Il posto era esattamente
come lo ricordava: una bettola appena visibile tra la fitta vegetazione che
sembrava esser sul punto di risucchiarla da un momento all'altro.
Il terreno battuto appena
dinanzi all'ingresso era crepato, nuvole di polvere si sollevavano ad ogni
soffio di vento, vento che faceva frusciare rumorosamente le chiome degli
alberi incombenti sulla stamberga a malapena illuminata dalla luna. Risa
sgraziate di tanto in tanto si levavano rompendo il silenzio della notte, così
come le fosche luci esterne spazzavano via il buio esterno, se pur a fatica.
Il Generale smontò da
cavallo e i suoi freddi occhi osservarono ancora una volta quel postaccio; non
amava recarvisi, ma non poteva fare altrimenti: non era missione da affidare ad
altri, quella.
Diede un'affettuosa pacca
alla sua cavalcatura, prima di legarla ad uno dei pali di legno scrostato che
reggevano il patio della locanda. Salì i gradini che gemettero sotto il suo
peso e si avvicinò ad una delle finestre per poter osservare l'interno;
nonostante lo spesso strato di sudiciume che copriva i vetri, riuscì a scorgere
le poche persone che avevano deciso di passare una serata all'Inferno Rosso, la
peggior locanda di tutto il paese. Era famosa per la brutta gente che vi si recava,
ma il Generale era più che convinto del fatto che nessuno dei clienti avrebbe
potuto superare in sgradevolezza le tenutarie del locale.
Contò i clienti di quella
sera con facilità, essendo circa una decina; pochi, ma particolarmente animosi:
un paio di loro stavano giusto prendendosi a pugni, mentre gli altri li
guardavano, tifando sguaiati per uno o per l'altro contendente e agitando a tal
punto i boccali ricolmi di birra di pessima qualità da farne traboccare quasi
l'intero contenuto.
L'interno del locale non
era affatto meglio della facciata, anche lì sporcizia e squallore la facevano
da padroni. Vi era un bancone in legno in cui i fori delle termiti erano
visibili persino da quella distanza; botti di birra campeggiavano un po'
ovunque, contendendo il poco spazio a tavoli traballanti, molti dei quali privi
di scanni. Sul pavimento uno strato di paglia, resa grigia dal continuo
calpestio, nascondeva a malapena il terreno battuto e celava ancor di meno la
vera e propria spazzatura che i clienti vi gettavano, dal tabacco delle pipe,
agli avanzi di cibo che più tardi avrebbero fatto da lauto banchetto per i
molti topi che si aggiravano anche in quel momento tra le gambe dei suddetti
astanti. Pesanti lampade ad olio illuminavano, poco e male, l'ambiente,
infestandone l'aria con il loro odore rancido d'olio bruciato. Un camino spento
in fondo era il momentaneo giaciglio di un ubriacone, per nulla infastidito del
letto di cenere sul quale si ritrovava a dormire.
Ad una prima occhiata il
Generale non vide l'oggetto del proprio interesse, poi, in un angolo scorse il
motivo per cui aveva cavalcato al buio in quella contrada sperduta, lontana
dalla capitale di Gea e dal suo confortevole palazzo. Una ragazzina
dall'aspetto delicato assisteva allo scontro tra i due ubriachi con
indifferenza, i grandi occhi neri parevano quasi opachi, colpiti dalla luce
delle molte lampade; indossava una bella veste chiara, di un bianco così
paradossale in tanto lerciume che la circondava che l'uomo si domandò come
avesse potuto non scorgerla da subito. Inoltre la giovane era così bella da
catturare subito lo sguardo, si disse sorridendo appena. Non era cambiata
nemmeno lei dall'ultima volta che l'aveva vista: i lunghi capelli corvini,
lustri e lisci, erano sempre raccolti in una semplice coda di cavallo alta che
lasciava scoperto il collo sottile, candido quasi quanto la veste nella quale
si nascondeva.
Il volto era come sempre
struccato, come a voler lasciar visibile la pelle liscia e priva
d'imperfezioni; meno visibile erano le mani, che il generale immaginò piccole
ed aggraziate, anche se letali. In realtà non aveva mai visto le mani della
ragazza, così come non ne aveva mai sentito la voce ed anche in quel caso non
poteva che lavorare di fantasia. La osservò ancora per un istante, riflettendo
su come le apparenze potessero ingannare: chi, guardandola come aveva appena
fatto lui, avrebbe mai detto che quella graziosa e delicata fanciulla era una
spietata assassina, di cui si era largamente servito in quegli ultimi anni?
