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Autore: Beatrix_    03/02/2012    1 recensioni
Conosce Prospero l’Incantatore da quasi due anni, da quando ha avuto inizio la loro collaborazione artistica e professionale e per tutto quel tempo di lui non ha mai saputo più dello stretto necessario. [...]Non sa neppure il suo vero nome.
Il direttore del teatro e sua moglie, il loro incontro con Celia un giorno di febbraio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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È già buio quando, in quella fredda giornata di febbraio, il direttore del teatro smette di lavorare e torna a casa a piedi, com’è solito fare.
Le fioche luci delle lampade ad olio rischiarano appena il marciapiede e certo non servono ad illuminare i pensieri che di minuto in minuto si accavallano nella mente dell’uomo. Conosce Prospero l’Incantatore da quasi due anni, da quando ha avuto inizio la loro collaborazione artistica e professionale e per tutto quel tempo di lui non ha mai saputo più dello stretto necessario. Non sa dove viva, non sa chi fosse o cosa facesse prima di arrivare ad esibirsi nel suo teatro a New York, non sa quali progetti abbia per il futuro. Non conosce neppure il suo vero nome.
John Berker arriva a casa ancora immerso in quei pensieri ed il bacio di sua moglie, che lo accoglie sorridente, serve appena a distrarlo dalle proprie riflessioni. Quasi non si accorge di essersi lasciato alle spalle il freddo spietato della città e quasi non sente l’appetito, mentre pilucca svogliatamente l’arrosto che gli è stato appena servito.
“Ti vedo preoccupato questa sera.” La voce di sua moglie lo fa sobbalzare e tornare alla realtà. Mette faticosamente a fuoco il viso della donna che attende, curiosa e paziente, una spiegazione per il suo strano comportamento.
“Ti ricordi Prospero l’Incantatore? Quell’uomo che si esibisce nel mio teatro tre volte la settimana?”
La signora Berker aggrotta la fronte, rimanendo un momento sovrappensiero, prima di rispondere affermativamente con un cenno del capo ed invitarlo a continuare.
“Ha una figlia,” la informa lui, conciso.
“Ah, bene…” risponde, leggermente interrogativa.
“No, ha una figlia da questo pomeriggio,” specifica l’uomo, intuendo l’incomprensione.
“Caro, vuoi dire che gli è nata una bambina?”
“No, voglio dire che, appena qualche ora fa, un avvocato si è presentato a teatro portando questa bambina di cinque anni ed una lettera indirizzata a Prospero. E non ce ne sarebbe neanche stato bisogno: quella creatura ha i suoi occhi e anche, io credo, la sua determinazione. Ho solo paura che abbia ereditato pure il suo dono.” Il signor Berker chiude gli occhi ed emette un profondo sospiro, allontanando appena, svogliato, il piatto ancora pieno: quella sera non ha fame. Guarda sua moglie e, con somma meraviglia, la vede preoccupata.
“Una bambina di cinque anni, hai detto? Sei sicuro che quell’uomo saprà prendersi cura di una bambina così piccola?” chiede accorata.
L’uomo sorride all’ingenuità della moglie: “Se vuoi saperlo, cara, non sono affatto sicuro che ne sia in grado,” risponde cauto, “ma, d’altra parte, non vedo come la questione possa interessarci,” conclude alzandosi da tavola. “Sono molto stanco, credo che questa sera mi ritirerò presto.”
“Aspetta!” È già sulla porta quando sua moglie lo richiama, “come hai detto che si chiama la bambina?” chiede con lo stesso tono usato precedentemente: quella lieve inflessione della voce che rivela un sentimento materno mai soddisfatto pienamente.
“Non ne ho idea: la bambina è rimasta in silenzio per tutto il tempo che ha passato con me e quando è arrivato Prospero ho giudicato opportuno lasciarli soli,” le risponde con un’alzata di spalle, chiudendo definitivamente la discussione.
