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Autore: simovscalliope    02/02/2012    0 recensioni
E quando due persone si incontrano?
Puoi scegliere di viverla la tua favola, o tra le spalle del tuo principe, dimenticherai che dovrà arrivare anche la strega cattiva.
A noi però cosa interessa?
Loro si amano, lasciamo spazio alle favole.
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SPACE TO FAIRY TALES.

Space to Fairy Tales è un insieme di racconti nei quali si parla di coppie che si incontrano.
Come scrittore ho dato vita a parecchi personaggi, e sopratutto a parecchie coppie.
Dal momento che non ho mai raccontato cosa era successo quando si erano incontrati, ho deciso di iniziare proprio dai più famosi: Kyros ed Enea.


Chapter 1 - Kyros/Enea

Prima di trovare una penna che funzionasse aveva girato troppe stanze, ma ora finalmente era intento a scrivere, anche se non sapeva bene di cos’avrebbe scritto.

Si guardò le mani e vide un’unghia imbrattata, poi fece caso alle cicatrici: ce n’erano di vecchie e di nuove, ed erano tutte in risalto sul bianco della pelle.
“Freddo del cazzo”
Parlò al vento, che tanto era solo lì dentro, e oltre a Rihanna che cantava una canzone che lui non stava ascoltando, non c’era anima viva.
Alzò lo sguardo e vide sulla scrivania uno dei suoi cappelli: questo era nero e rosso, e qundo l’aveva comprato (con i suoi soldi) era felicissimo.
Che stupido, manco fosse una quarantenne repressa che aveva bisogno dello shopping per sentirsi felice.
Invece no, era sicuro di un paio di cose: punto primo, non era una donna e non era una quarantenne repressa, punto secondo, non era un cappello a farlo sentire felice.
A un certo punto zittì la vocina nella sua mente e realizzò che stava facendo riflessioni sul suo cappello da baseball.
ma a che cazzo di livello sto arrivando?
Fissò la scritta che era sul muro davanti a lui e lo ripetè nella sua mente:
NON ABBIAMO SPAZIO PER IL VUOTO. Sì, ovviamente. Peccato che fossero solo parole, e che lui in realtà fosse solo.
Non aveva intenzione di mettersi a riflettere su qualcosa di serio, i ragionamenti sul cappellino da baseball andavano più che bene ripensandoci.
Kyros si alzò dalla sedia e si mese un attimo a guardare fuori, rompendosi subito i coglioni.
Aveva voglia di scrivere, ma non sapeva cosa. 
Avrebbe scritto dell’amore, ma lui sì e no era stato baciato dalla fidanzatina delle elementari, cosa poteva saperne dell’amore?
Prese il cappello e mise in pausa la musica, ed ebbe pietà per quel povero iPod che da un momento all’altro si sarebbe auto-distrutto.
Era l’ultima mezz’ora di gloria nella sua ‘casa’.
Di casa non ne aveva mai avuta una, aveva sempre vissuto in un orfanotrofio, insieme ad Albert, il rettore storico dell’edificio.
C’era stato poco da fare, secondo la legge lui era grande abbastanza per andare a vivere altrove, peccato che non fosse chiaro dove si trovasse quel posto. 
Stava aspettando che arrivassero gli addetti ai lavori, perché prima non se ne sarebbe mai andato.
Aveva già lasciato andare via Albert con i suoi fratellini, e non aveva ben capito dove li avrebbero trasferiti, probabilmente chi da una parte e chi dall’altra, e poi era stato troppo occupato a pensare al suo di destino.
Era stato costretto a vedere suo padre abbandonarlo per colpa dei suoi impegni di lavoro, e per colpa delle respondabilità che gli gravitavano introrno.
Ora non aveva più nessuno, solo un numero di telefonoda chiamare in caso di solitudine e una busta con dei contanti.
Non l’aveva nemmeno aperta, e non sapeva per quanto avrebbe tirato a campare con quelli.
Poi sentì due persone salire le scale, erano due uomini, e da quello che dicevano capì che stavano controllando se ci fossero ancora persone all’interno dell’edificio.
