La sfida più
importante
“Dannazione!”.
“Capitano,
che le succede? Ha
bisogno d’aiuto?”.
Sorrise.
Finalmente un pigro
sorriso distese le sue labbra: neanche in un momento come quello Bud
riusciva a
chiamarlo per nome.
“E’ questa
dannata cintura…”.
“Come dice,
signore?”.
“Niente…
Niente, Bud.”.
Il Capitano
di Corvetta Roberts ridacchiò
divertito: allora esisteva almeno una situazione in cui il coraggioso e
sempre
imperturbabile Capitano di Vascello Harmon Rabb jr. poteva diventare
nervoso
come chiunque!
Erano anni che attendeva quel
momento e non se lo sarebbe perso per nulla al mondo. Finalmente poteva
prendersi una piccola rivincita.
“Posso venire
ad aiutarla, signore?”.
Ci mancava
pure quello! Bud, di
solito sempre così impacciato, che veniva ad aiutare lui.
Ma che fine
aveva fatto il
solito mondo, quel pomeriggio?
Eppure gli sembrava che quella
giornata fosse iniziata come tutte le altre, se non meglio: si era
alzato alla
solita ora, si era infilato t-shirt, felpa, calzoncini e le sue scarpe
da
jogging preferite ed era andato a correre nel parco, come faceva da
anni.
L’aria era fresca di primo mattino, ma si preannunciava una bella
giornata,
calda e luminosa.
Dopo la sua solita ora a ritmo
sostenuto, prima di rientrare si era fermato a comperare il giornale e
un’abbondante colazione, che aveva intenzione di concedersi con tutta
calma
leggendo il quotidiano. Rientrato in casa si era fatto una doccia,
indugiando
più del solito sotto l’acqua, prima di gustarsi il primo pasto della
giornata.
E mentre godeva del getto caldo,
la sua mente era presto andata a quegli ultimi quindici giorni.
Fortunatamente
non aveva ancora affittato l’appartamento prima di partire per Londra,
altrimenti
non avrebbe avuto un posto suo dove andare e il pensiero di
rinchiudersi in
albergo, in quella che per anni era stata la sua città, non lo
entusiasmava
proprio. Anche se l’appartamento era vuoto da due settimane, restava
sempre
casa sua. E poi c’era ancora il letto, il suo letto, e la sola idea di
dormirci
di nuovo, dopo quello che era successo l’ultima volta che lo aveva
usato, era
sufficiente a fargli provare un piacevole brivido di eccitazione e
aspettativa,
nonché riportargli alla mente piacevoli ricordi.
E il pensiero
era immediatamente
volato a lei…
A dire il
vero, ogni giorno, da
quindici giorni a quella parte, doveva lottare duramente con se stesso in ogni
momento per
impedire alla propria mente di distrarsi con
la sua immagine.
Quanto gli
era mancata!
Quelle due
settimane a Londra
gli erano sembrate eterne, in ufficio senza di lei. Non riusciva a
lavorare e
neppure a concentrarsi. Non era abituato. Aveva resistito solo perché
sapeva
che l’avrebbe rivista presto.
Due giorni prima aveva atteso
con ansia d’imbarcarsi
per l’America e,
nonostante fosse appena atterrato, aveva sperato di poterla rivedere
subito,
quella sera stessa, ma lei era impegnata.
Allora aveva sperato di poterla vedere il giorno
successivo o almeno
quella mattina stessa, invece anche in
quel caso si era sbagliato. L’avrebbe rivista soltanto nel tardo
pomeriggio.
Sbirciò l’orologio: tra meno di
un’ora.
Meno di un’ora.
Una strana sensazione s’impadronì
di lui, rendendolo ancora più nervoso e impacciato.
“Bud…” chiamò
a gran voce.
Al diavolo il
suo orgoglio! Se
non avesse chiesto l’aiuto di Bud, fra un’ora sarebbe stato ancora lì,
con
quella dannata fascia tra le mani.
Era inutile negarlo: quella
giornata “poteva sembrare” come tutte le altre, ma non lo era affatto.
“Sì,
signore?”.
Il Capitano
Roberts fece
capolino dall’altra stanza, con un’aria sorniona, sorridente e
decisamente
compiaciuta.
