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Autore: Nekorii    29/01/2012    5 recensioni
Il suo angelo è morto. È stato ucciso. Il responsabile deve pagare.
"«Dammi solo una buona ragione per cui non dovrei farlo, Arthur» disse Francis calcando il nome dell'altro con una nota di disprezzo «Dimmi, dovrei forse avere pietà di un verme come te? Tu di Jeanne non ne hai avuta!»"
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La mia interpretazione di come Francis e Arthur hanno vissuto la morte di Jeanne D'Arc.
Sul finale c'è un po' di one-sided FrUk.
[morte di un personaggio e leggera violenza]
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Giovanna d'Arco, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È una cosuccia che mi era venuta in mente e ho deciso di scrivere.
Non credo di essere riuscita a esprimere a pieno i sentimenti di Francis e di Arthur. Comunque, non come volevo.
La mia scrittura ha bisogno ancora di tanto esercizio :P
(Il passaggio dai nomi di nazione a quelli umani ha un significato, almeno così credo io)


Dedicata alle mie amiche Hetaliane, voi sapete chi siete~
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Francis udiva il rumore sordo dei suoi passi rimbombare per la strada deserta che stava attraversando. Correva, era senza fiato ormai. Ma non dava segni di cedimento o di stanchezza. Avrebbe voluto fermarsi un attimo a regolarizzare il respiro. Ma non poteva. Non c'era tempo da perdere. Ogni minuto, ogni secondo, era di vitale importanza, se voleva salvarla. E lui voleva. Non avrebbe permesso a quegli animali di torcerle anche un solo capello. Non a lei, non all'angelo che Dio gli aveva inviato. Che aveva giurato di proteggere a costo della sua vita. La stessa promessa che lei aveva fatto a lui.
Francis Bonnefoy non aveva intenzione di infrangere il voto che aveva stretto con lei. Per questo correva. Correva veloce. Non c'era più tempo.
I suoi piedi battevano forte sul selciato. Si guardò intorno. Case, forni, botteghe, gli passavano davanti agli occhi, ma lui non le vedeva realmente. Lui cercava qualcosa. Un segno, un indizio che potesse rivelargli la direzione giusta da seguire.
Niente. Si fermò, affannato e arrabbiato. E spaventato.
"Il n'y a plus de temps! Merde, où suis-je?". Si trovava ancora in Francia, ma quel paesino della Normandia era adesso terra a lui straniera. Non riusciva a riconoscerne le strade. Era già passato davanti quella chiesa? Forse, forse no. Non lo sapeva, non era in grado di usare le sue capacità di nazione in quel momento, perché era accecato. Accecato dai sentimenti forse troppo umani che provava. Amore, odio, rabbia, delusione, sconfitta, paura. Tanta paura. Era terrore. Mai nella sua lunga vita da nazione, mai in nessuna guerra, Francis aveva provato niente di simile. Era un dolore lancinante e continuo, sentiva come mille lame affilate, incandescenti, penetrargli il cuore. Il suo cuore. La sua anima. La sua Jeanne.
La fitta al cuore aumentò. Che fosse troppo tardi?
Il sangue pulsava dolorosamente in una vena sulla sua fronte, ma lui riprese a correre. Non cercò più di seguire il suo istinto di nazione. Seguì l'istinto da uomo innamorato. Quel filo sottile, e invisibile agli altri, che lega indissolubilmente il cuore di chi si ama. Le anime gemelle, quelle unite dal destino ancor prima di incarnarsi in vite umane, e che nemmeno la morte riuscirà mai a separare. Quel filo seguì Francis. Perché loro erano legati da quel filo. L'aveva capito nell'istante esatto in cui aveva posato per la prima volta i suoi occhi su di lei. Lei invece lo sapeva da sempre. Da quando era nata. Che il suo destino era essere votata a Dio. E alla Francia. A lui.