Lui aspettò di vederli in faccia per poi fargli un sorriso e prendere le sue due borse.
Era nella sua camera, ed era l’unico ad averne una propria in tutto l’orfanotrofio, anzi, era stato l’unico ad averne avuta una, visto che ora non toccava più a lui vivere lì.
Prima che i due potessero dire niente, lui si avviò verso le scale, e sperando che nonostante il tono lo sentissero, disse a bassa voce:
“Che dio vi ci faccia morire qui dentro”
Stava facendo come al solito: acettava i fatti in maniera passiva, senza dar segno al mondo che lui avesse problemi.
Scese in silenzio le scale immerse dalla penombra, lentamente, e si fermò soltanto per un attimo davanti alla stanza di ritrovo, dove ogni giorno si ritrovavano tutti, o perlomeno dove fino a poco tempo prima aveva scherzato anche lui.
Poi lentamente si era chiuso in se stesso, probabilmente per colpa dell’adolescenza, aveva abbandonato la scuola e aveva iniziato a rifugiarsi morbosamente nelle parole delle canzoni.
Ora sulle sue spalle sentiva il peso soltanto delle poche cose che possedeva, compresse in due borsoni. Tra i suoi averi c’erano anche tre raccoglitori pieni dei suoi cd preferiti, ovviamente originali. Le custodie, per quanto lui le adorasse, era stato costretto a lasciarle in stanza, perché altrimenti avrebbero occupato troppo spazio, e lui non aveva un’altro borsone.
Era davanti al portone, immerso nei suoi pensieri, e la vibrazione della metro che passava lo riportò al presente.
Aprì il portone accostato, e sulla strada vide due furgoni della ditta che avrebbe trasportato i loro mobili non si sa dove.
Era un pomeriggio tristissimo di fine gennaio, e non capiva che senso avesse iniziare il trasloco con il buio che c’era.
Non si era miminamente preoccupato di andare a vedere dove sarebbe andato a vivere, aveva soltanto rassicurato Albert dicendogli che poteva star tranquillo e che aveva già trovato un appartamento in affitto.
Palle, ovviamente.
Il momento massimo di vita in quei giorni era stato cucinarsi dei pancake di notte mentre gli altri dormivano, e poi ovviamente sentirsi in colpa per averli mangiati, ma avere troppo poco coraggio per andare a vomitarli.
Le sue giornate iniziavano mentre era solo, proseguivano mentre era solo e terminavano con lui che era solo.
che culo!
Pensando svoltò a destra trovandosi di fronte, alla fine della strada, un ristorante italiano: quello che stava vicino alla fermata di South Kengsinton.
Quella fermata gli era sempre stata antipatica, nonostante la prendesse ogni volta che usciva per la città.
Camminava sicuro che quella notte avrebbe dormito su di una panchina, nella migliore delle ipotesi.
non è da escludere che io schiatti entro ‘sta notte, eh.
Certe volte si chiedeva da solo da dove la prendesse tutta quella felicità, e tutto quell’ottimismo, ma chi non sarebbe stato in quelle condizioni al posto suo?
fottiti Kyros, fottiti! così muovevi il culo per cercare un posto dove stare!
Avrebbe gradito che la sua testa tacesse in un lungo silenzio stampa, ma no, continuava ad insultarsi da solo.
Arrivò davanti al ristorante e vide dalla vetrata quattro tizi seduti a mangiare, e ridevano.
ma beati loro, almeno se la ridono.
Dovevano essere per forza turisti, e poi italiani, di quelli che non sanno spiccicare una parola di italiano e hanno il coraggio di mangiare italiano dentro Londra.
Uno dei quattro si girò anche a guardarlo, ma tempo un secondo e Kyros tornò con lo sguardo davanti a se.
Passò davanti al negozio di dolci, e poi davanti al ferramenta che era all’entrata della fermata.
Quei negozi li aveva visti seriamente troppe volte, e un po’ come per tutto il resto del mondo, lui li trovava tristi.
