brother.
(find me)
“Perché
ti nascondi?”.
Stefan inclinò leggermente il viso
rotondo e paffuto e, con la mano sporca di terriccio, distolse alcune
foglie di
quell’arbusto così che due furbi occhi color
zaffiro potessero far capolino in
mezzo a tutto quel verde.
Damon era acquattato come un gatto
randagio, con i calzoni strappati che lasciavano intravedere le
ginocchia
sbucciate e la camicia arricciata sprovvista di bretelle.
“Vattene
Stefan! Sto
giocando da solo!” esordì il grande
di casa Salvatore facendo
trapassare la mano tra le foglie così da dare un leggero
spintone al bimbo di
appena sette anni.
Stefan ricadde all’indietro, ma il
viso e gli occhi verdi si erano già illuminati al solo
pensiero che forse anche
lui avrebbe potuto giocare a quel gioco.
In effetti Stefan per essere un
bambino di soli sette anni era particolarmente sveglio per la sua
età; aveva
una sensibilità maggiore degli altri bambini che gli
permetteva di comprendere
quando in casa era successo qualcosa di brutto, quando gli affari del
padre
andavano male, quando il fratello mentiva.
“Ti stai nascondendo da papà, non è
vero?” snocciolò con un sorrisetto quasi divertito
e quasi complice e imitò
anche lui il fratello, acquattandosi e facendosi largo con le mani per
far
entrare la testa in quel cespuglio di rovi così da poter
parlare faccia a
faccia con Damon.
Damon si accigliò e fece una
smorfia, una di quelle che aveva visto fare ai ragazzi che venivano a
volte a
rubare frutti nel giardino della casa.
Il minore dei Salvatore notò un
oggetto rosso ben stretto tra le mani del fratello e Damon, notando
l’espressione
curiosa dipinta sul suo volto, decise di svelare l’oggetto
che teneva così
stretto a sé.
Il ragazzo dai ciuffi corvini
lanciò la mela in aria e con un sorriso beffardo la prese al
volo e dopodiché
la portò alle labbra trangugiandone un’ampia fetta
succosa.
Gli occhi di Stefan erano grandi e
adulatori alle azioni del fratello.
“L’ho visto tanto arrabbiato. Hai
fatto bene a nasconderti qui, dopo quello che hai combinato”
asserì il bimbo
osservando una formica che distratta stava risalendo lungo il suo
scarponcino.
“Non mi sto nascondendo da papà.
Sto giocando, te l’ho detto” sputò Damon
e si accoccolò sul letto di foglie che
si era procurato per avere un appoggio più morbido.
Il viso di Stefan si accese.
“Allora posso giocare con te?” chiese
con maggiore entusiasmo sporgendosi sempre più verso la
stretta apertura tanto
da sgualcirsi un lembo della giacca nuova.
“No! Questo è un gioco per grandi”
spiegò brevemente il fratello liquidando alcuna
possibilità di ulteriori
richieste.
Stefan sembrò imbronciarsi, ma la
vista di una chiocciola lo affascinò così tanto
che pochi minuti dopo provò con
un'altra domanda, dimentico del rifiuto del fratello.
“Almeno mi dici come stai
giocando?” domandò e Damon buttò il
torsolo della mela già ossidata.
“Faccio finta che – che sono
scappato di casa” tentennò il ragazzo e si
liberò dalla stretta del cappello
facendo prendere respiro ai boccoli color della notte.
La meraviglia e il desiderio
sembrarono colmare gli occhi smeraldini di Stefan.
“Ma papà si arrabbierà se stai
fuori fino a quest’ora” mugolò Stefan
stropicciandosi gli occhi offuscati dalla
sottile luce rossastra che sfumava già oltre le alte
montagne.
Damon si accigliò e con un gesto
avventato mise le mani tra i capelli color miele del fratello,
arruffandoglieli, tentando di farlo uscire da quel buco che conduceva
al suo
nascondiglio.
“E tu non gli dirai dove sono!”
borbottò Damon puntando lo sguardo cupo e minaccioso negli
occhi del fratello.
