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Autore: SunriseNina    27/01/2012    4 recensioni
Non riesci a dormire. Lanci uno sguardo alla Luna: uno sguardo disperato e confuso.
Non avresti mai pensato di ritrovarti così, Light.
Ammanettato ad un altro ragazzo, costretto a passare le notti accanto a lui, a sentirne i respiri sospirati.
Cosa sono quegli sguardi, quei discorsi a notte fonda e soprattutto, cos’è quella strana sensazione al basso ventre quando lui si avvicina a te, quando ti sfiora tra le coperte?
Cos’è quel battito incessante che rimbomba nel tuo petto?
E la Luna culla i tuoi tormenti in queste notti insonni.
#1: Novilunio ~ "Rimasero fermi qualche istante: si guardarono negli occhi, le teste appoggiate ai due guanciali, le mani di Eru che giocherellavano con la cucitura del cuscino torturandola tra i polpastrelli."
#2: Luna crescente ~ "Light continuava a sentire il cuore battere con impetuosità. «Smetti, ti prego», implorò a sé stesso.
Chiuse gli occhi, sperando infinitamente di svegliarsi e di scoprire che nulla di ciò era davvero successo, ma che era stato tutto un sogno. Un immorale sogno."
#3: Primo quarto ~ "«Non so bene come dirlo, Light.» il giovane Yagami trattenne il respiro, con l’impressione che il tempo rallentasse «Sei speciale.»
«In… altre parole?» chiese Light, innaturalmente impaziente.
Per la prima volta Eru sembrò essere a disagio; abbassò lo sguardo e mormorò: «Sei unico. Vorrei che fossi mio e di nessun altro. Come se fossi un oggetto. Immagino che questo, nelle relazioni umane, si traduca in una specie di innamoramento, no?»"
#4: Gibbosa crescente ~ "«Io sono la tua principessa, non è così? Appena si romperà l’incantesimo, potrò volare via. Non puoi permettertelo, vero?»"
#5: Plenilunio ~ "«Una sera il mago si stava addormentando, come al solito, da solo, quando sentì un picchiettio proveniente dalla finestra. Si voltò, e vide che la principessa alata si librava in aria all’altezza della sua finestra, e bussava sul vetro. Era tornata.»
«Perché? Perché avrebbe dovuto tornare?» la voce di Eru era intrisa di una curiosità radicata nel profondo del cuore.
«Per quelle sue piccole manie, per i suoi capelli, per il suo sorriso, per i suoi occhi, per la sua voce, per… per quanto era bello.»"
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Light allungò la mano verso la parete e con la punta delle dita toccò l’interruttore: la camera calò nell’oscurità.
Si rigirò alcune volte sotto le coperte: si sentiva libero, senza scomode cerniere sulle braccia, senza quella maledetta manetta, senza doversi districare dalla catena che univa lui e Ryuuzaki ad ogni movimento.
Eppure si sentiva alla deriva: fin troppo libero.
Nulla gli impediva di muoversi, di scivolare in fondo al letto, nulla lo brancava e lo immobilizzava contro il cuscino, nessuno gli respirava a pochi centimetri dal viso: ed era inquietantemente angosciante. Sentiva che in un momento qualsiasi sarebbe caduto vittima del sonno, e nessuno sarebbe stato lì con lui, ad aiutarlo a riemergere dai meandri dei suoi incubi.
Scrutò la stanza nell’oscurità: era così diversa da quella in cui aveva dormito negli ultimi mesi. Era più piccola, dalla forma più allungata, l’armadio era nell’angolo opposto, la finestra accanto alla testata, in modo che lui non potesse vedere il firmamento attraverso le sottili tende. Ormai non riusciva a dormire con le persiane chiuse, ma solo con la luce lunare a rischiarare vagamente l’oscurità, come era solito dormire Eru.
Light si alzò, sentendo un brivido per il freddo della stanza smuovergli le spalle; uscì dalla camera e, muovendosi con cautela, si diresse verso la cucina dell’enorme complesso di camere. Aveva un’impellente bisogno di mangiare, di colmare quel vuoto – in realtà più psicologico che fisico- che gli invadeva il ventre.
