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Autore: putoffia    03/02/2012    3 recensioni
Blaine Anderson, l'unico ragazzo che lo avesse mai respinto. Era umiliante e beh, Sebastian si sentiva di gran lunga migliore di quel tizio dai vestiti bizzarri e spesso di cattivo gusto.
Nonostante tutto, la verità era solo una.
Preferiva quella checca a lui, semplice.
Doveva solo accettarlo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe, Warblers/Usignoli
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vederlo lì a terra lo spaventò terribilmente.
Non avrebbe mai voluto fargli così male.
Sì, aveva fatto lo stronzo, ma addirittura ferirgli un occhio.
Cos'era diventato?
Era sempre stato scontroso e pungente, ma non aveva mai fatto del male a nessuno. Male fisico, ovvio.
Ma in questo caso, era diverso.
Blaine Anderson, l'unico ragazzo che lo avesse mai respinto. Era umiliante e beh, Sebastian si sentiva di gran lunga migliore di quel tizio dai vestiti bizzarri e spesso di cattivo gusto.
Nonostante tutto, la verità era solo una.
Preferiva quella checca a lui, semplice.
Doveva solo accettarlo.
Si fermò di fronte allo specchio e si guardò.
Cominciò a notare dei difetti che prima non aveva mai notato, e si sentì smarrito.
No, lui era perfetto, sexy ed irresistibile.
Ma...
Non aveva possibilità con Blaine. E avergli tirato quella granita di certo non aiutava.
"Non c'è bisogno che lo venga a sapere" disse quel giorno alla Dalton.
Dio, avrebbe accettato di essere la ruota di scorta pur di possederlo. Lo osservava ogni singolo istante: quelle spalle, quelle braccia, quello sguardo, quel culo perfetto...
Erano troppo da sopportare nella stessa persona.
Tutt’a un tratto si ricompose quando percepì che il suo cervello era ad un passo dal mettere in scena film porno con loro due protagonisti.
Ogni istante del giorno e della notte pensava a come avrebbe voluto fare sesso selvaggio con lui, fargli capire che c'era della passione da parte sua e che era ricambiata, nonostante non lo volesse ammettere.
Sebastian era il sogno di chiunque, qualsiasi ragazzo (e anche ragazza, ma non gli interessava), eppure non di Blaine.
Almeno, da quanto diceva lui. Ma un briciolo di supponenza e presunzione che erano rimasti residui in lui lo portarono ad attribuire questo rifiuto non come un "no, mi fai schifo", ma come un "no, purtroppo vorrei sbatterti e farmi sbattere ma sto con una persona che dico di amare e se la tradisco non dormo la notte".
Sentiva che c'era qualcos'altro. Non si trattava solo di una sana scopata, desiderava la possibilità di fissarlo a ore senza essere considerato un maniaco sessuale, toccarlo quando voleva, farlo gemere di piacere ogni volta che lo sfiorava.
E sì, sarebbe stato così, se non ci fosse stata quella pseudo femminuccia del suo ragazzo a rompere. E i suoi fottuti sensi di colpa.
Respirò profondamente e ricordò a se stesso che Sebastian Smythe faceva soffrire, non soffriva.
E anche in quell'occasione, sarebbe stato così.
Purtroppo, quell'immagine di Blaine a terra contorto e il silenzio rotto dai suoi lamenti era stato qualcosa di incredibilmente doloroso.
Come se quei frammenti di sale si fossero conficcati nel suo cuore.
Ma non aveva la forza, né il coraggio di chiedere scusa e di aiutarlo. Troppo difficile ammettere le proprie colpe.
Era molto più facile fuggire, appoggiato da una mandria di pecore senza un briciolo di autosufficienza e carisma che annuivano e assecondavano ogni sua decisione.
E si era maledetto per tutto ciò.
Perché gli aveva fatto del male?
Perché l'aveva ulteriormente allontanato?
Come se già quelle conversazioni sporadiche tra loro fossero chissà quali magnifici dialoghi.
Non riusciva ad ingoiare quel boccone amaro.
Non lo desiderava.
O meglio, lo desiderava meno del suo ragazzo che aveva evidentemente qualità a lui sconosciute, oltre a quella di sembrare una donna inghiottita e vomitata da un armadio pieno di vestiti osceni.
Era la prima volta nella sua vita che pensava così a lungo allo stesso ragazzo. Cosa gli stava succedendo?
Aveva un’unica certezza in quel momento: era stato proprio un gran bastardo, e gli avrebbe dovuto delle scuse.
Ma non implorava perdono, non l'aveva mai fatto. E doveva farlo per Blaine?
Dopo un attimo di incertezza, pensò che per riconquistare almeno la possibilità di parlarci o di salutarlo doveva fare quel piccolo ma pesante sacrificio di chiedere scusa per ciò che aveva fatto.
Sì, ma come?
Di sicuro il suo ragazzo gli sarebbe stato appiccicato ogni secondo.
E a Sebastian non andava bene.
Lo voleva per sé. Solo per sé, cazzo.
Si sdraiò e fissò il soffitto, in cerca di soluzioni.
Pensò al loro primo incontro.
Quel giorno, mentre provavano “Uptown Girl”, lo individuò, appoggiato allo stipite della porta.
Lo squadrò dalla testa ai piedi, ammiccò, lo guardò intensamente e l’altro ricambiò imbarazzato.
Se solo avesse ammesso che c’era dell’attrazione tra loro due…
E come se non bastasse, quella tizia del McKinley, lo aveva sfidato.
Nessuno osava sfidarlo, era uno smacco insopportabile.
Però forse, pensò, era il prezzo da pagare per ciò che aveva fatto.
Ma la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e crollare tutte le sue certezze, era stato il comportamento dei suoi compagni. Loro che lo avevano appoggiato come pecore, senza capire cosa ci fosse dietro il suo gesto, a causa di una stupida canzone all’improvviso gli puntavano il dito contro.
Era troppo incazzato, con tutti, specie con se stesso.
Sbuffò e cominciò a giocherellare con l’iPhone.
Quei pensieri lo stavano uccidendo: Blaine, la granita, la tizia, i Warblers.
Chiuse gli occhi, sperando di svegliarsi e vedere tutti i suoi problemi risolti.
 
