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Autore: Lady Antares Degona Lienan    04/02/2012    4 recensioni
Un mese. È stato, senza la necessità di iperbole alcuna, un mese terribile. Dai risvolti psicologici impronunciabili e un malessere condiviso che si agitava per tutta la casa.
Un mese. Poi il cellulare suona.
[Spoiler 2x03]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il suo cellulare squilla improvvisamente dopo un mese dal funerale. Non è passato un giorno di più – come potrebbe dimenticarsi quella data? – ed è certo che anche l’ora coincida con quella della funzione. È certo, e tuttavia decide di non illudersi. Abbandona il cellulare senza nemmeno aprire il messaggio e decide di uscire per una passeggiata. Se c’è qualcuno che può aspettare, in quel momento, è Sherlock Holmes.

John Watson ha atteso un mese. John Watson decide che un’ora in più non può far male. Si dice che non c’è alcun tipo di risentimento dietro questa sua decisione. Piuttosto che camminare, tuttavia, pare calpestare il suolo con odio.

 

*

 

Un mese. È stato, senza la necessità di iperbole alcuna, un mese terribile. Dai risvolti psicologici impronunciabili e un malessere condiviso che si agitava per tutta la casa. Lestrade è venuto a visitare l’appartamento molte più volte di quante fosse necessario, ma è un modo come un altro per fargli sapere che c’è. Che anche lui si sente in colpa. Che avrebbe dovuto fare qualcosa in più. John lo capisce dal modo in cui gli stringe dolorosamente la spalla ogni mattina in cui il suo errare lo porta in Baker Street. Un errare casuale, dice ogni volta: è come se il suo cervello rifiuti ancora la realtà. Sherlock Holmes è morto.

Prova a dirglielo, un paio di volte, stringendo in mano il giornale che Lestrade l’ha sorpreso a leggere. << Sherlock è morto, ispettore >>, dice. << Non stava né a me né a lei decidere della sua vita >>, ribadisce. << A nessuno di noi due >>. La verità è che non ci crede nemmeno lui.

Quando Sherlock quel giorno gli ha detto di fermarsi lui si è fermato, permeato da una fede in Sherlock che nemmeno sospettava di avere: mille volte più forte di quella che sospettava gli si arricciasse nel petto ogni volta che l’altro lo mandava a svolgere qualche commissione folle o improbabile nei bassifondi della città. Ha risposto << Certo, sì, va bene >> una volta di più. Questo pensa John Watson.

Lestrade è convinto d’averlo ammazzato lui con le sue stesse mani. John lo vede benissimo, perché è un dottore e sa riconoscere la sofferenza del corpo su cui si riflette quella dell’anima. La sua psicanalista glielo dice ogni volta, tra una seduta e l’altra, in tono quasi confidenziale (come se stesse parlando a un collega): << Lei, John, capisce benissimo quale torto il suo animo stia facendo a se stesso. La smetta. La prego. Sherlock Holmes è morto >>. John guarda gli occhi della donna che gli sta di fronte e non può fare a meno di rivedersi in lei. << Lestrade, Sherlock Holmes è morto >>. Ovviamente sa di avere la stessa espressione distrutta e incredula dell’ispettore. È un circolo vizioso di cui non riesce a liberarsi.

Riesce ad ammetterlo a se stesso con una certa facilità, certo. Gli pare quasi che la sua mente sia scollegata dal suo corpo. Non sente più il dolore. Non mangia. Al contrario, è perennemente conscio del ritmo del suo respiro. E poi, Sherlock Holmes è morto. Il respiro non si ferma, non varia, non accelera – come se il pensiero non fosse stato registrato. Non fa niente. Non importa.

Ogni volta saluta la dottoressa con un cenno del capo e, ogni volta, lei lo ricambia con uno sguardo preoccupato. Non riesce nemmeno a dispiacersi troppo.

 

*

 

Il conto della psicanalista viene direttamente reindirizzato sul conto di Sherlock Holmes (di cui è co-intestatario): questo almeno Sherlock glielo deve.

Gli deve anche un ritorno dai morti. E un sorriso.

John si accontenta con quello che ha. Non è molto, ma da qualche parte bisognerà pur ricominciare.

 

*

 

La verità è che gli si spezza il cuore al pensiero del suo cellulare miseramente abbandonato tra i cuscini della sua poltrona preferita; è vero anche, d’altronde, che se dovesse prenderlo in mano in questo esatto momento finirebbe per distruggerlo con la propria feroce stretta.

Quando torna a casa ci sono cinque nuovi messaggi e un ammiccante squillo che lo riporta nel mondo della realtà. Sherlock non ha mai fatto squilli – Sherlock ha sempre e solo usato messaggi. Diretti e difficilmente fraintendibili.

