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Autore: Meme06    28/01/2012    2 recensioni
Una ragazza normale, con una vita normale e con amici normali, o no? Il mondo di Lucia non era mai stato così stravolto, almeno fino a che non aveva iniziato il quarto anno di liceo artistico. Allucinazioni e omicidi di cui non si accorge nessuno. Un mistero terribile che sarebbe meglio non svelare. Se Picasso avesse avuto un periodo rosso sarebbe stato questo.
Genere: Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci siamo. Sono arrivato. Controllo il nome e la classe e non so se esultare o sbuffare per il fatto che sono giusti. Decido di limitarmi ad aprire la porta e a fare la mia entrata alla seconda ora, come un perfetto ritardatario. Cosa poi che non faceva alcuna differenza se andiamo proprio a vedere.

Gli sguardi degli studenti sono puntati su di me, compreso il suo. Però… non mi sarei mai aspettato un compito tanto gradevole. Mi avvicino alla cattedra salutando il professore, stessa cosa di prima. Devo ridere o fare il serio? Accidenti come sono combattuto! Pensiero derisorio, ovvio. L'unica cosa su cui sono davvero combattuto è se il mio posto è vicino lei o a quel ragazzo che ha tutta l'aria di non valere niente come questa realtà. Come dire, una comparsa nel mondo.

- Siediti vicino alla signorina Davis. - mi dice il prof.

Ogni suo desiderio è un ordine, padrone. Pensò notando il suo sguardo severo mentre appunta il mio ritardo sul registro e mi fissa sedermi al mio posto.

Doveva essere appena arrivato perché il suo discorso ha tutta l'aria di essere appena iniziato e ha tutta l'aria di essere noioso come quello degli altri prof. Mi guardo intorno, stare a sentire è sicuramente l'ultimo dei mie pensieri in questo momento. Preferisco fissare la ragazzina che sta alla mia sinistra e lanciare qualche altro sguardo agli alunni circostanti. Qualcuno mi lancia qualche occhiatina, anche se non capisco che cosa pensano di me non mi importa. Dopotutto non sarà lunga questa cosa.

Il discorso di quel noioso insegnante sembra procedere a passo di tartaruga. Sono passati solo cinque minuti, eppure gli studenti hanno già l'aria annoiata. Com'era ovvio. Tanto il primo giorno di scuola che cosa vuoi fare se non spiegare il programma, paragonabile a somministrare un sonnifero a tutti i ragazzi che cercano di seguire la lezione che minuto dopo minuto si fa sempre più insopportabile.

Ecco, finalmente la campanella. Forse saltare un'ora non è stata una cattiva idea.

- Hey… - è lei. La ragazza che mi sta accanto. - Inizi male proprio il primo giorno?

- Ah? - domando senza capire iniziando a scrutarle ogni centimetro sia del corpo che del viso. Non dev'essere molto alta a considerare da come sta seduta. Ha dei capelli di un biondo chiarissimo, lunghi fino ai gomiti. Gli occhi sono di un bel nocciola, anche se molto chiari anche loro. Sembrano sfumare sul giallo. Labbra sottili e rosee increspate in un sorriso. Il mio sguardo si ferma per un secondo sul petto che viene messo ben in risalto dalla camicetta rosa che porta. È magra e neanche poco. Avrei detto che fosse uno scheletro se non ci fosse stato quello strato di pelle candida a ricoprirle il corpo. Scendo già osservando le gambe coperte da calze fucsia e da una minigonna marrone scuro, trattenuta in vita da una cinta di cuoio. Carina, si, proprio carina.

- Un'ora di ritardo non è cosa da poco, soprattutto per uno nuovo. Rischi di apparire antipatico ai professori. - commenta con l'aria di una che sa certe cose.

Mi limito a sorriderle.

- Cercherò di arrivare puntuale Lucia. - rispondo incrociando le braccia dietro la testa e scendendo un poco lungo la sedia, in una posizione un poco più comoda, accavallando in fine le gambe sotto il banco.

Mi guarda stupita, come se avessi detto una cosa anomala, un'eresia.

- Come fai a…

Prima che continui indico con una mano la sua catenina. La quale presenta una placchetta in argento, dove sono incise in corsivo cinque lettere ben visibili.

- Oh, giusto. - risponde imbarazzata, come se si fosse dimenticata il suo nome. - E tu sei?

Mi chiede. Sorrido. Questa si che è una cosa strana.

- Kaori. - rispondo con il mio tipico mezzo sorriso.

- Sei straniero? - mi chiede.

- In parte. - mi limito a rispondere, il che in un certo senso è vero. - Mia madre è italiana, ma mio padre è giapponese.

- Oh, capisco. - dice semplicemente.

Sorrido, mi sto proprio divertendo.

- Si sa già l'orario delle lezioni? - le chiedo per continuare la chiacchierata.

- No, non si sa fino a metà mese di solito. - risponde tranquilla.

- Ah, che seccatura… - commento.

- L'hai detto! - esclama lei condividendo la mia opinione, detta così su due piedi senza un briciolo di riflessione sopra.

Stava per dire qualcos'altro quando una donna fa capolino nell'aula e si siede subito alla cattedra con fare autoritario. Sembra il tipico personaggio che vive nel passato, in questo caso mai uscito dagli anni settanta. Pantaloni rossi a zampa di elefante e camicetta viola con qualche volant sulla chiusura con i bottoni e sulla fine delle maniche. Non parliamo del trucco, altrimenti diventerebbe un racconto vietato ai minori. Niente male, una vecchia che crede di essere rimasta sedicenne. Ora mi manca solo di vedere un dinosauro che insegna storia e posso anche morire. Rido di me stesso nella mia mente, per non disturbare il prezioso discorso introduttivo che sta facendo quel fenomeno da baraccone. Non ci penso neanche ad ascoltare. O almeno non ci pensavo, fino a che non ha pronunciato il mio nome.

