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Autore: RobTwili    30/01/2012    11 recensioni
Mac e Zac.
Mac, innamorata di uno dei suoi migliori amici da quando, il primo giorno d'asilo, quel bambino con gli occhi blu, si è avvicinato a lei.
Zac, piccolo genio della matematica, che di donne non ne capisce.
Lei segretamente innamorata di lui.
Lui pubblicamente innamorato di Natalie Portman.
E se, una fatina bionda, spingesse Cupido a lanciare la freccia?
Spin-off di 'The revenge of the nerd'.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nerds do it better'
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zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi avvenimenti  sono collocati durante e dopo il capitolo 20 . Ricordo che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
 
 




Guardare un film con Zac non era mai semplice.
Se la vicinanza del suo petto con la mia schiena era il primo motivo di distrazione, il secondo di certo era il suo continuo torturarmi.
«Sta fermo» ridacchiai, tirandogli una gomitata sullo stomaco quando le sue dita cominciarono a stuzzicare il mio fianco. 
«Auch! Ti stavo solo facendo il solletico» si lamentò, massaggiandosi lo stomaco. 
«Sai che soffro il solletico» borbottai, cercando di non disturbare Ash e Francis che stavano guardando il film seduti nell’altro divano.

Per sicurezza portai un braccio lungo il fianco, riparandomi.
Un dolore poco sotto la spalla mi fece strillare: quello scemo mi aveva morso. «Zac» gridai, cercando di muovere il braccio per tirargli una nuova gomitata. Lui fu più veloce di me: mi bloccò le braccia lungo i fianchi, impedendomi qualsiasi mossa. 
«Gne gne gne. Non puoi più farmi male» ghignò. Probabilmente credeva di avere la vittoria in pugno.

Non sapeva quanto si stava sbagliando. 
«Scommettiamo?» proposi, quasi sadicamente. 
«Quello che vuoi» rispose, decisamente troppo tranquillo. 
Senza riuscire a rimanere seria, allungai la gamba in avanti per  poi ritirarla. Sentii il mio tallone scontrarsi con la sua gamba.

«Mac» urlò, spintonandomi poi giù dal divano.
Quando mi resi conto di quello che era successo, non riuscii a trattenere una risata, ma cercai di tirargli un pugno, sgridandolo di nuovo: «Sei uno stupido». 
«Mi hai fatto male, io non ti ho morso così forte» piagnucolò, massaggiandosi la gamba. 
«Shh! È la fine del film, voglio vedere se i due protagonisti si mettono assieme» si lamentò Francis, ricordandomi che non eravamo soli.

Come una bambina, decisi di chiedere un suo parere, sicura di aver ragione. 
«Francis! Non hai visto che mi ha spinto giù dal divano?» chiesi, indicando poi Zac, che fingeva di massaggiarsi la gamba, come se gli facesse davvero male. 
«Perché lei mi ha tirato un calcio! È stata legittima difesa» si giustificò, mettendosi a sedere sul divano.

Non era una scusa valida. Aveva cominciato lui! 
«Tu mi hai morso, per questo ti ho tirato il calcio» specificai, aspettando di sentire la sua nuova scusa. 
«E la tua gomitata? È iniziato tutto da te. Diglielo Francis! Ditele che è colpa sua se ho dovuto spingerla giù dal divano! Diteglielo!». Si alzò in piedi, avvicinandosi a Francis e Ash.
«Ragazzi, dai…» mormorò Francis. Sembrava divertito dal battibecco. 
Ashley non riuscì a nascondere una risata, probabilmente irritando Zac che la sgridò: «Non c’è niente da ridere! Dille che è colpa sua, Ashley! Ha iniziato lei, sì o no?». Cercava di corromperla per far vedere che aveva ragione.
«Svizzera. Non mi metto in mezzo» sentenziò Ashley. 
«Peggio dei bambini» bofonchiò Francis, coprendosi poi il viso con una mano.

No, era una questione di principio, avevo ragione io: tutto era cominciato perché Zac mi aveva fatto il solletico. Dovevano capirlo. 
«Sei tu che mi hai fatto il solletico. Logico che se mi istighi io rispondo» brontolai avvicinandomi a lui e puntandogli un dito contro il petto. 
«Mi stai provocando? Perché tanto perdi. Sei una nanetta, e io sono un uomo» replicò, avvicinandosi di un passo e sorridendo sadicamente, per farmi notare la differenza di altezza tra di noi. 
Francis e Ash parlottarono tra di loro, ma non feci caso alle loro parole, impegnata com’ero a vincere quella lotta di sguardi con Zac.

