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Autore: Sonea Effe    31/01/2012    1 recensioni
“Farò finta che tu non sia mai stata qui, che tu non sia mai esistita. Hai raggiunto il tuo scopo. Mi arrendo. Hai vinto, Michela. Mi hai disintegrata.” E detto questo, svenne.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GAME OVER

 
 
 
 
Dovevo dirglielo.
 
Era una situazione troppo grande da sopportare.
 
Dovevo dirglielo.
 
Non più potevo tirarmi indietro.
 
Dovevo dirglielo.
 
Era giunto il momento.
 
Dovevo dirglielo.
 
Dovevo farcela.
Lei doveva saperlo.
 
Era dalla prima superiore che avevo una cotta pazzesca per lei, che a quel tempo frequentava la seconda media. All’inizio la guardavo sempre da lontano.
Non avevamo avuto molti contatti amichevoli.
Poi, con il passare degli anni, i nostri incontri si sono fatti sempre più frequenti, da quando entrambi eravamo entrati nella compagnia teatrale del nostro paese.
Io ero il tecnico delle luci e lei era la scenografa.
Entrambi lavoravamo con i colori, ma il campo e il modo era completamente diverso.
 
Ed ora, eccola lì, a pochi metri da me, sul palco con una cartelletta in mano ed un pennello a fermarle i capelli. Dava ordini su come sistemare l’ultimo telo della scena. Per quella stagione avevamo in programma un recital. Non era la prima volta che intraprendevamo quella strada, ma sapevamo che avrebbe impiegato più tempo e più fatica. Una cosa era la recitazione. Un’altra, la recitazione e il canto nello stesso spettacolo.
 
“Cecilia” la chiamai uscendo fuori da una quinta per andare sul palco “Cecilia, hai un minuto?” le chiesi titubante.
“Oh, Joe. Proprio te cercavo!” esclamò lei, venendomi incontro. Joe era il mio soprannome. Mi chiamavo Giovanni, ma nessuno usava quel nome. O almeno, nessuno tranne i miei genitori. Odiavo che mi si chiamasse così. Era un nome così vecchio.
Joe,
invece, era… adatto a me.
Mentre ci avvicinavamo entrambi, nella mia testa si creava la scena. Lei che mi prendeva per un braccio, sempre lei che mi trascinava nei camerini sul retro, noi che ci chiudevamo in uno di essi e…
“…Marco?”
Bene, mi ero perso.
La guardai confuso.
“Come?”
“Ti ho chiesto” ammise scandendo le parole “se hai visto Marco.”
 
Come in tutte le storie, c’era sempre una fregatura.
Nel mio caso, aveva un nome.
Marco.
Marco era il suo ragazzo da non so quanto tempo.
Il solito bulletto pieno di sé che era riuscito a far cadere ai suoi piedi la ragazza più difficile da conquistare.
Cecilia era bella, quanto testarda. Aveva un carattere per niente facile da convincere. Ed era da quando li avevo visti insieme la prima volta, che mi ero chiesto come uno come Marco, muscoloso e tonto, l’avesse tratta nella sua ragnatela.
“Marco? No. Cioè, si. L’ho visto allontanarsi con Chiara, qualche minuto fa. Saranno andati a provare le canzoni in saletta” ipotizzai. Ma sapevo che quella non era la verità. Chiara era la versione al femminile di Marco. No, non era affatto muscolosa, ma tonta, beh, quello decisamente si. Fisico da modella: belle gambe chilometriche, sempre truccata e vestita alla moda. Noi della compagnia l’avevamo soprannominata Barbie in segreto.
Lei era l’attrice principale della recita. E il suo co- protagonista chi poteva essere, se non quel troglodita di Marco? Va bene che dovevano recitare e cantare insieme, ma tra loro c’era troppo coinvolgimento. Ero sicuro che se la spassassero alle spalle di Cecilia, incurante di tutto. D’altronde, lei era troppo presa nei cambiamenti di scena, per accorgersi di qualcosa. Da una parte, sarei stato contento se lei li avesse scoperti. Si sarebbe lasciata alle spalle quel pompato del suo ragazzo e magari, io avrei potuto fare la mia entrata trionfale. Dall’altra però, non volevo che lei soffrisse. La vita le si era colorata di nero di recente, con la perdita della madre, a causa di una malattia. Non aveva bisogno di ulteriori momenti bui. Aveva solo 22 anni. Troppo pochi per un dolore così grande
 
