono tanto risoluto lei non avrebbe potuto nulla.
Addirittura, si era maledetta mille volte per aver pianto così scioccamente, per aver ricominciato con le discussioni ed i perché, proprio lei che aveva pregato Louis di venirsi incontro soltanto poco tempo prima. Proprio lei che gli aveva detto "proviamoci" con una sicurezza che non le apparteneva per davvero.




Ma, col senno di poi, era finita viceversa col darsi della stupida.
Perché, piuttosto, si era colpevolizzata del nulla quando era stato Louis, ancora una volta, a mentirle.



"Tornerò presto", le aveva assicurato.

Eppure, dopo un mese e mezzo, di lui neppure l'ombra.
Solo un biglietto che qualcuno, dalla Convenzione, le aveva inoltrato in busta sigillata e laccata, con tanto di indirizzo e destinatario, un giorno in cui la pioggia aveva sotterrato ancora di più il suo già precario ottimismo:




"Costance, amor mio,
la missione si è protratta a sorpresa per un periodo di tempo maggiore.
Le truppe necessitano di supporto e disciplina

ma l'umore è tornato alto ed ho buoni auspici per il futuro.
Ti chiedo soltanto di portar pazienza ancora per un po' e di stare a cuor leggero: non corro alcun pericolo,
sono completamente al sicuro qui. Gli ufficiali sono molto rispettosi della mia persona e farebbero di tutto per evitare che
possa incappare in qualsiasi tipo di problema.

Nel mentre ti rinnovo il mio sincero amore. Ti amo e nessun'altra persona a questo mondo vale quanto te per il mio cuore.

Spero potrai perdonare la mia assenza. E quel giuramento cui non ho potuto tenere fede, mio malgrado.
Accoglimi con uno dei tuoi splendidi sorrisi quando tornerò, te ne prego.


Con immenso amore,
tuo Louis."






E ancora continuava a prendersela con se stessa Constance, in quella mattinata di fine Aprile del 1793, poiché, se Louis si fosse finalmente deciso a tornare a casa quel giorno, gli avrebbe comunque sorriso per davvero, piuttosto che prenderlo a schiaffi.
Perché, in fin dei conti, tutto ciò che contava era riabbracciarlo.
Guardarlo negli occhi mentre lui le diceva ti amo, ancora una volta.



Forse era questo che le mancava di più: la voce del suo Louis.
Così profonda.
Così melodiosa.
Così maledettamente sua.




Stanca di aspettare, di disperarsi, di contorcersi di dolore per quell'amore che sapeva riempirla e distruggerla al contempo, quel mattino Constance afferrò lo scialle di filo - cominciava decisamente a far più caldo - e, contravvendendo all'ordine imposto da Louis di uscire soltanto se strettamente necessario, si arrischiò tra le strade di Parigi.

E sì, "arrischiarsi" era il termine esatto poiché la sua città, da qualche tempo a quella parte, non era più il posto sicuro, ridente e luminoso, in cui era nata lei. Troppi furti, molte vetrine infrante, qualche omicidio: nel nome del pane. La gente aveva fame, per mangiare avrebbe rinnegato persino i propri figli, mariti, mogli, nipoti.
Le facce arcigne delle massaie parlavano della difficoltà che ogni giorno quelle povere donne incontravano nel doversi inventare un pranzo sufficientemente sostanzioso per sfamare i bambini o il proprio coniuge. Il peggio era quando non c'era proprio nulla su cui ingegnarsi, neppure un misero tubero da cui tirar fuori la minestra calda.

I ragazzini avevano occhiaie profonde e colli troppo sottili: non uno che ridesse, come avrebbe dovuto, alla sua età.

E quanti uomini la stessa Constance aveva visto morire di stenti e malattie? Uomini un tempo vigorosi, che avrebbero dovuto essere nel pieno delle proprie forze e della propria gioventù, ora seppelliti sotto cumuli di terra, in fosse comuni, senza onore e sentimento.

A pensarci - ed a confronto - la sua vita era un Paradiso.



