Timeline:
post 2x12
Note: Birkhoff
è un impiccione, ecco. Non c’entrava niente in questa one-shot e
invece ha deciso di arrivare e scombinare tutti i piani. Ma ok, lo amo anche
per questo. Non ho grandi note da fare, ringrazio ancora una volta Hope che ha betato nonostante non conosca la serie. ♥
Disclaimer:
I personaggi di “Nikita” non mi appartengono (se qualcuno mi regala
Birkhoff o Sean non mi dispiace, però).
Dedicata a lady_cocca,
che mi ha incoraggiata e fatto sorridere con i suoi commenti quando ha letto.
Ed è dedicata anche a tutte le altre fantastiche nikita-addicted:
Lizzie_Siddal,
alister_, Gweiddi
at Ecate e la new entry
Shari_Aruna
(che non so a che punto è arrivata, ma io te la dedico lo stesso hahahaha) ♥
Sbagliato, inopportuno e fuori
luogo
Birkhoff
lanciò un’occhiata circospetta ad Alex, intenta ad osservare il
frigorifero aperto con lo sguardo perso nel vuoto, distogliendo
l’attenzione solo per un momento dall’orologio a cui doveva
togliere per forza quel sensore di rilevamento.
«I
pinguini stanno iniziando a farmi compagnia.»
Alex
scrollò la testa, voltandosi di scatto verso Birkhoff, «Come?»
mormorò piano.
«I
pinguini. Frigorifero aperto… freddo?» tentò di farle capire
con un’occhiata eloquente mentre si sfregava le mani sulle braccia
fingendo di rabbrividire. Alex, però, lo fissò ancora, sempre
più confusa, facendolo sospirare rassegnato, «È mezz’ora
che fissi il vuoto, almeno fissalo con il frigorifero chiuso. Le birre le
preferisco ghiacciate.» spiegò, tornando a trafficare con
l’orologio.
Sentì
l’anta del frigorifero chiudersi – alleluia, ha capito!, pensò sarcasticamente – prima che Alex appoggiasse i
gomiti sulla scrivania e sospirasse.
«A
che punto sei?» domandò con tono stanco. Non aveva neanche provato
a rispondergli a tono o a dargli uno scappellotto, innervosita dalla sua solita
mancanza di tatto.
Quando
fece per risponderle notò che Alex non stava guardando né lui
né l’orologio, bensì puntava l’altra parte della
stanza dove sedeva Sean. L’avevano slegato, dopo quella telefonata chiusa
di scatto con la madre, ma nessuno aveva intenzione di perderlo d’occhio.
Per questo Nikita e Michael l’avevano lasciata lì, nonostante
avesse insistito tanto per seguirli e prepararsi con loro a raggiungere la
Divisione. Era pericoloso, era un piano folle… ma starsene con le mani in
mano non era il suo forte, per niente. Non le piaceva controllare le persone,
non le piaceva starsene seduta ad aspettare mentre altri agivano al suo posto.
«E
quindi tre galline più un gallo fanno un pollaio.»
«Che
diavolo…?» si voltò verso
Birkhoff, aggrottando le sopracciglia.
Birkhoff
alzò gli occhi al cielo, prima di passarle l’orologio, «Volevo
vedere se mi ascoltavi oppure no. Invece di stare a fissarlo, vacci a parlare.»
le consigliò, facendo spazio sulla scrivania per controllare le
posizioni di Nikita e Michael sullo schermo del computer.
Alex,
però, lo ignorò completamente, «Sai dove sono?» gli
domandò, tirandosi in piedi e appoggiando una mano sullo schienale della
sedia.
«Sì,
ma non è affar tuo.» la canzonò Birkhoff.
«Io
non so come fai.» sbuffò lei.
«Ad
essere così simpatico?»
«No.»
roteò gli occhi Alex, «Ad essere così tranquillo. A startene in seconda linea, quando l’azione
è lì.» spiegò indicando il computer, nervosa per
quella situazione.
Birkhoff
sollevò un sopracciglio, «Oh, credimi. L’azione
c’è anche qui.» commentò, «E non parlo solo del
fatto che controllo ogni spostamento e ogni operazione.» lanciò
un’occhiata a Sean, indicandoglielo con un cenno del mento.