Il frigorifero, come sempre, era stipato di dolci pronti per essere divorati dall’insaziabile sebbene magrissimo detective. Light, restando accecato per pochi attimi dalla luce al neon della stanza, prese una fetta avanzata di torta e si sedette al tavolo, mangiucchiandola con lentezza, senza forchetta, prendendone pezzettino per pezzettino tra la punta delle dita e portandoseli alla bocca.
Era una delle preferite di Eru: pan di spagna, un leggero strato di crema pasticcera all’interno, panna in alto e una fragola costellata di zucchero all’apice.
Il frigorifero emetteva un ronzio sommesso, il pavimento marmoreo era gelido sotto i piedi nudi di Light.
Nel complesso, era un quadro impressionante: sembrava un condannato a morte che si gusta la sua ultima notte di vita, consapevole però dell’incombere dell’alba.
Eppure, la sua ultima notte era stata quella prima, no? Si era liberato delle accuse, era finalmente tornato ad essere libero.
Suo padre era stato entusiasta, e come lui Misa, sua madre, Sayu, Matsuda e tutti gli altri.
La principessa era finalmente riuscita a volare via, il principe aveva urlato il suo nome alla luna nel pozzo, e lei aveva spiegato le sue ali angeliche verso il cielo.
Le infondate accuse di Eru erano crollate come castelli di carte: come mai stava così male, allora?
Light appoggiò la mano sul tavolo, smettendo di sbocconcellare la torta.
 
No, non aveva fame.
Lo sapeva benissimo, ma non voleva convincersene.
“Light, idiota” si disse “Per quanto continuerai a negarti la felicità in questo modo?”
 
 
 
Eru si rivoltò nel suo letto: improvvisamente, quell’unica piazza sembrava incredibilmente piccola, e quelle lenzuola tremendamente fredde, senza il tepore di Light.
Mise la mano sotto il cuscino, consapevole che non si sarebbe per nulla addormentato. Che serviva, ormai, far finta di dormire? Non dormiva quasi mai. Perché era ancora lì tra quelle coperte, quando sapeva benissimo che non avrebbe chiuso occhio e che si era sforzato di assopirsi durante quei mesi solo per avere un motivo per il quale stare accanto a Light?
Che errore madornale. Imperdonabile.
Chiuse le palpebre: sotto esse delle vaghe sfumature danzavano nell’oscurità, si univano e si allontanavano, si allargavano, scomparivano, come uno sbiadito spettacolo pirotecnico. Si era sempre chiesto come facesse la gente a dormire tranquillamente, quando chiudendo gli occhi non si ottengono mai le tenebre più totali. C’era sempre qualcosa che si ribellava, che doveva mandare a monte quella buia tranquillità, un vago guizzo bluastro o di chissà quale altro colore. Un po’ come il suo cuore, sotto certi aspetti, osservò l’investigatore.
Un vago barlume, una scintilla pericolosa ed ardente.
Sentimenti.
Maledetti e spaventosi sentimenti.
La luce del lampadario appeso al soffitto si accese, la porta cigolò; Eru tese le orecchie e puntò lo sguardo verso essa: non ci credeva.
Il ragazzo in piedi sorrise, porgendogli un piattino di plastica: «Vuoi un po’ di torta?»
 
Il tempo sembrò interrompersi bruscamente, mentre pochi particolari si imprimevano indelebilmente nei ricordi di Ryuuzaki: la sua mano appoggiata sul lucido pomello della porta, il piattino bianco leggermente inclinato dal peso del dolce, il sorriso accennato sul volto titubante di Light.
Eru si stropicciò gli occhi, accecato: «Light… Come mai…»
L’altro alzò impercettibilmente le spalle e ripeté la domanda: «Vuoi un po’ di torta? È la tua preferita. Non ce n’è altra, è l’ultima fetta.»
Con la bocca schiusa per lo stupore, Eru annuì: afferrò il piatto, lo poggiò davanti a sé sul letto, si accovacciò nella sua abituale posa e iniziò a sbocconcellarla lentamente, in riflessione. Si voltò improvvisamente verso l’altro: era ancora lì, in piedi, a guardarlo mordicchiandosi il labbro: «Spegni la luce, per favore. Mi da fastidio.»
