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Autore: Cynthia_Zizi    30/01/2012    0 recensioni
Alto, con il suo corpo scolpito alla luce tiepida della luna, con lo sguardo alzato a guardare le stelle.
Teneva le mani in tasca.
Mi avvicinai piano e quando fui alla sua stessa altezza lo guardai in volto.
Il suo viso, alla riflesso della luna, si vedeva chiaramente.
Aveva una lacrima che gli scendeva sulla guancia mentre guardava quella sfera bianca.
Mi misi una mano sulla bocca.
-Oh, mio Dio, Justin.- sussurrai. Non l’avevo mai visto piangere, ed era una sorprendente, commovente e soprattutto una bellissima visione.
Si girò.
Non si nascose, non cercò di spiegare niente per quello che stavo vedendo; non si asciugò neppure le lacrime.
Io non sapevo cosa fare. Restavo lì, a guardarlo mentre i suoi occhi erano inchiodati ai miei e cercavo una spiegazione che interpretasse la sua reazione. [...].
Un sacco di pensieri cominciarono ad ammucchiarsi nella mia mente. Cercavo delle risposte ma l’uniche che avrebbe saputo darmele in quel momento era il mio cuore.
Forse perché provai ad ascoltarlo, successe quello che successe.
-Io amo solo te, Justin.
Con uno slancio gli buttai le braccia al collo e posai le labbra sulle sue.
Fu come rimanere sospesi proprio sopra di noi, nel cielo, su qualche stella.
Sentivo il chiaro di luna che ci illuminava tiepidamente.
Il suo respiro mescolato al mio.
E non mi importava in quel momento che non fosse giusto.
Mi importava quello che stava accadendoci.
Un vortice di emozioni mi invase dalla testa ai piedi e mi sentivo sollevata, leggera, non c’era un aggettivo giusto per descrivere quel momento.
Era come un specie di sogno giunto dall’immaginazione alla realtà, che aveva lottato con tutte le sue forze per venire alla luce.
Era un sogno veritiero, dolce, benevolo e sereno.
E quel sogno era Justin.
Tratto dal libro
Last Dream
Questa è la mia storia in sostanza :) Se potete recensite ve ne sarei grata ;) Piccolo Avviso: Justin, nel libro non ha niente a che fare col cantante Justin Bieber, questa storia non tratta di lui tenetelo a mente :)
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia vita è sempre trascorsa normalmente.

Il mio tempo scorreva veloce ed io l’ho perdevo non accorgendomene. L’ho perdevo nei giorni passati tra scuola e libri, la mia più grande passione. L’ho perdevo giorno dopo giorno, e non me ne accorgevo mai.

Non pensavo di vivere meglio.Avevo tutto. Una bella famiglia; una bella reputazione a scuola; la stima dei miei parenti e sempre una punta di fortuna, ero solita dire.

Forse solo una cosa. Davo per scontato che tutto sarebbe stato sempre facile nella mia vita, e forse è stato per quella stessa fortuna, trasformata in sfortuna, che mi ha giocato un brutto scherzo. Anche il mio migliore amico me lo ripeteva sempre che non sarebbero mai state rose e fiori. Lui, la persona più importante della mia vita con cui avevo condiviso tutto fin dal primo giorno in cui eravamo nati insieme, lui ed io, due parti contemporaneamente in una sala d’ospedale. Separati l’uno dall’altro da un solo, piccolo minuto. Per lui mi sarei amputata un braccio pur di vederlo felice e spensierato, anche se un po’ malinconico era.

Ed ora ho un enorme buco nero al posto del mio cuore spezzato e mai e poi mai avrei pensato di sperimentare il dolore più lacerante e aggressivo di tutti.

Perché lui ora, non c’è più.

Il primo debole raggio si infiltra tra le mie tende e mi colpisce un occhio.

Mi sveglio e sbatto gli occhi per mettere a fuoco la mia camera da letto.

Guardo l’ora che segna le sette in punto ma una parola lampeggia proprio davanti a me.

TEST DI SCIENZE

Odio scienze e la scienza in generale. Deve sempre trovare una spiegazione logica a tutto quello che succede, anche se di logico ben poco ci sarebbe.

E anche se le loro inutili teorie si rivelano del tutto patetiche, “loro” cercheranno sempre di ficcartele in testa dando per scontato che tu non capisca niente.