Stefan si accigliò e incrociò le
sottili braccia al petto mettendo in bella mostra le macchie verdi
dell’erba in
corrispondenza dei gomiti.
Damon lo guardò con la coda
dell’occhio: era la sua giacca nuova, al padre non avrebbe
fatto piacere. Un
sorriso increspò le labbra del ragazzo.
“Ti ho trovato!” esordì tutto
d’un
tratto il bimbo indicando il fratello con il ditino.
Damon roteò gli occhi.
“E con ciò?” chiese.
“Io stavo giocando a nascondino
perciò ho vinto io!” balbettò Stefan
dondolando sui talloni, non riuscendo più
a distinguere perfettamente la sagoma dietro il cespuglio.
“Stefan ti devi togliere questo
vizio di giocare con me quando io non ci sono!”
sbuffò Damon nonostante la
lieve ingenuità e stupidità del fratello lo
facesse un po’ divertire.
Stefan dischiuse appena la bocca,
pronto a protestare e a convincere nuovamente il fratello a venire con
lui a
casa, ma la voce austera del padre gli fece drizzare le orecchie.
Giuseppe Salvatore avanzava lento e
deciso verso il figlio più piccolo, con le mani dietro la
schiena e il gilet
leggermente aperto. La sua falsa noncuranza e calma
preoccupò i fratelli più di
un tuono in una serata di pioggia.
Stefan si girò allarmato verso un
punto indefinito tra le foglie.
“Non dirgli niente, se ti chiede
qualcosa tu non sai niente” sussurrò Damon e gli
occhi azzurri si fecero vivi
tra il fogliame.
“E se mi chiede qualcos’altro?”
domandò il bimbo.
Damon alzò gli occhi al cielo
limpido.
“Inventati qualcosa, sei
intelligente no?” concluse.
Stefan sentì una presenza dietro le
sue spalle.
“Che stai facendo lì per terra?”
chiese il padre, in viso la medesima espressione stanca e austera.
Stefan balbettò non riuscendo a
trovare una scusa decente.
“Rientra in casa, Stefan. Si sta
facendo buio” disse, questa volta bonario ma il bambino
tentennò a seguire il
suo consiglio.
Non voleva tornare a casa, non senza suo
fratello.
Alla fine si alzò da terra, si
spolverò i calzoni e la giacca, e con gli scarponcini si
avviò trotterellando
verso la sua abitazione.
“Stefan”
Un altro richiamo severo di
Giuseppe e Stefan arrestò i suoi passi.
“Hai visto Damon?” chiese, gli
occhi sottili e quasi neri.
Il bimbo scrollò il capo
nervosamente. Il cuore gli batteva forte forte.
Il padre gli regalò un sorriso
bonario e osservò il proprio figlio continuare il cammino
verso la villa.
Disse qualcosa, ma già le gambette
di Stefan si muovevano veloci attraverso l’immenso prato
verde.
All’ingresso MaryBeth lo avrebbe
accolto con il solito sorriso amorevole e non avrebbe sentito le urla e
le
lamentele di Lady Jo, la governante, che con i suoi occhiali in bilico
sul naso
aquilino lo avrebbe condotto a fare il bagno; a cena avrebbe mangiato
lo
stufato verso cui tante volte aveva arricciato il naso, bevuto la sua
zuppa
calda e atteso la benedizione del padre alle nove, per poi rifugiarsi
tra le
lenzuola della sua stanza.
Una sera come tutte le altre con la
sola eccezione che non avrebbe saputo a chi rivolgere lo sguardo
disgustato
mentre la carne densa traballava nel suo cucchiaio, insieme a chi
spintonarsi
per salire le scale che portavano alla propria camera, a chi dare la
buonanotte
prima di addormentarsi.
Una sera come tutte le altre con la
sola eccezione che non c’era Damon.
Imprecare era la cosa che a Damon
Salvatore riusciva fare meglio, molto meglio di resistere al freddo.
