Capitolo
1°
Vuota,
persa, confusa. Così mi sento. Da un anno ormai. Un anno di alti
e bassi, e ora ho toccato il fondo, lo sto raschiando. Chi diavolo ha detto che
alla fine del tunnel c’è la luce? Potrei essere anche nel paese delle
meraviglie ma tutto mi sembrerebbe maledettamente grigio. Circondata da gente,
ma mi sono stancata di sfoggiare un sorriso posticcio e fingere di stare bene,
non posso continuare all’ infinito e poi...a che vale
fingere? Chiusa nel cesso di un locale che non c’entra nulla
con me, dopo l’ennesimo bicchiere di troppo. Io, che generalmente non mi
spingo più in là di una birra, ma a volte si ha così bisogno di stare meglio
che per esserlo si fa di tutto. Anche se quello che ti da la
felicità è alcool e non dura nemmeno tanto. Non ho nemmeno qualcuno che mi
gridi di uscire dal bagno, sono sola. Gli “amici” con
cui sono venuta qui saranno a farsi una striscia da
qualche parte, non si accorgeranno che mancherò. Siamo costretti a stare
insieme, perché “siamo della stessa classe” come dicono loro. Ma vaffanculo. Balle, solo balle. Non pensavo che essere
ricca sarebbe stato tanto male, infondo. Ma quando
succede perché tua madre si risposa con uno dei produttori più importanti di New York che ti impone più o meno direttamente di
frequentare certi “figli di amici” se non vuoi essere buttata fuori di casa e
il tuo mondo si spezza perché ti devi trasferire dalla California a New York e
abbandonare la tua vita non è male, è un suicidio. Un anno fa era tutto
diverso. Ma non importa. Perché
stanotte me ne vado. Ho finito di sopportare le minacce del mio
patrigno. Ho finito di frequentare locali pieni di fighetti
ipocriti. Ho finito di mettermi una maschera fatta di vestiti firmati per
essere accettata in questo mondo di merda. Stasera
finisce tutto. So che probabilmente non riuscirò a ripartire da capo, ma chi se
ne frega l’importante è semplicemente partire da qui. Faccio un respiro
profondo ed esco da quel buco puzzolente, mi guardo allo specchio: eye-liner
sbavato, occhi rossi, iniettati di sangue, ma viso olivastro visto
che ho rimesso pure l’anima nell’ultima ora. Esco da lì, senza guardare
nessuno, solo le mie scarpe Gucci. Dio, le odio. Odio
tutto di questa ‘vita’. Esco dal locale,
attraversando onde di persone, urtandole, non mi interessa
nemmeno sapere chi sono. Nessuno è abbastanza importante qui. Accelero il passo
appena fuori, poi comincio a correre, sempre più forte: sentire il vento sul
mio viso mi fa stare un pelo meglio, do un’ occhiata
veloce all’orologio: le 3. Bene, mio ‘padre’
come vorrebbe che lo chiamassi mia madre, dev’essere
ancora in giro per locali a stringere qualche contratto. Arrivo correndo
davanti alla mega villa che è diventata la mia nuova
casa, il grande cancello è aperto, entro camminando
piano, senza farmi sentire, vado nella dependance, dove praticamente vivo. Prendo un borsone e ci infilo
dentro tutti i miei vestiti. Miei. Non regalati da mia madre
per farmi sembrare uguale alle mie ‘amiche’.
Le bacchette e la ventina di cd con l’ I-POD. Chiudo
tutto a fatica, ma ce la faccio. Ora la parte più difficile. Salgo in camera
mia, attraverso la scala abbandonata in giardino da Mike,
il nostro giardiniere, appunto. Raggiungo la finestra, l’ho
lasciata aperta. Torno sempre da lì. Poi esco. Percorro il corridoio, mia mamma probabilmente è già a letto, è tutto silenzioso. Mi infilo nello studio del mio patrigno. Ecco il suo
ritratto. Lo levo dalla parete, trovandomi davanti alla piccola cassaforte. E’
troppo stupido per aver scelto una combinazione complicata. Penso di sapere
qual è. Ha concluso il primo contratto a maggio dell’
87. Il 3. Ok. Compongo la combinazione: 3587. Si
apre. Prendo un mazzetto di soldi, saranno almeno
duemila dollari. Ho paura. E’ vero. Probabilmente è illegale quello che sto
facendo ma quell’ idiota non
se ne accorgerà nemmeno. Mi dispiace solo per mia madre, pensava
di aver trovato uno che la amava, invece si ritrova sola ogni notte e il nostro
rapporto è andato a puttane. Risistemo tutto nello studio. Sento la porta
aprirsi. Scappo in camera mia, dove di tutta fretta e con una mano tremante
lascio un biglietto a mia madre, con qualche lacrima che mi cola sul volto.