«Ci vediamo domani a scuola, buona serata» salutò Francis. 
«A domani» sibilai, non staccando il contatto visivo con Zac.

Dovevo vincere io. 
«Notte» borbottò Zac. 
«Mac, ricordati che tua mamma ritorna questa sera» ridacchiò Ashley facendomi sbuffare infastidita.

Non sapevo a cosa si stesse riferendo, ma ricordavo che mamma sarebbe arrivata a minuti; lo sapevo meglio di lei.
«Mi dispiace, ma ho ragione io, nanetta» insisté Zac, torreggiando su di me.
Il mio naso sfiorò il suo petto, ma non mi fece paura.
«Hai cominciato tu, quattrocchi». Incrociai le braccia sotto al seno, indietreggiando un po’: averlo così vicino mi confondeva sempre le idee. Quei suoi occhi così blu sapevano sempre ipnotizzarmi.
«Devi sempre avere l’ultima parola, eh?» mormorò, alzando gli occhi al soffitto e sistemandosi gli occhiali.
«Solo quando ho ragione» ribattei, indietreggiando di un nuovo passo, perché lui si era avvicinato ancora di più a me.
«Secondo questa logica tu hai sempre ragione» commentò.
La strana smorfia che fece, sottolineò la fossetta che aveva sulla guancia sinistra.
«Di solito sì, non mi esprimo se non sono sicura».
Sembravo molto più tranquilla di quanto in realtà non fossi.
Le ginocchia mi tremavano e c’era poco ossigeno in quella stanza.
Speravo non fosse per la vicinanza di Zac, anche se una parte di me sapeva che era quello il motivo.
Semplice, scientifico: il corpo di Zac produceva calore, calore che agitava gli atomi attorno a me che gli ero vicina e quindi l’ossigeno diventava rarefatto. Non c’era questa spiegazione nei libri, ma… era scienza, sì!
«Ti faccio paura, nanetta?» ghignò, avvicinandosi ancora a me.
Ma che cosa gli prendeva?
A ogni mio passo indietro, lui cercava di azzerare le distanze.
D’accordo che “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, ma… mi metteva a disagio.
«No che non mi fai paura» sbottai, sentendo il mio piede sbattere contro qualcosa.
Mi guardai in giro velocemente, cercando di capire quali fossero le possibili vie di fuga.
Il frigo alla mia destra, un mobile bianco alla mia sinistra.
Sicuramente poco dietro di me c’era la tavola da pranzo.
Non credevo di essere indietreggiata così tanto.
«Ah no? E se ora fossi in trappola?» sussurrò, quando sentii il bordo del tavolo contro la mia schiena.
Spalancai gli occhi stupita: non sapevo che dire.
«La mia nanetta è in trappola, la mia nanetta è in trappola» canticchiò, appoggiando le mani sul bordo della tavola e intrappolandomi definitivamente.
«Zac» sibilai, appiattendomi contro la superficie di legno, mentre il suo viso si faceva sempre più vicino.
«Questa volta non hai ragione, niente ultima parola» soffiò sulle mie labbra, prima di baciarmi.
Un mugolio sorpreso sfuggì dalla mia bocca, mentre le sue mani si posavano sui miei fianchi per farmi sedere sulla tavola.
Lo assecondai, lasciando poi che le mie mani corressero tra i suoi capelli, per stringerne qualche ciocca.
«Zac…» mugolai, quando la sua mano corse sotto la maglietta che portavo, per solleticarmi la pancia.
Sentii le sue labbra tendersi in un sorriso, prima che i suoi denti cominciassero a torturare il mio collo.
«Zy!» strillò qualcuno, facendo scoppiare la bolla che si era costruita attorno a noi.
Aprii gli occhi di scatto, sobbalzando.
Zac, spaventato, indietreggiò fino a sbattere la schiena contro il frigo. «Cazzo» sbottò, portandosi una mano tra i capelli.
Sally corse in cucina, ridendo non appena mi vide seduta sulla tavola.
«Sa-Sally?» bofonchiai stupidamente, cercando di tornare lucida.
Quella mia domanda la fece ridere ancora di più, mentre mi prendeva una mano costringendomi a scendere dalla tavola.
«Ciao Zac» salutò, agitando la manina.
