Serie TV > Xena
Ricorda la storia  |      
Autore: Karyon    27/01/2012    2 recensioni
«[…] La Leggenda narra che – per punirlo di non aver rispettato i suoi ordini – il Dio della guerra, infuriato, trasformò Alectrione in un gallo che, da allora, non dimentica mai di avvisare il mondo dell’arrivo di Helios, il Sole ».
Terza classificata al contest "Il fascino del male!" di Dark Aeris.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aphrodite, Ares, Xena
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ha partecipato ed è arrivata terza al Contest “Il fascino del male” di Dark Aeris.
Qui il giudizio, grazie ancora :)

 
Stile e lessico: 12.7 punti 
A livello grammaticale non ho nulla da annotare, se non una virgola posta tra soggetto e verbo, che ti ha tolto 0.30 punti, perché ritenuto da me unico errore vero e proprio nella punteggiatura.
In realtà tutto quello che era accaduto, non dipendeva da Xena, 
Lo stile è elaborato, ben curato e il lessico è ricercato, ben ponderato ttra l'introspezione e la narrazione. 
Originalità: 7.3 punti 
Se avessi lasciato unicamente la parte riguardante Xena e Ares non avresti guadagnato molti punti in originalità, ma l'idea del mito, mescolato abilmente al telefilm, ha reso l'intera storia fresca e nuova. Bella l'idea di Ares che collega il suo essere divino a Venere e il suo essere umano a Xena: queste due parti collegate a due donne intriga moltissimo. Il mito scelto, poi, è davvero particolare, rende il tutto incredibilmente avvincente. 
Caratterizzazione dei personaggi: 9.8 punti 
Ti ho dato punteggio pieno per quanto riguarda Ares: era assolutamente perfetto, con questo connubio ben descritto tra parte umana e parte divina, che combattono tra di loro, egualmente potenti e combattive. Ti ho tolto qualche punticino esclusivamente per l'ultima frase detta da Xena, che non mi ha molto convinto, soprattutto per il fatto che è stato sottilineato il tono “sottomesso”. Per il resto, niente da annotare. 
Apprezzamento personale: 12 punti 
Trovo il tuo modo di scrivere impeccabile. Hai un'abilità lessicale e stilistica assolutamente perfetta e riesci a catturare il lettore sin dalle prime parole. 
L'idea di questa storia mi è piaciuta molto, davvero particolare e interessante. Il tuo Ares era perfetto, stupendo e adorabile. E sei riuscita ad inserire il genere erotico senza che stonasse con il resto, rendendo la storia ancora più perfetta. Complimenti! 
Totale: 41.8 punti 
Banner:http://img803.imageshack.us/img803/9586/40105564.jpg
 
 

 

 
Il canto del Gallo

 

«[…]La Leggenda narra che – per punirlo di non aver rispettato i suoi ordini – il Dio della guerra, infuriato, trasformò Alectrione in un gallo che, da allora,
non dimentica mai di avvisare il mondo dell’arrivo di Helios, il Sole »
.

 