Il corpo del ragazzo appena
dodicenne era raggomitolato su se stesso e scosso da sussulti a causa
della
temperatura rigida di quella notte, più fredda e Damon
poteva giurare che non
si trattava solo di freddo corporeo.
Il Salvatore cercò di impedire ai
denti bianchissimi di battere e alle labbra di bruciarsi con il freddo,
ma il
suo corpo sembrava non più rispondere ai suoi comandi.
Tremava come una foglia in quel groviglio
di radici presso cui aveva trovato riparo, allontanandosi
dall’arbusto da cui
aveva assistito a tutta la conversazione di Stefan e suo padre.
Figlio
ingrato
lo aveva chiamato, ma non per questo il suo animo
si era rattristato. Lui non era Stefan, per il quale non era giusto
tradire la
fiducia delle persone e da cui si aspettavano tutti molto.
Da Damon nessuno si aspettava
qualcosa, né tantomeno suo padre. Detto francamente, neanche
Damon sapeva che
farsene della sua vita.
Vivere secondo gli schemi non
faceva per lui, per lui che quella società, in cui stavano
vivendo, gli stava
piccola come le brache di suo fratello quando sbagliava a vestirsi.
Non avrebbe più rimesso piede in
quella casa e tanto più lo ripeteva nella sua mente tanto
più i denti dibattevano
e le gambe gelavano.
Eppure nonostante il ripudio, il
rancore che iniziava a nascere nel suo cuoricino, Damon sperava,
sperava che qualcuno lo venisse a cercare per portarlo
davanti ad un bel fuoco e riscaldarsi.
Damon era solo, era sempre stato
solo, non per questo significava che gli piacesse esserlo.
Strizzò gli occhi e i riccioli neri
li sentì quasi come spilli di ghiaccio sulla sua fronte
larga.
“Dam” un sussurro appena accennato,
forse era solo il vento.
“Damon” un altro sussurro, questa
volta più forte e uno scossone leggero sulla spalla.
Che
cos’era tutto quel calore?
“S-St-Stefan che di-avolo ci fai
q-qui! Tornatene a c-casa” balbettò Damon e si
morse la lingua un po’ per il
freddo, un po’ per la sorpresa.
Stefan stava ritto in camicia da
notte di fronte a lui, i piedini scalzi infangati e infreddoliti.
“Volevo vedere se stavi bene” disse
timidamente imbronciandosi un po’ per il tono brusco con cui
il fratello si era
rivolto a lui.
Damon tentò di raddrizzarsi, ma
fallì miseramente rimanendo incollato al tronco, ancora
tremante.
Ci provò di nuovo e questa volta riuscì
a mantenere una posizione eretta guardando il fratello immusonito.
“P-Pa-Pa si a-arrabbierà se non
t-ti trova” mugugnò cercando di mantenere il tono
spavaldo e altezzoso che
tanto lo caratterizzava.
Non poteva permettersi di essere
debole, non davanti a suo fratello.
“Tu non vieni?” chiese il bimbo,
illuminato dal chiarore della luna, strofinandosi l’occhio
destro con la manina
gelata.
Damon scosse il capo: almeno quel
gesto gli permetteva di non balbettare.
“Allora rimango con te”
Stefan incrociò le gambe e si
sedette sul terriccio freddo e umido incollando le proprie spalle a
quelle del
fratello.
“Fa c-come vuoi” borbottò Damon
incrociando le braccia al petto e socchiudendo gli occhi, sentendo la
stanchezza prendere il sopravvento.
Pensò che Stefan fosse disgustosamente
altruista e che fosse
una seccatura averlo sempre intorno, con i suoi gesti e i suoi modi di
fare –
così buoni e gentili.
“Per rimanere qui al freddo, non
sei poi così intelligente come dicono”
mugolò Damon ma Stefan aveva reclinato
il capo, accoccolato sulla spalla di Damon, e Morfeo aveva indirizzato
la sua
mente verso monti e scogliere lontane. Nessun posto così
lontano da non poter
essere raggiunto anche da Damon.