Tuttavia, quel mattino, Costance decise di dimenticare quanto fosse diventata improvvisamente drammatica la situazione.
Piuttosto, il sole rideva sulle acque scure della Senna e nell'aria c'era quel buon profumo di primavera che tanto le era stato caro in passato, quando di professione faceva la fioraia ambulante e l'avvento della nuova stagione le consentiva di vendere maggiori varietà di fiori. Specie alle giovani spose che si apprestavano alla loro nuova e gioiosa vita colma d'amore.

Si aggirò quindi curiosa tra le stradine strette che conosceva così bene ma guardandole, adesso, con l'occhio curioso di chi ritorni alla casa natale dopo un lungo periodo e voglia coglierne le differenze rispetto ai ricordi offerti dalla memoria.
Annusò con più calma gli odori di quel mercato ormai sprovvisto di fin troppi beni di prima necessità e contemplò per un tempo infinitamente lungo le acque calme di quel fiume che trapassava la città finché un moto non ben definito non finì col spingerla verso un posto particolarmente familiare: la sua casetta logora e buia verso la Tuileries.

Tornò a scalpicciare su quel selciato sconnesso che fin troppo bene conosceva e toccò con mano i muri grezzi e ruvidi della abitazioni circostanti. Guardò con un sorriso doloroso alle vecchie signore che impagliavano le sedie all'ingresso delle proprie case ed ai monelli sporchi che giocavano a rincorrersi incuranti di travolgere i passanti ed allora ricordò i suoi giorni tristi quando, ormai orfana di madre, aveva soltanto quelle brave genti a farle compagnia.
All'epoca - soltanto pochi mesi addietro e prima ancora dell'avvento di Louis - costituivano tutta la sua famiglia.



Per questo non arretrò - e sorrise piuttosto - quando una voce gentile chiamò il suo nome.


"Constance? Constance, sei proprio tu?"


Si voltò nel medesimo istante incontrando gli occhi ridenti di Charlotte.
Lotte: la figlia dodicenne di Marie, quella vicina di casa che aveva piantato per strada qualche tempo prima perché aveva osato - a suo dire - infangare il buon nome di Louis senza neppure conoscerlo



"Tesoro..."


Constance era sempre stata particolarmente legata a quella ragazzina: le voleva bene come se si fosse trattato di una sorellina minore e le era dispiaciuto non salutarla al momento in cui aveva lasciato la propria casa per approdare nella dimora di Louis.
Rivederla fu quasi un colpo al cuore: il modo in cui le gettò le braccia al collo la commosse inevitabilmente.


"Come stai Constance? Non ti ho più vista....io..."
"Lo so, lo so sono sparita...Ti chiedo perdono piccola mia, io...ti ho pensato tanto comunque. Lo sai?"


Lotte annuì, convinta.


"Lo so...La lontananza non cancella l'affetto."
"Quanto sei diventata giudiziosa..." - Sussurrò carezzando il viso delicato della fanciulla.
"Sto diventando grande!"
"E' vero..."






La crescita, il cambiamento.
Tutto ciò che le girava attorno stava mutando.
Mentre lei...
Le sembrava soltanto di aver mosso dieci passi in avanti e mille all'indietro.
Era davvero così?








"Constance!"


La voce di Marie le arrivò chiara e precisa.
Faticò non poco prima di sollevare lo sguardo nella sua direzione: si era comportata male con lei. Aveva paura di scoprirla corrucciata ed a ben ragione: dopotutto l'aveva allontanata sgarbatamente senza mai ripresentarsi a chiederle scusa.


"Constance! Non mi guardi neanche più?"

"Marie...io..."

L'abbraccio in cui la donna la strinse a sé dissipò qualsiasi dubbio: non ce l'aveva con lei.
Almeno non più.


"Mi sei mancata, piccola disgraziata! Ho capito che ormai non vivi più qui ma un saluto di tanto in tanto avresti potuto venire pure a farcelo!"
"E' vero...Però..."
"Diane! Rosalie! Accorrete! La nostra piccola Constance è venuta a salutarci!" - Marie non le diede neppure il tempo sufficiente per parlare e spiegarsi: era, piuttosto, così felice di poterla rivedere che prese a chiamare a raccolta l'intero vicinato.