L’altro obbedì, e nel momento in cui spense l’interruttore Eru accese la fioca luce dell’abat-jour: «Qualcosa non va, Light?»
«Io…» si sedette accanto ad Eru, appoggiandogli con garbo la mano sul braccio «Non avevo finito di raccontarti la storia, ieri. Ho pensato che volessi sentire come finiva.»
Eru aprì la bocca per rispondere, ma le parole erano incatenate in fondo alla gola da una sensazione di ansia e sbigottimento.
«Un giorno la principessa riuscì a spiccare il volo, e fuggì...» la mano di Light risalì fino al collo dell’altro, scivolando lentamente sopra la manica «fuggì lontano dal castello, lontano dal mago, lontano dal suo miserabile passato…» appoggia entrambe le mani sulle spalle dell’altro, avvicinandosi sempre più «Il mago era disperato. Aveva perso tutto quello per cui avesse mai vissuto, aveva perso la sua principessa… una ragazza bella, dalle guance come boccioli di rosa e dalla pelle vellutata…» cinse il collo di Eru con le braccia, andando a rigirare tra le dita i ciuffi corvini della nuca «La sua voce era come il canto degli usignoli, sai? E lei, con le sue movenze, con il suo corpo minuto e fragile come un fringuello in gabbia, era… bellissima.» l’enfasi che mise su quest’ultima parola lo fece rabbrividire da solo; dallo sguardo di Eru, capì di avere gli occhi umidi.
«Non è un lieto fine.» osservò Ryuuzaki, i cui razionali pensieri non potevano essere soffocati da niente e nessuno, in qualsiasi momento.
Light si avvicinò al suo orecchio con un sorrisetto: «Perché non è la fine.»
Si allontanò nuovamente dal suo viso, mantenendo però lo sguardo fisso negli occhi dell’altro, come per volersi perdere in quei pozzi pieni di tenebra: «Non passò molto tempo, però, che accadde una cosa straordinaria, straordinaria davvero. Una sera il mago si stava addormentando, come al solito, da solo, quando sentì un picchiettio proveniente dalla finestra. Si voltò, e vide che la principessa alata si librava in aria all’altezza della sua finestra, e bussava sul vetro. Era tornata
«Perché? Perché avrebbe dovuto tornare?» la voce di Eru era intrisa di una curiosità radicata nel profondo del cuore.
«Per un sacco di motivi…» mormorò Light «Per la sua pelle così piacevole al tatto…» gli passò le mani sulle guance, seguendo con la punta delle dita il profilo del mento «Per quel suo corpo così strano e affascinante nella sua stranezza…» le sue mani andarono a posarsi sul petto di Eru; Light socchiuse le palpebre, come nutrendosi del battito accelerato dell’altro sotto il palmo caldo «Per quelle sue piccole manie, per i suoi capelli, per il suo sorriso, per i suoi occhi, per la sua voce, per… per quanto era bello.» Strinse i fianchi di Ryuuzaki, obbligandolo a stendere le gambe piegate e a rivoltarsi su un fianco, incrociando le ginocchia con Light. Toccarono con i piedi il piattino di torta, e con un colpetto lo spostarono più in là.
Il ragazzo passò la mano tra i suoi capelli spettinati: «Perché era l’unica persona che aveva mai fatto davvero parte della sua vita, e di cui mai avrebbe potuto fare a meno.»
«Light…»
«E sai cosa successe?» aumentò la stretta sul bacino dell’altro, sentendo il battito del cuore propagarsi per tutto il corpo «La principessa ormai aveva trovato… il suo vero principe
Congiunsero le labbra all’unisono con lentezza, gustandosi ogni secondo in cui le loro bocche giocavano tra loro, ogni attimo in cui i loro corpi pressati e avvinghiati venivano percorsi da quel brividi eccitati simili a deboli scariche elettriche che correvano per il loro sistema nervoso.
Eru si scostò da Light, lasciandolo ancora con la bocca aperta e gli occhi socchiusi: «È irreale.»
«Le favole sono così.»