«Nerd, da quando la mia vita privata ti
riguarda?» domandò Alex con un’occhiataccia gelida.
Ok,
vita privata era
un’esagerazione. Non c’era niente di privato tra lei e Sean,
piuttosto solo la consapevolezza che l’aveva usata per raggiungere Nikita
ed ucciderla. Tuttavia qualcosa l’aveva spinta a ribattere e cercare di
far tacere Birkhoff. Quest’ultimo rimase un attimo in silenzio dopo
quella domanda, prima di portarsi un pugno alle labbra e tossire forzatamente, per
mascherare una risata.
Sollevò
le sopracciglia, «E questo cosa significa?»
«Niente.»
asserì Birkhoff.
«Birkhoff,
parla o ti rompo l’altra mano.» sbottò Alex.
«Senti,
io ho da fare.» le disse con tono autoritario, «Quindi vai a
parlare con il soldato di turno, non ti voglio tra i piedi.» tentò
di sviare il discorso, «Sbaglio o Nikita ha incaricato te di tenerlo
d’occhio?»
«Posso
tenerlo d’occhio da qui e intanto cercare di capire cosa c’era di
divertente nella mia domanda!»
Birkhoff
sollevò la mano sana e mosse le dita in chiaro segno di saluto,
voltandole nuovamente le spalle per tornare al computer e ad i suoi incarichi
informatici, che Alex a stento cercava o voleva capire.
Lo
guardò malissimo, stringendo tra le mani l’orologio del padre,
prima di sbuffare e digrignare tra i denti “Nikita me la
pagherà”. Birkhoff la seguì con la coda dell’occhio,
divertito: un giorno le avrebbe spiegato quanto assomigliasse a Nikita, in
certi momenti.
Quando
Alex arrivò al divano si fermò, smettendo all’istante di
ringhiare insulti, parolacce e minacce. Con uno sbuffo contrariato strinse di
più l’orologio, prima di decidersi a parlare,«Vuoi una maglietta?»
Sean
si girò, simulando un sorriso, «Non mi ero neanche accorto di non
indossarla.» confessò. Alex si morse un labbro, rendendosi conto
che tra tenersi i pantaloni della tuta subacquea e preoccuparsi della madre
c’era una gran bella differenza.
«Strano,
Birkhoff blaterava di pinguini e galline, quindi pensavo avessi freddo.»
scrollò le spalle Alex.
Lui
scoppiò a ridere, «Pinguini e galline, eh?»
«In
realtà sostiene che sia colpa mia, ma tu non dargli retta.»
affermò Alex, sorridendo lievemente quando Sean continuò a
ridere. In qualche modo parlare di argomenti così stupidi doveva averlo
distratto, almeno per qualche secondo, dalla situazione in cui si erano
cacciati tutti quanti, «Vieni.» gli fece cenno col capo di alzarsi.
Sean
si sollevò dal divano strofinando le mani sudate sui pantaloni neri, per
poi seguirla lungo le scale e subito dopo in una stanza sulla destra. Rimase
fermo sulla porta, ad osservarla trafficare in valigie grigie e cassetti mezzi
vuoti.
«Tieni,
sono sicura che a Michael non dispiacerà prestarteli.»
affermò lanciandogli una maglietta nera e un paio di jeans, «Spero
ti vadano, altrimenti fatteli stare, perché Birkhoff non ha la tua
taglia e i miei vestiti di certo non ti starebbero bene.» continuò
a tenere il discorso sullo scherzoso.
«Mi
andranno bene.» la tranquillizzò Sean.
«Avanti,
cambiati.» lo incoraggiò Alex, vedendolo rimanere fermo sulla
soglia con i vestiti appallottolati tra le mani.
Sean
sollevò un sopracciglio, «Qui?»
«Non
ti lascio da solo.» fece notare, «Potresti scappare dalla finestra.
E no, non mi imbarazzo per uomo mezzo nudo.» roteò gli occhi
esasperata, «Se ti senti in imbarazzo tu, mi giro.»
«Ti
fidi così poco di me?» la interruppe Sean, aggrottando le
sopracciglia.
