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Autore: White Gundam    28/01/2012    1 recensioni
Julia è sola nella camera dell'hotel di Galbadia, in quella stessa camera dove aveva sperato di cornare il suo sogno d'amore. Ma Laguna è "morto" in guerra e lei è sola... Una piccola one-shot sulla prima esibizione di "Eyes on me".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Julia Heartilly
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Without you


La stanza dell’hotel di Galbadia appare vuota e scarna; a nulla valgono gli oggetti costosi e raffinati, con quel tocco chic e cittadino di ogni donna di alta classe. Ma Julia non è una donna, anche se si atteggia a tale; ha poco più di vent’anni e una grande stanza d’albergo, con più letti, due tavoli e quattro sedie.
Sul tavolo più vicino al suo letto, quello che usa come scrivania, tiene un foglio ed una penna, vicino ad una bottiglia di brandy, acquistata qualche mese prima, e due bicchieri; uno ancora pieno a metà, nonostante lei non abbia più bevuto il brandy dopo quella notte.
Sul foglio sono annotate, in una calligrafia aggraziata e minuta, imparata e perfezionata in una scuola d’alta classe, delle parole in lingua inglese e delle note musicali, su una partitura appena abbozzata. Julia guarda quel foglio e aggiunge qualche parola, cambia qualche nota, le lacrime le salgono agli occhi.
La giovane guarda nuovamente la stanza, così vuota e desolata come le appare. Sul tavolo più lontano ci sono dei mazzi di fiori e dei biglietti lasciatele dai suoi fans, e quasi tutti recano la firma di Caraway.
Julia sfiora appena i petali di quei fiori e lascia cadere lo sguardo sulle parole che adornano, ridondanti, i biglietti che li accompagnano. Guarda quelle frasi con occhi vuoti e spenti, non riuscendo a vedere in esse nulla di più che un’accozzaglia di lettere che si seguono alla rinfusa.
E’ un suono sordo, secco e ripetuto che la convince ad alzarsi dalla sedia e raggiungere, in maniera elegante ed aggraziata, la porta della sua camera.
“Signorina Heartilly…”
L’inserviente dell’hotel la guarda: è così bella, cinta nel suo vestito rosso e scollato, che lascia intravvedere le perfette forme del suo corpo, che per un istante pare dimenticarsi il motivo che l’aveva portato lì. Poi, dopo quell’attimo si ricorda e continua la sua frase, davanti agli occhi vuoti della giovane donna:
“E’ quasi l’ora, i suoi fans la stanno aspettando.”
Conclude, col suo tono cordiale per professione e chiude la porta dietro di sé.
Julia sospira, guardando la porta incolore dinnanzi a lei.

Lancia un ultimo sguardo a quella stanza, quasi sperando di poterlo vedere ancora addormentato sul letto vicino al suo, con quella sua aria da bambino troppo cresciuto… Poi il suo sguardo cade su un ritaglio di giornale con una foto sfuocata e il titolo a caratteri cubitali: “Giovani militari morti in guerra. Rendiamo onore ai caduti di Galbadia” e l’incanto svanisce, il letto torna vuoto e lei è di nuovo sola.
E’ quasi un senso di soffocamento che la spinge ad uscire dalla camera, stringendo tra le mani il foglio che giaceva sulla scrivania.
E, come se nulla fosse cambiato da quel giorno, come se tutto fosse esattamente come qualche mese prima; Julia scende ancora una volta con eleganza le scale, ancora una volta sente gli applausi che le rivolgono mentre sale sul palco e si avvicina al pianoforte a coda, ancora una volta sente parole lusinghiere su di lei e sulla sua bellezza ed, ancora una volta, si siede davanti al piano per suonare.
Ma non è tutto come prima: a quel tavolo, quello più vicino al palco, non vi sono più tre giovani soldati, di cui uno dai lunghi capelli neri e lo sguardo assorto nella sua direzione, fisso su di lei. A quel tavolo adesso c’è un militare d’alto rango, dall’aspetto austero e raccomandabile. A quel tavolo adesso non c’è più un giovane che insegue sogni e desideri in luoghi lontani nel tempo e nello spazio; c’è un uomo maturo che esercita il suo ruolo e che non sparirà, ma rimarrà immobile ed immutato, in una fedeltà già vecchia e spenta come dopo le nozze d’argento. A quel tavolo adesso non c’è più Laguna; a quel tavolo adesso è seduto Caraway.

Julia suona, come ogni sera, e mentre suona il passato si mescola al presente, e quel presente sbiadisce in un futuro a malapena sognato, sfiorato con le dita in una carezza ad un ragazzo addormentato a causa dell’alcool in una notte di appena qualche mese prima; e quel presente si imprime con forza in un futuro dato dal caso, dalla disperazione, da un lutto nemmeno reale.
Ed è quando sta per concludere il concerto che Julia decide di aprire quel foglio di carta, piegato con cura ed appoggiato al pianoforte. E’ con un sospiro che la giovane lo appoggia al posto dello spartito della sua ultima canzone.
“Eyes on me”
Dice, con la voce appena velata d’imbarazzo, appena velata di speranza, appena velata di rimpianto.
E’ il titolo della canzone, di quella canzone di cui aveva scritto il testo, il suo sogno che si avverava uccidendo una promessa.
“Quando scriverò la mia canzone e la canterò, tu sarai qui ad ascoltarla, non è vero?”
Gli aveva chiesto, prima che lui fosse mandato in missione e lui le aveva promesso che ci sarebbe stato.
Ed ora la canzone era lì, scritta su quel foglio di carta, macchiato da una lacrima sul fondo; ed ora lei era lì, a cantare quella canzone; ma lui non c’era e non sarebbe arrivato.
Le parole le escono, fluide, dolci e regolari da quelle sue labbra rosse e perfette, appena rimarcate dal vivo colore del rossetto e dalla fasulla brillantezza del lucidalabbra.
E mentre canta quella canzone, quella che avrebbe dovuto essere la loro canzone, le pare di vederlo ancora lì, lui con i suoi occhi verdi puntati su di lei, lei con i suoi occhi scuri puntati su di lui.
Le sembra di vederlo ancora seduto a quel tavolo, davanti ad un bicchiere di succo di frutta e con le guancie imbrattate di un rosso sottile di imbarazzo, che la guarda con quei suoi occhi di fanciullo ed insieme di uomo, teso come una corda di violino poco prima dell’esecuzione; come se lui non fosse mai stato ferito, come se lui non fosse mai morto.
Ed è quando l’ultima nota si spegne sul pianoforte e nella sua gola, ed il suono svanisce tra gli applausi dei presenti, che l’incanto scompare, che tutto torna al suo posto. E Julia guarda ancora una volta verso quel tavolo, trovandovi solo quella figura molto meno attraente ma assai più confortante e sicura che la guarda come si guarderebbe ad un oggetto di alto valore e bellezza sopraffina; e la realtà non può che esserle chiara: è tutto normale, è tutto come sempre, da quando lui è stato ferito, da quando lui è morto.
 

   
 
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