Quando entrò nel locale
la rissa era giunta al culmine ed entrambi i contendenti sembravano essere sul
punto di crollare; nessuno prestò attenzione all'alto uomo bardato in un
mantello nero che si avvicinò al bancone, subito dopo esser entrato, tutti
troppo presi dallo scoprire chi dei due lottatori sarebbe stramazzato sul
lurido pavimento. L'unica ad avvedersi immediatamente del nuovo arrivato fu la
barista alla quale egli sussurrò poche parole.
Era una delle donne più
brutte che si fossero mai viste. Piccola e raggrinzita, stava abbarbicata su un
alto scranno che le permetteva di arrivare all'altezza del bancone. I capelli
di un nero spento erano raccolti in una crocchia appena striata di bianco ed
incorniciavano un volto coperto di rughe che, era facile intuire, non aveva
conosciuto beltà neppure negli anni giovanili.
Aveva una bocca
spropositatamente larga per i tratti sgraziati sui quali spiccavano occhi scuri
e vividi, animati da una luce inquietante e sinistra. Folte sopracciglia nere
ne rendevano ancora più minaccioso lo sguardo da arpia.
La vecchia annuì con un
gesto rapido del capo a quanto dettole, poi scivolò senza alcun rumore dal suo
alto seggio e sparì per qualche istante dalla vista del Generale, alquanto
sollevato di ciò… Era impossibile abituarsi alla bruttezza di quella vecchia
strega, si disse, sentendosi tra l'altro fortunato che ad accoglierlo fosse
stata lei e non una delle sue figlie: quelle erano pure peggio.
Pochi istanti dopo, la
donna tornò alla sua postazione e riprese l'attività da cui l'uomo l'aveva
distolta, tornò ad asciugare con uno straccio, che di sicuro non aveva un
incontro ravvicinato con l'acqua da secoli, un boccale che probabilmente non
aveva mai nemmeno sfiorato l'acqua.
"Vada sul retro –
gracidò sottovoce – io e mia figlia la raggiungeremo."
Il Generale lanciò
un'occhiata alla ragazza ancora immobile nel suo angolo; dubitava che tra le
due vi fosse davvero un legame di sangue: la natura non poteva esser
stravagante a tal punto!
Senza dir altro, si
strinse nel mantello ancor di più per nascondere la divisa militare che
chiunque nella bettola avrebbe riconosciuto e uscì, proprio nel momento in cui
uno dei due uomini coinvolti nella contesa piombava al suolo più morto che
vivo, suscitando grida di giubilo o di delusione dagli altri scalmanati
avventori.
--- --- --- ---
La stanza era
accogliente, non lussuosa, ma lontana dallo squallore misero della locanda a
cui faceva da retro. Non si sarebbe mai detto che un tale tugurio, sordido e
maleodorante, celasse un sì bel posto.
Vi si accedeva da una
porta angusta e malandata, ma appena risalita la stretta e cigolante scala su
cui la porta affacciava, ci si ritrovava in una sala ampia, scarsamente
decorata, ma questo non era certo un difetto agli occhi dell'altolocato soldato
che si accomodò su una delle due uniche sedie, molto più rilassato di quando
era giunto all'Inferno Rosso; l'altra era accostata ad un lucido tavolo
ingombro solo di un lume d'ottima fattura. Altri lumi, posizionati nei angoli
della sala, ne garantivano un'adeguata illuminazione.
Sul camino, minuscolo
rispetto a quello ricolmo di cenere del piano sottostante, facevano bella
mostra alcuni suppellettili e una panoplia, oggetto che il Generale non mancava
mai di ammirare con occhio esperto: alcune delle armi esposte erano davvero
pregiate… Altre dalle forme bizzarre e esotiche colpivano sempre la sua
fantasia: chissà se la bella assassina ne aveva mai fatto uso?
L'unica finestra della
sala era celata da una pesante tenda scura, il che aumentava il senso di
discrezione dell'ambiente, proprio quello che la poco avvenente proprietaria
voleva trasmettere ai radi ospiti di quel luogo, riservato a clienti poco
interessati all'alcool e al pessimo cibo della locanda.
La porta alle spalle del
Generale si aprì senza rumore e la suddetta proprietaria entrò, seguita a breve
da due delle sue figlie. Oltre alla giovine di cui aveva ammirato le grazie
prima, un'altra infatti chiudeva il piccolo corteo: con lei non si stentava a
credere in un legame di sangue con la locandiera. La sua poca beltà era
paragonabile solo all'imponenza della sua mole: il suo corpo quasi
completamente tondo troneggiava nettamente su quello della sorella.