Ritorno fuori respirando profondamente, so che non riuscirò in fretta a
smettere di piangere. Per tutto. Riattraverso il viale ed esco nuovamente.
Ormai sono maggiorenne. 18 anni, domani, oggi ormai... Buon
compleanno, Ash. Non prendo la macchina, ho
abbastanza soldi per un taxi, ma infondo non so dove andare. Se solo a LA ci fosse ancora mio padre. Mi sfugge un
singhiozzo pensando a lui. Mio padre, morto tre anni fa in un incidente aereo. Mi infilo l’I-POD nelle orecchie. Thank you for the venom
dei My chemical romance viene sparata nelle mie orecchie. So give me all your poison and give me all your pills and give me all
your hopeless heart and make me ill. E mi porta un sacco di
ricordi, un anno e mezzo fa, a Los Angeles, il loro concerto con Sharon, Andrew, Meg, Christopher. I miei migliori
amici. La mia band. Potrei tornare da loro, sì...potrei.
Prendo a correre, i marciapiedi sono più che affollati e le strade sembrano
tinte di giallo per quanti taxi vi sono. Cerco di attirare l’attenzione di uno di questi, dopo dieci minuti che mi sbraccio uno mi nota.
Salgo.
-
Buona sera signorina, dove vuole andare?- Sì. Bella domanda.
-
Quanto prende per andare a LA?- tento, pur sapendo che
è impossibile arrivarci in taxi, ma ho così bisogno di sperare che lo faccio
anche nelle cose assurde.
-
Non vado a LA– dice lui –Faccio solo viaggi nella east coast- Ok,
non se ne parla di prendere l’aereo. Mi fa troppo male, ho visto mio papà in un
aereo l’ultima volta e non è più risceso. Fa troppo male. – Signorina?!- mi
richiama alla realtà –Se non sa dove andare, smonti.-
- Dove vuole andare lei?-
-
Mi prende in giro?- dice con un sorriso sarcastico.
-
No davvero...- tanto non ho nulla da perdere, mi basta allontanarmi da qui. Il
primo passo l’ho fatto.
-
Io la posso portare nel Jersey- dice infine.
-
Va bene- non ci sono mai stata, solo passata in auto.
Parte sospirando e accende la radio, evidentemente non ha voglia di parlare.
Bene, nemmeno io. Il viaggio diventa lungo quasi un’ ora
e mezza a causa del traffico, poi arriviamo.
- Eccoci, sono 50 $- Diavolo, forse dovevo
prendere più soldi nella cassaforte di quello stronzo.
Comunque glieli do. Poi smonto.
-
Buona giornata- non rispondo. E’ un po’ che non vedo buone giornate. Essere lontana da New York, anche se non di molto, mi fa già
stare meglio, nessuno di quelli che conosco verrebbe nel New Jersey. Sì, ma io
dove vado? Mi guardo intorno, le strade sono abbastanza piene, ma io sono
sempre sola. Sono troppo triste perché mi possa fregare di qualsiasi cosa. Mi infilo in una stradina, appoggiandomi a un muro, sembra
il retro di un locale. Mi lascio scivolare sedendomi lì. Ho la testa che mi
pulsa e lo stomaco mi brucia. Lascio cadere la testa sulle mie ginocchia. Ok, riepilogo di quello che non va nella mia vita: mio
padre è morto tre anni fa, mia madre si è risposata, ho lasciato LA, i miei amici e quindi la band, sono finita a New York, il
mio patrigno si è rivelato essere uno stronzo che
decideva con chi dovevo uscire altrimenti mi avrebbe buttato fuori di casa in
qualche modo, ho trovato una miriade di persone ipocrite. Lati positivi: sono nel Jersey, ma non so dove andare...comunque
non tornerò indietro. Chiudo gli occhi, ascoltando la musica nelle mie
orecchie.