Xena espirò, quando si sollevò languidamente a sovrastarlo dall’alto mentre le lenzuola sottili ricadevano a sfiorare i loro corpi come una carezza. L’aria fresca del Grecale – proveniente dalla porta-finestra spalancata alla loro destra, – contribuiva a rinfrescare la pelle accaldata e madida di sudore; era come une febbre, strisciante e intensa in tutto il corpo.
«Xena…» la sua voce era quasi lontana, sommersa dalle sensazioni di calore e dolore che si rimescolavano continuamente dentro la sua anima. In quei momenti, si chiedeva se sarebbe stato sempre così: a cavallo tra realtà e illusione, tra piacere e sofferenza.
Con uno scatto del bacino, Marte spinse in profondità dentro di lei, strappandole un nuovo gemito di piacere. «Voglio prendere io il controllo…» riuscì a sussurrarle tra gli ansiti, mentre lei sorrideva: ci aveva messo dei veri e propri mesi per convincerlo a scendere a dei compromessi, nonostante il caratteraccio che si ritrovava; non che poi fosse stato tutto così facile, anche dopo.
Era e restava il Dio della Guerra, dopotutto.
Quando Xena annuì impercettibilmente, Marte si esibì nel solito ghigno da “faccia-di-bronzo”, poi ribaltò agilmente le posizioni, facendola affondare nelle lenzuola che profumavano di fresco.
Con una risata, Xena capì che ora veniva il bello, perché dare a Marte le redini del gioco, voleva dire prepararsi alla guerra – e nessun altro modo di dire sarebbe stato più calzante per quella situazione.
«Sei bellissima…» soffiò lui, baciandole delicatamente una spalla nuda e salendo su, verso il collo, mentre rientrava lentamente in lei con un sospiro.
Tanta delicatezza era inusuale per Marte, che comunque aveva già avuto il piacere di giacere con lei nei tempi addietro. Qualcuno poteva decisamente azzardare a dire che il Dio si stava rammollendo, ma la verità era che la stanchezza per tutti quei giochetti cominciava a farsi sentire.
L’Olimpo – dal quale aveva deciso di andarsene dopo gli ultimi accadimenti – era ormai lontano e la sua “vita”, sebbene di natura ancora divina, cominciava a prendere una piega diversa, quasi pacifica.
Stranamente, nonostante non si rischiasse a dirlo ad alta voce, la cosa cominciava a piacergli.
I gemiti della donna sotto di lui lo distrassero dai suoi pensieri, per riportarlo alla realtà che stava vivendo, quel momento di cui non voleva mai perdere niente.
Continuò a spingere dentro di lei, beandosi della sensazione delle sue gambe tornite attorno ai fianchi e dei suoi lunghi capelli sparsi tra le mani; Xena era bellissima, lo era sempre stata, soprattutto quando il furore della passione le accendeva le iridi e il rossore le colorava la pelle altrimenti marmorea.
Anche se gli piaceva dirsi e dirle il contrario, la preferiva così: bruciata di passione amorosa per lui e imbarazzata al punto di rifuggire il suo sguardo.
Infatti, era quello che lei stava tentando di fare, cercando di frenare i sospiri troppo forti mordendosi le labbra a sangue. Sempre orgogliosa, sempre combattiva. 
«Non devi nasconderti a me, lo sai. So benissimo tutto ciò che provi… lasciati andare…» le sussurrava, mentre già sentiva il culmine del piacere raggiungerlo; si frenò d’istinto per aspettarla, poi l’abbracciò quando la sentì emettere un ultimo forte gemito, mentre un tremore incontrollato le saliva dalle gambe a tutto il corpo, trasmettendogli qualcosa che andava al di là del puro piacere fisico. Qualche istante dopo, quasi contagiato, sentì il piacere sopraggiungere anche a lui; lasciò che il tremore controllasse membra e carne, spirito e mente, fino a sentirsi totalmente svuotato.
L’ultima cosa che fece, prima di addormentarsi, fu sfiorarle i capelli con un sussurro.
«Ti amo…» le disse e forse lo pensava sul serio, in qualche piccolo recesso della sua anima.
Poi si addormentò.
 