Anche il volto largo e
caratterizzato da labbra spesse e protuberanti non mostrava alcun segno
d'armonia e l'espressione arcigna in cui sembrava esser perennemente
imbronciato non lo rendeva più attraente. Piccoli occhi furbi sembravano
incastonati in quel faccione torvo, e il Generale non poté evitare di sentirsi
a disagio quando questi si posarono su di lui con sguardo avido e calcolatore;
evidentemente già pregustava il lauto compenso che la sottile arte della
sorella avrebbe procurato loro.
Arte non era
un'espressione azzardata, riteneva il soldato, soprattutto se riferita
all'operato della ragazza che, appena entrata nella sala, era rimasta immobile
accanto alla porta, lo sguardo basso ed opaco di prima. Già, quella esile
fanciulla era una vera artista nel suo campo: niente spargimenti di sangue
inutili, niente sofferenze eccessive per le sue vittime, a dimostrazione di un
sangue freddo apprezzabile in simili circostanze, e soprattutto nessuna
traccia. Abile e discreta… Kuno non avrebbe potuto capitare in mani migliori.
"E' da tanto che non
veniva a trovarci, signore" la donna più anziana arrancò sulle corte gambe
sino al tavolo e vi sedette, le paffute mani subito intrecciate sulla linda
superficie lignea.
"Oramai godo di una
posizione solida, certo anche grazie al vostro operato, signora Kotetsu."
Lei annuì comprensiva, un
pallido sorriso rischiarò per un istante il volto severo, per poi sparire
"Koume, porta del vino al nostro amico."
La ragazza grassa annuì e
con rapidità persino insospettata si avvicinò ad una cassapanca poco discosta
dal camino e, sollevatone l'apertura, raccolse dal suo interno una bottiglia in
fine vetro cesellato e la depose sul tavolo, accompagnata da un paio di coppe.
Il Generale accettò il vino vermiglio con piacere, sapeva che al contrario di
quello offerto di sotto, questo era di qualità ottima; lo assaporò appena,
imitato dalla proprietaria che non poté evitare un'esclamazione di piacere,
dopo aver svuotato la propria coppa in un sol sorso.
"Bene, davvero
ottimo! Koume, torna di sotto a dare una mano a tua sorella Koeda." I
convenevoli erano finiti, ora avrebbero parlato di quello per cui era venuto.
Appena la porta si fu
chiusa dietro le poderose spalle di Koume, il Generale ripose la coppa ancora
piena e piantò lo sguardo color acciaio in quello attento della donna
"Stavolta ciò che ho da chiedervi non è cosa da poco."
"Quando mai lo è
stato, amico mio?" non amava molto sentirsi definire con tanta
familiarità, ma i servigi di quella strega erano troppo preziosi per
inimicarsela.
"Certo, ma stavolta
ciò che richiedo è altamente rischioso… Quasi impossibile oserei dire se non
conoscessi la maestria di sua figlia" la blandì, recuperando quel fare un
po' artificiale che aveva appreso negli anni di corte. Kotetsu però non parve
impressionata, né lusingata, anzi, l'occhiata che dedicò alla suddetta figlia
fu alquanto carica di biasimo.
"Konatsu non è abile
la metà di quanto è fortunata. Allora, chi è l'abitante di Gea che ha osato
intralciare il cammino di un uomo come lei?"
"Non è un suddito
del mio attuale padrone di cui dovrà occuparsi: al momento si trova in un altro
regno, ad Augusta per la precisione."
"Oh, un suddito del
re Saotome allora… Una trasferta simile vi costerà molto di più del
solito" lo avvertì, le sopracciglia appena aggrottate.
"Il prezzo non è un
problema."
Gli occhi della vecchia
parvero rilucere ed un sorriso orribile tornò a deformarle ancor di più la
faccia "Bene, questo appiana il più grosso dei problemi che potrebbero
sorgere nella nostra contrattazione, amico mio. Allora, chi è l'uomo in
questione?"
"E' una donna, una
giovane ragazza. Una schiava."
"Una schiava? Sareste
disposto a pagare una cifra esorbitante per una misera schiava?"
Kean si massaggiò la
corta barbetta e sorrise "Non credo che la definirete più misera appena vi
avrò detto chi è il padrone di questa schiava, Kotetsu… Egli è il motivo per
cui questa missione è più ardua di altre. Si chiama Ranma, Ranma Saotome."