«Ciao Sally». La risposta di Zac, così fredda, mi fece ridere.
Trovai il coraggio per guardarlo e mormorai uno «scusa» appena prima che mamma entrasse.
«Ciao mamma» salutai, cercando di sorridere.
Il suo sguardo si soffermò per qualche istante su di me, sembrava studiare qualcosa sul mio viso.
«Dov’è Zac?» chiese, guardando poi verso le scale che conducevano al piano di sopra.
«Qui, mamma» ridacchiò Sally, correndo a prendere la mano di Zac per farle vedere che era lì davvero.
«Ciao» sussurrò lui, cercando di sorridere.
Mi accorsi in quel momento che i suoi capelli erano tutti in disordine.
«Tutto bene?». La domanda di mamma mi stupì.
Aveva forse capito quello che stavamo facendo prima che arrivassero?
«Sì, certo» borbottò Zac, passandosi una mano tra i capelli e peggiorando la situazione di quel cespuglio castano. Magari mamma poteva pensare che i suoi capelli erano in disordine per quel motivo.
«Sally, su che andiamo a dormire».
Mamma prese la borsa che aveva appoggiato sul divano e sorrise per incentivare Sally a seguirla.
«È tardi, vado anche io» spiegò Zac, scompigliando i capelli a Sally e indossando la felpa che si era tolto per guardare il film.
«Ciao» salutò Sally, mentre saliva la scala davanti a mamma.
Quando sentii la porta a soffietto chiudersi, sospirai sollevata.
«Che cosa ti era saltato in mente?» proruppi, spintonandolo.
«Cosa?» chiese, confuso. Sorrideva maliziosamente, gli occhi ammiccanti e ironici.
«Perché ti sei comportato così?» lo accusai, indicando stupidamente la cucina con il tavolo, dietro di noi.
«Scusami, mi sembrava che non ti desse così fastidio» ghignò, innervosendomi ancora di più.
«Be’, avrebbero potuto vederci. Cosa avresti detto a mia mamma se ti avesse trovato con la mano sotto alla mia maglia?» mi sfogai, cercando di mantenere un tono basso perché non potessero sentirci al piano di sopra.
«Che mi piace sua figlia, e che deve cercare di capirmi, visto che ho diciotto anni e gli ormoni che ballano come se fossero sottoposti a uno stimolo elettrico» si giustificò, tranquillo.
Spalancai gli occhi, sorpresa.
«Tu… tu diresti a mia mamma che…» iniziai a dire, rinunciandoci subito dopo.
Possibile che Zac non capisse che tutto quello che diceva era… dolce?
Le opzioni erano due: non se ne rendeva conto, oppure, lo faceva volutamente.
«Che cosa dovrei dirle? Mac, è più grande di noi, sa come vanno le cose» sogghignò, sistemandosi sulla schiena il cappuccio della felpa blu che aveva appena indossato.
«Vai a casa, è meglio» mormorai, capendo che se fosse rimasto lì avrei cominciato a baciarlo di nuovo.
I miei ormoni sembravano impazziti dal ballo di primavera. Si erano svegliati improvvisamente e non volevano riaddormentarsi.
«Ci vediamo domani pomeriggio? Vieni a casa mia?» chiese, abbracciandomi.
Casa sua.
I suoi genitori lavoravano, quindi saremmo stati solo noi due.
«Io… ehm… a casa tua…» bofonchiai, cercando di nascondere il rossore che mi aveva imporporato il viso.
«Mac, tutto bene?». Era preoccupato. Infatti mi scostò i capelli dalla fronte, tastandomela per verificare che non avessi la febbre.
«Sì, tutto bene. Ok, vengo a casa tua». Presi un respiro profondo, cercando un po’ di coraggio e sorrisi.
In fin dei conti andare a casa sua era… normale.
Perché avevo pensato che ci fosse un secondo fine nella sua richiesta?
«Ottimo. A domani» soffiò sulle mie labbra, prima di baciarmi. «Buonanotte, nanetta».
Non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere. Si chiuse la porta di casa alle spalle, lasciandomi, ancora una volta, a guardare il vetro colorato.
Dannazione, quel comportamento cominciava a darmi fastidio! Zac sembrava comportarsi come un supereroe, con le uscite a effetto.
 