Cecilia era l’esatto contrario di Chiara. Non le importava la notorietà o stare sotto i riflettori. Lei si limitava a stare dietro le quinte. Anche in senso letterale. Non aveva quel fisico che molto spesso attira la maggior parte della popolazione maschile. E nemmeno due occhi azzurri e i capelli biondi. Aveva i capelli castano scuro, mossi e gli occhi verdi, anch’essi scuri, con qualche tocco di marrone. E aveva le lentiggini sul naso, cosa di cui io andavo letteralmente pazzo. Le davano quel tocco da bambina che, invece di penalizzarla, la caratterizzavano.
 
“Mi aiuti a cercarlo?” chiese speranzosa, usando la tecnica degli occhioni luccicanti. Classica tecnica delle donne per ottenere qualcosa.
“Va bene” conclusi arrendendomi “andiamo”.
 

***

 
Lo avevamo cercato dappertutto, ma di lui neanche l’ombra. La macchina era nel parcheggio, così come quella di Chiara, notai. Marco non si trovava.
“Joe, prova a guardare in bagno. Magari il lavandino guasto l’ha risucchiato. Cerca se ci sono brandelli dei suoi vestiti. Non credo che sia passato attraverso le tubature senza strapparsi i pantaloni o la camicia”. Era quello che mi piaceva di lei. Il suo modo di scherzare.
Non era esagerata o forzata. Era semplicemente spontanea.
Quando aprii la porta del bagno, in effetti, notai che c’era qualcosa di strano. E dovevo ammettere che Cecilia ci aveva azzeccato. Ovviamente, non della storia del lavandino.
Trovai sul pavimento del bagno una cintura da uomo e poco più in là, una scarpa con il tacco abbandonata. La faccenda risultava molto più seria di quello che pensassi. Prestai attenzione e sentii una cosa che mi fece gelare il sangue nelle vene. La conferma ai miei sospetti.
Tornai indietro, cercando di mascherare la tensione che traspariva dal mio volto. Cecilia non doveva assolutamente saperlo.
“Allora?” mi chiese lei, impaziente. “L’hai trovato?”
Deglutii “No, non è qui”.
Non so cosa la convinse. Il mio sguardo, la mia espressione.
Ma in quel momento, capii che se volevo restare nella compagnia teatrale, lo dovevo fare solo ed esclusivamente come tecnico delle luci.
Come attore ero pessimo.
 