<< Andiamo John >>, dice ad alta voce. << Chi vuoi prendere in giro? Lo sanno tutti che Sherlock Holmes è morto>>.

Il cellulare squilla di nuovo e questa volta si costringe a prenderlo in mano. Apre il messaggio.

Falso

 << Che ->> si guarda attorno. Riguarda il messaggio. Il mittente è sconosciuto, privato. Fa un giro intorno a se stesso, l’occhio vigile. Alle finestre nessuno lo sta osservando. Mrs Hudson è fuori di casa da più di due ore, ed è certo che non sia ancora rientrata. Nella casa non c’è nessuno. Nessuno. Nemmeno Sherlock Holmes. Il cellulare squilla di nuovo.

Vero

John fa un verso pietoso. << Oh, ma non è possibile!, l’ho solo pensato >>.

Falso

E poi:

La mano sinistra

John la alza. La mano traditrice. È naturalmente distesa, il dito indice arricciato sul palmo attorno al pollice. Le altre tre dita sono leggermente arcuate. John Watson si accorge che il ritmo del suo respiro è cambiato. Non osare dire niente ad alta voce, non osare nemmeno pensare a una simile amenità, riflette. Il suo cervello lavora alacremente, ma ancora una volta è completamente scollegato al corpo sottostante.

<< Sherlock… ? >>, sussurra. Il fiato gli si attorciglia a metà gola e quello che gli esce è più un miagolio che una domanda.

Vero

Quelle quattro lettere gli sbattono direttamente in faccia, e John Watson per la prima volta dopo un mese barcolla davvero. È sopravvissuto alla sua morte, ma a questa sua seconda vita pare non riuscire a dare spazio. Ricorda di aver barcollato ugualmente una notte, mesi prima, quando Sherlock gli aveva tolto quella giacca piena di esplosivo dalle spalle e l’aveva buttata in fondo alla corsia della piscina (anche in quel momento aveva notato lo splendore delle sue mani).

<< Ho pagato la mia psicanalista con il tuo conto >>, dice infine. Non è un granché, se ne rende conto, ma è qualcosa. Vorrebbe chiedergli: come puoi essere vivo quando ho visto il tuo corpo in una bara e su un marciapiede?, ma improvvisamente si ricorda che anche Irene Adler era morta su un tavolo di uno degli obitori di Londra. A volte sospetta persino che non sia nemmeno morta a causa di un gruppo di estremisti.

Certe persone – e questo John Watson lo sa, lo ha sempre saputo, perché in guerra lui ci è stato per davvero – sono destinate a sopravvivere a tutto, tranne che a se stesse. Era logico pensare che Sherlock Holmes sarebbe stato parte del gruppo.

<< Devo chiamare la signora Hudson!, deve saperlo ->>

Mantenere il segreto. Nessuno deve sapere.

Poco male. Forse potrebbe semplicemente dirlo alla sua psicanalista.

In caso contrario riferirò a Mrs. Johnsson che un paio di notti l’hai sognata.

<< Che? Ma questo è ridicolo!, da quanto tempo sai cosa succede qui, Sherlock? >>

Trenta giorni. A dopo.

Il silenzio lo avvolge in un istante gelido. << E non hai mai pensato di contattarmi? Quanto avrei dovuto aspettare? >>, urla.

<< Sherlock? >>

Il cellulare rimane immobile, imperturbato. Non gli risponde nessuno.

<< SHERLOCK! >>

 

*

 

La sera stessa il cellulare vibra di nuovo e John non sa che fare. Vorrebbe disperatamente rispondere, afferrare il congegno e stringerselo al petto: d’altra parte sa che Sherlock ha messo telecamere in tutta la casa e l’intera cosa lo mette vagamente in imbarazzo. È arrabbiato, anche. Niente potrebbe impedirgli di provare un nodo in fondo allo stomaco. Sapere di essere stato abbandonato per trenta giorni a se stesso e alla sua malinconia lo rende terribilmente irritabile. E lo delude. Lui e Sherlock si sono sempre detti tutto – in certi momenti ha anche pensato che ci fosse qualcosa di più – ma questo non l’ha risparmiato dalla pena di trenta giorni nell’oblio più terribile. Stringe i denti. Ha persino supplicato davanti alla sua tomba a un passo dalle lacrime. Il cellulare vibra ancora. Ha tolto la suoneria perché non ne può sopportare il suono.

1 095 giorni

26 280 ore

1 576 800 minuti

94 608 000 secondi

Non eri al sicuro. Devo compiere la mia vendetta.