Io sono dell’idea che se una cosa, per quanto illogica possa essere, succede è perché c’è un motivo preciso, che va al di là della logica oggettiva di esso.

Lo so cosa penserete. “Che ragazza filosofica!” e “Certo che ne sa della vita!” o semplicemente “Vivi i tuoi anni spensierati e non farti troppe domande!”

E’ facile dirmi così se non mi si conosce.

Ma la verità è che quello che ho passato e tutt’ora sto passando, anche se è passato molto tempo, è ancora presente e vivo nella mia vita e mi segue come un avvoltoio sopra la mia testa, pronto ad aggredirmi nei momenti di sconforto e tristezza. Non mi dà e non mi darà mai pace.

E la verità, quella più cinica e meschina di tutte e che se hai subito uno shock così terribile all’età dove pensi che esista ancora il regno delle principesse e il magico principe azzurro è difficile da superare e soprattutto ti cambia per sempre.

Ho imparato a diventare grande all’età di sette anni e se devo dire di nuovo la verità, ora che ne ho sedici mi sento vecchia.

E ne ho solo sedici all’anagrafe.

-Svegliati dormigliona!- esclama mia madre spalancando la porta della mia camera.

Io mi copro la faccia con una mano. Questa non ci voleva.

Mandatemi un carro bomba, un esercito di soldati che urlano come pazzi ma non mia madre!

Lei si avventa sul mio letto e per poco non mi fa saltare in aria.

Io mi ributto sotto le coperte e con la voce rauca e la bocca ancora impastata dico -Tra cinque minuti mamma!-

Ma mi ha già tirato giù dal letto.

Sono a scuola e sto aspettando il suono della campanella impazientemente mentre ripasso dal mio libro le ultime cose fatte.

Origine scientifica dell’universo; origine del buco nero e dei pianeti e bla bla bla. Preferirei avere sottomano un libro di Platone o di Aristotele così almeno non mi starei addormentando sul testo.

Difficile da credere vero?

Uno schiocco di dita sotto il mio naso mi fa risvegliare dal breve sonnellino.

-Buongiorno bell‘addormentata sul libro!- esclama perforandomi un timpano.

Io alzo di scatto la testa cercando di mettere a fuoco il viso di Kristen e poi faccio una mezza smorfia che la dice tutta.

A differenza mia, Kristen va bene nelle materie scientifiche e quindi oggi andrà sicuramente meglio di me nel compito di scienze. Ma odia leggere.

Siamo l’esatto contrario. Lei, bella da far paura, con i capelli che le arrivano quasi all’altezza dello stomaco, ben scalati come “mamma-moda” impone e tinti di biondo ossigenato. Sulla testa ha aggiunto uno forcina con un fiocchetto per fermare il ciuffo e agli occhi ha della matita nera.

Una “scene queen” dice di ritenersi.

Oltre a questo è una bella amica, gentile, disponibile e molto intelligente anche se a vederla si direbbe che sia la classica ragazza che se la tira sempre.

Do la mia parola. Non lo è assolutamente. Al contrario, ci siamo conosciute quando mi sono trasferita qui. Prima vivevo ad Hartford, in Connecticut, ho vissuto i miei primi dieci anni di vita lì poi ci siamo spostati in Canada in una cittadina non molto grande. I dottori dicevano che avevo bisogno di una svolta o non avrei mai superato lo shock.

Già. Lo shock, così lo chiamano i medici. Penso che non ci sia una cosa più crudele, cinica e meschina di quello che ho passato.

Avevo tre anni quando conobbi il mio migliore amico: Alexander Ryan, Ryan per gli amici. Non so come, ma il destino ha voluto che io lo vidi, me lo ricordo come fosse ieri, vicino al ciglio della strada. Mentre le nostre madri stavano parlando, perdonatele, non si accorsero che Ryan stava attraversando proprio nel momento in cui una grossa macchina stava percorrendo a tutta velocità quel tratto di strada. Forse grazie a qualche angelo custode al suo fianco o forse perché proprio il mio angelo custode mi spinse a fare quello che avrei fatto, mi misi a correre nella sua direzione, con le lacrime agli occhi, urlando e imprecando come una disperata di non attraversare.