Davanti all’edicola vide tra i gornali un numero di Cosmopolitan con Katy Perry in copertina, e gli venne voglia di ascoltare della musica - per meglio dire si rese conto che non aveva le headphones a scaldargli le orecchie.
Mise in riproduzione casuale e partì una canzone che trovava carinissima, il titolo era qualcosa tipo: “I Just Haven’t Met You Yet”, e pensò che putroppo nemmeno lui aveva ancora incontrato nessuno.
Mentre canticchiava come la persona più spensierata del mondo, si ritrovò a prendere la metro e fare i soliti giri, e i soliti cambi di fermata.
Si accorse che stava andando a Piccadilly Circus soltanto quando lo lesse sul display che indicava la prossima fermata.
Di Piccadilly conosceva a memoria ogni singola cosa.
Non aveva mai capito cosa ci trovasse di bello in quel posto: forse le insegne luminose, con quella fottuta pubblicità del McDonald che era fissa e non l’avrebbe mai levata nessuno da lì. Forse era soltanto l’impressione di sentirsi un turista anche lui, nonostante fosse nella sua città. 
Sicuramente andava matto per tutte quelle luci.
Alzò la testa per seguirle con lo sguardo, e una volta che si ritrovà a fissare il cielo nero, sentì una goccia sulla guancia, e poi una sul collo, e poi sempre più freneticamente ne sentì delle altre, senza riuscire a capire subito, finché non si ritrovò sotto una pioggia torrenziale. 
non ci credo, Londra a gennaio senza pioggia, e io non me n’ero accorto.
Fantastico, ora si sarebbe anche fottuto ulteriormente se si fossero bagnate le cuffie o l’iPod.
Si mise a correre e dopo aver tagliato la strada perfino ad un bus, si mise al sicuro sotto uno di quei gabbiotti dove si aspettano le fermate.
Si fermò per prendere un respiro d’aria gelida, poi prese l’iPod per mettere in pausa la musica e si rese conto che era anche al 20% di carica.
ma vaffanculo! che cosa ho fatto di così sbagliato?
Cinque minuti dopo la pioggia sembrava che stesse per calmarsi, e quando si disse che avrebbe aspettato un attimo per poi ritornare alla metro, riprese a piovere, come se anche la pioggia ce l’avesse con lui.
Cercando di imprecare il più silenziosamente possibile, si girò e vide l’insegna dello Starbucks dalla parte opposta al gabbiotto.
Attraversò la strada e fu bloccato da un taxi, che lo costrinse a rimanere sotto la pioggia, e poi subito si fiondò nel locale.
Quando finalmente aprì la porta a vetri era già completamente zuppo.
Si guardò intorno e rimase perplesso: era la prima volta che gli capitava di trovare uno Starbucks così deserto. Non c’erano nemmeno i commessi.
ma che cavolo?
Si sedette su di uno sgabello poggiando a terra i borsoni, si levo il giubbino zuppo e lo poggiò sullo sgabello di fianco al suo, bagnando anche quello.
Cacciò per l’ennesima volta dalla tasca dei jeans l’iPod per vedere che ore fossero: le 18:24.
mah, strano che non ci sia gente.
Alzò lo sguardo e notò una porta di servizio socchiusa.
Era concentrato a leggere l’insegna che c’era sulla porta, dove c’erano scritti i vari gusti dei frappè, e intanto pensava a cosa ci fosse dietro quella porta. 
Quando la portà si spalancò di scatto e vi uscì un ragazzo con uno scatolone, Kyros per poco non cadde a terra per lo spavento.
ormai ci perdo le speranze, voi mi state pigliando per culo.
Quando il ragazzo si chinò a terra per poggiare il pacco a terra, Kyros si accorse di quanto fosse bello.
Mentre il tipo armeggiava con la scatola cercando di aprirla Kyros rimase a fissarlo, e intanto quello non si era accorto del cliente nella sala, e continuava indisturbato a sentire la musica dalle sue cuffiette.
Evidentemente era molto preso dal brano che stava ascoltando, e sembrava che i suoi pensieri fossero distanti anni luce dai bicchieri che stava cacciando dallo scatolone.
