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Autore: Meramadia94    02/02/2012    1 recensioni
Dopo l'esplosione che ha distrutto la piscina, Sherlock e John stanno bene e si rimettono, ma poi arriva una notizia che li sconvolge.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ancora incredulo che l'incubo fosse finito, John Watson cercò di alzarsi  tentando di ignorare il dolore alla gamba, quando vide un puntino rosso luminosissimo sul suo petto, in corrispondenza del cuore,
''Oddio...''-pensò disperato. Moriarty è di nuovo qui, e non è solo: sia sul suo petto che su quello di Sherlock ci sono mille lucu, ci sarà come minimo una squadra di cecchini pronti a far fuoco.
Una porta si apre.
''Scusate ragazzi, sono così volubile...''- ridacchia il Consulting Criminal-:'' è una mia debolezza, ma per essere onesti... è la mia unica debolezza.''
I due amici si cercanon con gli occhi, cercando la forza l'uno negli occhi dell'altro.
John dentro di se prega  ardentemente, con tutta la forza che riesce a trovare in se, quella lucidità che gli impedisce di collassare dalla paura-:''La mia vita... ti prego. Se proprio vuoi uccidere uno di noi, prendi me, non m'importa ma lascialo andare.''
''Non posso permettervi di continuare. Non potete. Vorrei convincerti...''- ridacchia-:'' avrai gia immaginato tutto quello che avrei da dire.''
Mentre Sherlock fissa le mille luci rosse che non fanno altro che muoversi sul suo petto, ha un'idea. E' rischiosa, hanno solo il 20% di probabilità di uscirne vivi, ma non ahnno altre possibilità.
Cerca l'approvazione negli occhi scuri di John.
Il dottore scuote la testa in un cenno di assenso che dice-:''Mi fido di te.''
''Probabilmente avrai gia immaginato la mia risposta.''- Sherlock si volta e mira la  L9A1 browning che ha portato verso Moriarty e lentamente cambia mira, puntando più in basso: il giubbotto di John imbottito di esplosivo.
Ormai è tardi per tornare indietro. O fa esplodere la bomba affidandosi alla misericordia di Dio o muoiono entrambi fucilati. E Sherlock deve pensare a salvare il suo amico.
Moriarty lo guardava con aria di suffucienza mista a divertimento che diceva-:''Ma chi vuoi prendere in giro? Lo sappiamo tutti e tre che ti manca il coraggio.''
La faccia priva di espressione di Sherlock invece-:''Staremo a vedere.''
Infatti sparò. Un colpo solo dritto al giaccone. Poco prima che l'epslosione li raggiungesse e avvolgesse anche loro nelle fiamme, Sherlock si precipitò su John e lo spinse in una di quelle  cabine  dalle quali era uscito una ventina di minuti fa imbottito di esplosivo nemmeno fosse un tacchino ripieno. La richiuse e abbracciò il suo amico come a volerlo soffocare, deciso come non mai a proteggerlo dall'esplosione, a costo di usare se stesso come scudo.
Poi ci fu solo il buio.
 
''Sherlock? Sherlock?''- lo chiamava una voce stranamente familiare-:'' andiamo fratellino, svegliati.''
Sherlock emise dei lievi mugolii e alla fine aprì gli occhi, notando che suo fratello Mycroft, sempre elegantemente vestito. lo guardava dall'alto.
Molto in alto.
''Primo...''- disse Sherlock scocciato-:'' vedere la tua faccia come prima cosa è uno shock. Secondo: che cavolo ci fai qui? E terzo... dove diavolo sono?''
Mycrfot lanciò un sospiro tra il sollevato, il rassegnato  e il divertito-:'' Anch'io sono felice di vederti, fratellino. Come ti senti?''
Sherlock fece finta di non aver sentito-:'' Piantala con i salamecchi e rispondi, possibilmente in ordine cronologico.''
Mycroft sospirò e rispose-:'' Mi hanno convocato dicendo che eri rimasto coinvolto in un esplosione. Sei all'ospedale, nel migliore di Londra.''
''Quanto male mi sono fatto?''- chiese ancora l'investigatore.
''Nulla di grave, sta tranquillo.''- lo rassicurò il fratello rimboccandogli le coperte amorevolmente-:'' hai solo un taglio sulla tempia e qualche escoriazione qua e là. I medici hanno detto che ti trattengono per qualche giorno per medicazioni e controlli e poi potrai tornartene a casa.''
Solo in quel momento il CI si rese conto di provare un dolore molto vivo alla tempia destra e qualcuno un po' più sopportabile su petto, gambe e braccia. Poi ad un tratto si riscosse.