E così, in meno di un minuto, Constance si ritrovò preda felice di mille amorevoli braccia. Le stesse che l'avevano cullata e stretta al cuore nei giorni bui della morte di sua madre. Le stesse che l'avevano serrata al petto mentre la piccola fioraia piangeva e si rifiutava persino di mangiare quel poco che ci si poteva procacciare in giro.
Constance non avrebbe mai dimenticato che era pure merito dell'anima pia di quelle signore se lei ancora respirava, parlava, si muoveva.
Viveva, in altre parole.



"Ma quanto sei bella? Sei ancora più graziosa dell'ultima volta in cui ti ho vista!"
"Che dici Rosalie? Constance è sempre stata bellissima!"
"Marie, non fare la mamma chioccia! Lo so benissimo anche io che è sempre stata uno splendore...Tutta sua madre..." - Commentò Rose carezzandole la chioma scura. - "Ma adesso...Lo è ancora di più."
"E' l'amore che fa bene a questa piccina?" - Domandò Diane con un sorrisino che lasciava intendere molte cose.


Anche Constance sorrise ma tristemente poiché sapeva che il suo amore di comune e prevedibile non aveva proprio un bel nulla. Sprazzi di romanticismo e passionalità intensa quanto distruttiva si accompagnavano ad istanti di delirio e sofferenza, devastazione e solitudine.
La giovane non era ancora propriamente convinta che quel sentimento che l'ancorava Louis le facesse davvero così bene eppure...eppure non poteva farne a meno. Questo punto era sostanzialmente indiscutibile.



"Allora? E' merito dell'amore?" - Incalzò Lotte ridendo. Era sempre stato un tipo romantico, nonostante la giovane età, e certi discorsi le interessavano enormemente.

"Ecco....sì. Diciamo di sì." - Le guance le si colorarono di rosso vermiglio. Qualcuna, tra loro, rise di fronte a quell'evidenza.

"Io lo sapevo!" - Strillò infine Diane, felicemente - "Lo sapevo che quel giovanotto che ti aveva portata via fosse il tuo fidanzato! E come si chiama, trésor?"


"Io..."
"Su! Non essere timida...Raccontaci di lui!"

Prese coraggio.


"Si chiama Louis...Louis de Saint Just."
"Che nome importante! E' forse un nobile?" - Domandarono quasi all'unisono.
"No...Non direi."
"E dunque? Come vi siete conosciuti? Raccontaci tutto!"
"Dove vivi adesso, soprattutto?"


Constance sussultò. Ovviamente non avrebbe potuto raccontare la verità: vivere con un uomo era qualcosa di assolutamente licenzioso per l'epoca. Vergognoso ed illecito. Costrinse, pertanto, la sua testolina a partorire nel più breve tempo possibile una scusa sufficientemente credibile da esporre con voce altrettanto certa e priva di tentennamenti:


"Presso una sua zia vedova. Vivo con lei in attesa del...matrimonio."


Si morse la lingua troppo tardi. Nell'ansia di apparire credibile aveva detto più del dovuto.


"Matrimonio? Oh mio Dio piccola Constance! Ti sposi?!"


Di nuovo mille braccia tornarono a stringerla e troppi baci delicati si persero sulle sue guance rosa. Chiuse gli occhi mentre si lasciava trasportare da tanto irruento amore ed alla fine ridacchiò, incapace di fornire una risposta a tutte le domande che le sue comari affettuose le stavano rivolgendo.


"Quando ti sposi?"
"Ed il vestito?"
"Sarà di broccato d'argento, Constance? Sarà di broccato come quello delle principesse?"

"Oh Lotte...non lo so. Non c'è ancora una data..." - Rispose gentilmente alla bambina carezzandole i capelli. Il suo anello di fidanzamento finì inevitabilmente in bella vista ed altri gridolini di gioia l'accolsero.


"Oh Signore! Constance, figlia mia...quest'anello! Oh....è meraviglioso!"
"E' così elegante...E' ricco il tuo fidanzato, tesoro?"
"Che mestiere svolge?"



Giusto.
Che mestiere svolge, Constance?



"Lui è..."


Laureato in diritto all'università di Reims.
Quindi...



"Avvocato."

"Ooh!" - L'espressione di ammirato stupore con cui quattro paia d'occhi la fissarono la costrinsero a volgere lo sguardo altrove, respirando piano.
"Constance...Che...che fortuna!"
"Tesoro? Ci inviterai al tuo matrimonio, è vero? Oppure ti dimenticherai di noi?