“Lasciami passare” mi ordinò. Richiamai all’ordine tutta la mia forza di volontà e non le obbedii.
“Joe, non costringermi a diventare cattiva. Fammi. Passare.”
 “Cecilia, non…”
“Togliti.” E con energia, mi scostò di lato. Sapevo che non avrebbe potuto spostarmi se io mi fossi opposto. Ma la assecondai, capendo che forse era la cosa migliore da fare.
Entrò nel bagno degli uomini spalancando la porta e si fermò ad ascoltare. Dopo aver intuito quello che avevo capito anche io, prima di lei, parlò ad alta voce.
“Oh, sì caro! Continua così!” scherzò. Solo una parete di plastica a dividerli.
I gemiti smisero all’improvviso e tutto, compreso il tempo, sembrò fermarsi.
“Ma prego. Fate come se io non ci fossi. D'altronde, è una caratteristica degli attori di teatro, non avere vergogna ad avere un pubblico che li osserva”. La sua voce era tranquilla, ma sapevo che dentro stava ribollendo di rabbia. Le sue spalle contratte me lo dimostravano.
Non appena smise di parlare, tutto riprese vita. Un rumore di cerniere che si chiudevano poi una porta che si apriva. Comparve Marco, rosso in faccia e leggermente sudato. La maglietta stropicciata era metà fuori dai pantaloni.
“Ce-Cecilia?” balbettò Marco incredulo. “C-cosa? Ma- ma che diavolo…”.
Era letteralmente sconvolto. Aveva la faccia di uno a cui era appena apparso un fantasma.
“Oh, su! Non fare quella faccia!” gli consigliò Cecilia “Non pensare che non ti avrei scoperto”
“No! Non puoi capire! Non- non è come…” Marco continuava ad alternare lo sguardo dal volto della sua ragazza alla porta del bagno. Era agitato e letteralmente confuso.
“Oh, no caro! Non dirmi che non è come sembra. E dimmi, cosa devo pensare che sia successo?” gli chiese con tono indagatore. Marco aprì la bocca per dire qualcosa, mentre si poteva vedere chiaramente che stava cercando di architettare una situazione ipotetica, ma Cecilia lo anticipò.
“No, non cercare di sforzare il tuo unico neurone che non hai ancora impegnato. Te lo dico io come è andata”. Detto questo, si sedette tranquillamente sul bordo del lavandino.
“Vediamo. Tu sei andato in bagno. Lei è entrata dopo di te, senza che tu la vedessi, ti è accidentalmente  caduta la cintura e sempre per caso vi siete ritrovati l’uno attaccato all’altra su di un water a fare cose sconce, mentre quella idiota  della tua ragazza ti stava cercando disperatamente all’oscuro di tutto. Ho ragione?”
Diretta e concisa come un serpente che attacca la sua preda.
“Ce- Cecilia non…”
“Oh, Marco piantala!” esclamò lei, scendendo dal lavandino con un balzo. “Ma guardati! Sei rosso come un pomodoro, hai il fiatone e la tua maglietta sembra che sia andata in guerra. Non prendermi in giro” detto questo si avvicinò ancora a lui, fino ad arrivargli a pochi centimetri dal viso.
“Sarò cieca per non essermi accorta di nulla” gli sussurrò “Ma non sono stupida”. Lentamente si girò e sorpassandomi, si avvicinò alla porta.
“Non disturbarti a chiamarmi e neanche a rivolgermi più la parola.” aggiunse “Da oggi saremo l’attore e la scenografa. Tranquillo, me ne torno da sola nei miei bassifondi. Addio, Marco” e con calma, si richiuse la porta alle spalle.
Ero paralizzato. Mi sarei aspettato delle urla e dei pianti, ma niente di tutto ciò era successo. Cecilia aveva agito come una persona matura e aveva semplicemente chiuso la loro relazione con un addio. Guardai Marco con disprezzo e mi incamminai per cercare Cecilia. Quando aprii la porta, mi trovai davanti a qualcosa di inaspettato.
 