Sentì di stare finalmente prendendo la giusta direzione. Cominciò a sentire dei suoni ovattati, rumori sommessi in lontananza, come se provenissero da un sogno. Francis segui i mormorii, che si facevano sempre più rumorosi e consistenti man mano che percorreva quella strada. Cercò di focalizzare il luogo verso cui si stava dirigendo. Quella via stretta e angusta, se i suoi sensi di nazione non lo ingannavano, avrebbe dovuto sfociare in.. Una piazza. Il luogo ideale per.. "Merde", imprecò di nuovo, aumentando la velocità alla quale stava correndo, spingendosi al limite delle capacità che il suo corpo da uomo gli offriva. Avvertiva le gambe urlare, lacerate dal dolore lancinante che quella corsa ininterrotta gli aveva procurato. Ma lui non sentiva quel dolore, il suo corpo era troppo carico di adrenalina, e di paura.
La vedeva ora, vedeva la fine di quella strada che gli era parsa interminabile! Si spinse avanti, finalmente sfociò nella piazza gremita di gente, di cui adesso poteva distinguere le voci e le urla che prima sentiva così lontane.
E la vide. Davanti ai suoi occhi, si  ergeva una colonna di fuoco che a Francis sembrò alta fino al cielo. Le fiamme danzavano veloci. E in mezzo.. Lei.
«Noooooo!!» urlò ma nessuno lo sentì, tale era il frastuono della piazza gremita. Si mise a correre, si inoltrò nella folla, spinse via la gente, e si fece largo fino ad arrivare alle prime file delle persone che si godevano con aria divertita quello spettacolo perverso.
Le superò e si lanciò verso il podio sopraelevato dove stava bruciando il rogo. Forse poteva ancora salvarla! L'avrebbe tirata fuori da quell'inferno, a costo di finire bruciato lui stesso. Ma nel momento stesso in cui si stava per arrampicare, sentì delle braccia possenti afferrarlo per le spalle e tirarlo via.
«Cosa credi di fare, ragazzino?»
Erano due guardie, ciascuna lo teneva  saldamente per una spalla. Una fugace occhiata alle loro divise gli permise immediatamente di capire che uno era inglese, l'altro un francese. Uno di quegli sporchi traditori che avevano venduto Jeanne al suo acerrimo nemico.
Francis si divincolò, tentando di liberarsi. Ogni secondo sprecato, era una probabilità in più che per lei non ci fosse più niente da fare.
«Lasciatemi andare, maledizione!» gridò tentando nuovamente di arrampicarsi sul podio. Ma le mani che gli stavano stritolando le spalle, lo ritirarono indietro e lo gettarono a terra senza tanti complimenti. Dannazione! Lui era una nazione, ma il suo corpo umano non gli concedeva più di diciassette, massimo diciotto anni. E le emozioni, così umane, che in quel momento provava, non facevano che indebolire la nazione che viveva in lui.
«Ragazzino, torna insieme agli altri e goditi lo spettacolo!» disse una delle due guardie. «Oppure, se è troppo per te da guardare, torna da tua mamma a piangere!» sghignazzò l'altro. Quello inglese, per inciso.
Si rialzò e si avventò contro di loro, per essere nuovamente bloccato dalle loro possenti braccia.
«Lasciatemi, lasciatemi!! Jeanneee!!» Francis urlò con quanto fiato aveva in gola, e si dimenò cercando di usare tutte le forze che gli erano rimaste. Ma quei due erano più forti e robusti di lui. Lo trattennero senza sforzo, e lui fu costretto a rimanere lì, senza poter fare nulla per salvarla. Fu costretto a vedere la creatura che più amava al mondo, bruciare viva davanti ai suoi occhi.
Occhi che si riempirono di lacrime, mentre la vita abbandonava quello che rimaneva del corpo di quella dolce fanciulla. Il fuoco divorava inesorabile la sua carne, ma il suo volto sembrava sereno. Francis la vide aprire impercettibilmente gli occhi un'ultima volta, la vide guardarlo, la vide sorridergli, per poi spegnersi definitivamente. A Francis sembrò quasi di vedere una piccola scintilla argentata levarsi dal suo corpo, nel momento stesso in cui la vita la abbandonava.