Kyros si alzò e si avvicinò per vederlo più da vicino, e si accorse di avere una faccia inebetita soltanto quando il ragazzo si alzò e gli rispose con uno sguardo perplesso.
Vide il cartellino che il ragazzo aveva spillato sulla polo bianca e verde: “ENEA”.
Prima che questo si levasse le cuffiette dalle orecchie Kyros disse la prima cosa che gli venne in mente:
“Ciao”
Enea levò le cuffie e si sentì nell’aria la folla che urlava, quindi probabilmente stava ascoltando un live.
“Che? No, aspetta, scusa, hai detto?”
Kyros già stava perdendo le sue facoltà psico-fisiche.
“Nao. No, cioè, no, ciao!”
Enea si mise a ridere.
“Nao anche a te!”
non sai manco più parlare, coglione!
Forse era colpa dei denti bianchissimi o delle labbra piene e rosse, forse era colpa della pelle così chiara che si intonava perfettamente col blu dei suoi occhi, o col nero dei suoi capelli.
Sarà stata colpa del momento, o semplicemente era Kyros ad essere scemo, ma non riusciva più a dire una parola che fosse una.
Gli angoli della bocca di Enea erano ancora tesi in un sorriso divertito, e nella sua testa si chiedeva da dove fosse uscito quello lì.
“Oh, guarda che se volevi ordinare devi comunque chiedere a me, eh”
“Un’ordinazione?” rispose Kyros confuso “aah! Sì! Lo Starbucks! L’ordinazione!”
Enea scoppiò in un’altra risata.
“Scusa eh” disse “ma sei proprio strano!”
Kyros non stava più capendo niente, e per un momento, senza che se ne accorgesse, qualcosa lo stava distraendo dalla merdaccia nella quale viveva, e nella quale era sicuro che avrebbe continuato a vivere.
Intanto continuava a fissare il barman, manco fosse un bambino davanti a Babbo Natale, ed Enea ci stava prendendo gusto.
“Come ti chiami, se posso?”
eh?
“I..io?”
“Eh, boh, vedi qualcun’altro?”
E giù a ridere.
“Ah, ehm, piacere, Ky.. Kyros”
“Kyros? Mai sentito prima. Di dove sei? Vabbè, io sono Enea, piacere”
E così gli porse la mano, e Kyros ricambiò soltanto dopo aver capito che doveva stringergliela.
lo slow-motion è più veloce di me
Kyros sorrise, senza dare a vedere il suo imbarazzo, e sciolse subito la presa.
“Ehssì, sono cresciuto qui a Londra, e credo che mia madre mi abbia partorito proprio qui, o una cosa del genere. Comunque poi mi abbandonò in un orfanotrofio, dove sono cresciuto. E Kyro è un nome grego, ed è l’unica cosa che ha deciso mia madre per me”
oh ma allora so parlare!
“Ah, ma allora sai parlare!”
E entrambi sorrisero per l’altro.
Poi Enea.
“No spiega, quindi tu non hai mai conosciuto tua madre?”
“Esatto, ti ho detto, ha soltanto lasciato disposizioni per il nome e poi via col vento”
Enea mise in pausa la musica dall’iPod shuffle che aveva attaccato ad un polsino, e lasciò spazio alle parole, che presto avrebbero iniziato ad avvicinarli in tutto quello spazio che c’era.
“Senti, tra cinque minuti arriva Emily, una ragazza che lavora con me, nel frattempo puoi aspettare un attimo che vado a finire di fare una cosa in magazzino?”
“Se vuoi ti aiuto io” disse prontamente Kyros.
“No, no, grazi” Enea era fisso sul suo sorriso brillante “anzi, aspetta che ti porto anche una maglia che sei zuppo!”
“Ma come siamo gentili!”
Kyros iniziò a ridere, sentendosi a suo agio.
“Ah sì? Allora rimani bagnato! Fatti tuoi!”
Ed Enea si avviò verso la porta del magazzino.
“No beh, effettivamente non guasterebbe qualcosa di caldo”
..come le tue braccia, per esempio.
Fu istintivo, non ci pensò nemmeno. Quel pensiero gli salì alla mente imporvviso, senza contare che lo conosceva sì e no da dieci minuti.