- Nakamura Kaori. - dice pensierosa. - Abbiamo uno nuovo in classe quest'anno, ah?

Dice mettendo le mani nei fianchi e scrutando la classe da cima a fondo per tentare di notarmi. Dovrebbe indossare un paio di occhiali. Lo trovo impossibile il fatto che non riesca a vedere una macchia nera in mezzo ad un mucchio di colorati. Il mio modo di vestire sarà sempre quello. Nero o bianco e nero. Anche se il colore scuro ha sempre la precedenza.

- Ah eccoti! - esclama infine indicandomi. - Hai un nome curioso, non sei di queste parti, dico bene?

- Già. - mi limito a rispondere. Non ho voglia di aggiungere altro. Non serve.

L'insegnate rimane ancora qualche minuto a fissarmi, sperando forse che aggiunga al mio discorso monosillabico qualche altra lettera. Ma poco dopo capisce e rinuncia, ritornando alla spiegazione e illustrazione del programma di questo - sue testuali parole - splendido quarto anno di liceo artistico.

Alla fine dell'ora sento la testa che mi scoppia. Non saprei dire se il motivo è la voce stridula e fastidiosa della professoressa o l'argomento inutile che trattava. Grazie al cielo la sua non era una materia d'indirizzo, altrimenti poveri ragazzi.

- Non sei molto socievole, ah? - mi domanda Lucia.

Mi volto a guardarla.

- Dovrei? - le chiedo.

Noto un attimo di smarrimento nel suo sguardo, di sicuro non si aspettava una risposta così diretta. beh, imparerà presto come sono fatto.

- Non so, ma dire qualcosa in più su di te di un 'già' non farebbe male. - commenta. Faccio spallucce. Certo che è strana, la conosco da due minuti eppure già si prende la libertà di farmi la predica. Sorrido. - Cos'hai per merenda?

Giusto, è la terza ora.

- Non ce l'ho.

- Io ho una pizza in più, ne vuoi una? - mi domanda con un sorriso. Vuole fare amicizia a quanto pare.

- Si, grazie. - rispondo. Dopotutto la pizza non è così male e poi cavolo è da stamattina che non mangio. Lei mi porge un grande quadrato di pizza margherita.

- Ieri l'avevo presa per oggi, ma questa mattina mi ero dimenticata di avere già la merenda, per questo mi sono ritrovata con due pizze. - mi spiega.

Non m'interessa. Addento la pizza annuendo. Buona, devo ammetterlo. - Come mai hai scelto questa scuola?

- Perché mi piace. - rispondo evasivo.

Lei sembra sbuffare. Ecco, ho trovato un suo difetto, la troppa curiosità. Non è un cosa buona, specialmente con uno come me.

- La prossima è l'ultima ora? - chiedo tentando di cambiare argomento.

Lei annuisce.

- Si, il primo giorno si esce un'ora prima. - risponde. Allora la scuola qualcosa di buono ce l'ha.

- Bene. - un mio commento consueto e personale. Lo dico sempre quando so che le persone si aspettano qualcosa da me.

La campanella suona mettendo fine a quei dieci minuti di svago, ingiusti se paragonati alle quattro o cinque ore che ci dobbiamo subire al giorno.

In classe entra subito un professore. Giovane in confronto ai precedenti. Gli alunni subito acquistano il buonumore solo a vederlo.

- Lui è il prof. di architettura. - mi sussurra la ragazza sorridendo. - Ti avverto, è straordinario!

Va bene, posso anche crederci.

- Bene. - rispondo di nuovo, mettendomi nella mia classica posizione relax ed iniziando ad ascoltare la lezione dell'ultima ora. Si, in effetti è bravo come prof. Ci sa fare con gli studenti, è simpatico.

Lucia è rapita da lui e trasuda emozione da tutti i pori. Ovvio che questo professore è uno di quei pochi bravi nel loro mestiere, cioè farti amare la loro materia. Questa lezione la ascolto, anche per la curiosità di vedere cosa causa tanto entusiasmo fra i ragazzi , compresa lei.

L'ora passa in fretta e il suono della campanella quasi mi sorprende.

- Che ne dici? - mi chiede sorridente.

- Hai ragione è un bravo prof.

- Io lo adoro! - esclama mentre mette i libri nello zaino.

- Non lo avevo capito. - dico sarcastico.

Usciamo insieme dalla scuola, continuando a parlare.

- Tu che autobus prendi? - mi chiede.

- Tu?

Lei fa una faccia stranita per poi rispondere.

- Il 3.

- Anch'io. - dico. - Dovrebbe passare fra poco, giusto?

Le domando guardando nel mio orologio a polso.

- Esatto. - mi risponde.

Nemmeno fossi un veggente, dopo due minuti ecco l'autobus che arriva. Saliamo entrambi e ci mettiamo seduti continuando a parlare, come se ci fossimo conosciuti da sempre, come due vecchi amici che si riuniscono. Mi guardo intorno nell'autobus. Allora ci sono anche loro. Finalmente sono arrivati. Bene, allora fin da subito non dovrò fare tutto da solo.

  
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