Scusate per questo inizio; è la mia prima storia, spero qualcuno la legga...ho cercato di correggere tutti gli errori, dal primo all'ultimo, e mi scuso in anticipo per quelli che eventualmente troverete. Ho inserito anche dati inerenti il mondo scientifico. Sono i più esatti possibili. Che altro dire...buona lettura!!

Kampala, Uganda, Africa
2 Gennaio 2820, ore 23.30

La New Republic Tower era un edificio recente. Fu voluto dal Primo ministro africano in occasione del primo Congresso dei Continenti del 2820. Era una struttura imponente, che con oltre 97 piani dominava la piccola capitale. Alcuni dicevano che dalla sua sommità si poteva scorgere persino il Rudolph Lake, ma pochi giurano di averlo visto per davvero. Il territorio circostante era formato da un immenso piazzale grande quanto due stadi di calcio messi insieme, dal quale perimetro si snodavano le varie arterie che collegavano Kampala con i principali centri abitati della Regione. Era notte, e l’edificio era quasi completamente deserto, eccetto un’annoiata guardia che sonnecchiava nell’ingresso. Poi c’era un uomo, con un grosso carrello, che  stava attraversando in quel momento il grande parcheggio sotterraneo della struttura, dove i vecchi tubi al neon emanavano una flebile luce sull’asfalto, proiettando ombre spettrali sui muri circostanti. L’uomo si chiamava Joshua, ed era uno dei tanti fisici che lavoravano nella struttura. Un uomo come tanti, alto, sulla quarantina, con i capelli nero-grigi e un fisico slanciato. Era americano, ma suo padre veniva dalla Palestina. Come tutti i figli di padri ebrei, aveva ricevuto una rigida educazione religiosa fin dai suoi primi anni di vita. Ma Joshua era una mente estroversa, appassionato più ai fasci protonici che ai Grandi Profeti. Così divenne un fisico, e dopo la laurea riuscì ad vincere un concorso sulle tecnologie sperimentali. Con i soldi ottenuti si trasferì quindi a Kampala, città emergente del suo campo, dove fu assunto alla N.R. Tower  come Caporeparto della manutenzione energetica. Non era il lavoro che aveva sempre sognato, ma a lui andava bene. Uno stipendio ragionevole per mantenere la moglie e i suoi due figli, entrambi piccolissimi.
-Dannazione- sussurrò Joshua tra i denti, accelerando il passo. La situazione in cui si trovava esigeva molta fretta, e una buona dose di indiscrezione. Se ciò che aveva sentito era vero, la specie umana era destinata alla fine. Strinse il manico del carrello fino a far stridere le nocche. Ricordava fin troppo bene quel pomeriggio. Un’ondata di malinconia lo travolse, forse per ciò che stava per lasciare. Ma non si fece intimorire dai suoi ricordi, e proseguì rapido verso il levisore. Entrò a fatica, sempre spingendo il carrello, e pigiò il tasto numero 97. Dopo una snervante attesa arrivò in cima alla struttura, dove la navicella era già pronta sulla rampa di lancio, in attesa di decollare. Joshua neutralizzò il sistema di accesso, facendo sollevare la porta del velivolo. Spinse il carrello fin dentro, e dal suo interno estrasse due piccole scatole di metallo, coperte sul davanti da due vetri. Erano due camere di ibernazione, modello mini, usate per il congelamento degli organi interiori delle cavie. Joshua abbandonò le scatole in uno scompartimento che lui stesso aveva costruito quando aveva assemblato il motore, incarico che aveva scelto non a caso. Mentre usciva dalla navicella, si girò verso le scatole e attraverso il vetro delle stesse, riuscì per un attimo ad intravedere il viso dei suoi figli, bianchi per il freddo, che lo guardavano. Si lasciò sfuggire un singhiozzo, e richiuse la porta.