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Autore: RoryTheSherlockian    04/02/2012    3 recensioni
Una delle tante post-Raichenbach. Niente rating rosso, solo un accenno di colore che non esula dal giallo. Slash, ovviamente.
Correva.
Da quanto? Un minuto? Un'ora? Un giorno? Un mese? Non sapeva rispondersi.
Sapeva solo che doveva correre, che c'era qualcosa da fare, qualcosa per cui era in ritardo, anche se non riusciva a ricordare cosa.
Il buio attorno a lui sembrava abbracciarlo, avvolgendolo tra le sue spire morbide e invitanti, pregandolo di fermarsi e di restare lì per sempre.
Ma non poteva farlo. Non ora.
Ogni tanto, aveva la senzazione che qualcuno stesse correndo insieme a lui, le mani unita da un paio di manette argentate. Ma quando voltava la testa, si rendeva conto che era solo a correre.
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correva.
Da quanto? Un minuto? Un'ora? Un giorno? Un mese? Non sapeva rispondersi.
Sapeva solo che doveva correre, che c'era qualcosa da fare, qualcosa per cui era in ritardo, anche se non riusciva a ricordare cosa.
Il buio attorno a lui sembrava abbracciarlo, avvolgendolo tra le sue spire morbide e invitanti, pregandolo di fermarsi e di restare lì per sempre.
Ma non poteva farlo. Non ora.
Ogni tanto, aveva la senzazione che qualcuno stesse correndo insieme a lui, le mani unita da un paio di manette argentate. Ma quando voltava la testa, si rendeva conto che era solo a correre.
Il buio pian piano si diradava, lasciando intravedere ricordi di vita dietro il suo velo scuro.
Poi un viso, una voce, lo bloccavano. Si sentiva impigliato, come fosse una farfalla imprigionata nella tela di un ragno. Un ragno estremamente elegante, che vestiva Westwood.
Poi la scena cambiava di nuovo.
Adesso era sul tetto. Quale tetto, non lo ricordava. Ma era IL tetto.
Poi la sensazione di pericolo. Qualcuno stava cadendo.
Si sporgeva nel buio, allungando la mano per afferrare l'altra.
Riusciva a raggiungere quella mano pallida, che sembrava non essere connessa a nessun corpo. O meglio, non rusciva a mettere a fuoco quel corpo.
Benché le sue labbra non avessero emesso alcun suono, la scena rimbombò delle parole "Reggiti".
Ma la mano che aveva afferrato non reagiva, lasciandosi scivolare giù.
Perse la presa, e gli sembrò di vivere la stessa scena da due punti contemporaneamente, dall'alto e da davanti, dove rivisse QUELLA scena.
Riuscì a vedere quegli occhi azzurri spegnersi, perdere per sempre quella luce che li animava e che illuminava la sua vita ora vuota.


"SHERLOCK!"



John Watson si svegliò di soprassalto, sudato fradicio e a malapena conscio di aver urlato.
Sempre lo stesso sogno. Come tutte le notti da tre mesi a quella parte. John aveva paura perfino ad appisolarsi in ambulatorio, dato che quei sogni - no, quel sogno - sembrava impossessarsi di lui non appena chiudeva gli occhi.
Guardò l'orologio le sei meno un quarto. Oramai non aveva più speranze di riaddormentarsi prima di andare al lavoro.
Si accovacciò su se stesso, a piangere, in silenzio.



"John, sei sicuro di stare bene?"
La domanda di Sarah lo riscosse "Eh? Si, certo che sto bene" rispose tranquillo.
La bionda gli scoccò un'occhiata indagatrice, e John si sentì pericolosamente sotto inquisizione, ma poi lei distolse lo sguardo, distratta dall'entrata di un nuovo paziente, e John poté sospirare di sollievo nella sua testa.
Non aveva parlato a nessuno di quei sogni.Nemmeno alla sua analista.
Sapeva cosa gli avrebbero detto, di cercare di distrarsi, di accettare che Sherlock era morto tre mesi or sono. Di fare stupide terapie di gruppo.
Orrore.
A quel pensiero, sorrise per un'istante. Che stesse diventando pure lui un sociopatico, seppure non ad alta funzionalità?
Sapeva che a lui queste cose non avrebbero giovato per niente.
Lo avrebbero costretto a parlare, ad aprirsi, e rivangare gli avvenimenti di tre mesi prima era davvero l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
Era riuscito, non sapeva come, a relegare Sherlock, o perlomeno i ricordi tristi su Sherlock, nonostante la mole del suo ego,, in un angolo dell'inconscio, e riuscendo così a riprendere una vita più o meno normale.
Normale = Ordinario
Sherlock non avrebbe approvato.
Ma se durante il giorno riusciva ad apparire come se l'avesse superato, di notte, quando le barriere razionali venivano abbattute dalla forza dell'inconscio e dei sogni, la riaffiorava tutto il dolore per la perdita dell'unico consulente investigativo al mondo.
In quel mondo formato di ricordi e di sensazioni, rivedeva costantemente quella scena, il suicidio del suo migliore amico. Rivedeva il salto, rivadeva quel viso rigato di sangue, quegli occhi di ghiaccio oramai spenti.
Ma la cosa peggiore, era la sensazione che avebbe potuto fare qualcosa, abrebbe potuto aiutarlo. Avrebbe potuto proteggerlo.
Gli amici ti proteggono.
Era la frase che gli aveva sputato in faccia, accusandolo di non voler andare a controllare le condizioni di Mrs. Hudson.
E poi l'aveva tradito. John aveva tradito Sherlock.
Avrebbe dovuto capirlo, capire che la telefonata era un falso, e stare al fianco di Sherlock.
Invece era stato uno stupido, era cascato nel tranello di Moriarty, ed ora Sherlock era morto.
Quando tutte queste sensazioni venivano allo scoperto, John si sentiva vulnerabile, debole. Ed era così che scoppiava in lacrime.