<< E adesso invece? >>

L’uomo che doveva ucciderti è stato colpito otto ore fa. 45 Brook Street. Ritrovato ora. Guarda il corpo.

La piega delle sue sopracciglia sta inevitabilmente per toccare il bordo dell’attaccatura dei capelli. John Watson non sta capendo niente di quello che il suo amico gli sta dicendo. D’altra parte, non è una novità, e il profumo della quotidianità lo avvolge come una coperta confortante. E poi, la comprensione.

<< L’uomo che doveva uccidermi? >>

<< Sherlock? >>

<< Sherlock? >>

Si alza dal letto. Deve parlare con Lestrade.

Non necessario.

<< Oh! >>, commenta acidamente. << E’ stata di nuovo la mia mano sinistra? >>

Destra.

John inveisce. Immagina che in ogni caso troverà Lestrade sulla scena del crimine. Questa volta il cellulare non vibra e John annuisce soddisfatto.

 

*

 

Lestrade non è sorpreso di vederlo e questo, in qualche modo, lo incuriosisce. << Ispettore >>, lo saluta con un cenno del capo. Lestrade gli posa gentilmente lo sguardo sul viso e annuisce. << Sei sicuro che vada bene, John? Sai, per il trauma. >>

Gli vorrebbe chiedere che trauma, capire di cosa sta parlando, perché sono passate sette ore e gli pare che l’intero mondo abbia cambiato colore. Una vibrazione ben nota gli muove la tasca e John decide di annuire appena. Un concedere sommesso. Anche Lestrade mugola un assenso, ancora congelato in una realtà fittizia in cui Sherlock ha deciso di avvolgerli entrambe. John vorrebbe solo guardarlo negli occhi e dirgli che è tutto a posto, che non è stato lui a uccidere Sherlock, perché Sherlock non è morto. E’ vivo. Più vivo dei vivi. Sicuramente più irritante.

Il cellulare vibra ancora.

Tossisce. << Cosa abbiamo qui? >>

L’ispettore gli porge un paio di guanti in lattice. << Vittima sconosciuta, diciamo intorno ai trenta. Trentacinque forse. Capelli scuri, viso sfigurato. Nessun documento – ovviamente. Pugnalato. A prima vista, direi da un principiante. C’è molto sangue e le ferite sono poco profonde. Non credo che volessero ucciderlo. >>

John annuisce lentamente scrutando il corpo. Pare che Lestrade abbia ragione, dopo tutto. Un omicida preciso avrebbe reciso la giugulare o sarebbe andato diretto verso il cuore. John pensa che quest’uomo è stato mandato da qualcuno per ucciderlo, e non riesce a togliersi dalla testa il suo sguardo smarrito – come se la morte l’avesse colto all’improvviso, a sorpresa.

È tutto troppo casuale, troppo perfetto, troppo giusto.

<< Credo che tu abbia ragione. >>, dice chinandosi sul corpo. Esamina tutto con accurata perizia, lasciando che gli occhi scivolino sul corpo per cogliere qualche dettaglio stonato. Non sente nulla, non vede nulla, ma è come se qualcuno gli stesse sussurrando dritto nell’orecchio. Sa che è Sherlock.

Si fa consegnare un piccolo righello per documentare le prove e lo infila brevemente nella ferita appena sopra la clavicola. È profonda. Pare l’unica. Il righello punta praticamente in direzione del mento della vittima. John si irrigidisce appena e scuote la testa. << Lestrade! >>, chiama, << Questa ferita è praticamente verticale >> dice. << Quanto è alto quest’uomo? >>

<< Circa un metro e novanta. >>

John lo guarda. L’ispettore sussulta. << Ah. >> dice. << D’accordo. >>

John non aspetta che qualcuno lo congedi: semplicemente si toglie i guanti sporchi di sangue ormai scuro e li butta nel cassonetto più vicino. Poi impugna il cellulare. I due messaggi non letti sono lì che lo attendono, bramosi. Lui li ignora in favore della risposta che ha bisogno di mandare, immediatamente.

Golem. Irene?

Attende per un attimo. Non ottiene risposta, quindi si costringe a tornare a casa.

 

*

Il cellulare vibra sul comodino.

Sono le quattro del mattino e John non riesce a liberarsi del sonno mentre lo afferra. Gli scivola per terra. << Oh, merda >>, esclama. Quando lo afferra apre il messaggio e ride.

Non essere volgare

<< Ovviamente sapevi >>

45 Brook Street

<< Ci sono già stato. Ti ho anche mandato un messaggio. >>

45 Brook Street

Dieci minuti dopo, John chiude la porta di casa dietro di sé e attende il taxi che ha precedentemente chiamato. Vorrebbe sentirsi annoiato, svogliato: la verità è che un brivido gli ha preso la spina dorsale, e ancora quella scuote.