Ormai aveva smesso di dimenarsi, e le guardie l'avevano lasciato andare. Lui non se ne era nemmeno reso conto. Cadde in ginocchio, appoggiando le mani a terra e fissando il suolo. Si sentiva impotente. Non era riuscito a salvarla. Aveva infranto la sua promessa. Ma non riusciva a capire come si sentiva. Tutto quel turbinio di emozioni che provava fino a due minuti prima, era sparito. Si sentiva.. Svuotato. Non stava più nemmeno piangendo ormai. Il suo volto era rigato da lacrime che ora non scendevano più. Delusione, paura, rabbia. Tutto svanito. Le urla della folla erano tornate a essere rumori sommessi, non le sentiva più. Delle fiamme assassine ora udiva solo un lieve crepitio.
Vuoto. Ma per poco. Piano piano sentì un nuovo stato d'animo riempire il suo petto. Era un qualcosa di forte, di pungente, e di doloroso. Ma era l'unica  cosa che Francis sentiva, e quindi l'unica alla quale si aggrappò.
La focalizzò. Era desiderio. Desiderio di vendetta.
Si alzò tremante sulle gambe. Si voltò e riprese piano a camminare. Non si guardò indietro. Lì non era rimasto più nulla per lui. La sua Jeanne se ne era andata insieme alla scintilla argentata che aveva lasciato il suo corpo.
Jeanne era morta.
Per questo lui si stava dirigendo verso la casa dell'unica persona che riteneva colpevole del suo omicidio.
Inghilterra.
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Inghilterra era in preda all'ansia. Si era spinto troppo oltre in quella guerra. Lo sapeva. E lo sapeva pure Francia. Infatti era sicuro che, ormai da lì a poco, l'avrebbe visto comparire davanti alla sua porta. Non era pronto ad affrontarlo, ma sapeva di non potergli sfuggire. Loro non erano mai riusciti a sfuggire, l'uno dall'altro.
Si concesse per un attimo di ammettere con se stesso che quella che provava era paura. Aveva paura della reazione che Francis avrebbe potuto avere nei suoi confronti. Ciò che aveva fatto, lo riconosceva anche lui stesso, era stata una vigliaccata, un colpo basso.
Ma era stata proprio una fazione dei francesi (che a quanto ne sapeva non ne avevano abbastanza della guerra contro di lui e avevano deciso di farsi guerra anche tra di loro) a consegnargli la ragazza, che poi la sua gente aveva provveduto a marchiare come eretica, e da tale l'aveva trattata.
Arthur si lasciò cadere stancamente sulla sedia davanti al tavolo sul quale stava studiando alcune strategie militari. Si massaggiò piano una tempia.
Nonostante le numerose guerre, tra lui e Francis erano sempre intercorsi silenziosamente stima e rispetto reciproci. Adesso cosa avrebbe pensato Francis di lui? Cosa avrebbe provato per lui? Eppure erano nazioni, avrebbe dovuto capire che le azioni compiute in guerra, servivano a cambiare le loro stesse sorti. Lui aveva agito per raggiungere la sua vittoria. Francis al suo posto avrebbe fatto lo stesso.
Ah, ma chi voleva prendere in giro. Lui aveva solo colto al volo il tradimento di quegli stupidi francesi. L'aveva tratto a suo vantaggio. Ma si sa, le guerre sono spesso condotte per motivazioni personali, no? Certo, lui personalmente non aveva niente contro quella ragazza. Anzi, per le poche volte che aveva avuto occasione di vederla, gli era parsa un'ottima persona, combattiva e determinata. Se solo non si fosse messa in mezzo.. Se solo non si fosse votata alla Francia.. A Francis..
Il corso dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto da qualcuno che sembrava stesse tentando di buttar giù la sua porta, urlando imprecazioni in francese. Arthur sospirò. Sapeva bene chi era. Si alzò a si diresse lentamente verso l'ingresso di casa sua. Erano in momenti come questi che pensava che forse, fare come la maggior parte delle altre nazioni, e vivere a palazzo con i propri sovrani, circondati da guardie pronte a proteggerlo, non sarebbe stata un'idea poi così malvagia. Il suo re gliel'aveva proposto più volte. Era pericoloso, diceva, per un ragazzo come lui abitare da solo. Certo, dimostrava solo sedici anni, lo sapeva bene, ma era perfettamente cosciente di chi era. Lui era Inghilterra. Era una nazione potente, non aveva bisogno della protezione di nessuno! E poi, questa era una faccenda personale. Doveva sbrigarsela da solo.