Bastarono quelle poche parole per ferirla dritto lì.
Al suo cuore.
Sussultò nell'ascoltarle e, piuttosto, volse lo sguardo verso Rosalie che aveva appena formulato una domanda tanto stupida quanto agghiacciante.



Davvero pensavano questo di lei?
Che avrebbe potuto cancellarle dai suoi ricordi e dalla propria vita con un semplice colpo di spugna?
Davvero la credevano così ingrata e superficiale?

Constance si chiese in base a quali motivazioni.

Forse perché era scomparsa senza una parola, perché Louis l'aveva risucchiata in un'altra dimensione, fatta di Amore e Rivoluzione, dove lei affogava e riemergeva di propria volontà?

Ma certo, era andata proprio così.

Dunque, la colpa era sua...Ancora una volta.
Com'era sua la colpa di non riuscire a cambiare il proprio amore.
Di non riuscire a rendersi per lui l'unica, la prima nella scala delle priorità e dei valori.



Fu così che, preda dei rimorsi e di troppo, improvviso dolore (maledetta consapevolezza di se stessi!) una lacrima prepotente varcò il limite dei suoi occhi alla ricerca delle sue guance e poi del suo mento.
Fino al collo.




Dimenticarmi di voi?
Del vostro affetto, della vostra confidenza, del vostro buon umore?
Significherebbe dimenticarmi della mia mamma, delle mie origini.

Di questa stradina buia dove il sole non arriva mai, neppure nei giorni più luminosi dell'estate.
Di questa stradina buia dove c'era la mia casa, dove ho perso la mia famiglia, dove ho patito la fame.
Dove ho vissuto i primi momenti della mia storia con Louis.


No. Non potrei mai dimenticarmi di voi.
Mai.



"Sarete le prime a saperlo..." - Rispose ad un certo punto, cercando le parole giuste, tirandole fuori dalla gola come sanguisughe appiccicate alle corde vocali. Voleva essere forte: non vi riuscì: l'emozione la sopraffece. Si commosse, inizialmente. Dopo pochi minuti quelle poche lacrime si tramutarono inevitabilmente in un fiume in piena, senza che neppure lei potesse spiegarne il motivo.
Quantomeno si coprì gli occhi mentre singhiozzava: voleva risparmiarsi la vergogna di mostrare i suoi begli occhi ormai rossi per troppo, accecante dolore.


Le care amiche che la circondavano dapprima non compresero il perché di una simile reazione: erano così felici che Constance avesse finalmente trovato la sua strada, che qualcuno l'avesse infine fatto dono di quell'amore che da troppo tempo le era stato sottratto, che davvero tutte quelle lacrime apparivano effettivamente irragionevoli. Ma erano tanto sentite e così forti quei singhiozzi che pure Lotte prese a piangere sommessamente, senza un motivo.
Forse solo per solidarietà femminile.


Marie fu l'unica in grado di osservare la propria pupilla con uno sguardo di ragionevole consapevolezza. Ancora una volta Constance riconobbe in lei quelli che definiva come i "sintomi della mamma". Marie aveva la medesima capacità di comprendere senza sapere, cui l'aveva abituata sua madre Angelique, anni addietro, quando qualcosa feriva incondizionatamente la sua giovane figlia ma quest'ultima fingeva comunque di star bene, per non farla preoccupare.
In quei momenti Angelique non aveva bisogno che Constance aprisse bocca per spiegare: sapeva già tutto prima che l'interessata si decidesse a parlare.

Dunque, quando Marie, senza alcun preavviso, attirò la fanciulla verso di sé, quasi cullandola, nel medesimo istante la giovane ritrovò in lei la sicurezza della sua mamma. Quella capacità che aveva di consolarla come se conoscesse perfettamente il motivo di tanto dolore, anche se poi, nella realtà dei fatti, lo ignorava.

Ed allora si accasciò sulla spalla della donna, cercando in lei un po' di pace.

Intorno a loro, nessun'altra fiatava, come se quel momento di assoluta irrazionalità necessitasse di un silenzio quasi reverenziale poiché, per quel giorno - e soltanto per qualche ora - una povera orfana aveva ritrovato l'affetto ed il calore di una madre.