***
 
Era sempre stato un suo difetto, quello di non affrontare le proprie colpe come un uomo. Preferiva fuggire, sia fisicamente che psicologicamente.
Nascondeva tutto ciò che di umano ci potesse essere in lui con quell’odioso atteggiamento.
Se ne rendeva conto anche lui, ma ormai era parte del suo modo di essere.
Ci aveva fatto l’abitudine, non lo sentiva neanche più come un obbligo per difendersi, gli veniva naturale.
Ma non era mai arrivato a ferire qualcuno a tal punto da danneggiargli, forse irreparabilmente, la cornea.
Aveva esagerato.
Lo riconosceva, ma lo riconosceva a quella parte di se stesso che era ancora il vecchio Sebastian.
L’altra parte, quella nuova, quella che mostrava a tutti, non lo accettava.
Dio, era solo uno stupido scherzo, quante scene per una granita.
Però…
Però c’era del sale, voleva fargli del male.
Si chiese perché avesse fatto una stronzata del genere.
Il lato di sé che mostrava a tutti lo aveva catturato, e aveva condizionato le sue azioni.
Tirare una granita al ragazzo verso cui si prova interesse, con l’apposito intento di fargli del male, non è in effetti la cosa più furba da fare. Eppure, il suo corpo, evidentemente disconnesso dal cervello, lo aveva fatto.
Era come se fossero divisi, indipendenti, come se non comunicassero.
Non aveva assolutamente senso.
Tutto ciò che aveva fatto era vigliacco, stupido ed infantile.
E lui non era niente di tutto ciò, lo sentiva, in una remota parte di sé.
Il cuore cominciò a battere freneticamente nel petto, e si sentì smarrito, ancor più di prima.
Forse avrebbe dovuto fare ciò che cercava di rimandare da fin troppo tempo.
Sì, sarebbe andato da lui, ovunque si fosse trovato, avrebbe chiesto a quella che… al suo ragazzo di lasciarli un attimo soli, e gli avrebbe chiesto scusa.
L’avrebbe fatto in quel preciso istante, ma…
Ma le gambe non si muovevano, niente di sé accennava a mettere in atto una sola delle sue intenzioni. Si sentì quasi impotente, e la cosa lo inquietò alquanto.
Con uno scatto rapido, si diede uno slancio e si alzò, per poi vestirsi, mettersi la giacca ed andare a casa di quel ragazzo che lo aveva portato a mettere in discussione se stesso.
L’unico che ci fosse mai riuscito.
Senza fare niente.
   
 
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