Si avvicinò alla porta e l'aprì piano.
Vide Francis, col respiro pesante (probabilmente aveva corso), e con uno sguardo che non gli aveva mai visto prima, e che non gli suggeriva niente di buono.
"Buonasera Francis, mi aspettavo che saresti venu.." fu tutto quello che Arthur riuscì a dire, prima di essere violentemente scagliato a terra da un pugno ben assestato che ricevette alla mascella. Avvertì il sapore metallico del sangue addensarsi nella sua bocca e lo sputò via. Cercò di sollevarsi, ma Francis lo trattenne a terra, infierendo sul suo corpo con calci e pugni, urlando frasi spezzate in francese. Arthur non provò nemmeno a ribellarsi. Al suo posto avrebbe fatto lo stesso. Era quello che aveva fatto, in effetti.
Sentì la violenza dei colpi dell'altro ragazzo nelle sue costole, nello stomaco, nel collo, sui fianchi.
Poi finirono. A questo punto era lui che aveva il respiro pesante. Sputò ancora dell'altro sangue che gli si era formato in bocca, e rimase a terra, tirandosi su con le braccia. Sollevò la testa dolorante e guardò il suo rivale.
Lo sguardo che ricevette gli fece più male di tutti i calci che aveva ricevuto. Francis lo stava guardando con disprezzo. Il suo volto esprimeva disgusto. La stessa espressione disgustata che si avrebbe di fronte a un cadavere in putrefazione da giorni. Era solo quello che gli  leggeva negli occhi. Rispetto e stima? Beh, sicuramente a questo punto li aveva persi. Ma non voleva che finisse così tra loro. Voleva sistemare in qualche modo la situazione, anche se non sapeva bene come.
Provò a parlare. «Francis, per Jeanne, io..» ma di nuovo non riuscì a finire la frase perchè di nuovo fu gettato violentemente a terra, da un calcio in faccia. Udì il sibilo di una spada che veniva tirata fuori dal fodero,  e mezzo secondo dopo ne avvertì la fredda lama spingere contro la sua gola. Deglutì piano.
«Fra-Francis..» «Non osare, carogna!! Non osare nemmeno pronunciare il suo nome davanti a me, mostro!!». Il suoi occhi si riempirono di lacrime. «Era un angelo, Dio mi aveva inviato un angelo, lei era pura, era innocente, e tu l'hai uccisa, vigliacco!!»
Arthur sentì la punta della spada premere di più contro la sua pelle. Sapeva bene che le nazioni non potevano uccidersi tra di loro usando armi umane. Al massimo, potevano uscirne con qualche brutta ferita che sarebbe completamente guarita dopo un po' di tempo.
Ma questa non era una disputa tra nazioni. Era una disputa tra uomini. Questo cambiava le cose?
«Co-cosa intendi fare Francis?» deglutì di nuovo «Vuoi uccidermi?»
Francis sollevò di più la spada contro la sua gola, tanto che Arthur fu costretto ad assecondarne il movimento a sua volta, sollevando la testa, per evitare che la lama lo trapassasse.
«Dammi solo una buona ragione per cui non dovrei farlo, Arthur» disse Francis calcando il nome dell'altro con una nota di disprezzo «Dimmi, dovrei forse avere pietà di un verme come te? Tu di Jeanne non ne hai avuta!» Arthur avvertì la spada tremare contro la sua pelle. Era la mano di Francis a tremare, forse al ricordo dell'esecuzione avvenuta poco prima. Il suo sguardo era spento, ma allo stesso tempo determinato. Conosceva bene quello sguardo. Lo stesso che aveva lui, non appena quella ragazza era entrata nelle loro vite.
«Cosa provi Francis?»
Gli occhi del francese si dilatarono lievemente per la sorpresa di questa domanda inaspettata «Quoi?»
«Cosa provi? La persona che amavi ti è stata portata via, Francis, cosa provi?» ripeté Arthur, mentre i suoi occhi cominciavano a bagnarsi di lacrime. «Amavi una persona e qualcuno te l'ha portata via! E tu non hai potuto reagire! Ti senti impotente? Svuotato? Nulla ha più senso vero? Mentre te la portavano via l'unica cosa che hai potuto fare è stata rimanere a guardare, senza poter fare niente per impedire che ciò accadesse!! E l'unica cosa che ti è rimasta ora è la vendetta!! Farla pagare a chi ti ha fatto questo». Rise nervosamente, tra le lacrime «È questo che senti, Francis, non è vero?»