Quella sera rientrò prima del solito dal lavoro.
Era stata Sarah a mandarlo a casa quasi a calci "Devi riposarti un po', non lo vedi che razza di occhiaie hai?"
Allora John si era guardato allo specchio, ed effettivamente aveva delle borse sotto gli occhi da far paura.
Era appena arrivato in Baker Street e stava attraversando la strada di fronte al 221 quando, alzando gli occhi, notò un'ombra umana alla finestra.
Si allarmò, ma l'addestramento militare era ancora vivo in lui, perciò salì lentamente le scale, senza accendere alcuna luce, e aprì la porta.
Accese anche la luce, quando si rese conto che in realtà in quella stanza non c'era nessuno. John si affacciò alle finestre, rimirando la strada illuminata dai lampioni, quando una voce che quasi non sperava di risentire più lo fece sobbalzare.
"Bentrovato, John"
L'ex-militare si voltò di scatto, riuscendo a malapena a incrociare due occhi di ghiaccio prima di cadere in terra privo di sensi.



"...."
"hn"
"ohn"
JOHN!
Joh Watson piano piano rinvenne, con un sapore alcolico sulle labbra.
Non appena aprì gli occhi si trovò Sherlock Holmes chino su di lui, evidentemente un poco preoccupato.
In un attimo riuscì a fare mente locale degli ultimi avvenimenti, e tirandosi su mollò un poderoso pugno sulla guancia del detective, il quale rotolò con malagrazia dal bordo del divano al pavimento, atterrando con un tonfo sordo.
"E questo a cosa è dovuto?" chiese Sherlock massaggiandosi la guancia colpita. Sempre la sinistra pensò.
"IDIOTA!" gli urlò contro il dottore, mettendosi a sedere "Sei un idiota! Ho passato tre mesi senza poter quasi chiudere occhio, incolpandomi della tua morte, e tu, non solo sei vivo e vegeto, ma adirittura ti ripresenti così, come se fossi uscito questa mattina?!"
La rabbia che provava John aveva sorpassato e accantonato tutte le altre domande che avrebbe potuto fare a Sherlock, come per esempio "Come hai fatto a non morire?" oppure "Perché non mi hai contattato prima?" o anche "Ma dove cazzo sei stato per tre mesi?"
La rabbia era la sua valvola di sfogo, ed adesso era stata spalancata completamente, investendo come un fiume in piena il bel moretto dagli occhi di ghiaccio.
"John, calmati" gli intimò il detective alzandosi da terra "Risponderò a tutte le tue domante, ma for God's sake, calmati"
"Calmarmi?! TU dici a me di calmarmi?! Ma lo sai cosa ho passato in questi mesi? Puoi immaginarlo?! Io dovrei..." non finì la frase, perché Sherlock si era seduto nuovamente sul bordo del divano, ed aveva abbracciato il dottore, pregandolo ancora una volta di calmarsi.
John impallidì sgomento, per poi arrossire, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
"Sherlock..." mormorò John tra i singhiozzi silenziosi.
"Si?"
"Sei davvero vivo?" Sherlock si era preparato una risposta a qualsiasi domanda potesse fargli il suo amico, ma questa lo lasciò spiazzato.
"Io..." sorrise bonariamente "Certo che sono vivo, John. Sono qui"
A quella risposta i singhiozzi di John si fecero più forti e vocali, piangeva sulla spalla di Sherlock, stretto tra le sue braccia e al suo corpo, che aveva tanto voluto riavere.
Dopo alcuni minuti, John sembrava più calmo, indubbiamente piangere abbracciato da Sherlock gli aveva fatto bene. Alzò la testa, fissando quel viso, lasciando scivolare lo sguardo su quella pelle pallida, lungo gli zigomi appuntiti, soffermandosi sulle labbra prima di raggiundere gli occhi.
Quei maledetti occhi.
Quelle maledette labbra.
"Al diavolo..." sussurrò, prima di premere la bocca contro quella di Sherlock, che rimase un po' interdetto.
Cioé, era ben conscio da tempo che i sentimenti di John per lui erano molto più di un'ottima amicizia, ma non si aspettava una dichiarazione, non in quel modo e non in quel momento.
Non ricevendo risposta, John stava per allontanarsi, quando una mano di Sherlock gli circondò la nuca, impedendoglielo. Era il detective adesso che lo stava baciando, trattenendolo con una mano sulla nuca e lasciando l'altra a vagare per la sua schiena.
"Ma non vuoi sapere come..." principiò Sherlock.
"Non ora" mormorò John che, ripresosi dall'iniziale stupore per i sentimenti - inequivocabili - del detective, aveva iniziato a sbottonargli la camicia. Quest'ultima cadde in terra dopo poco, lasciando Sherlock a torso nudo.
Era completamente glabro, con una pella così bianca e liscia che a John fece venire voglia di morderla, di riempirla di segni rossi che indicavano che Sherlock era suo e soltanto SUO.
Anche il moro non restò con le mani in mano, e dopo aver tolto maglione e camicia a John, lo fece stendere di nuovo sul divano, salendogli poi a cavalcioni. Chino su di lui, Sherlock ansimava e tratteneva gemiti sommessi mentre John gli esplorava il collo con le labbra e la lingua. Quando le sue mani si posarono, lasciando chiaramente capire il loro intento, sul sedere di Sherlock, quest'ultimo scoccò a John un'occhiata preoccupata.
Ma per una volta John aveva intuito perfettamente i pensieri dei coinquilino "tranquillo, farò piano, verginello" gli sussurrò maliziosamente, infilando le mani dei pantaloni del compagno.