«Forza Mac, non è la prima volta che vai a casa di Zac, su» mormorai tra me e me, camminando su e giù, davanti alla casa di Zac.
Mi avvicinai al cespuglio di rose bianche: speravo che almeno il loro profumo potesse calmarmi un po’.
«Mac? Che ci fai qui fuori? Non dovevi arrivare mezz’ora fa?». La porta di casa si aprì all’improvviso e mi guardai attorno, in cerca di un posto per nascondermi.
Stava parlando con me?
«Mac? Tutto bene?» chiese scendendo i tre scalini e appoggiando le sue mani sulle mie spalle.
Dovevo calmarmi, smetterla di pensare al fatto che io e Zac eravamo da soli.
Era già successo. Sì, non eravamo ancora una coppia, ma era già successo.
«Sì, ciao» mentii, alzandomi in punta di piedi per dargli un bacio.
Per un secondo i suoi occhi mi sembrarono confusi, poi però sorrise, annullando la distanza tra i nostri volti.
«Dai, entriamo» mormorò, circondando le mie spalle con il suo braccio.
Chiuse la porta con un calcio, prendendo la mia borsa con i libri di scuola e cominciando a salire la scala, verso la sua camera.
Studiavamo sempre in camera sua, sì.
Presi un respiro profondo, salendo i gradini lentamente.
Quando mi ritrovai davanti alla porta della sua camera, mi tranquillizzai subito.
Quante volte ero entrata in quella stanza dalle pareti verdi?
Quante volte avevo visto quei poster di supereroi?
Sentii il battito del mio cuore rallentare, mentre, felice, mi sedevo sul letto di Zac, di fianco a lui.
«Arrivo subito, mi manca l’ultima domanda di fisica. Tu cosa devi fare?» chiese, incrociando le gambe e appoggiandoci il libro sopra per scrivere.
«Ho finito tutto» bisbigliai, alzandomi per camminare un po’.
«Perché tu sei un genietto» sogghignò, facendomi ridere.
Mi avvicinai al comò, guardando le foto che c’erano sopra.
Io, lui, Francis e John. Ce n’erano davvero tante, molte scattate nel corso degli anni.
Mi soffermai a guardare l’ultima foto, scattata proprio quell’estate.
Eravamo in spiaggia, Zac e Francis mi tenevano sollevata da terra, per potermi lanciare in acqua.
Si vedeva l’ombra di John, che stava scattando la foto.
Non riuscii a trattenere un sorriso, sfiorando con i polpastrelli la cornice.
Il mio sguardo si spostò sul bat segnale, di fianco alla foto.
Guardai Zac, impegnato a scrivere sul suo quaderno e agii d’istinto: presi il bat segnale, nascondendolo in tasca dei miei jeans; poi, facendo l’indifferente, mi sedetti di fianco a lui, proprio mentre chiudeva il libro, soddisfatto.
«Finito» esultò, lanciando il libro sulla scrivania.
«Zac! Il tuo bat segnale! Si sta illuminando» strillai, indicando il punto in cui doveva esserci la piccola torcia.
Zac si alzò dal letto, raggiungendo in pochi passi il comò per controllare.
«Dove l’hai messo?». Spostò il suo sguardo su di me, furioso.
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere, appoggiando la schiena sul letto e portandomi le mani sullo stomaco.
«Mac, non sto scherzando, sai che sono geloso del bat segnale» sbottò, avvicinandosi a me.
Non risposi, continuando a ridere.
«Mac, non costringermi a torturarti, su». Sembrò pregarmi, nonostante potessi scorgere anche una nota divertita nella sua voce.
«Non l’ho preso io, sarà stato Batman» scherzai, asciugandomi una lacrima.
«Ultimo avviso, giuro: ridammi il bat segnale o sarà guerra». Diventò improvvisamente serio, divertendomi di più.
Cercai di smettere di ridere, ma non ci riuscii perché Zac, sospirando, si tolse gli occhiali, appoggiandoli al comodino di fianco al letto in segno di sfida.
«Sarà la terza guerra mondiale, non avrò pietà di te». Si arrotolò le maniche della felpa fino ai gomiti, piegando poi la testa prima da una parte e poi dall’altra, per distendere i muscoli del collo.
Sentii le sue mani sui miei fianchi, per farmi il solletico e cercai di ripararmi.
Inutilmente, visto che Zac saltò sul letto, incastrandomi tra il suo corpo e il materasso.
Con una mano intrappolò le mie mani sopra alla mia testa e con l’altra continuò a farmi il solletico.
Seduto sopra alle mie gambe non mi permetteva di muovermi, grazie anche al fatto che il solletico mi toglieva la forza.
«Mac, se non mi dici dove l’hai nascosto entro un minuto passo alle maniere forti» mi minacciò, stringendo la presa sui miei polsi.
«Mai» urlai, cercando di respirare.
«L’hai voluto tu» sibilò, facendomi ridere di nuovo.
Si chinò, avvicinando il suo viso al mio per poi deviare verso il mio collo.
Sentii distintamente i suoi denti mordermi.
«Zac» strillai, tra le risate, sperando che smettesse di farmi male.
Mi morse più forte e la presa sui miei polsi si fece più salda.
«Nella tasca dei jeans» ansimai, contorcendomi sotto di lui per scappare a quella tortura.
Cominciò a ridere, dandomi poi un bacio dove mi aveva morso.
«Mi piace farti il solletico, perdi tutte le forze e alla fine cedi».
La sua mano liberò i miei polsi, per poi scendere fino al mio viso, spostandomi un ciuffo di capelli.
«Che bella che sei» mormorò, sorridendo.
«Perché sei senza occhiali, se ce li avessi non lo diresti» bofonchiai, spostando lo sguardo e tornando a guardare il comodino.
«Che scema. Io lo penso davvero, sai?».
Mi baciò la punta del naso, costringendomi a guardarlo di nuovo.
«Sì, certo. Sono bella come Natalie Portman» ironizzai, guardando i suoi occhi, così vicini al mio viso.
«Lei è vecchia e ha anche un figlio. Tu… tu sei giovane e sei qui con me» sussurrò, accarezzandomi la guancia con la punta delle dita.
«Certo, sono un ripiego, insomma». Solo perché io ero lì. Solo per quello ero bella?
‎«Stai scherzando, vero? Mac prima del ballo di primavera eri come... la donna invisibile adesso sei... Wonder Woman» cercò di consolarmi, il solito sorriso dolce stampato sulla faccia.
Probabilmente quella era la cosa più romantica e allo stesso tempo più nerd che potesse dire. 
Zac mi aveva appena paragonato a due supereroine.
«Questa cosa non mi piace» borbottai, sbuffando.
«Perché?» chiese, sorpreso, puntellandosi sui gomiti per guardarmi meglio.
«Perché tutti i supereroi con il mantello sono sfigati» spiegai, sapendo che con quella frase l’avrei offeso.
«Ehi, stai offendendo Batman, il più grande».

