Dove sei ora? Dove sei ora che ho bisogno di
te? Dove sei ora che tutto va a puttane? Sei sparito quando avevo bisogno di
te… ma so che è colpa mia, colpa dei miei sentimenti. Non posso darti tutti i
torti hai sempre detto che mi vuoi bene ma te ne sei andato lo stesso perché
sapevi che mi piacevi, per non farmi soffrire ancora di più. Ma in questo
momento saresti l’unica persona che mi farebbe calmare, che mi convincerebbe a
non litigare. Però non ci sei, non ci sei a colmare questo immenso vuoto che si
è creato da quando non ci sei.
“Signorina io con te non ho ancora finito” urlò
mamma.
“Cosa vuoi ancora? Vietarmi di vivere? Tanto ci
manca poco” risposi.
“Non rispondermi così, un po’ di rispetto”
“E come cazzo dovrei risponderti? Per te non ho
più rispetto. L’unica persona che mi faceva calmare in questi momenti, è quella
che tu odi a morte e che ora non c’è più. Perciò non c’è più lui a frenarmi,
non c’è più lui che mi dice che tu lo fai per il mio bene. Tu odiavi l’unica
persona che ti difendeva. Ma non sai che io odio te. Come puoi considerarti una
buona madre se l’unica cosa che fai è avere preferenze e mettermi in punizione
senza un valido motivo”
Mi guardò con gli occhi spalancati dallo
stupore, non riusciva a credere che
avessi detto quelle parole, come non ci riuscivo nemmeno io. Scappai di casa
con gli occhi colmi di lacrime, non volevo più vederla. Ogni volta che vedevo
il suo sorrisino, il suo modo di prendersela con me per qualunque cosa anche se
non era colpa mia, ogni volta che dava ragione a mia sorella perché la
preferiva, mi arrivava il sangue al cervello così velocemente che mi iniziava a
girare la testa. Non poteva rovinarmi l’adolescenza solo perché credeva di
sapere tutto, quando in verità non sapeva un bel niente. Non sapeva niente, non
mi era mai venuta a chiedere come stavo, se c’era qualcosa che mi preoccupava,
non sapeva quello che mi passava per la testa.
Correvo per le strade della città sapendo già
dove dovevo andare, c’era un solo posto che amavo così tanto da andarci ogni
volta che avevo bisogno di pensare e di scappare da tutti coloro che mi
facevano soffrire. Un posto che poche persone frequentavano e che era quasi
sempre isolato soprattutto in inverno che faceva troppo freddo per andarci. Le
lacrime scendevano lentamente e tutte le persone si giravano a guardarmi, volti
che avevo già visto minimo una volta nella vita, volti di persone che mi
avevano vista ridere con le mie amiche e parlare a telefono mentre attraversavo
quella strada tanto familiare.
Quando arrivai in quel parchetto tanto amato mi
illuminai. In quella città era l’unico posto in cui c’era sempre erba fresca,
dove gli alberi alti ti davano la possibilità di poter leggere un buon libro
all’ombra e senza essere disturbata ogni poco. Quel luogo mi sembrava magico,
uscito dai miei sogni più belli.
Andai verso le giostre e mi sedetti sotto una
specie di castello a piangere. Ho sempre pensato che le lacrime erano un modo
per manifestare un dolore e per sentirsi meglio man mano, però in quel momento
mi sembrava che ad ogni lacrima il dolore aumentasse. Ormai le lacrime
scendevano ad un ritmo incredibile, mi offuscavano la vista e non capivo più
niente.
La mie mente si era soffermata allo sguardo di
mia madre, quello sguardo incredulo che mi aveva ferito. Non capivo se avessi
fatto la cosa giusta e francamente non mi interessava. Mi ero scocciata dei
modi che usava con me, era il momento di finirla. L’unica persona che sarebbe
riuscita a frenarmi ora non c’era più e non riuscivo più a essere felice da
quando ci eravamo detti addio.
I miei pensieri furono bloccati da una mano che
mi sfiorò leggermente la spalla destra.