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Autore: Gwen Chan    04/02/2012    5 recensioni
Belgio a colloquio con un misterioso personaggio.
Presenza di Dark!Belgio.
"Così lei vorrebbe scrivere un romanzo, signor Conrad" esordì la donna, sorbendo un sorso di tè e fissandolo di sottecchi.
Si trovavano su una terrazza, protetta da una zanzariera affinché la loro conversazione non fosse disturbata da insetti molesti, che si affacciava sulla strada polverosa; un elegante tavolino ricoperto da una tovaglietta candida era stato portato fuori perché la padrona aveva espresso il desiderio di godersi un poco di aria fresca, ora che era giunto l'imbrunire.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Belgio, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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"Così lei vorrebbe scrivere un romanzo, signor Conrad" esordì la donna, sorbendo un sorso di tè e fissandolo di sottecchi.

Si trovavano su una terrazza, protetta da una zanzariera affinché la loro conversazione non fosse disturbata da insetti molesti, che si affacciava sulla strada polverosa; un elegante tavolino ricoperto da una tovaglietta candida era stato portato fuori perché la padrona aveva espresso il desiderio di godersi un poco di aria fresca, ora che era giunto l'imbrunire.

"Anche il signor Conrad gradisce una tazza di tè?" si informò, rivolgendosi non al diretto interessato, ma alla cameriera di colore che era appena comparsa portando un vassoio di paste, quasi volesse sottolineare l'obbligo di accettare l'offerta.

Joseph Conrad, da par suo, si limitò ad annuire. Dalla tasca del panciotto estrasse un fazzoletto bianco, lo spiegò e si asciugò la fronte sudata: il viaggio in nave era stato particolarmente disagevole e lui non si era ancora ripreso dalla nausea tremenda che lo aveva assillato durante tutto il tragitto in carrozza dalla stazione fino al villaggio.

"Un romanzo che mostrerebbe, sono sicura in maniera molto fantasiosa, quanto accade quaggiù." continuò la sua ospite. C'era un silenzio irreale, il silenzio teso delle notti africane, quando si ha l'impressione che persino la terra riposi e respiri. Era interrotto solo dai passi della servitù, dal frinire dei grilli e da qualche sporadico barrito in lontananza.

"Sarebbe mia intenzione, signora …"

"Bella, mi chiami pure Bella. Dopotutto siamo fra amici. Anche se, immagino lei sappia quale sia la mia vera identità".

Conrad annuì, distrattamente. Certo, era a conoscenza della sua esistenza già da prima di recarsi in Congo, la sua fama e quella dei suoi simili la precedevano, e se l’uomo avesse avuto ancora delle incertezze, le chiacchiere udite durante il tragitto e l'atteggiamento ossequioso che chiunque assumeva in sua presenza, avrebbero fugato ogni dubbio.

Una giovane ragazza dalla pelle di ebano, con una cuffia colorata attorno ai capelli crespi, apparve con una teiera e versò il tè per il signor Conrad. Poi, senza osare proferire parola, timorosa persino di respirare, rimase in piedi vicino al tavolo, in attesa di essere congedata dalla padrona. Bella la guardò a mala pena, liquidando la sua inopportuna presenza con un gesto della mano.

"Bella... è un nome insolito." osservò Joseph. Non che non si addicesse alla proprietaria, perché bella lo era davvero. I capelli biondi scendevano in morbide onde fino alle spalle, trattenuti da un nastro di seta; gli enormi occhi verdi riflettevano i colori del tramonto e le labbra rosee erano piegate in un tenero sorriso, che gli ricordò il musetto di un gatto. Di un gatto che aveva appena mangiato un topo, per la precisione.

"In realtà non sarebbe la denominazione ufficiale, ma da qualche tempo è diventato di moda tra i cittadini. Amber e Alice sono altre due possibilità. Scelga quella che più le aggrada".

Conrad, forse, non avrebbe esitato a indirizzarsi a lei semplicemente come Belgio, ma provava una sorta di fastidio, una sottile repulsione, ogni volta che si soffermava a riflettere su che cosa rappresentasse davvero la donna seduta di fronte a lui. Era una contraddizione, un ossimoro, che quel visetto dolce incarnasse tutte le violenze e gli orrori di cui era venuto a conoscenza e che venivano ribaditi a ogni passo.

Quasi a voler dar forma concreta ai suoi pensieri, due ombre apparvero sulla strada, semi illuminate dalla luce tremolante delle lampade. Un uomo sulla trentina, ben vestito e con una barba ben curata, ma con il volto stravolto in una smorfia d'ira e di disgusto, stava trascinando un ragazzetto nero, non più vecchio di sedici anni, nudo dalla cintola in su. Lo gettò nella polvere e iniziò a percuoterlo sulla schiena con una verga, gridando "Brutta canaglia", con il sudore che gocciolava sul colletto della camicia, sordo alle suppliche del malcapitato che implorava pietà.