Enea era già nello stanzino i lato, ma rispose ugualmente.
“Perfetto, un attimo”
Intanto si sentì la porta scivolare e il rumore della pioggia che intinuava a franare al di fuori di quel posto, e non non voleva andarsene, almeno per il momento.
Si girò e vide una ragazza: era bassina, capelli mossi ed arancioni, era vestita completamente di nero ed aveva una spessa linea di matita nera intorno agli occhi, che teneva testa a tutti i brillantini dei vari piercing che aveva sparsi in faccia.
La prima impressione che Kyrso ne ebbe, fu quella della tipica ragazza alternativa che si credeva figa, scordandosi che con quel pretesto poi tutte si assomigliavano.
Si accorse che la stava fissando e si girò verso i finestroni che davano sulla strada alluvionata.
“Oh, tu, devi ordinare? Non c’è l’altro ragazzo? Che cazzo, non si accorge mai dei clienti che entrano”
La voce che sentì non era calda come quella che aveva sentito fino a poco prima, ma apparteneva a qualcuno di freddo almeno quanto Londra in quel momento.
Si voltò verso la ragazza, che si era tolta il giubotto e aveva una maglia biacca e verde, come la polo di Enea.
Prima che potesse risponderle fu anticipato dalla voce di Enea, che spuntava da dietro la porta, con un maglione viola a doppio petto, ed uno beige fra le mani.
“Tranquilla Em’, è un mio amico”
“Ah, vabbè poteva parlare pure da solo eh..”
sì stronza, se me ne avessi dato il tempo
Intanto entrarono due ragazzini che per sua fortuna tennero occupata Emily.
Kyros si era di nuovo seduto sullo sgabello, e poco dopo, di fronte a lui c’era Enea, col suo sorriso, un bicchierone di caffè e un maglione beige.
“Okay” disse scherzando “ora devi scegliere se riscaldarti con un caffè o se con il maglione beige di lana di un perfetto sconosciuto”
“Vediamo” rispose Kyros con un fare altrettanto scherzoso “sicuro che non posso scegliere entrambi?”
Enea sbuffò e fece una smorfia di sufficienza.
“Pff, soltanto perché sei simpatico”
“Ooh, ma quale onore!”
“Senti, ora visto che devo scoprire se sei strano o no inizierò col terzo grado, ci stai?”
“Ci sto” disse Kyros, sorridendo con quanti più denti riuscisse a mostrare.
“Allora.. età, scuola, e dove vivi, insomma, che quartiere”
oddio no, ora capisce che sono un disadattato ed è la fine
“Sì, uhm, ecco, diciotto anni, poi, non frequento una scuola dalla fine delle medie, e poi sono di South Kengsinton, cioè, abito vicino alla fermata, vicino al ristorante italiano”
in realtà non ho una casa, ma col cazzo che te lo dico
“Aspetta, quindi non vai a scuola?”
“Così pare”
“Beh, non sembravi il tipo”
“Capita” Kyros già iniziava a rabbuiarsi.
“No, tranquillo, figurati, sono scelte, e poi non ho pregiudizi”
“Sì tranquillo tu” 
Cercava di sembrare normale, nonostante tutto.
“E poi.. sei single? Occ..”
“SOLO E INFELICE”
Nel dirlo Kyros sembrò uno di quei tizi affranti degli alcolisiti anonimi.
“Ma povero! Se ti può consolare anche io sono solo come un cane”
un figo come te? seh, e io ci credo!
“E io ti dovrei credere? Ovviamente! Chissà quante ragazze ti sbaveranno dietro!”
Enea lo fissò negli occhi e poi si trattenne dallo scoppiare in un’altra risata.
“Se non fossi gay probabilmente calcolerei tutte le bambine che si fermano ogni mattina per fare le super-fighe!”
Quella volta fu Kyros a ridere, mentre sorseggiava il caffè.
“Immagino la delusione delle fanciulle super-fighe, allora!”
E continuava a ridere.
è gay! conga!