"Piangi..." - Mormorò Marie d'improvviso e molto teneramente - "Piangi amore...Che dopo tutto si sistemerà."


Constance annuì, senza rispondere e tirando su col naso.
Per quell'istante non c'era altro che desiderasse fare che credere alla sua bugia.









*








Rientrò che fuori era già buio.
Inorridita all'idea di dover trascorrere l'ennesima notte in solitaria, aveva rimandato il momento del ritorno finché l'ultimo raggio di sole non era scomparso al di là delle aberranti casupole parigine ed allora aveva realizzato quanto effettivamente fosse tardi. Troppo tardi.
Così si era infine decisa a riprendere la via di quella casa improvvisamente ostile senza Louis.

Chiuse la porta alle sue spalle con un sospiro e si riavviò i capelli, temporeggiando nel muoversi lungo lo stretto corridoio, fino alla camera da letto.





Non voglio stare da sola.
Anche stasera.
Non voglio.




I passi risuonarono leggeri lungo le assi di legno del pavimento fino alla cucina. Qui, accese una candela e si decise infine ad arrischiarsi verso la stanza che tanto detestava, negli ultimi tempi, poiché rappresentava l'emblema reale della sua solitudine: non era più così facile condividere ogni notte quel letto solo con se stessa.
Infine varcò la porta con un tremito ed ancora di più tremò quando la trovò rischiarata dalla luce di molte candele, più di quanto avesse mai ricordato di possederne in casa.
Ed allora s'immobilizzò all'ingresso, incapace di proferir parola, di muoversi, gesticolare, urlare, piangere, sorridere e ridere.
Incapace di qualsiasi cosa poiché il sogno di poterlo riabbracciare si era fatto carne e realtà in maniera del tutto inaspettata.


Louis era tornato.
Ed ancora non credeva ai suoi occhi Constance mentre ne osservava il profilo perfetto rischiarato dalla luce arancione di quelle candele, mentre ne studiava le labbra atteggiate in una smorfia severa e così profondamente sua. Mentre ne contemplava le braccia ed il petto soltanto vagamente nascosti da una camicia per metà sbottonata e dalle maniche rimboccate.



"L-Louis..."
"Dove sei stata?"


Avanzò minaccioso verso di lei. O almeno fu questa la sensazione che le comunicò il suo incedere rapido e sicuro.



"A trovare delle amiche. Ti prego, non devi arrabbiarti." - Si giustificò improvvisamente colpevole.


Non le rispose. Il guizzo dei suoi occhi verdi le sfuggì d'improvviso poiché il giovane attraversò, in quell'istante, una parte della stanza in cui la luce delle candele non brillava come avebbe dovuto.


"Louis..."
"Sshh!" -




Le intimò il silenzio, come mai era solito fare.
E così, davanti a quel tono peretorio, gli occhi le si riempirono di lacrime.



Perché?
Perché arrabbiarsi? Perché punirla dopo che per un  mese e mezzo aveva atteso invano il suo ritorno?
Non aveva forse diritto anche lei ad un po' di pace?





Tu lo sai Louis quante notti ho speso ad aspettarti?
Dì, ne hai anche solo una vaga idea?
No!
Ed allora non puoi giudicarmi se nell'unico giorno in cui ho tagliato i ponti con questa casa tu sei tornato...
Io ti ho aspettato...
Ti ho aspettato in ogni singolo istante.






"Io..."
"Constance. Smettila di parlare."




Gli occhi di Louis di nuovo visibili. Il suo sguardo vacuo le fece quasi paura. Alzò le braccia come per difendersi da una minaccia invisibile quando le mani di Louis si arpionarono ai suoi polsi, stringendoli in una morsa di ferro dalla quale era impossibile sottrarsi.
Ed allora accadde.
Nessun rimprovero, nessun urlo.
E nessuna carezza.





Niente di dolce.
Niente di amaro.