Alex
sospirò, «In realtà non mi fido per niente, è
diverso.» rispose meccanicamente. Non dopo aver scoperto che aveva
manomesso l’orologio di suo padre, non dopo aver scoperto che la seguiva
per trovare Nikita, non dopo aver saputo che l’aveva solo usata. Sean annuì ancora una
volta, prima di iniziare a spogliarsi rapidamente per indossare gli abiti
asciutti e più comodi di Michael.
«Non
volevo usarti.» le disse mentre si infilava i jeans, fissando la schiena
di Alex, intenta a cercare qualcosa in un’altra valigia.
«Lo
hai detto con un tono quasi convincente.»
asserì lei sarcastica, lanciando ai piedi del ragazzo un paio di scarpe
di ginnastica, «Non so qual è il tuo numero.»
«E
allora perché mi stai aiutando a non congelarmi, se non ti fidi di me?»
Alex
a quel punto si girò con un’espressione seria dipinta in volto, «Chiariamo
una cosa: mi hai usata, sì.
Per arrivare a Nikita, per aiutare tua madre…
potevi trovare mille modi per usarmi.» alzò il polso destro, dove
aveva allacciato l’orologio del padre, «Ma hai pensato bene che
fosse questo il modo giusto. Se mi stavo iniziando a fidare di te… beh,
quella fiducia è scomparsa nel momento in cui hai sfruttato la morte di
mio padre per raggiungere il tuo scopo.»
Sean
indossò le scarpe, trovandole un po’ strette, ma non disse niente.
Preferì scuotere la testa e inginocchiarsi per allacciare le stringhe, «Nonostante
questo, se non fosse stato per me non saresti arrivata in Russia.»
«Come
se avesse portato dei vantaggi, tra l’altro.» incrociò le
braccia al petto Alex.
«Dicevo
sul serio, Alex.» disse Sean, tenendo tra le mani la maglietta quando si
rialzò in piedi per affrontarla con lo sguardo, «Quando dicevo che
ti ho aiutata perché era quello che volevi.»
«Ah,
sì?» strinse le labbra in una smorfia, «Allora te lo domando
di nuovo: a te cosa importa?»
«Te
l’ho già detto.» rispose Sean. Dallo scherzo erano passati
in fretta a una discussione senza capo né coda. Fuori dalla porta di
quella stanza c’erano mille problemi che sembravano insignificanti di
fronte agli occhi arrabbiati di Alex, «Era quello che volevi. Siccome io
non posso scappare, almeno tu…»
«Sean,
piantala.» lo bloccò subito, «Voglio la verità.»
«È
questa la verità.»
«No,
dev’esserci per forza qualcosa sotto.» ribatté con tono
testardo, «Probabilmente c’è qualcosa che ti lega a
ciò che dovevo fare… oppure, mi hai usata perché
l’obiettivo era lo stesso della Divisione.»
«Smettila.»
replicò con tono improvvisamente deciso. Alex sospirò,
sciogliendo le braccia e quindi cercando di porre fine alla discussione: non
avrebbe ottenuto risposte, non in quel momento. In fin dei conti aveva altro a
cui pensare.
«Indossa
quella maglia, altrimenti Birkhoff ci darà per dispersi.»
«È
vero.»
Alex
lo guardò sempre più innervosita ed esasperata, «Cosa? Che
Birkhoff penserà che ci siamo persi?»
«C’era
qualcosa sotto.» rispose Sean.
«Ammetterlo
è il primo passo.» si congratulò lei.
Sean
si ritrovò a sorridere debolmente, senza alcuna allegria o reale
divertimento, mentre abbassava lo sguardo sulla maglia che doveva indossare, «Non
c’entra niente la Divisione. Non c’entra niente Nikita e neanche
mia madre.»
«E
allora qual era il vero motivo?»
Rialzò
gli occhi su di lei, «Lo stesso per cui mi hai preso a pugni quando hai
scoperto dell’orologio.» disse, con tono sicuro di sé. Alex
si irrigidì un attimo, prima di scuotere la testa.
«Era
di mio padre, per questo ero e sono tutt’ora arrabbiata.»
«No,
è perché tieni a me.» la contraddisse Sean, sostenendo lo
sguardo rigido e nervoso di Alex, «Lo trovi strano, senza senso…
eppure è così.»
«Quindi,
per ovvia deduzione, tu dovresti tenere a me.» lo assecondò Alex.
Assurdo, pensò
in automatico.