 
***
Quando, il giorno successivo, il direttore esce dal suo ufficio per recarsi a pranzo, sicuramente non immagina di trovarsi davanti proprio sua moglie, che gli viene incontro sorridendo. Un’espressione meravigliata attraversa per un momento il suo volto, prima che lui capisca perché lei è lì.
“Ho pensato che avresti gradito il pranzo,” si giustifica, mettendogli in mano una zuppiera assai ingombrante e ancora calda.
Lui sorride e accetta l’offerta: sa perché è venuta e non è per portargli il pranzo.
“Sono sul palco,” risponde alla tacita domanda della donna, “Prospero ama lavorare negli orari più impensati e meno… frequentati. Forse è meglio che aspetti la fine di questa prima importantissima lezione per precipitarti a conoscere la bambina,” aggiunge cauto, sicuro che la moglie non terrà in alcun conto i suoi consigli.
La signora Berker, infatti, non appena vede suo marito entrare in ufficio e chiudersi la porta alle spalle sgattaiola dietro le quinte, da dove può osservare, senza essere vista, la prima importantissima lezione.
La bambina è in piedi, quasi addossata alla scenografia e le da le spalle mentre osserva, con aria annoiata, Prospero l’Incantatore che, proprio sul bordo del palco, di spalle al pubblico, si esibisce solo per lei in una serie di magie strabilianti.
“Vedi Miranda? Non c’è trucco, è solo illusione,” spiega mentre sprigiona dal palmo della mano un’infinità di colombe che volano via, fino a perdersi nella vastità del teatro.
La signora Berker trattiene il fiato, domandandosi intensamente come abbia fatto e ricordando le parole del marito a proposito del dono che possiede Prospero. La bambina, al contrario, non rimane affatto impressionata o almeno non lo dimostra quanto dovrebbe. Dal suo punto di osservazione, la donna può vedere solo parzialmente il viso della piccina ma resta ugualmente meravigliata dal forte autocontrollo che questa sembra possedere. Rimane indifferente a qualsiasi incanto produca il padre che, d’altra parte, non pare affatto scoraggiato e continua a creare meraviglie crescenti.
“Sai com’è possibile tutto ciò?” domanda ancora avvicinandosi alla figlia, che se ne sta muta e ferma al suo posto, “sai come possiamo riuscirci? È perché siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni,[1]” conclude quasi sussurrando, prima di afferrare dolcemente una mano della bambina e… dissolversi nel nulla.
La signora Berker trattiene il fiato, meravigliata e anche spaventata da tanta magia, iniziando a chiedersi che tipo di persona sia quest’uomo e temendo di poter venire scoperta quando, pochi secondi dopo, Prospero l’Incantatore ricompare all’altra estremità del palco.
Assurdamente, anche a quest’ultimo, emozionante numero, la bambina sembra rimanere indifferente.
“Bene, Miranda, per oggi la lezione è finita. Come hai potuto osservare, le possibilità della magia sono pressoché infinite e sono sicuro che non ci metteremo molto a trovare la tua strada, non è vero?” chiede ottenendo come risposta soltanto altra indifferenza.
La signora Berker si allontana in fretta dal suo luogo di osservazione, giusto un momento prima che Prospero e Celia abbandonino il palco dalla stessa uscita.
La donna è ancora frastornata da ciò che ha visto e udito. Le tornano in mente le parole ascoltate la sera prima dal marito, ho solo paura che abbia ereditato anche il suo dono, e nuovi dubbi la pervadono: possibile che questa figura singolare che ogni sera riesce a riempire il teatro, questo Prospero Incantatore, sia davvero un mago? Possibile che lo sia anche sua figlia? La donna scuote la testa divertita: senza dubbio dev’essersi fatta suggestionare dall’atmosfera del teatro e quelli che ha osservato non sono che innocui giochi di prestigio che Prospero metteva in scena per impressionare la bambina.