“Damon
mi fa male il petto”
piagnucolò raucamente Stefan accovacciato
all’interno dei numerosi strati di
coperte che lo seppellivano sul suo letto caldo e febbricitante.
Il Salvatore roteò gli occhi e non
seppe trattenere un eccesso di tosse che gli graffiò tutta
la parete
dell’esofago.
“Voglio uscire a giocare in
giardino. E’ una bella giornata” disse il bimbo con
le guance arrossate per
l’elevata temperatura corporea sporgendosi per scostare le
tende della
finestrella.
“Stefan, sta giù rischi di cadere!”
lo rimproverò Damon girandosi su un fianco, dando le spalle
al fratello.
“E poi se tu non fossi rimasto,
adesso saresti fuori a giocare in giardino” gli
ricordò il ragazzo tentando di
rinfacciargli la sua azione e di ricordargli chi fosse il responsabile
del loro
malanno.
Damon socchiuse leggermente le
palpebre pesanti per trovare conforto al dolore acuto proveniente dalla
sua
testa dovuto alla febbre e non seppe se fossero passati pochi minuti o
delle
ore dal suo cedimento.
“Stef?” chiese non riuscendo più a
captare alcun suono presente nella stanza. Forse si era addormentato.
Damon raddrizzò le spalle rotolando
all’interno dell’ammasso di coperte e
allungò lo sguardo oltre il letto del
fratello.
Il letto disfatto era vuoto e le
coperte riverse parte sul pavimento, parte aggrovigliate sopra il
materasso
ingiallito e stropicciato.
Gli occhi di Damon si spostarono
subito un po’ oltre il letto, verso la finestrella semiaperta
il cui vetro
sbatté insistentemente contro il davanzale.
Il volto del Salvatore divenne più
bianco del suo lenzuolo.
Si cacciò indietro due o forse tre
imprecazioni e calciò istintivamente le spesse coperte
così da liberarsi da
quel calore soffocante.
Il capo roteò per qualche secondo
ma Damon non se ne curò.
Si sporse oltre la finestra, gli
occhi azzurri cercavano come impazziti.
“Eccomi” esultò Stefan allargando
le manine e manifestando un sorriso bucherellato per la mancanza di
alcuni
denti.
Il brio e l’allegria sembrarono
scemare alla vista dello sguardo severo di Damon.
Il bimbo si imbronciò chinando il
capo.
Damon
roteò gli occhi.
“Ti
ho trovato. Stavo giocando a nascondino e ti ho trovato. Ho
vinto io stavolta” annunciò abbozzando un sorriso
obliquo in direzione del
fratello.
Gli occhi di Stefan si illuminarono
e un sorriso fece capolino sul suo viso.
“Ti do la rivincita solo perché
oggi sono buono. Vatti a nascondere” mugugnò il
fratello maggiore pronto a
serrare gli occhi e a contare.
“Tanto mi troverai. Sempre”
bisbigliò Stefan con convinzione prima di darsi una spinta
per arrampicarsi
nuovamente sul suo letto, stranamente stanco di giocare.
Damon lo osservò rimboccarsi le
coperte e chiudere dolcemente le palpebre pesanti.
Tanto lo avrebbe trovato, sempre.
Tanto si sarebbero trovati, per
sempre.
Ma buonasera popolo di efp :D
Sono lieta oggi di aggiornare dopo
un periodo di immobilità causa scuola e pigrizia. E non
è un caso che abbia
deciso di aggiornare proprio in questo giorno: oggi 25/01/2012 faccio
esattamente quattro anni che sono iscritta su questo sito! Ma bene
passiamo
oltre i miei vaneggiamenti: sono tornata con una one-shot sui
Salvabros!child
che da tempo avevo intenzione di scrivere ma che non riuscivo mai ad
iniziare. Ebbene
finalmente ci sono riuscita! Non mi dilungo oltre il commento, spero
solo che
possa piacervi perché io semplicemente c’ho messo
il cuore ♥
Grazie comunque per aver letto.
Un bacio,
Sil