Conrad fu scosso da un fremito, come del resto anche Bella. Tuttavia, mentre il primo era davvero infastidito per quei metodi brutali, la seconda pareva piuttosto dispiaciuta che qualcosa avesse interrotto la sua quiete. Fissò con disprezzo il servitore, poi fece capire che desiderava fosse punito lontano dai suoi occhi e, soprattutto, da quelli del suo ospite. Non voleva certo rovinare la serata del signor Conrad, già provato per il lungo viaggio, con uno spettacolo tanto disdicevole.

"È un ragazzo terribile! L'altro giorno è stato sorpreso a rubare. Lui, ovviamente ha negato, quel piccolo bugiardo!" spiegò, stringendo le labbra in una smorfia. "Dopotutto, bisogna aspettarselo da tali selvaggi."

Le parole e la stessa voce di Belgio trasudavano disprezzo. Il medesimo disprezzo che condivideva quasi ogni suddito di Leopoldo, che era insito nelle menti di chi aveva trasformato il Congo in terra di conquista, che si adattava a essere argomento di conversazione per signore e che non risparmiava nemmeno i bambini.

Neri spettri di malattie e d’inedia. Così Conrad avrebbe descritto gli operai che aveva intravisto quella mattina lavorare alla costruzione del restante tratto di ferrovia, durante il viaggio in vaporetto. Non uomini, ma bestie.

"Non sono animali. Siete voi che li rendete tali" osservò, poggiando sul piattino la tazza di tè.
Bella non rispose: forse non aveva sentito, forse preferiva semplicemente ignorarlo. Dopo una breve pausa, riprese: "Lei capisce che ci sono delle...questioni che sarebbe meglio non divulgare. Per la mia reputazione, s'intende" .

I metodi coloniali non erano certo un mistero, tuttavia un romanzo che, secondo le poche informazioni ricevute da Conrad, aveva intenzione di mostrare la vera faccia del  Belgio imperialista, avrebbe potuto scuotere l'opinione pubblica d'Europa.

"Credo che scriverò quanto è giusto: la verità. Romanzata, ma la verità." replicò Joseph educatamente, ma allo stesso tempo con durezza, perché fosse chiara la sua volontà.
Già nella sua fantasia cominciavano a prendere forma luoghi e personaggi, giungle intricate e misteriosi riti. Un colonnello carismatico e introvabile... Kurz, sì suonava bene. Il colonnello Kurz.

"Signorina Belgio, lei non mi sembra una persona malvagia. Certo, le apparenze ingannano, ma da quando la nostra conversazione è iniziata, mi sono domandato se lei come persona condivide davvero la politica del vostro sovrano."

Dal veloce tremito che attraversò le spalle della donna, Joseph comprese di aver toccato un tasto dolente. Lei si lisciò la gonna sulle gambe, giocherellò con un pasticcino, sbriciolandolo fra le dita affusolate, sciolse il nastro dai capelli e lo tenne stretto nel pugno.

"È una splendida occasione offerta da Dio alla nostra piccola terra per ampliare i suoi confini oltre oceano" spiegò, infine, con la stessa voce meccanica con cui un bimbo recita una poesia imparata a memoria per il giorno dell’interrogazione.

Joseph non fu soddisfatto. "Queste sono le parole che re Leopoldo ha pronunciato in uno dei suoi ultimi discorsi. Io vorrei sentire le vostre".
Bella si alzò di scatto. "Si è fatto tardi e io ho bisogno di sdraiarmi. È stata una giornata faticosa. Anche per lei, immagino. Da par mio, trovo estremamente debilitante questa calura.”

Troncata in tal modo la discussione, scomparve all’interno della villa, dove uno stuolo di servitori e cameriere era pronto a esaudire ogni suo capriccio.
 Joseph Conrad mangiò l’ultimo dolcetto e rimase ad ammirare le stelle, accesasi una a una nel cielo di pece.

Vorrei conoscere le emozioni che si agitano nel tuo cuore di tenebra.

 
Note: ok, siete autorizzati a linciarmi.
Mi domando come io abbia avuto il coraggio di scrivere questa roba! Volevo scrivere una ff che mostrasse la faccia del Belgio imperialista, ma ho i miei dubbi sulla riuscita del lavoro. Ai lettori (quali lettori?) l’ardua sentenza.
Chiedo venia per aver trasformato la dolcissima Belgio in una vera str**nza, di aver violentato l’esimio Joseph Conrad e di aver parlato di un romanzo che, purtroppo, non ho avuto ancora l’occasione di leggere. Mea culpa, mea maxima culpa.
Anzi, èstata colpa delle cavallette!
* L’autrice si dilegua in una nuvola di fumo. *

   
 
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