Ecco! Ci mancava pure lui…
“Si tolga
immediatamente quel
sorriso idiota dalla faccia, Capitano, e venga a darmi una mano con
questa
fascia.”.
L’autorità e
una voce burbera
erano le uniche cose che avrebbero potuto scuotere l’imperturbabile
flemma di
Bud e renderlo più agitato di quanto non fosse lui.
Come odiava vederlo tanto
tranquillo e sorridente!
Ma quella giornata sembrava
diversa anche in quello. La risposta di Bud fu un:
“Sissignore!
Subito, signore!”
ma il sorrisetto gli restò stampato in faccia.
“Ti stai
divertendo molto, vero
Bud?”.
“Sì,
signore”, rispose lui con
gli occhi che gli ridevano, mentre lo aiutava anche con il papillon
nero.
“Dimmi la
verità: era tempo che
aspettavi questo momento, non è così?”.
“Sì, signore…
E, se mi permette,
anche lei, signore”.
Finalmente
riuscì a strappargli
un sorriso. Come sempre il suo amico aveva ragione. Soltanto ora si
rendeva
conto d’aver atteso a lungo quel momento.
“Credi che
almeno per oggi
riuscirai a chiamarmi Harm? O devo aspettarmi che continuerai a
chiamarmi
signore per tutto il giorno? Tecnicamente non sono neanche più un tuo
diretto
superiore…”.
E questa era
una cosa che gli dispiaceva
molto, a dire il vero. Bud era sempre stato un validissimo
collaboratore e un
ottimo amico.
Il Capitano di Corvetta Roberts
non rispose nulla; si limitò ad aiutarlo ad infilarsi la giacca bianca.
Dopo
gli si mise di fronte, lo osservò per pochi attimi con attenzione e
quindi
disse:
“E’ la donna
giusta per te,
Harm”.
Lui rimase in
silenzio, a
percepire fisicamente quel senso di pace interiore che lo stava a poco
a poco
invadendo, a seguito di quelle parole. Come se il semplice fatto che le
avesse
pronunciate, proprio lui fra tutti, potesse tranquillizzarlo del tutto
e
confermargli che stava per fare la cosa giusta.
“Grazie,
Bud…” disse
semplicemente, mentre l’accenno di un sorriso gli distendeva finalmente
i
tratti del volto, fino a quel momento ancora tirato dall’agitazione.
“L’ho capito
subito che tra voi
sarebbero state scintille, fin dalla prima volta che vi vidi assieme.
Ricordi?”.
“Come potrei
dimenticare quel
momento? Feci la figura dell’imbecille!”.
“Solo perché
eri sorpreso per
come assomigliava al tenente Shonke…”.
Riandò col
pensiero a quel
giorno di nove anni prima, quando l’Ammiraglio gliel’aveva presentata.
O
meglio, quando lei stessa gli si era presentata, porgendogli la mano…
“Mac”.
Era rimasto
immobile, a
guardarla. Non si era neppure ricordato che non erano soli, ma in
compagnia
dell’allora Guardiamarina Roberts e dell’Ammiraglio Cheghwidden in
persona. La
mano di lei protesa verso la sua e lui lì a fissarla, improvvisamente
catapultato indietro nel tempo, finché non si era accorto che lei stava
per
ritirare la mano e allora gliel’aveva stretta nella propria.
“Harm”.
Era stata
lei, a quel punto, a
guardarlo stupita. In un altro momento avrebbe potuto indugiare
sull’idea che
fosse rimasta piacevolmente colpita dal suo aspetto, ma era più che
certo che
la sua espressione sorpresa fosse dovuta soprattutto al suo bizzarro
comportamento.
Tuttavia nessuno poteva nemmeno
lontanamente immaginare ciò che in quel momento gli si agitava
nell’animo: era
la copia esatta di Diane! Soltanto Bud poteva intuire il suo turbamento.
“Voi due vi
conoscete?”.
La voce di
Cheghwidden lo aveva
riportato bruscamente alla realtà e, mentre lei rispondeva
all’Ammiraglio, lui
aveva fatto altrettanto, col risultato di parlare contemporaneamente.