«Perché sei qui, Light?»
La sua voce aveva un che di inquisitore; Light si intimorì, ma rialzò presto il mento: «Devo avere un motivo per stare con te?»
«Non siamo in una favola. Le persone non tornano a caso. È una questione di causa ed effetto, e l’effetto del ritorno non può esserci senza una causa primaria.»
«Non siamo nemmeno in un rigido schema investigativo.» il tono di Light rimane stranamente dolce, quasi provocante.
«Ripeto: perché sei qui, Light?»
«Riformulo la domanda che ho fatto prima in modo che sia più chiaro…» mise le mani sulle sue natiche, bramose ed affamate «Devo avere un motivo per stare… con la persona che amo?»
Gli occhi di Eru si spalancarono, sbigottiti; il suo labbro inferiore tremava, dandogli l’aria di un animale spaurito: «Stai… stai scherzando, vero? Mi stai prendendo in giro? Qual è il tuo subdolo piano, Kira?!»
«Non dire stupidaggini!» la voce di Light era rotta da un pianto improvviso «Io… io sono venuto qui solo per questo! Perché devi sempre rigirare la realtà, non capire la verità quando ce l’hai a un palmo dal naso!» Light si era messo in ginocchio, prendendo il viso dell’altro «Vuoi sapere la causa? Quella specie di computer che hai al posto del cervello ha bisogno del nesso causa-effetto?! E va bene, se proprio vuoi saperlo!» le lacrime ormai gli solcavano le guance fino a cadere tra le lenzuola «Sono qui perché ti ho cercato, perché ti sto cercando da una vita, e ti ho sempre avuto davanti agli occhi, e me ne sono reso conto solo stanotte! Mi sono reso conto che scappare da te è solo farmi male da solo, perché ti amo, ti amo così tanto che non credo possa essere umano amare così tanto una persona! Perché fai così, Ryuuzaki?! Ieri sembravi pronto a saltarmi addosso, e ora mi guardi come se fossi un assassino!»
«Stai calmo.» Light si interruppe bruscamente, ansimando e singhiozzando flebilmente. Eru gli baciò la guancia destra, si passò velocemente la lingua sulle labbra, sussurrò: «Salato»; poi gli baciò quella sinistra, gli zigomi, il mento, cancellando i segni di quel pianto di rabbia con una tenerezza angelica. Si alzò anche lui, prese per le mani Light, e lasciandosi cadere lo costrinse a cedere e a piombare sul materasso schiacciato dal suo corpo.
L’altro si raddrizzò, sollevandosi leggermente dal corpo dell’altro, appoggiandosi a gomiti e ginocchia: «Ti devo chiedere scusa, Light» la voce di Eru arrivò come un eco lontano alle orecchie del giovane Yagami «Scusa. Solo non pensavo che fosse possibile. Non pensavo che potessi rimediare tu al mio errore di ieri sera. Come si dice… troppo bello per essere vero.»
La sua voce, sebbene apatica come sempre, lasciava trapelare quell’emozione, quello stupore, quella contentezza tipica di un bambino.
«Ryuuzaki…»
«Shh. Le parole non servono. Abbiamo detto entrambi abbastanza. E non penso che tu sia tornato qui solo per un semplice scambio di opinioni.»
Eru sorrise teneramente e gli diede un bacio lento e delicato sulla fronte, socchiudendo le palpebre.
Light si chiese come potesse leggergli l’anima così a fondo, come potesse comprendere i suoi pensieri ancor meglio di lui stesso. Mentre le loro labbra si univano, con la tacita intenzione di non lasciarsi mai più, le loro mani si esploravano i corpi caldi e sudati sotto i vestiti, sfilandoseli a vicenda.
Light trattenne un risolino involontario: «Dormi… dormi senza biancheria intima?»
«Se non c’è nessuno nella stanza insieme a me. Sono più comodo senza mutande.»
«Ok, non approfondiamo l’argomento.» disse Light, inarcando un sopracciglio, con il suo solito tono di acida superiorità. Eru si passò la lingua sulle labbra: «Sai di torta.»