Portò le sue mani sui miei fianchi torturandoli di nuovo.
«Almeno non ho offeso Flash» precisai, appoggiando le mie mani sulle sue, perché si fermasse.
«Se l’avessi fatto a quest’ora non saresti qui» sghignazzò, mordendomi una guancia.
«Zac, possibile che tu non… auch» mi lamentai, quando per sbaglio mi tirò una testata sul naso.
Si massaggiò la fronte, mentre cercavo di capire se mi avesse rotto qualcosa.
«Scusa» sussurrò, lasciandomi una scia piccoli bacetti sul naso e arrivando lentamente alle mie labbra.
Sospirai, quando con la lingua tracciò il contorno della mia bocca, chiedendomi il muto permesso di entrare.
Le mie mani corsero tra i suoi capelli, attirandolo verso di me.
Sentii una carezza sul mio braccio, prima che qualcosa di caldo si appoggiasse sul mio stomaco, scendendo sotto alla mia maglia.
«Sei il CCS per il mio HTML? È un invito?» soffiò sulle mie labbra, facendomi  rabbrividire.
«Stupido» ridacchiai, tirandogli una ciocca di capelli un po’ più forte.
«Mac, sono sincero, se continuo così non la smetto».
Il respiro veloce, gli occhi lucidi. Zac era bellissimo.
«Ok» ansimai, regalandogli un bacio dolce.
Il mio cuore sembrava battere all’impazzata, un martellare continuo che sovrastava tutti gli altri rumori, anche i sospiri di Zac quando le mie mani scesero ad accarezzargli la schiena.
La dolcezza di Zac in ogni gesto, i nostri movimenti impacciati, il tremolio delle mie mani.
Le sensazioni nuove che mi avevano travolto e la sensazione del corpo di Zac contro al mio, le sue labbra a baciarmi e la sua voce a ripetermi che tutto sarebbe andato bene.
 