 

*


La via è libera, il cadavere rimosso. Non è rimasta quasi nessuna traccia a esclusione di un paio di fazzoletti usati e delle impronte nel fango londinese. La morte non lascia segno del proprio passaggio. Il cellulare trema.

45 Brook Street

<< Ci sono già, al 45 di Brook Street. Sono esattamente dove è stato ucciso il cadavere. O dove è morto. Nello stesso identico punto. >>

Di nuovo. Vibrazione.

45 Brook Street

<< SONO AL 45 DI BROOK STREET! >>, strepita. L’urlo pare non impressionare nessuno a eccezione di un paio di gatti che riposano quietamente dietro al cassonetto dell’immondizia. Miagolano. John si volta per osservarli e scuote la testa. Quando si gira nuovamente, il numero 45 lo coglie di sorpresa. << Oh! >>, esclama. << Vuoi che entri? >>

45 Brook Street

<< Sul serio. >>

Il cancelletto cede senza alcuno sforzo, ma la porta è chiusa. John individua un piccolo set di numeri appena sotto la maniglia. Ci sono quattro slot disponibili. Quattro numeri.

<< Quarantacinque? >>, si chiede? << Due volte? >>

Scrive 4545 ma la porta rimane inesorabilmente chiusa.

Il cellulare. Di nuovo.

Attesa

<< Lo so che aspetti, che credi? Maledetto Sherlock. >>

5454. Ancora chiusa.

Attesa

<< Okay. Okay. Attesa. Ma cosa vuol dire? Devo traslitterare?, no, sono sei lettere. Le prime quattro?, le ultime? No. L’attesa. L’atte- Oh. >>

1095, e la serratura scatta.

È facile capire il resto, e John inserisce i numeri serratura dopo serratura. 26 280, 1 576 800 e 94 608 000. L’ultima combinazione apre una cassaforte in mezzo ad una stanza vuota. John conta e stima un milione di sterline.

Sopra c’è un biglietto.

“Per le stupende sedute con la dottoressa.

Con affetto,

Irene”

D’altra parte, John ha smesso di stupirsi tempo addietro.

 

*

 

La mail arriva e spiega chiaramente cos’è successo. I soldi erano per l’uomo che doveva ucciderlo, ma erano rimasti bloccati dalla morte di Moriarty; così quello aveva deciso di impadronirsene comunque, nonostante non avesse effettuato ciò che gli era stato richiesto (su questa parte ancora non capisce, perché qualcuno l’avrebbe voluto morto?). Irene Adler è stata così gentile da provvedere affinché l’uomo non arrivasse ai soldi prima di lui. Sherlock aveva impiegato poco tempo a capire, e l’aveva mandato a recuperare il denaro.

<< Irene Adler mi consiglia di usarle per la psicanalista. E chi sono io per contraddirla? >>, borbotta John.

Sul mio conto

<< Sì, sì, certo. >>

John si sistema sulla poltrona e chiude appena gli occhi. Si umetta le labbra. << Sherlock…? >>

Il cellulare non vibra, e John decide comunque di tentare. << Quei numeri… le combinazioni. Erano solo combinazioni, giusto? >>

Quando il cellulare trema contro la sua mano John si lascia sfuggire un gemito.

Poi sarei tornato da te.

 









Avete vomitato cuori? Era ciò che dovevate fare. Se vi siete attenuti alle direttive, bravi!, altrimenti, leggetela ancora. Poi vomitate cuori.

Una sfida con la Sis, a cui dedico la storia perchè sì non ti lamentare. Partecipa inoltre al Cowt su Maridichallenge. Seconda settimana lads.

Questi i termini:

 

Frase:  1 095 days. 26 280 hours. 1 576 800 minutes. 94 608 000 seconds.
Fandom: Sherlock BBC
Avvertimenti: almeno una hint pre-slash e una het e vago splatter
Obblighi: Sherlock e John non si incontrano mai, ma possono agire indirettamente l’uno per l’altro.
Rating: libero
Lunghezza: max 2500 parole

Frase:  1 095 days. 26 280 hours. 1 576 800 minutes. 94 608 000 seconds.

Fandom: Sherlock BBC

Avvertimenti: almeno una hint pre-slash e una het e vago splatter

Obblighi: Sherlock e John non si incontrano mai, ma possono agire indirettamente l’uno per l’altro.

Rating: libero

Lunghezza: max 2500 parole

 

 

 

   
 
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