''E John? Che mi dici di lui? Come sta, che ti hanno detto?''- fece Sherlock balazando a sedere sul letto come se lo avesse morso un serpente velenoso e afferrando la cravatta del fratello.
Quest'ultimo lo prese per le spalle e cercò di tranquillizzarlo-:''Sherlock, calmati: i medici hanno detto che non ti devi ne strapazzare ne agitare. Vuoi dell'acqua?''
''Al diavolo l'acqua, Mycroft. Rispondi a questo.''- replicò Sherlock con decisione e fare fermo-:''John. Come sta?''
''E' ferito anche lui, e non ha ancora ripreso i sensi, ma gli infermieri mi hanno assicurato che non è niente di grave. Quindi ora calmati e cerca di riposare qualche ora, va bene?''
In risposta, Sherlock buttò in là le coperte e fece per alzarsi. Le gambe cedettero come se fossero composte solo da acqua e farina.
''Attento.''- Mycroft riuscì a prenderlo prima che cadesse. Ma perchè mi è capitato un fratello così testone? pensò divertito. Eppure lo ammirava: ammirava la forza e la determinazione con cui perseguiva quello in cui credeva, non gli importava nulla delle donne in generale, ne quello che la gente pensava di lui, il fatto che si rialzasse da solo tutte le volte che cadeva... e il suo caratteraccio che gli faceva controbattere tutto quello che potesse dirgli, fosse per il suo bene o meno.
''Ti ci porto io, va bene?''- disse Mycroft obbligandolo a mettersi una veste da camera azzurra come il mare. Dopo di che lo abbrancò e lo portò un paio di piani più su usando l'ascensore.
Entrarono in una stanza dove c'era un infermiera bionda sui quarant'anni che stava sostituendo una flebo. John riposava nel letto li accanto con un espressione pacifica e rilassata. Aveva vari cerotti sulle guancie e sul collo.
''Mi scusi, come sta?''- chiese Sherlock ben attento a non lasciar trasparire troppo la sua preoccupazione-:'' sono un suo... amico.''
''Fortunatamente sembra che le ferite siano solo tagli superficiali e che non ci sia niente di rotto.''- rispose la donna-:'' ma ha la febbre molto alta, e il medico gli ha somministrato parecchi sedativi per calmare il dolore.''
Per giorni e giorni, John rimase immobile in quel letto d'ospedale senza riprendere conoscienza a causa del febbrone che non accennava a voler scendere e dei sedativi. Sherlock, infischiandosene alla grande dei rimproveri del fratello e dei dottori, e di chiunque  venisse a trovare lui e John di stare a letto e di riposare, non lo lasciava solo nemmeno un secondo.
John era l'unica persona che si interessava veramente a lui, che non era noisa e snervante come gli altri, che non l'aveva mandato al diavolo nemmeno una volta, e che sopportava con pazienza ogni sua stramberia e ora che l'unica cosa che poteva fare per lui era stargli vicino, non poteva certo tirarsi indietro.
Finalmente, un bel  giorno di sole, caso rarissimo considerato il clima normale della penisola britannica, John aprì gli occhi e come prima cosa vide Sherlock, elegantemente vestito come sempre.
Sherlock sorrise tirando un sospiro di sollievo-:''Oh, finalmente... inziavo a chiedermi se come inquilino avessi un essere umano o una marmotta.''
I due risero divertiti-:'' Come stai?''- chiese Sherlock recuperando la sua abituale serietà.
''Abbastanza bene, grazie.''- ed era vero. I medici lo avevano informato che la febbre era completamente passata e John si sentiva molto forte. L'unica pecca era che gli facevano ancora male le gambe-:'' Tu invece?''
''Solo qualche graffio, non è niente.''- poi Sherlock prese un vassoio dal comdino e glielo appoggiò sulle gambe. John fece leva sulle braccia per alzarsi e mettersi a sedere sul letto.
''Ho chiesto alla signora Hudson di prepararti qualcosa, la cucina dell'ospedale fa... non dico schifo perchè sarebbe un complimento.''- disse scoprendo una ciotola di porridge. Mentre John mangiava Sherlock disse-:'' Scusa.''
Joh lasciò cadere il cucchiaio sul piatto-:'' E di che?''
''Per averti coinvolto in questa situazione, lui voleva me e ho messo in mezzo anche te che non c'entravi nulla.''- rispose Sherlock.
''Sherlock...''- john lo guardò scioccato. Si stava davvero scusando e preoccupando per l'incolumità di qualcuno?-:'' il peggio è passato. E tu non hai ragione di sentirti in colpa.''