Correva.
Da quanto? Un minuto? Un'ora? Un giorno? Un mese? Non sapeva rispondersi.
Sapeva solo che doveva correre, che c'era qualcosa da fare, qualcosa per cui era in ritardo, anche se non riusciva a ricordare cosa.
Il buio attorno a lui sembrava abbracciarlo, avvolgendolo tra le sue spire morbide e invitanti, pregandolo di fermarsi e di restare lì per sempre.
Ma non poteva farlo. Non ora.
Aveva la senzazione che qualcuno stesse correndo insieme a lui, le mani unita da un paio di manette argentate.

Ma... non era solo una sensazione. Un'altra persona, ammanettata a lui, lo accompagnava in quella folle corsa dentro l'oscurità.
Sorrideva a quella figura, e due labbra dal taglio particolare, seminascoste da una sciarpa blu, gli restituivano il sorriso.
Si ritrovavano intrappolati nella ragnatela, ma il ragno che vestiva Westwood veniva schiacciato della zampa di un gatto, un gatto nero dagli occhi color ghiaccio.
E poi era sul tetto, e l'altra figura cadeva.
Si sporgeva per afferrarne la mano, e questa volta la mano ricambiò la stretta.
"Tienimi la mano" echeggiò nelle tenebre con la voce di Sherlock Holmes "Puoi?"
Si sentiva improvvisamente leggero, la figura col volto di Sherlock gli sorrideva, mentre una luce potente squarciava per sempre le tenebre attorno a loro.




John aprì dolcemente gli occhi.
Non aveva avuto incubi, per la prima volta dopo tre mesi.
Finalmente era riuscito a salvarlo, ad afferrare quella mano tesa. Sorrise nel constatare che stava realmente stringendo la mano di Sherlock, ancora addormentato al suo fianco.
Il lenzuolo del letto di John gli lasciava scoperta la schiena, che John prontamente inizio a carezzare.
Era un piacere osservare il suo amante - perché di questo si trattava ormai - addormentato, così rilassato, così... indifeso.
John gli si avvicinò, mollandone la mano e stringendo a sé quel corpo così esile ma forte, pallido all'inverosimile, posando una mano sul petto per sentire pulsare il cuore della persona che amava.

"Certo che posso"




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Ok, fa un pochetto pena. Ma sono giorni e giorni che mi martella in testa l'idea del sogno, e ho dovuto buttare giù 'sta roba per liberarmene.
Alcuni giorni fa, il 29 Gennaio, era il Johnlock day, perciò buon Johnlock day in ritardo^^
Ah, nessuno vuole tradurre una bella fic che ho trovato? Se invece qualcuno l'avesse già tradotta, mi può dare un link per leggerla in italiano?
   
 
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