Un guizzo improvviso
animò il volto sgualcito della donna che stupita inarcò una delle folte
sopracciglia "Il principe? Voi vorreste uccidere la schiava del principe
d'Augusta?" solo lo stupore poteva spiegare il perché avesse parlato tanto
chiaramente di omicidio; era la prima volta che l'astuta Kotetsu si lasciava
sfuggire una dichiarazione tanto compromettente, ma era anche la prima volta
che le veniva richiesto un simile incarico.
Uccidere qualcuno alla corte dei Saotome già pareva
impossibile: forse solo il palazzo dell'usurpatore di Nerima era meglio
protetto e sorvegliato! Giungere a qualcuno tanto vicino alla famiglia reale
era impensabile, o quasi, senza contare poi che il principe stesso era un
valente combattente, un osso davvero duro.
La donna lanciò
un'occhiata alla più giovane, rimasta chiusa nel suo impassibile silenzio e
rifletté sulle reali possibilità che ella potesse compiere un tale incarico
"Sarà difficile…" mormorò, torturandosi il mento sfuggente.
"Sua figlia è una
delle combattenti più abili di Gea. E' stata lei, Kotetsu, a dirmi che di
combattenti come lei ne nasca una ogni cento anni, se non di più."
"Certo, non per
nulla è una kunoichi (*), la più forte che abbia calpestato questo mondo…
Certo, la poverina non è particolarmente intelligente o attraente, ma per
questo ci siamo io e le sue sorelle a compensare tali carenze."
Il Generale dovette
impiegare tutto il proprio sangue freddo per restare impassibile di fronte ad
una simile dichiarazione, ma evidentemente dovette riuscirvi perché l'altra non
parve accorgersi di questo sforzo, o forse era troppo impegnata a valutare la
vera e propria fortuna che stava per capitarle tra le corte ed avide dita per
farvi caso "Il doppio rispetto al solito subito, prima che Konatsu parta.
A missione compiuta, in caso di successo, ci corrisponderete una somma pari al
triplo della solita tariffa. In caso d'insuccesso, il quadruplo: se Konatsu
dovesse perire nel corso del… lavoro, ci rimetterei notevolmente e questa
perdita andrebbe compensata."
"Avrete quanto
pattuito, anzi, se il tutto sembrerà un incidente e nessun sospetto sarà
destato, allora per voi ci sarà anche un piccolo extra. Quello che però conta è
che la ragazza muoia: che soffra o meno, non è affar mio."
"Oh, la mia piccola
non è una sanguinaria, come lei ben sa, caro amico… Qual è il nome della
schiava?"
--- --- ---
"Akane! Presto,
dell'acqua!"
Solerte come non mai, la
giovane riversò l'intero contenuto del secchio che aveva retto fino a quel
momento in attesa di quell'ordine di Obaba. L'unico a non sembrare soddisfatto
di tanta solerzia fu il suo padrone, ritrovatosi completamente zuppo grazie a
lei.
Alzò il capo minaccioso
verso la schiava, vedendola a malapena attraverso la frangia bagnata che gli
ricadeva con impertinenza sugli occhi "Ehi! Non dovevi mica farmi un
bagno! Sarebbe bastato gettarmi l'acqua sulle mani, sciocca!" la apostrofò
con rabbia, ma lei si limitò a scrollare le spalle, per nulla impressionata da
quello sfogo. Sapeva che il motivo di tanto malumore non era in realtà dovuto
al bagno non previsto, quanto dall'insuccesso nell'allenamento, insuccesso
invece più che prevedibile almeno per lei e l'Amazzone. Solo Ranma poteva,
accecato com'era da un'esacerbata autostima, illudersi di riuscirvi dopo pochi
tentativi.
Obaba ridacchiò, la
sottile pipa dondolò allegra tra le altrettanto affusolate dita ossute
"Devo proprio farti i miei complimenti, ragazzino!"
Lui sbuffò e si rialzò
dalla posizione accucciata in cui era rimasto per lunghi minuti "Mi prendi
in giro, vecchia? Le tue maledette castagne sono ancora lì, di che ti
complimenti?" borbottò antipatico, scostandosi le ciocche madide dal viso.
Akane trovò molto magnanimo da parte della maestra non punire tanta insolenza
verbale con una bastonata, ma evidentemente la donna era d'ottimo umore perché
ridacchiò ancor più forte, prima di aspirare con evidente goduria dalla pipa.