''Ma è colpa mia se siamo entrambi in ospedale.''- insistè Sherlock.
''Se non l'avessi fatto''- rispose riferendosi al fatto che Sherlock aveva fatto saltare in aria la piscina-:'' a quest'ora saremo tutti e due su un tavolo dell'obitorio con qualche buco di troppo sul petto.''
Sherlock sorrise confortato. In quel momento entrò un uomo con il camice bianco, ben rasato e gli occhiali, probabilmente sui quarant'anni.
''Signor Holmes, devo chiederle di uscire, visita di controllo. Giusto pochi minuti.''
Sherlock avrebbe voluto ribattere e rimanere con l'amico, ma quest'ultimo gli lanciò uno sguardo rassicurante che diceva-:'' Fa il bambino obbediente, ok?''
Seppur controvoglia, il CI uscì dalla camera e si sedette su una di quelle sedie in sala d'attesa aspettando che il medico uscisse dalla stanza dell'amico. Passarono dieci minuti buoni quando finalmente uscì.
Sherlock non aveva paura: il suo amco era sveglio, vivo e respirante, con il cuore che batteva e ciò gli bastava per sapere che niente poteva andare male.
''Signor Holmes, dovrei dirle una cosa...''- fece il dottore con un aria molto seria-:'' il mio collega ha detto che lei è l'unica persona che conosce molto bene in città.''
Sherlock annuì, iniziando a preoccuparsi seriamente. John stava bene, l'aveva appena visto. Cosa poteva esserci che non andasse?
''Le ferite che ha riportato fortunatamente erano solo graffi superficiali e la febbre è completamente sparita...''- Sherlock non riusciva a capire: stando a quello che gli stava dicendo, andava tutto bene-:'' purtroppo ha riportato delle lesioni alla colonna vertebrale e... ha perso l'uso delle gambe.''
Queste parole furono una doccia gelata per Sherlock. Aveva sentito milioni di volte storie simili, di uomini, donne e soprattutto bambini che perdono l'uso degli arti in seguito a dei brutti incidenti, ma nessuno di questi l'aveva mai minimamente toccato.
Pensava a quando l'aveva conosciuto: zoppicava e si aiutava con una stampella d'alluminio, ma il suo zoppicare era immaginario e alla fine anche John stesso se ne era convinto, e ne aveva avuto la prova definitiva quando quel pazzo del suo neo coinquilino lo aveva costretto a seguirlo in un pazzo inseguimento, a volte saltando suii tetti e da un palazzo all'altro,a caccia di un serial killer.
Adesso si che gli sarebbe servita una stampella... anzi una sedia a rotelle.
''Mi dispiace, ma purtroppo temo che non ci sia più nulla da fare per il dottor Watson.''- continuò il medico-:'' non credo sia nemmeno necessario dirglielo: anche lui è un medico e sa riconoscere i sintomi.''
Sherlock non l'ascoltò e si piombò nella camera dell'amico: John aveva lasciato il piatto mezzo pieno e fissava le pareti bianche della sua camera d'ospedale con uno sguardo perso nel vuoto, con le lacrime che scalpitavano per uscire.
''John...io... mi dispiace...''- balbettò Sherlock anche lui sul punto di mettersi a piangere. Sapeva che in cuor suo era tutta colpa sua. Se non avesse premuto quel dannato grilletto, se invece di perdere tempo a cercare di seguire Moriarty avesse portato via John e basta...
''Smettila di avere sensi di colpa che non sono tuoi, è successo e basta. D'accordo?''- disse John afono-:'' non preoccuparti, mi ci abituerò... mi dispiace per te e la signora Hudson, d'ora in poi non sarò altro che un peso.''
Sherlock si precipitò accanto a lui e lo prese per le spalle costringendolo a guardarlo negli occhi
''Tu non sarai un peso, non lo sarai mai e sai perchè?''- gli disse in un fiato-:'' tu riprenderai a camminare, d'accordo? Te lo prometto.''
John sospirò, anche se la fiducia dell'amico lo commuoveva-:''Sherlock... sai meglio di me che non posso, che non potrò più muovere le gambe, l'unica soluzione è un miracolo, e so bene che tu non ci credi e non ci credo nemmeno io.''
''Almeno tentiamo!!!''- urlò Sherlock-:'' proviamo a credere che potrai riprendere a camminare, a correre dietro ai criminali... per favore.''
Inutile dire che più di fare speranza e conforto a John quel discrso serviva a fare speranza a se stesso.
John ci pensò su e poi disse-:''E va bene.''
  
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