 
“Cosa vuoi che ti risponda?” Prospero si appoggia allo schienale della sedia, aspirando lentamente il sigaro che ha appena acceso, “la sventura ti può dare le compagnie di letto più impensate![2]
Il direttore del teatro, di fronte a lui, si è già pentito di avergli chiesto informazioni sulla figlia e se ne sta, seduto dall’altro lato della scrivania, tutto teso ed agitato. Si domanda dove sia finita sua moglie, se abbia già avuto occasione di parlare con la bambina – Miranda, l’ha sentita chiamare dal padre – e se si sia già accorta delle sue… stranezze.
“Sì, lo immagino,” annuisce vigorosamente, fingendo di comprendere un discorso che in realtà non condivide affatto, “e, le chiedo scusa se paio troppo invadente, sa cosa può aver spinto la madre della bambina a…?” chiede esitante.
Prospero allarga le braccia e sorride largamente: “Non ne ho idea,” risponde tirando un’altra boccata al suo sigaro.
Quell’uomo, riflette il direttore, ha la capacità di essere crudele e affascinante, cinico e ammaliatore nello stesso momento. Un brivido gli percorre la schiena: non vuole saperne di più su quella storia, dopotutto non sono affatto affari suoi e quella sera – o anche prima se riesce – intimerà a sua moglie di fare lo stesso.
Proprio in quel momento, quasi richiamata dal pensiero, la signora Berker bussa all’ufficio – egli riesce a vederla dalla porta a vetri – e, invitata ad entrare, varca la soglia a testa china, borbottando qualcosa sulla zuppiera che deve riprendere prima di tornare a casa e chiedendogli confusamente se ha gradito il pranzo.
“Era tutto molto buono,” risponde sorridendo dolcemente e porgendole il tegame. La donna lo prende in fretta ed esce senza neanche salutare l’ospite: non è sua abitudine comportarsi a quel modo, riflette John, probabilmente ha visto qualcosa, di quella prima lezione che Prospero ha impartito a sua figlia, che l’ha sconvolta a tal punto da farle dimenticare anche le buone maniere.
 
La signora Berker esce dalla stanza in fretta, fissando ciò che ha tra le mani: non si aspettava di trovare quell’uomo nell’ufficio di suo marito e l’incontro l’ha ulteriormente destabilizzata. Dà l’idea di una persona ambigua, un po’ subdola, sicuramente manipolatrice: qualcuno capace di mettere a disagio con il solo sguardo. Quasi non si accorge della bambina seduta sul pavimento, fuori dall’ufficio, evidentemente in attesa del padre e si ferma proprio un attimo prima di inciampare su di lei. Quando mette a fuoco l’ostacolo, sorride maternamente.
Le si accoccola vicino, posando la zuppiera per terra e cerca un contatto visivo. La bambina le punta addosso due occhi scuri e profondi, colmi di tutte le emozioni del mondo eppure incredibilmente distanti.
“Tu devi essere Miranda, giusto? Piacere, io sono Margaret, la moglie del direttore del teatro…” si presenta dolcemente, non osando farle una carezza.
“…eia” risponde borbottando la bambina, continuando a guardarla negli occhi.
“Come?”
“Mi chiamo Celia,” ripete, questa volta scandendo bene le sillabe.
Margaret rimane un attimo meravigliata, aggrotta la fronte, cercando una spiegazione pur senza osar domandare ma la bambina la precede: “Prospero mi chiama Miranda, anche se non so perché. Ma io mi chiamo Celia.”
“È un bel nome Celia. È un personaggio di un’opera di Shakespeare…” mormora sovrappensiero la donna.
Celia la guarda seria, una scintilla di incomprensione e curiosità le brilla negli occhi.
“Oh, devi perdonarmi, sono abbastanza sicura che tu non conosca Shakespeare, non è vero?” chiede allora Margaret, ricevendo un cenno d’assenso.
“Era uno scrittore. È vissuto tanto, tanto tempo fa, ha scritto delle storie bellissime. Sai chi sono gli scrittori?”
La bambina annuisce nuovamente, ed è quasi un sorriso quello che le si ferma per un momento sul volto.