Marte non si era mai soffermato a pensare alle possibili implicazioni del rapporto con un’umana.
Fondamentalmente aveva sempre creduto che lui e Xena si meritassero a vicenda, nel Bene e nel Male. Lui era la Guerra, la passione brutale, la forza e lei… lei era fuoco che ardeva in un braciere, impossibile semplicemente da arginare o spegnere.
Quando la guardava, quasi dimenticava chi era, quasi dimenticava i suoi doveri – e in quel momento più che mai. Marte si sistemò la cintura di corda nei pantaloni chiari, poi la guardò: il lenzuolo sottile disegnava le forme generose e più che mai sensuali, mentre i capelli sciolti gli ricordavano quanto fosse fugace quella dolcezza, quanto fosse effimera quell’arrendevolezza.
E lo sapeva, sapeva che viaggiavano su di un filo sottile quanto il destino che, prima o poi, veniva reciso da un netto taglio di lama.
«Cosa guardi?» Gli chiese lei, quando avvertì il suo sguardo su di sé.
Marte sorrise «Guardo te, sei bella».
Xena non sorrise, quasi nulla cambiò nei tratti duri del viso, mentre si girava a fissare un punto imprecisato della stanza «Non sei costretto a essere così…»
«Così come?» Incalzò lui, andandole incontro a passi veloci e fermi.
«… gentile. Tu non sei così» replicò lei, tornando a guardarlo con la fierezza che la contraddiceva. «Tu sei Marte, sei il Dio della guerra e sempre lo sarai, anche se torni a indossare le vesti di un comune mortale» spiegò, ricordando a entrambi che nulla, nemmeno pochi istanti strappati alle consuetudini del mito, potevano lasciar dimenticare cose iscritte nella Storia.
Marte sospirò, serrando lo sguardo su ricordi dolorosi cui la mente si assuefaceva – di tanto in tanto – senza che lo volesse; quel giorno… maledetto e fortunato in cui il suo destino già segnato si era compiuto fatalmente. Poteva ricordare, ancora e ancora, tutti quegli occhi puntati su di loro, come fossero stati un passatempo divertente, peggio, dei fenomeni da baraccone…
Tutto doveva leggersi sulla sua espressione così come lo leggeva indelebilmente nella sua mente, perché Xena lo guardò con espressione indecifrabile; sembrava dolore, leggero e impalpabile, prima che fosse velocemente rimpiazzato dalla rabbia.
Il suo bel volto si accigliò, mentre le braccia andarono a intrecciarsi al petto; provò a dire qualcosa, ma Marte la anticipò «No, non lo sono. Adesso sono solo un comune abitante della Tracia, lo sai».
Xena scrollò la testa, con un sorriso amaro «Questa non mi è nuova… lo sei ora, ma tra qualche giorno? Non si smette di essere una divinità da un giorno all’altro e a te il potere piace. Ti piace sentire l’odore ferroso del sangue, le urla d’iniziazione, i clangori della battaglia… me lo dicesti quel giorno di tanti anni fa, ricordi? Tu sei la Guerra e lo sai» replicò la donna, prima di allontanarsi da lui. Infine chiuse la porta della stanza, celandosi alla vista.
Marte sospirò, serrando tanto le dita che queste sbiancarono, prima che una fiamma incandescente arrivasse a lambire tutta la mano; i suoi poteri erano ancora vividi e forti, nonostante non li usasse ormai da tempo per sua spontanea volontà.
Lanciò un’occhiata alla porta chiusa – solida come una muraglia insormontabile – poi uscì a guardare la sua terra: l’orgogliosa e nobile Tracia, la sua regione natìa.
In realtà tutto quello che era accaduto, non dipendeva da Xena, sebbene il calore del suo corpo e il profumo della sua chioma fluente fossero i motivi che lo spingevano a persistere nei panni di un contadino tracio. Quella storia proveniva da lontano e, nonostante non giungesse nuova alle orecchie degli abitanti dell’Olimpo – che da sempre vivevano di scandali e menzogne –, non credeva avrebbe mai scalfito la sua persona, il suo carattere indomito.
Era con una certa furia, mista a tristezza e rimpianto, che pensava a lei: la Dea più bella di qualunque altra, la donna che incarnava il fascino più puro e immortale.
Venere – la sorella con cui condivideva un rapporto di amore frammisto a odio – era divenuta per un’eterna notta la sua amante privilegiata. Si erano amati a lungo, con un ardore che non credeva possibile; il naturale furore della guerra si era appagato dell’amore naturale che irradiava dalla fulgida capigliatura bionda, da quegli occhi che sembravano promettere la passione che da nessuna mortale era possibile ricevere… Venere era la personificazione del desiderio più sfrenato, della lussuria più potente in amore, così come lui lo era nel campo della guerra. Si erano amati come nessun altro avrebbe potuto fare, con tanta forza da annientarsi totalmente.
Poi li avevano scoperti e la vergogna che credeva non appartenere a quel mondo, scese su di loro con la sua spada, pronta a cancellare in un istante ogni piacere.
Marte sapeva che Helios Che Tutto Vede avrebbe visto; Marte sapeva che Vulcano avrebbe saputo, tuttavia Alectrione – che avrebbe dovuto vegliare su loro e il loro amore – aveva fallito. Neanche la trasformazione in gallo aveva placato la furia che lo aveva investito e che, tuttavia, non avrebbe potuto sfogare in alcun modo: Zeus Padre preferiva il suo esilio, Zeus magnanimo preferiva che nessuno spargesse sangue per una passione fedifraga.
Così era scappato – da se stesso e dalla sua sete di vendetta – in Tracia, cercando calore umano nell’unica donna che avesse mai amato davvero.
Venere era lo spettro di qualcosa che avrebbe potuto essere, ma non poteva.
Sebbene amasse Xena con tutte le sue umane forze, la sua parte divina agognava ancora i cancelli dorati dell’Olimpo.
Xena uscì dalla stanza, vestita di quell’azzurro che tanto lo incantava – quasi più del cuoio e argento dell’armatura.
«Credo che tu sia sempre bellissima con qualsiasi veste, ma… quella da donna e ciò che ti si addice di più. Meriti di vivere lontano dalla guerra» le disse, con voce roca.
Le labbra tinte di rosso si piegarono in un leggero sorriso, ma gli occhi continuavano a essere pervasi da una tristezza infinita e indicibile, come se già fossero lontani nel tempo e nello spazio, a vedere qualcosa che lui non poteva.
«Se sarai ancora qui al mio ritorno, prometto di non togliere mai più queste vesti, Marte. Ma solo se ti troverò qui. Al mio ritorno…» gli rispose, con voce sommessa.
Aveva bisogno di prove, aveva bisogno di sapere che lui ci sarebbe stato – passionale, ma umano – accanto a lei. Lo amava e lo aveva capito da tempo, tuttavia la sua natura non poteva cambiare, se non cambiava la loro vita. Oh, era così stanca di combattere ancora…
Così se ne andò, lasciandolo in balia del fato.
Quello, solo quello avrebbe deciso se il Marte Dio sarebbe morto, in favore dell’uomo.
 