«Non
mi credi.» disse Sean, avvicinandosi di qualche passo per fronteggiarla.
Alex
non si mosse né fece niente per allontanarlo,«Se tu mi dicessi che
sei un alieno e ti spuntassero le antenne e le orecchie verdi, beh… non
ci crederei lo stesso.» affermò ironicamente. Sean mosse il capo
in senso affermativo, avvicinandosi ancora sempre più lentamente. Quando
si ritrovò a un solo passo da Alex si fermò e sorrise.
«Eppure
è così.»
«Sei
un alieno?»
Alex
stava decisamente e totalmente impazzendo.
Quella discussione aveva preso ormai una brutta piega, questo era chiaro. E il
fatto che Sean si fosse messo a ridere di nuovo non aiutava i suoi nervi,
già di per sé andati, a calmarsi e farla ragionare con
lucidità.
«La
tua risata è snervante e molto
fastidiosa in questo momento.» lo accusò, cercando di non
abbassare lo sguardo neanche per un momento, «Per non dire
“inopportuna”. Ti ricordo che stai ridendo mentre là fuori
tutti si fanno venire i capelli bianchi per ciò che sta succedendo alla… Divisione.»
Il
tono di voce si affievolì quando Sean si avvicinò ulteriormente,
riducendo in quel modo sia la minima distanza fra loro due sia le sue
intenzioni di non cedere e scoprire che cosa volesse realmente da lei.
Un
pensiero veloce le balenò in testa, ma lo scacciò subito: possibile che dica sul serio, questa volta?
«Birkhoff
ci aspetta.»
Sean
posò una mano sulla guancia di Alex, sfiorandole con il pollice le
labbra socchiuse, «Birkhoff può continuare ad aspettare.»
mormorò, prima di chinarsi sul suo viso. Alex a quel contatto lieve si
ritrasse, ma dopo un breve sguardo carico di significato da parte di entrambi
non riuscì a ritrarsi al secondo tentativo di Sean.
Quel
bacio era fuori luogo, inopportuno e assurdo anche solo da concepire, per Alex.
Eppure si ritrovò d’istinto ad aggrapparsi alle spalle di Sean,
mentre ricambiava un bacio fin troppo lungo e fin troppo carico
d’aspettative. L’aveva evitato, aveva creduto di non voler avere
nessun contatto presente o futuro con lui, invece era lì tra quelle
braccia che la stringevano facendole scordare tutto ciò che c’era
fuori dalla stanza.
Non
c’erano più Nikita, la Divisione, le scatole nere, Percy, Amanda. C’erano soltanto Sean e le sue labbra
dannatamente morbide e la sua mano che dalla guancia era salita ai suoi capelli
ricci, affondandoci le dita per attirarla di più a sé.
Sbagliato, inopportuno e fuori luogo,
fu il pensiero di entrambi, prima
che la voce di Birkhoff li richiamasse dal piano di sotto forte e con urgenza, «Alex,
Sean! Fate i bagagli, Nikita ha bisogno di voi!»
Si
staccarono velocemente, rendendosi conto finalmente di dov’erano, cosa
stava succedendo e cosa avevano lasciato fuori da lì. Sean
inspirò profondamente per riprendere fiato, prendendo poi da terra la
maglietta che gli era caduta dalle mani.
«Questo… deve rimanere qui.» disse Alex, ancor
prima che lui potesse dire qualcosa.
Sean
si infilò con rapidità la maglietta, annuendo e cercando di
tornare con la mente ai problemi veri
che li aspettavano entrambi. A sua madre, al rischio di vederla morta. E non al
profumo di Alex, non a quel bacio che si era ritrovato a desiderare più
di quanto avesse immaginato.
Alex
deglutì, «È stato sbagliato…»
«Inopportuno
e fuori luogo.» concordò Sean.
Alex
raggiunse la porta a grandi passi, inumidendosi le labbra. Quando
appoggiò una mano sullo stipite si voltò verso di lui, che stava
recuperando la giacca che gli aveva scelto.
«In
questo momento.»
Sean
udì appena quelle tre parole, notando poi il breve sorriso che gli
concesse Alex prima di uscire dalla stanza, per andare a sapere da Birkhoff i
dettagli della chiamata di Nikita. Si infilò la giacca, sorridendo.
In questo momento.