Incrociò gli occhi scuri di lui e tremò in un misto di terrore e desiderio quando la baciò.
Un bacio privo di tenezza. Certamente innamorato, niente da eccepire al riguardo, ma di quell'amore che era parte del Louis cattivo, quello da cui lei sfuggiva in continuazione senza riuscirvi poiché, forse, non lo desiderava davvero.
E fu tanto irruento che dopo un istante Constance si ritrovò con le spalle al muro mentre realizzava, ad occhi sgranati, la mano di lui che le alzava la gonna velocemente, risalendo lungo le sue gambe al di sotto della sottana senza neppure guardarla.
Non si era mai comportato in quel modo tanto impudente.




"L-Louis..." - Tentò di sussurrare ancora senza riuscirvi.
"Sssh!" - Le pose una mano sulla bocca, incrociando di nuovo il suo sguardo per un momento solo. - "Non stasera, Constance. Stasera non parlare. Domani...Domani ti dirò tutto. Non stasera."





Non stasera, ti supplico.





Ed allora Constance comprese. Nello sguardo gelido e disperato al contempo di Louis, comprese la necessità che aveva di lei.
E l'urgenza che aveva di renderla sua ancora una volta per esser certo che nulla fosse cambiato, che lei era viva e reale ed apparteneva soltanto a lui.
Per le spiegazioni, i perché e le recriminazioni ci sarebbe stato tempo l'indomani, al sorgere del sole, quando la città tornava a rianimarsi e ci si scontrava con la dura realtà, ancora una volta.

Era ancora notte. E per quella notte avrebbero dovuto esistere soltanto loro due, il calore dei loro corpi intrecciati, la sincronia dei propri respiri.
Ed il contrasto, sul bianco del cuscino, tra la chioma nera di Constance ed i capelli rossicci di Louis mentre tornava ad amarla in quel letto che per troppo tempo gli era mancato.



Comprese, la piccola Constance e dunque non fece più domande.
Piuttosto, tornò ad abbandonarsi alle mani di Louis, ai suoi baci che troppo chiedevano, al tocco di lui sulla sua pelle candida.
Non chiese più nulla e per quella notte gli offrì se stessa incondizionatamente: oltre l'amore, perché quella sera Louis era addolorato e sapeva che il suo ventre ed il suo abbraccio avrebbero costituito l'unico rifugio al crudele mondo di fuori.




E così imparò la prima lezione della sua futura vita di moglie.
Una lezione che si reggeva su di un fondamento imprenscindibile: quello della devozione.








*







Il mattino l'accolse con un raggio di sole.
Constance si rigirò nel letto, ancora intontita dal sonno.
Certa di essere sola - la memoria non le aveva ancora suggerito il suo ritorno - finì col scontrarsi contro il corpo nudo di Louis.


Allora aprì gli occhi, di scatto, ed incrociò il suo sguardo.
Ancora scuro ma decisamente addolcito rispetto alla sera precedente.
Non le diede neppure il tempo di realizzare quel contatto fisico che già l'aveva attirata a sé, circondandole la vita con un braccio. Con quel suo modo meravigliosamente arrogante, tanto per ricordare al mondo intero che fosse soltanto sua.


"Mi dispiace per ...stanotte. Non mi sono comportato come il fidanzato modello che vorresti."
"Non ti comporti quasi mai come il fidanzato modello che vorrei, ad essere onesta..." - Sorrise appena, scostandogli una ciocca di capelli dal viso.

"Sei arrabbiata, lo so..."
"Anche tu lo eri ieri sera...Perché son stata via e non mi hai trovata al ritorno?"


Scosse la testa, socchiudendo le palpebre.


"Non ero arrabbiato con te. Anche se è innegabile che tu m'abbia fatto preoccupare."
"E allora cosa?"
"Avevo bisogno di te."
"E' accaduto qualcosa, Louis?"



Sospirò impercettibilmente, prima di rispondere.



Sì, è accaduto qualcosa.




"Tre giorni fa...E' morto..."
"Chi è morto, Louis?"
"Un caro amico. Un soldato conosciuto al fronte, un bravo ragazzo. Colpito in pieno petto da un colpo di fucile di quei maledetti Austriaci. Aveva moglie e figli qui a Parigi. Oggi tocca a me portar loro la notizia."

"Oh!"


Constance si portò le mani alla bocca, sorpresa. Addolorata, devastata, sconvolta.
Non poteva neanche immaginare quando grande avrebbe potuto essere la sofferenza di quella povera moglie nell'apprendere la notizia della morte del caro consorte.
Cosa ne sarebbe stato della sua vita di sposa?
E come l'avrebbe raccontato poi ai bambini?