Cecilia era ferma sul posto con una faccia confusa. Guardai la persona che le si trovava davanti e la perplessità colse anche me. Proprio di fronte a Cecilia c’era Chiara, la ragazza che avevamo creduto essere con Marco. Effettivamente avevamo trovato solo lui, in quel bagno. Ma avevamo sentito chiaramente una voce di donna provenire da lì dentro. Allora di chi si trattava?
Tornai indietro e spalancai ancora una volta la porta. E per la seconda volta, rimasi sconvolto. Sentii Cecilia trattenere il fiato prima di esplodere.
“Come hai potuto? Come hai potuto fare una cosa del genere?” esclamò scansandomi di lato.
“Tu! Di tutte le persone che potevo immaginare con lui, proprio tu!” partì alla carica, lanciandosi verso di lei, ma riuscii appena in tempo a bloccarla per i fianchi. La circondai con le braccia appoggiando le mani sul suo ventre nel tentativo di calmarla. Ma quello scricciolo che avevo tra le braccia si dimenava come una forsennata.
“Lasciami! Joe, lasciami!” urlò ancora una volta “Voglio darle la lezione che si merita!”
“Ceci, Ceci calmati” le intimai “Così non risolverai nulla”
“Perché sei venuta qui? Perché sei tornata? Non potevi startene a casa tua invece che venire qui a rovinare ancora la mia vita?” era furiosa. Sentivo il suo cuore battere velocemente e il suo petto che si abbassava e rialzava furiosamente.
“Calmati Cecilia. Ascolta quel caro ragazzo che ti trattiene o ti verranno i capelli bianchi” ammise lei. Cecilia si mosse ancora tra le mie braccia, ma subito capì che era inutile.
Io non la lasciavo andare.
“Dammi una buona ragione per non romperti il collo e poi vattene” ammise dopo un minuto di silenzio, adottando una calma improvvisa molto più preoccupante delle urla.
“Lo sai il perché” ammise l’altra ragazza, quella che stava rifugiata dietro Marco, ancora pietrificato sul posto e pallido come un lenzuolo. “Tu mi hai rubato quello a cui più tenevo e io ti rendo il favore.”
“Io non ti ho rubato niente. È stato lui a venire da me” ammise Cecilia “e sai che l’ho rifiutato.”
“Si, di sicuro. Peccato che lui voleva te e non me”.
“Non è colpa mia. E tu lo sai”.
Ero sempre più confuso. Cecilia era stata accusata di averle rubato qualcosa. O meglio qualcuno.
Solo loro due avevano la risposta.
Solo Cecilia e Michela.
Sua sorella gemella.
 
“Oh, certo, certo. Lui mi usava soltanto per arrivare a te.”
Disse quella frase e una lampadina si accese nella mia mente.
 
 “…lo sai il perché della mia scelta.”
“Cosa pensavi di fare? Pensavi che mi sarei ingelosita? Pensavi che vedendoti più di quanto non facessi già, avrei capito di provare qualcosa di più forte nei tuoi confronti? Sei sempre stato il mio migliore amico. Ti voglio bene come si può volerne ad un fratello!”
“Ma lo sapevi che per me le cose stavano diversamente. Ma tu non mi hai mai visto sotto quella luce. Mi hai sempre lasciato da parte. E allora io mi sono mosso”
“Oh, si! Bella mossa, giocatore. Una mossa da vero professionista.”
“Lo sai che non è mai stato un gioco per me.”
“Si, ma ti sei divertito alle mie spalle! A prendere in giro me e mia sorella!”
“Non l’ho mai amata, è vero. Ma non avevo intenzione di…”
“Non dirlo. Perché con il tuo comportamento l’hai ferita a morte. Era innamorata di te! E tu lo sapevi e te ne sei approfittato!”
“Ho sempre amato te”.
“Potevi dirmelo chiaramente invece di sfruttare lei.”
“Era il modo migliore per averti accanto! Perché non vuoi capire?”
“Non voglio più vederti”
“Ti prego, non dire così. Non posso vivere senza di te”.
“Mi dispiace, Roberto. Usare mia sorella per soddisfare i tuoi bisogni è stato orribile. Ma andare da lei, facendole credere che tu l’amassi, quando invece ci stavi insieme solo perché siamo identiche, è stato un atto spregevole. Non ti perdonerò mai per quello che le hai fatto.”
 
Avevo ascoltato quella conversazione per sbaglio. Roberto e Cecilia stavano litigando nei camerini e io ero capitato lì per caso.
In poche parole, Roberto aveva usato Michela per arrivare a Cecilia. Aveva sfruttato l’amore che la ragazza provava per lui, per gioco. Aveva approfittato di questo e della somiglianza con la gemella per placare le sue fantasie. Anche se Cecilia aveva difeso sua sorella contro il suo migliore amico, Michela non l’aveva mai perdonata. E da ciò, si era scatenato l’inferno.
Michela aveva reso impossibile la vita di Cecilia, mandando in frantumi il loro rapporto. Erano sempre state legate. Erano gemelle e probabilmente questo le aveva unite ancora di più. Ma da quella volta, il comportamento di Michela verso la sorella era diventato ostile, malvagio e vendicativo.
 