Light strinse il corpo ormai nudo dell’altro al proprio: «Hai intenzione di mangiarmi?» chiese, sorridendo.
«No, mangerò direttamente la torta.»
Eru si mise seduto, afferrò il piattino di plastica in bilico sul bordo del letto e si mise a masticare il dolce avanzato. Light non sapeva come comportarsi. Era davvero incredibile, quel ragazzo: solo lui poteva interrompere un tale momento  –quella che si poteva definire una situazione dallo sviluppo interessante- per mangiare una fetta di dolce.
Eppure, non poteva fare a meno di notare quanto fosse bello, anche in quella sua posa scomposta, con la schiena nuda e ricurva. Era magro, ma abbastanza muscoloso per non essere anoressico, e la sua pelle era pallida e liscia come una pesca.
«Vuoi un po’?» bofonchiò Eru, tendendogli il piatto. A parte qualche rimasuglio e alla grossa fragola, non era rimasto nulla.
«La fragola, grazie.»
«La fragola è mia.» lo guardò Eru con aria severa.
«Metà e metà?»
Ci rifletté: «Si può fare.»
Prese il frutto e lo tenne tra gli incisivi, aspettando una reazione da parte dell’altro. Light, inizialmente confuso, sogghignò: «Cos’è, un qualche giochetto perverso di voi detective maniaci?» Ciononostante gattonò fino all’altro e addentò la fragola, sfiorando le labbra di Eru.
Masticarono lentamente, guardandosi negli occhi, seduto uno davanti all’altro: «Sei bellissimo.»
Al sentire quelle parole, Light sentì il o cuore battere insistentemente nel petto, fino a soffocarlo e fargli male. Abbracciava il corpo dell’altro con lo sguardo, rabbrividendo d’eccitazione e di freddo.
Freddo. Non lo aveva notato fino a poco prima.
Si sfregò le braccia per riscaldarsi, e il gesto non sfuggì al detective: «Hai freddo, Light?»
Non fece neanche in tempo a rispondere che l’abbraccio di Eru gli fece perdere l’equilibrio, e ruzzolarono nuovamente sulle coperte: «Ehi, che fai?» chiese Light con un sorriso, passandogli le mani tra i capelli.
Eru strinse le ginocchia intorno a lui, pancia contro pancia, scatenando dei bollori irrefrenabili nel basso ventre dell’altro: «Ti riscaldo.»
Si baciarono a lungo, nutrendosi uno del corpo dell’altro, avvinghiati, inscindibili, mescolando i sapori delle loro bocche. Light mise le mani sui fianchi di Eru, e l’altro lo guardò con uno sguardo penetrante: «Sicuro?»
«Cosa sono tornato a fare, altrimenti?» cercò di sembrare spavaldo, ma in cuor suo aveva una paura tremenda. Paura di fare qualcosa di sbagliato, paura di provare dolore, timori su timori che si scontravano come onde di un mare in tempesta nel suo petto.
«Sai che puoi tornare quando vuoi.»
«Perché rimandare a domani quello che puoi fare oggi?»
«Non ho detto il contrario. Ho detto che puoi tornare quante volte vuoi.»
Light lo guardò alla fioca luce dell’abat-jour: era complicato. Presto avrebbe dovuto tornare a casa, stare con Misa...
«Non sarà facile, lo so» disse Eru, leggendogli apparentemente nel pensiero «Ma se vorrai, sarò qui. Non vorrei mai nessun’altro.»
Sentiva il suo respiro caldo, le pelli premute come a voler divenire una sola entità, i corpi intrisi di piacere.
«Ryuuzaki…»
«No, non Ryuuzaki» la voce di Eru era colma di un segreto inconfessato «Io…» avvicinò le labbra all’orecchio di Light. Dopo alcuni secondi, quest’ultimo sussurrò dolcemente: «E’ un nome bellissimo. Come te.»
Eru gli allungò la lingua nell’orecchio, facendolo gemere: «Grazie, Light.»
Il ragazzo gli tastava bramoso le natiche e gli mordicchiava la spalla.
«Perché siamo ancora qui a parlare?» chiese Light con un sussurro malizioso.
«Spegni quell’abat-jour.»
   
 
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