“Sono persone che creano dei mondi fantastici per quando uno non ha voglia di rimanere nel proprio,” risponde un momento dopo e la signora Berker rimane sinceramente colpita da un tale pensiero in una bambina di soli cinque anni.
“Sì, esatto, hai proprio ragione! Io quando…”
Non riesce a finire la frase perché la porta dell’ufficio si spalanca e ne esce Prospero, in tutta la sua maestosità. Margaret si alza di scatto, leggermente imbarazzata per essersi fatta vedere da un estraneo seduta sul pavimento e nel farlo lascia cadere, accidentalmente, la zuppiera che aveva tra le mani.
 Accade tutto in un momento: la porcellana tocca terra violentemente e va in frantumi, mille pezzettini taglienti stanno per spargersi lungo il corridoio quando, all’improvviso, non sono più mille pezzi ma solo la sua zuppiera, intera, sul pavimento. La signora Berker si stropiccia gli occhi: dev’essere la mancanza di sonno e la suggestione del luogo a procurarle simili visioni ma come… si china di nuovo per riprendere il tegame ed i suoi occhi incontrano, per un momento, quelli sorridenti e furbi di Celia.
“Grazie,” mormora sottovoce la donna prima di rialzarsi, salutare con un cenno del capo l’Incantatore ed andar via.
 
***
L’inverno lascia pigramente il posto alla primavera e, prima che qualcuno possa rendersene conto, anche a New York arriva l’estate: fa caldo in città ed i pedoni sudano sotto il sole cocente e cercano l’ombra come se fossero nel deserto.
Anche al teatro fa molto caldo. Il direttore è senza giacca e a tutti gli impiegati è stato concesso un abbigliamento meno formale per via della calura eccessiva. Soltanto Prospero sembra non soffrire per la temperatura ed è, anche quel giorno, vestito con il suo impeccabile completo bianco e nero.
Tutto è già pronto per la sua partenza, sebbene motivazioni e destinazione del viaggio siano rimaste ignote. John Berker è sulla porta del teatro quando Prospero sale in carrozza tenendo per mano sua figlia e sa molto bene che quella è l’ultima volta che li vedrà. Sebbene quell’uomo sia stato per molto tempo una delle attrazioni principali del suo teatro, non è affatto dispiaciuto che vada via; si è sempre sentito in soggezione e a disagio in sua presenza e l’idea di non dover più affrontare il suo sguardo gli da una sensazione di sollievo colpevole ogni volta che ci pensa.
È invece assai rattristato per la partenza di Celia che, in quei pochi mesi di permanenza, è stata capace di far breccia non solo nel suo cuore ma soprattutto in quello di sua moglie. La signora Berker, infatti, da quel freddo giorno di febbraio in cui l’ha incontrata per la prima volta, è andata a trovarla quasi ogni giorno, portandole spesso un piccolo regalo o qualche leccornia preparata in casa e viziandola come la figlia che non ha mai avuto. Lo sguardo del direttore cade sulla bambina affacciata alla carrozza: l’espressione sul suo viso è vuota ed ostile ed è facile indovinare come neanche lei sia felice di lasciare il teatro, ora che aveva quasi imparato a chiamarlo casa.
La signora Berker non è presente: non ce l’ha fatta a sopportare una pena così grande ed ha salutato la bambina la sera prima; l’uomo non sa cosa si siano dette ma dopo il loro breve colloquio sua moglie era assai commossa.
Prospero ha già dato l’ordine al cocchiere di partire quando Celia ha un sussulto, borbotta qualcosa verso il padre e scende dalla carrozza in fretta, rientrando dentro il teatro. Cinque minuti dopo ne esce tenendo stretta al petto una copia di “As you like it”.
“Grazie,” mormora sommessamente passandogli accanto per risalire in carrozza e John capisce subito che quello è stato l’ultimo regalo di sua moglie per quella bambina tanto speciale: un’opera tanto eterea quanto l’atmosfera sognante che Celia ha il potere di evocare intorno a sé.
___


 
[1] La Tempesta – W. Shakespeare
[2] La Tempesta – W. Shakespeare
  
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