La mano che impugnava la spada si fece di nuovo ferma  e la lama che puntava contro di lui tornò salda.
«Zitto! Sta zitto!! Che ne vuoi sapere tu, dell'amore, o di cosa si prova a perdere qualcuno, eh? Come pretendi di poter capire, tu? Tu non sai niente, ragazzino!!»
Arthur sbuffò in una risatina «Certo che per essere definito "il paese dell'amore", sei proprio lento, Francis».
La spada si abbassò leggermente «Cosa intendi dire?»
Arthur approfittò di quella minima concessione di spazio per distogliere lo sguardo dal francese.
A questo punto tanto valeva dirgli tutto. Peggio di così non poteva andare no?
«Le conosco eccome queste sensazioni Francis. Amavo una persona e questa persona mi è stata portata via, e io.. Non potevo fare altro capisci? Questa sete di vendetta che provi tu ora, l'ho provata anche io!! Dovevo fare qualcosa, non potevo permettere che la persona che amavo mi abbandonasse!! Non potevo!! Sono stato costretto, maledizione, Francis!!»
A questo punto stava piangendo. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi.
Francis allontanò piano la spada da lui. Probabilmente stava pensando che era patetico.
«Chi.. Ti ha portato via la persona che amavi? Contro.. Contro chi ti sei dovuto vendicare?» la voce di Francis tremò, quasi avesse paura di sentire la risposta.
Arthur continuò a guardare a terra. Non sarebbe riuscito a guardare Francis negli occhi ora. Ciò che disse lo sussurrò appena. Ma per Francis fu come se lo stesse urlando.
«Jeanne D'Arc»
Il silenzio calò sulla stanza. Entrambi rimasero immobili, eccetto per i singhiozzi che ancora scuotevano il corpo di Arthur.
Poi Francis parlò «Tu.. Se dici.. Che  è stata Jeanne a.. Vuol dire..» non riusciva nemmeno a comporre la frase in modo che avesse un senso compiuto.
Arthur alzò lievemente la testa verso di lui e lo guardò «Ti.. Aveva portato via da me, Francis. Io.. Non potevo sopportarlo». Io ti amo. Era quello che avrebbe voluto aggiungere alla fine della frase. Ma non ci riuscì. Quelle parole gli morirono in gola e non riuscì mai a pronunciarle.
Si osservarono. Lo sguardo di Francis cambiò. Si trasformò in maniera tale che Arthur rimpianse l'espressione di disgusto che gli era stata riservata prima. Ora ciò che vedeva era.. Niente.. Gli occhi di Francis erano vuoti, freddi. Non c'era niente, per lui, in quello sguardo.
Arthur si ritrovò a sperare che il francese lo insultasse, lo ricoprisse di parole di odio, infierisse sul suo corpo come aveva fatto prima. L'odio è pur sempre un sentimento. Se Francis lo odiava, lui a questo punto ne avrebbe gioito.
Ma Francis non espresse odio nei suoi confronti. Né disprezzo. Né più desiderio di vendicarsi. Non c'era nulla.
Si allontanò piano da Arthur, e rimise la spada nel fodero, dandogli le spalle per andarsene.
Arthur si sollevò a fatica sulle sue ginocchia. "Dimmi qualcosa, maledizione, qualunque cosa!!" «Francis..»
«Angleterre» disse Francis, con una mano sulla maniglia della porta «D'ora in poi mi vedrai solo nella parte opposta dei tuoi campi di battaglia». Inclinò leggermente la testa verso di lui «Io non ti perdono».
Aprì la porta e se ne andò, lasciando Arthur come sarebbe stato per molto tempo a venire. Solo.
 
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Jeanne ha già perdonato Arthur.
 
Francis, prima o poi, lo perdonerà.
Ma non lo dirà mai ad Arthur.
 
Arthur non perdonerà mai se stesso.
Ma non lo dirà mai a Francis.
  
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