“Nossignore.”.
“Sissignore…”.
Da quel loro
primo incontro, più
volte aveva pensato che tutto fosse partito da lì. Da quelle due frasi
dette
nello stesso momento, l’una l’opposto dell’altra.
Fin dall’inizio erano stati in
disaccordo, anche se si trattava, come quasi sempre, di un disaccordo
apparente. Ma quella volta di certo aveva ragione lei: loro due non si
conoscevano affatto.
Da quel
giorno erano trascorsi
nove anni.
Nove anni di amicizia, di
affiatamento sul lavoro, di incomprensioni, di desideri insoddisfatti,
di
sguardi silenziosi, di liti e di riappacificazioni…
Nove anni
d’amore.
In apparenza
poteva sembrare che
il fatto di assomigliare tanto a Diane le concedesse automaticamente il
diritto
di essere amata da lui; invece non era andata così. Lei si era
realmente conquistata
la sua stima e il suo affetto, nonché un posto nel suo cuore, solo
grazie a se
stessa. Perché lui le aveva sempre voluto bene come amica, l’aveva
stimata e
apprezzata come collega e l’aveva infine amata anche come donna.
Sì, lei era la donna giusta. Non
aveva dubbi.
“E’ pronto,
Signore?”.
“Bud… per
favore…”.
Il Capitano
di Corvetta Roberts
sogghignò, e lui comprese che lo stava ancora prendendo in giro.
“Ti stai
prendendo la tua
rivincita, non è così?”, chiese divertito.
Bud si limitò
a sorridere, con
aria sorniona.
Oh, ma che importava?
In fondo se lo meritava! Del
resto non lo aveva fatto lui stesso, con Bud? Lo aveva preso più volte
in giro,
anche se sempre con un misto di tenerezza, rispetto e stima. Stima per
il
ragazzo che aveva saputo crescere garbato, nonostante un padre
sbruffone e
violento; rispetto per un uomo che aveva lavorato duramente per
diventare
l’ottimo avvocato e militare che ora era, superando brillantemente
anche l’handicap di
aver perduto una gamba in
servizio.
Sì, Bud si era ampiamente
conquistato il ruolo di suo migliore amico e si era guadagnato il
privilegio di
prenderlo bonariamente in giro.
Del resto era più che
comprensibile che volesse farlo: lui stesso sapeva perfettamente di
essere
agitato e nervoso come uno scolaretto al suo primo giorno di scuola.
“OK, Bud.
Sono pronto”.
Per
l’occasione aveva optato per
la divisa da cerimonia, anziché l’alta uniforme, com’era d’uso: sapeva
che Mac
la preferiva e aveva voluto farle una sorpresa e accontentarla. Prese i
guanti
bianchi, accessorio indispensabile anche della divisa di gala, e li
infilò
lentamente, lasciando che fosse Bud ad occuparsi di chiudere la porta.
Si sentiva finalmente più calmo.
In fondo era sufficiente pensare
a quello che sarebbe successo di lì a breve come ad una sfida.
Una delle tante sfide che aveva
affrontato e vinto nel corso della sua vita, dall’accademia per entrare
in
Marina al coronare il suo sogno di diventare pilota di Tomcat; dal
superare la
delusione per non poterlo più essere, al diventare uno tra i migliori
avvocati
della Procura Militare, meritandosi anche quell’ultima promozione a
Londra.
Qualunque
cosa gli riservasse il
destino in futuro, avrebbe vinto questa sfida.
Fra meno di
un’ora avrebbe
sposato l’unica donna della quale era davvero certo di essere
innamorato e di
non poter fare a meno.
L’avrebbe sposata e avrebbe
fatto il possibile per renderla felice e per fare in modo che il loro
matrimonio funzionasse.
Avrebbe lottato duramente, senza
farsi scoraggiare. E non sarebbe stato neanche più solo a combattere,
lei
avrebbe fatto altrettanto al suo fianco.
Perché si trattava di una sfida
tra le più importanti; una sfida che egli voleva vincere a tutti i
costi.
Il premio
finale valeva
qualunque sacrificio: avrebbe avuto lei per il resto della vita.