«Oggi pomeriggio per favore vieni a casa mia» sbottò Zac, costringendomi ad appoggiare le spalle all’armadietto dietro di me.
«Perché?» chiesi, cercando di capire che cosa non andasse bene.
«Perché sì» ribatté, non riuscendo a nascondere un sorriso.
La verità era che non avevo più messo piede a casa sua da quasi una settimana.
Precisamente dal pomeriggio in cui avevamo fatto l’amore.
C’era qualcosa che mi bloccava, una sensazione strana.
L’idea di aver fatto qualcosa di male, di averlo deluso.
Non era andata esattamente come mi ero aspettata, e temevo che anche Zac non fosse soddisfatto.
Così, con mille scuse, avevo cercato di non rimanere più sola con lui, con il terrore che potesse rimproverarmi qualcosa.
Ne avevo parlato con Ash, lei mi aveva assicurato che era normale: per entrambi era la prima volta e questo forse andava a nostro svantaggio, ma ero convinta di aver sbagliato qualcosa.
Zac sembrava diverso, si comportava in modo diverso.
Subito dopo scuola mi fermai a casa sua, aspettando che mi aprisse la porta dopo che avevo suonato il campanello.
«Ciao, nanetta» mi accolse, aggiungendo anche un sorriso.
«Ciao» bofonchiai, mentre mi abbracciava, stritolandomi.
Trattenendomi tra le sue braccia, entrò in casa, chiudendo poi la porta.
«Come stai?» chiese, circondandomi il viso con le sue mani e intrappolandolo.
«Bene, perché?». Ero sospettosa, quando si comportava in modo strano c’era sempre qualcosa dietro.
«Sei strana, ultimamente» mormorò, sfiorandomi le tempie.
Socchiusi gli occhi, cercando di calmarmi.
Se ne era accorto.
«No, non… no» mentii, sperando che mi credesse.
«Mhh, ok. Vuoi vedere che cosa ho comprato oggi?» mi domandò, improvvisamente di buonumore.
«Sì, certo». La sua felicità mi contagiò, facendomi sorridere.
«Guarda» sussurrò, aprendo il portafogli e tirando fuori una bustina.
Spalancai gli occhi, stupita dalla frase che c’era scritta e dal disegno.
«Mi hai fatto venire a casa tua per farmi vedere questo… coso?» sbottai, alzando il tono della voce, stizzita.
«Preservativo Mac, puoi dirlo, non è una parolaccia» rise guardando di nuovo la bustina. «Hai visto è in tema Star Wars! “Non sarò tuo padre”. Non è geniale?» continuò, mettendomi la confezione davanti agli occhi perché leggessi con attenzione.
«Senti, Zachary, se devi dirmi qualcosa riguardo a quello che è successo la settimana scorsa, fallo. Ma non girarci attorno, perché mi fai innervosire».
Incrociai le braccia sotto al seno, pronta per litigare.
«Io dovrei dire qualcosa? Sei tu che ti sei chiusa a riccio».
Si sistemò gli occhiali, in un gesto arrabbiato.
«Perché so di aver fatto qualcosa di sbagliato ma non mi hai detto cosa». Una nota isterica nella voce, appena prima che qualcosa di caldo scivolasse lungo la mia guancia.
«Quanto sei scema» sogghignò, abbracciandomi.
Quel gesto, inaspettato, mi sorprese.
«Cosa vuoi dire?» biascicai, con le labbra appoggiate alla sua maglietta.
«Credi che io mi stia comportando in modo distaccato perché la settimana scorsa qualcosa è andato male? Ti sbagli, Mac, credimi. Casomai è il contrario: averti accanto mi fa tornare alla mente la sensazione della tua pelle sotto alle mie dita, e rischio di deconcentrarmi. Però so che per te non è stato così» concluse, una nota triste nella voce.
Sentii la presa delle sue braccia diminuire, per darmi l’opportunità di andarmene.
«No, è stato strano. Non come me l’aspettavo, ecco» confessai, rimanendo abbracciata a lui.
Il contatto con il suo corpo mi rilassava.
«Mi sono informato, solo la prima volta è così, poi migliora» sussurrò, accarezzandomi i fianchi lentamente.