Marte rimase lì, immobile, mentre quelle poche parole cominciavano a vorticargli nella mente, in cerca di riparo; essere un uomo, per sempre.
Non era uno stupido, né era davvero così superficiale; sapeva che tutto quello significava molto altro ancora: rinunciare ai propri poteri, abbandonare l’Olimpo, lavorare, magari avere dei figli, fare l’amore con Xena, invecchiare, forse lasciarsi o forse vivere felici per sempre. Rimpianto, gioia, felicità, fine delle guerre.
Tutto, tutto il mondo in una sola parola – una risposta a cambiare per sempre il suo destino e quello del mondo intero.
Era pronto? Era davvero tanto coraggioso?
Un lampo di luce e un paio di occhi chiari arrivarono a sbaragliargli ogni pensiero.
«Marte…»
Venere, seria come non mai, bella come non mai, lo guardò come se non lo vedesse da secoli. La veste rosa le si adattava perfettamente al corpo longilineo e perfetto, come solo una Dea poteva essere; Venere profumava di fiori di campo, Marte lo sapeva, da inspirare a pieni polmoni pensando alla libertà.
«L’Olimpo ti sta aspettando, Zeus non è più arrabbiato».
Marte alzò lo sguardo «Dov’è Vulcano?»
Venere sospirò, socchiudendo un attimo lo sguardo, poi tornò a guardarlo «È disposto a perdonarti, perché ti rivuole con noi, fratello… io, io ti rivoglio con me, Marte» concluse poi.
Quello sguardo prometteva bellezza e amore eterni, prometteva un intero mondo di passione e tradimento, prometteva potere immortale e fuoco bruciante nelle vene.
Quello sguardo rappresentava tutto ciò che era insita nella divinità che lui non aveva mai chiesto, ma aveva portato come vessillo di perpetua gloria.
Marte era un dio nella sua più intima natura, sebbene fosse attratto prepotentemente da quella parte dell’umanità che invidiava agli uomini stessi: verità, crudele e appassionante verità, e mortalità, semplice e infinitamente ingenua.
Avrebbe rinunciato a molte e molte vite eterne per quella caducità che Xena portava indosso fieramente, con l’orgoglio che contraddistingueva la loro specie.
Lui non avrebbe potuto farlo, neanche se avesse avuto a disposizione un’altra vita intera.
«Io la amo, Venere» risolse poi, con una fermezza di cui la Dea si stupì – anche se non per molto: Marte aveva amato a lungo, aveva amato molto e in ogni epoca del tempo umano; avrebbe dimenticato anche lei, alla fine.
 «L’amore è incostante ed è volubile… soprattutto quello degli uomini e dovresti saperlo, ormai. Quella stessa donna ti ha adorato come una fiera regina guerriera e ora t’implora di accontentarti della misera umanità… potrai amare molto più a lungo nella tua immortalità, Marte; se diventassi uomo e il suo amore per te mutasse? Cosa faresti?»
“Ne morirei”, fu la naturale e ovvia risposta del suo cuore mezzo umano; anche se non ebbe il coraggio di pronunciarlo a voce alta. Marte era un dio – incostante come il vento che ora gli accarezzava i capelli, pericoloso come la guerra, vigliacco come solo un immortale poteva esserlo, conscio della possibilità di poter rimediare a tutto. E così doveva compiere il suo fato, vivendo tra coloro che più erano degni della sua esistenza.
Quando Venere sparì, scoraggiata dal suo silenzio, Marte meditò per molte altre ore, svuotato da ogni parvenza terrena; la sua vana mortalità era svanita nella sua coscienza, lo stesso istante in cui aveva pronunciato quelle due, esatte parole.
“Ne morirei”… La paura di perderla – per uno scherzo del destino, delle malattie, della morte, di qualunque cosa – lo avrebbe reso pazzo, così come la coscienza dell’instabilità del vivere mortale.
Gli uomini erano capaci di una leggerezza tale, che a loro dèi era del tutto inconoscibile, presi com’erano nel tingere d’oro ogni cosa toccassero o dicessero.
Lui quella leggerezza non poteva impararla, né Xena poteva insegnargliela – sebbene le sue carezze fossero le più delicate che conoscesse.
Fecero l’amore un’ultima volta e per l’ultima volta Xena poté dire di aver assaggiato le lacrime di un vero Dio.
Marte passò le ultime ore del mattino a guardare il cielo, mentre albeggiava tingendo di rosa e oro chiaro ogni cosa – e il profilo, definito e bellissimo, della donna accanto a sé –, poi sparì mentre Alectrione il gallo cantava tutto il suo disprezzo al Sole, lasciando al suo posto solo il silenzio.
 
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Xena / Vai alla pagina dell'autore: Karyon