Oramai non sapeva più controllare i suoi pensieri, e che quella notte avrebbe dormito in qualche topaia era relativo, visto che magari al risveglio sarebbe tornato casualmente a prendere un altro caffè in quel bar.
“E tu invece?”
“Io cosa?”
no, aspetta, cosa?
“A te piacciono i maschi o le femmine?”
bingo!
“Ehm” non sapeva come spiegarsi “diciamo che.. ecco, non fa differenza, ma, boh, sono più attratto dai maschi, credo. Non c’ho mai pensato bene”
“Okay, sì sei strano.. ma sei pure simpatico. E in tutto ciò sei anche zuppo”
“Oddio è vero!”
Allora fece per alzarsi la maglietta grigia, ma Enea lo fermò”
“Ehm, ti ricordo che siamo in un luogo pubblico, anche se non c’è anima viva sarebbe meglio che mostrassi le tue grazie in bagno!”
okay, questo seriamente mi sta prendendo per un pazzo maniaco
“Certo, certo” disse Kyros guardando per terra, si avviò alle sue spalle, vicino allo sgabuzzino dove prima era entrato Enea, ed entrò in bagno.
Mentre levava la maglia si accorse che c’era uno specchio, e si vide. In quel momento non sapeva se piacersi per la sua magrezza, o se sputarsi contro per tutto il resto.
E poi prese il maglione.
cazzo!
Aveva lasciato il maglione sul bancone da Enea.
E fu li che si aprì la porta ed entrò proprio lui:
“Okay, è appurato che tu sia un coglione, ma mi fai troppo ridere!”
nella tua lingua questo cos’è? un complimento o cosa?
“Ti ringrazio?” disse Kyros incerto prendendo il maglione.
“Certo che sei proprio magro!”
“E certo che tu hai proprio un buon profumo!”
oh, merda
“Cosa?”
Enea sorrideva.
“No, niente. Intendevo il profumo sul maglione”
“Ah, si” annuì “Blue Jeans di Versace, conosci?”
“No, ma è buono”
Si stavano fissando, con un leggero imbarazzo, e poi Enea ruppe il momento:
“Ma ti dispiacerebbe spostarti? No perché altrimenti la vescica mi abbandona qui”
“Devi fare pipì? Ah, si, oddio, scusa!”
“Ma tranquillo”
sempre più pessimo, complimenti Kyros
Enea entro nel bagno alle spalle di Kyros, e questo dopo aver sentito il rumore della cerniera dei jeans, imbarazzato disse:
“Ehm, io inizio ad uscire eh! Buona pipì?”
Altra risata da dietro la porta.
“Sì, ma aspettami prima di andare via, okay?”
“Okay”
ti aspetto, basta che la smetta di fare la figura dell’incapace cronicoEnea era curioso di conoscere quel tipo, gli era molto simpatico, e voleva chiedergli se gli andava di fare un giro insieme qualche giorno di quelli.
Kyros uscì dal bagno e tornò alla luce della sala dello Starbucks. 
Le pareti erano bordeaux, e ci stava facendo caso solo in quel momento.
più che uno Starbucks sembra una discoteca con questo rosso
“Eccomi!”
Kyros si girò e fu abbagliato da qualcosa di più luminoso delle pareti: il sorriso di Enea.
Quanto poteva essere solare un ragazzo solo?
no gioia, ho promesso che mi sarei moderato con le figure di merda
Prima che potesse sparare qualche cavolata Enea gli fece una proposta:
“Ma tipo, tu hai da fare?” gli disse guardandolo curioso.
E senza dargli il tempo di rispondere continuò:
“No perché se ti va potremmo farci un giro, e potrei accompagnarti a casa”
fanculo! no!
E sempre Enea:
“Da quanto ho visto non hai né un ombrello né voglia di far levare il mio profumo dalla pioggia, no?” e accennò un sorriso speranzoso.
siodffhsdiohsndjsdjklsjksdflngljkfdsgfdjkjkgjkjkgjkfgkjdlfg, muori
“Se dicessi di sì?”
“Ah, cazzi tuoi allora”
E stranamente sorridevano entrambi. 

 

   
 
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