Avrebbero compreso che il loro papà non sarebbe più tornato a casa?
In che modo?




"Louis..."
"Avevo bisogno di te, Constance. Avevo bisogno di sentirmi protetto anche io, per una volta, dopo un simile avvenimento. Avevo bisogno di sapere che ciò che conta era qui ad aspettarmi.Che non avrei atteso neanche un istante prima di riabbracciarti e farti mia. Perdona l'irruenza. Ero solamente sconvolto."
"Tu non devi scusarti..."

"Devo, perché ti ho abbandonata. Ma sappi che non è trascorso nemmeno un giorno senza che io non t'abbia pensata. Con tutte le mie forza, di giorno e di notte. Quando non riuscivo a chiudere occhio e quando infine mi addormentavo nella speranza di sognarti. E son stato esaudito, sei stata parte dei miei sogni per tutti questi quaranticinque giorni, ma nessuna immagine che possa rimandarmi la mente è mai bella come te, nella realtà."


Terminò quella confidenza in un sospiro, attendendo la reazione della giovane fidanzata.
Che non tardò ad arrivare.

Poiché ancora una volta, nell'ascoltare quelle parole così evidentemente sincere, Constance si commosse.
E dimenticò.


Dimenticò le ore trascorse in casa, da sola, ad aspettarlo.
Dimenticò i litigi, le lacrime, le recriminazioni.
Dimenticò i dubbi ed i perché.
E le parve di nuovo naturale amare Louis senza alcuna perplessità. Perché quel loro amore, così travolgente, sbagliato, irruento e meraviglioso, aveva il calore di un raggio di sole, la capacità di scaldarle il cuore, la luminosità di una stella e la perfezione del cielo nei pomeriggi d'estate.
Neppure una nuvola in lontanaza: Constance non ne vedeva più.


Tutto era tornato al suo posto, ora che Louis era nuovamente con lei.



"Va tutto bene, Louis..." - Mormorò dunque, carezzandogli di nuovo il volto. Louis socchiuse gli occhi come un gatto e lei sorrise.


"Constance?"
"Che c'è?"
"Grazie."
"Di cosa?"
"Ricordi la mia lettera? Ti avevo scritto di accogliermi col tuo bel sorriso il giorno in cui fossi tornato."



La giovane annuì.


"Sì, me lo ricordo."
"Beh, grazie...Perché lo stai facendo. Mi stai sorridendo proprio adesso e non lo meriterei."














Il 10 Luglio di quell'anno, Louis venne designato membro ufficiale del Comitato di Salute Pubblica, istituzione nata per volere diretto della Convenzione con lo scopo di sedare tutti i focolai di discordia che avrebbero potuto minare la buona pace della Rivoluzione.

Quel giorno il giovane avvocatò varcò la porta di casa con un sorriso enorme.
Constance stava cucinando quando Louis la raggiunse: saggiandone il bel viso dall'espressione sollevata e gioiosa, Constance sorrise a sua volta, felice di vederlo rilassato per una volta.



"Amor mio!"


La sollevò in braccio, costringendola ad una delle sue solite capriole per aria. La risata di Constance rieccheggiò per la casa mentre ancora la sua gonna svolazzava in giro per la cucina.

"Louis!" - Commentò ridendo quando, infine, si decise a rimetterla in terra. La testa le girava e dovette poggiarsi a lui per non cadere. - "Che ti prende? A cosa dobbiamo tanta felicità?"
"Non sei contenta di vedermi sorridere?"



Non sai neanche quanto - avrebbe voluto dirgli.


Constance annuì.

"Certo che sì...Ma adesso pretendo di sapere."
"E lo saprai, dunque. Ho ricevuto un incarito molto importante dalla Convenzione. Tanti illustri colleghi hanno fatto il mio nome affinché mi fosse affidato un simile ruolo e non puoi neanche immaginare quanto questo mi renda orgoglioso e soddisfatto del mio operato! Finalmente ricevo i meriti che mi spettano"



Constance sospirò impercettibilmente, senza farsi sorprendere.
Non voleva causare dispiacere a Louis o smorzare il suo entusiasmo ma era innegabile che l'idea che un tale atteggiamento fosse figlio diretto delle decisioni della Convenzione, ancora una volta, le causasse un enorme fastidio.