«Ti sei… informato? Ti prego, non dirmi niente, non voglio sapere niente» commentai imbarazzata, sciogliendo l’abbraccio e cominciando a gesticolare con le mani.
Zac cominciò a ridere, portando poi una mano a scompigliarmi i capelli. «Vieni qui, nanetta» mormorò, alzandomi perché potessi baciarlo.
Per aiutarlo circondai la sua vita con le gambe, portando le mie braccia ad allacciarsi intorno al suo collo.
Zac brontolò qualcosa sulle mie labbra, lasciando poi le sue mani libere di scorrere lungo la mia schiena.
Quel gesto fu in grado di incendiarmi il corpo, costringendomi a stringermi di più a lui.
«Mac» ansimò, quando involontariamente mi strusciai contro di lui.
«Sì?». Appoggiai la fronte alla sua, cercando di calmare il respiro troppo accelerato.
«Se non vuoi… riprovarci, fermiamoci».
Continuava a tenere gli occhi chiusi, con le labbra a qualche centimetro dalle mie.
«Riproviamoci» lo rassicurai, catturandogli le labbra.
Le sue braccia mi strinsero di più, mentre ci scambiavamo un bacio lento e dolce.
«Mac… as-aspetta. Dobbiamo arrivare in camera, meglio che non cammini mentre ti bacio, o ti sbatto addosso a qualche muro e ti faccio male». Cominciò a salire le scale giustificandosi per ogni bacio rubato e non riuscii a trattenere una risata che soffocai sulla sua spalla.
«Ok, Huston, arrivati a destinazione» scherzò, mentre la mia schiena si appoggiava al suo materasso.
Presi un respiro profondo, cercando di calmarmi.
Sarebbe andata meglio, sì.
Lo capii subito, quando le mani di Zac scivolarono sotto alla mia maglia, seguite dalle sue labbra.
C’era un’atmosfera diversa, sembrava avere più confidenza con il mio corpo.
Quel suo accarezzare e baciare mi rilassava ed eccitava, facendomi desiderare sempre di più.
«Zac» chiamai, costringendolo ad abbandonare la mia pancia.
«Mhh?» mugugnò, senza smettere di lasciare piccoli baci.
«Muoviti» ordinai, facendolo ridere.
«No, oggi deve andare bene anche per te, così poi non ti comporti più da psicopatica» bisbigliò, avvicinandosi alle mie labbra e lasciando che il suo corpo sovrastasse il mio.
Mi fidai.
Come potevo non farlo, davanti a quegli occhi così sinceri?
Lasciai che lentamente mi spogliasse, accarezzando la mia pelle e facendomi fremere di desiderio.
Il suo corpo contro al mio e il rumore dei nostri baci.
Qualcosa di diverso dalla volta precedente, qualcosa di unico.
Sentire la voce di Zac invocare il mio nome riuscì ad amplificare a dismisura il piacere che stavo provando, esattamente come sentire il suo corpo abbandonarsi sopra al mio, stanco.
Il suo fiato a solleticarmi il collo sudato e le sue labbra a lasciarmi una scia di baci verso le mie.
Ancora una volta, Zac aveva avuto ragione.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ok, ehm… direi che Francis è stato più fortunato ma, insomma… lì il discorso era completamente diverso, su! :)
E poi, un fondo di verità mi piace metterlo sempre, nelle storie!
Questo era l’ultimo capitolo, il prossimo è l’epilogo e molto probabilmente sarà un Zac pov, giusto per dare un po’ di equilibrio a tutta la serie.
Ieri ho cominciato la mia nuova storia che si chiama ‘You saved me’. Se volete farci un salto siete le benvenute.
Per le risposte alle recensioni… tarderanno un po’, mi dispiace, ma sono sommersa di impegni.
Comunque ci vediamo la prossima settimana per l’epilogo, ma come sempre prima vi ricordo il GRUPPO SPOILER oppure il mio PROFILO FB. Se mi chiedete l’amicizia per favore ditemi almeno che siete lettrici. Grazie.

 


   
 
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