Michela aveva deciso di renderle pan per focaccia.
Aveva utilizzato lo stesso stratagemma di Roberto e aveva fatto cadere nella trappola Marco. Si era finta Cecilia e lo aveva ingannato, portandolo nel bagno del teatro. Ecco perché lui sembrava stranito. In quei minuti, era sempre stato convinto che Michela fosse Cecilia e si era tranquillamente lasciato trascinare ad amoreggiare con lei.
 
“Vattene. Non ti voglio più vedere. Nn voglio avere più niente a che fare con te. È inutile sprecare altre parole. È tutto inutile” sussurrò Cecilia con la voce intrisa di dolore.
“Farò finta che tu non sia mai stata qui, che tu non sia mai esistita. Hai raggiunto il tuo scopo. Mi arrendo. Hai vinto, Michela. Mi hai disintegrata.” E detto questo, svenne.
 

***

 
“Dove sono?”
“Sei a casa tua, Ceci. Non alzarti. Sei svenuta.”
Aveva perso i sensi tra le mie braccia, che ancora la trattenevano. Aveva sopportato troppo, quel giorno e il suo cervello si era come spento, per non ricevere altri traumi.
L’avevo riaccompagnata a casa, posata sul divano e le ero rimasto accanto con la speranza che si riprendesse presto.
“Perché sei qui, Joe?” chiese dopo un attimo di smarrimento.
“Te l’ho detto. Sei svenuta e…”
“No” mi interruppe “Perché non te ne sei andato, dopo avermi portata qui?”
“Perché non volevo rimanessi sola” ammisi distogliendo lo sguardo.
Passarono minuti, non so bene quanti, ma alla fine Cecilia parlò.
“Grazie” sussurrò. Aveva gli occhi lucidi. “Immagino quanto tempo ti abbia rubato questo inconveniente.”
“Stai tranquilla, Cecilia. Avevi bisogno di qualcuno” proprio come io ho bisogno di te, avrei voluto aggiungere.
“Grazie” ripetè lei. “Sei un vero amico” e mi abbracciò.
Le circondai la vita con le mie braccia, limitandomi a stringerla forte, affondando il volto nei suoi capelli.
 
Non sapevo se fossi io a consolare lei o il contrario.
Ma quell’abbraccio era un’ancora per entrambi.
Capii che era meglio non turbarla più del dovuto con la mia stupida dichiarazione.
Mi bastava starle accanto come amico.
 
Per ora.




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è una storia un po' complicata, lo so. Spero che i passaggi siano stati chiari. 
Ho deciso di scriverla utilizzando un POV maschile, perchè è così che mi sono immaginata la storia, fin dall'inizio. Mi serviva un parere esterno che non fosse il vero protagonista. Spero non vi sia dispiaciuto.
Si parla di un amore nascosto, di un tradimento involontario e, parte centrale della storia, il rapporto travagliato di due sorelle gemelle che si sono separate a causa di un uomo.
Quello che volevo evidenziare con questa storia, era proprio quest'ultimo tema.
Non tanto il ruolo che ha avuto Roberto, ma quello di Cecilia e Michela.
Michela vuole vendicarsi del torto che ha ricevuto e diventa cattiva nei confronti di Cecilia.
Cecilia, giovane di età, ma con una lunga e dolorosa storia alle spalle.
Joe cerca di aiutarla come può, limitandosi a starle vicino, mettendo da parte i suoi sentimenti, anche se si era deciso a dichiararsi.

Spero davvero che vi sia piaciuta e, se avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie dell'attenzione :)
  
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