"Allora? Non gioisci per me?"
"Ma certo, certo!" - Si affrettò a rispondere, abbracciandolo un po' forzatamente. Sciocca lei che aveva immaginato Louis finalmente felice dopo aver scelto la data ufficiale delle loro nozze! - "Congratulazioni."

"Capisci?" - Domandò ancora lui staccandola da quell'abbraccio e guardandola con attenzione. Gli occhi gli brillavano per l'eccessiva emozione. - "Da oggi in poi lavorerò come membro ufficiale del Comitato di Salute Pubblica. Sono così felice, Constance...Così felice! La Rivoluzione è nelle mie mani, ormai!"



Tornò a riavvolgerla nella sua stretta.
Con tutto l'amore ed il professionale distacco della sua vita di ribelle e rivoluzionario.

Constance, dal suo canto, in quell'abbraccio caloroso finì col rabbrividire.




La Rivoluzione è nelle mie mani, aveva detto Louis.
E Constance viceversa tremò, troppo consapevole e disillusa per non comprendere.




"Ti sbagli Louis..." - Pensò dunque, senza aprir bocca - "Ti sbagli e non sai nemmeno quanto. Non sei tu ad avere in pugno la Rivoluzione. E' lei ad avere in pugno te e da troppo tempo, ormai."


















Buon pomeriggio ragazze :)

Rieccoci qui...Ormai la storia si avvia verso la fine e non vi dico neppure il magone che mi sale al solo pensarci...Ma vabbè, non voglio rattristarvi. Al di là rappresenta anche la prima storia che porterò ufficialmente a termine su questo sito ed ovviamente un po' mi emoziona questa cosa.
:)

Detto questo...qualche accennò storico.

Nel 1793 aspre battaglie si combatterono preso il Reno, al confine tra la Francia e la Germania, tra le truppe rivoluzionarie e quelle controrivoluzionarie, soprattutto viennesi e prussiane. Parte di tali truppe straniere erano già state richiamate durante le Rivoluzione vera e propria dai destituiti sovrani, affinché qualcuno venisse in loro soccorso per sedare le rivolte e ripristinare la monarchia. Ovviamente nons ervì amolto, il re venne comunque processato e condannato a morte, ma, ovviamente, gli Austriaci non potevano permettere che una loro figlia - Maria Antonietta era una principessa della casata d'Aburgo, lo ricorderete - fosse vittima degli ardori rivoluzionari di una terra non sua. Ovviamente, neppure in questo caso si riuscì a far molto: anche Maria Antonietta fu condannata a morte, nel 1794.
Comunque sia, tra il 1° Marzo del 1793 e la fine di Aprile del medeimo anno, molti esponenti della Convenzione furono inviati al confine con l'incarico di controllare le truppe - tra le quali serpeggiava un vistoso malcontento - per ripristinare l'ordine, reclutare nuove leve, scegliere i comandanti più valorosi.
Uno di questi commissari straordinari fu proprio il nostro Louis.

Per quanto riguarda l'elezione a membro del Comitato di Salute Pubblica di Louis anche questo è accaduto nel 1793 ma ho trovato parecchie date discordanti...Alla fine ho scelto quella del 10 Luglio fornita da Wikipedia perché la considero più attendibile! xD
Per inciso, il Comitato fu un organo istituito dalla stessa Convenzione con lo scopodi sedare l'attività controrivoluzionaria. Fu tale Comitato la causa scatenante della successiva fase del Terrore vero e proprio.
:)


Bene, credo di avervi detto tutto. Entro stasera rispondo a tutte le recensioni.
Prima di lasciarvi, tuttavia, vorrei linkarvi il primo capitolo della nuova originale che sto scrivendo:

Blue

Una storia di musica, amore, amicizia...La storia di un sogno e di tutti i sacrifici necessari per realizzarlo.
Mi farebbe piacere se passaste anche di lì lasciandmi un vostro parere, magari! ;)



Ora vi lascio per davvero.
Grazie mille come sempre, per tutto.

Vostra Matisse.





   
 
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