Proprio l’attimo prima che il suo piccolo piedino venisse schiacciato dalla ruota della grossa macchina riuscì a prenderlo per una manica e con tutta la forza di cui ero capace a quell’età lo tirai indietro e cademmo sotto gli sguardi sgomenti della piccola folla, tra cui mia madre e la sua, che ci si erano avvicinati.

I momenti dopo l’accaduto, mi ricordo che sua madre non smetteva un minuto di ringraziarmi per averlo letteralmente salvato. Aveva le lacrime agli occhi e non smetteva un minuto di abbracciare il piccolo, allora, Ryan. Io mi guardavo attorno spaesata e di quei lunghi e disperati ringraziamenti non distinguevo altro che brusii di sottofondo e mia madre che mi prendeva in braccio cercando di farmi ragionare.

La verità e che io non mi rendevo conto di aver salvato una piccola vita umana. Non mi rendevo conto perché mi fossi messa a correre come una disperata per cercare di fermarlo.

Semplicemente ero troppo piccola per capire e avrei scoperto col passare del tempo quello che avevo fatto.

Per un po’ mi chiamarono ‘piccolo angelo ‘, sua madre mi chiamava ogni giorno per andare a bere il thè a casa insieme a mia madre e poco a poco io e Ryan saremmo diventato amici inseparabili, uniti. Una cosa sola. Eravamo solo noi due e non avevamo bisogno di altri bambini con cui giocare. Scherzavamo sempre perchè dicevamo di essere gemelli poichè nati insieme, distanziati solamente da un solo minuto di tempo. Troppo uniti e forse è stata proprio questa unità che ha attirato la più grande disgrazia che mi sia mai capitata.

-Ecco il test di scienze, Dafne. Cerca di ragionarci su questa volta-. La voce della professoressa mi arriva all’orecchio come una sveglia impazzita.

Avevo ricominciato a pensare guardando nel vuoto. Ero sicura.

Annuì impercettibilmente e presi il foglio con molto cautela.

-Avanti Dafne, non morde mica- dice ancora, ma questa volta con la voce molto irritata.

Abbasso lo sguardo sul foglio.

Sono nel panico più totale. Da quando in qua abbiamo fatto ‘la legge di gravitazione universale?’

Provo a pensare. Sicuramente sarà una di quei ragionamenti complicati e pieni di formule di qualche scienziato strambo.

Mi giro in direzione di Kristen. E’ troppo presa dal compito per vedermi ma d’un tratto alza la testa e mi fa l’occhiolino. Io cerco disperatamente di indicarli una delle domande della verifica ma lei fa un cenno strano. Una specie di pistola.

Cosa vuol dire?

Ora sta facendo una faccia da ‘scream’ e un secondo dopo sento i tacchi della prof di fianco al mio banco.

Io chiudo gli occhi. Okay, sono nei guai. Come minimo mi ritirerà il compito e comincerà uno dei suoi discorsetti strampalati sullo studio diligente di tutte le materie.

Mi giro facendole un sorriso a trentadue denti e cerco di giustificarmi in qualche modo il cui risultato equivarrebbe a fare 3+3=7. Cioè impossibile.

-E’ la decima volta che vedo girarti Dafne. Ora basta. Dammi la verifica e facciamola finita.-

-Professoressa, mi stavo solo sgranchendo e poi … la legge universalmente … della gravita … tità non l’abbiamo ancora imparata!-

La prof strabuzza gli occhi mentre alcuni compagni cominciano a ridere di sottofondo.

Non capisco perché allora guardo il foglio e mi accorgo della grande cazzata che ho appena detto.

La legge universalmente della gravitatità?!

Da dove l’ho tirata fuori questa cosa?! Mi stringo nella spalle desiderando di scomparire sotto terra il più presto possibile.

-Spero tu abbia compreso, signorina.- conclude la prof e mi ritira il ‘maledetto’ compito.

ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Inanzitutto volevo ringraziarvi per aver scelto di leggere la mia storia.
Il primo capitolo è un po' monotomo, come per tutti i libri penso!
Ma da quanto si può capire dall'introduzione (tratta da uno spezzone del mio racconto) man mano che si va avanti coi capitoli ci si comincia ad addentrare un po' al succo del mio racconto.
Un bacio a tutti e grazie per essere entrati!
Cinzia, autrice del racconto, 15 anni.

  
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