"Guardati le mani,
ragazzino indisponente" sogghignò, osservando poi le delicate volute di
fumo innalzarsi verso il cielo terso.
Ranma aggrottò le
sopracciglia e curioso si guardò le mani, domandandosi cosa dovesse mai vedere
"Non c'è un bel niente" asserì, polemico. Stavolta l'anziana amazzone
non rise, ma scosse il capo con rassegnazione.
"Appunto, ragazzino
– il principe fece una smorfia: cominciava ad esser stufo d'esser chiamato così
– non hai un bel niente… Nemmeno un'ustione o una ferita, eppure hai appena
infilato le mani in uno scoppiettante fuoco. Credi a me, è un progresso."
Era vero, si disse
stupito il ragazzo tornando a guardarsi le mani. Le sentiva calde, ma erano
indubbiamente intatte… forse dopotutto non era tutta una perdita di tempo.
Ricordava di aver
dubitato della sanità mentale della vecchia Kou- lon quando gli aveva spiegato
in cosa consisteva la tecnica per cui aveva tanto allenato lui e sua sorella:
diventare talmente veloci da poter strappare delle castagne dal fuoco? Era da
folli! E anche quando la maestra gli aveva mostrato personalmente la portentosa
tecnica, lui era rimasto alquanto scettico: forse per un'amazzone centenaria
(ed incartapecorita aveva malignamente aggiunto) infilare una mano in una pira
era cosa da poco, ma lui ci teneva a restare integro!
Dopo averlo giustamente
punito con la solita randellata fulminea per averle dato dell'incartapecorita,
Obaba gli aveva fatto presente che anche la tecnica esplosiva insegnata a Ryoga
era sembrata impossibile, mentre ora il ragazzo ne era diventato così padrone
da farne uno sfoggio persino irritante: il Re Genma continuava a domandarsi
allibito perché d'improvviso molte mura del suo bellissimo palazzo sembravano
esplodere da sole… Era forse lui inferiore a Ryoga? Era forse la sua
determinazione minore di quella del cugino? Il pungolo della sfida aveva avuto
successo: l'orgoglioso principe aveva smesso di protestare per impegnarsi
nell'apprendere.
Ora, a distanza di
quattro giorni, finalmente sembrava esservi stato un miglioramento. Fino a quel
momento, infatti, aveva rischiato davvero di perdere le mani, ma a furia di
provare e di rischiare, poteva almeno dirsi soddisfatto di non essersi
procurato alcuna vescica.
Se le sue mani erano
intatte, lo stesso però non poteva dirsi per gli abiti: macchie di fuliggine
comparivano qua e là sulla casacca rossa che tanto amava, alcuni fori dovuti
alle scintille costellavano il davanti della suddetta casacca la quale aveva
anche perso mezza manica, divorata dalle fiamme; proprio a quell'ultimo incidente
era dovuto il bagno da parte d'Akane.
Ranma riassettò quel poco
di camicia che gli restava, cercando di eliminare quanta più acqua poteva e di
sottecchi osservò la schiava. Non poteva giurarlo, ma c'era forse un sorrisetto
troppo divertito sulle sue labbra?
"Che hai da
ridere?" le domandò, di nuovo brusco. Probabilmente trovava buffo l'averlo
dovuto annaffiare come una pianta troppo rinsecchita o forse, peggio, rideva
del suo insuccesso.
Akane depose il secchio
ai suoi piedi e scosse il capo "Nulla, Signore, non stavo certo ridendo
del fatto che così conciato sembra uno straccione e che tra breve lei dovrà
rientrare per presentarsi al cospetto della sua gentile genitrice. Non ridevo
affatto al pensiero di quello che l'amata sovrana potrà dire sul suo
abbigliamento." Piccola serpe velenosa!
"Se fossi in te
andrei a cambiarmi, Ranma. La mamma trova poco virile la trascuratezza, lo
sai." Anche Ranko ci si metteva, adesso! E solo perché lei era riuscita ad
imparare la tecnica prima di lui, adesso ostentava quell'aria seccante da
saputella!
Ranma non ci si
raccapezzava: lui era molto più in gamba di quella mocciosa, perché diavolo lei
aveva padroneggiato la tecnica così presto? Il pensiero lo faceva impazzire,
soprattutto quando quella lingua lunga di Ranko se n'era andata in giro
vantandosene con Ryoga e Taro, i quali da perfetti idioti quali erano non perdevano
occasione di prenderlo in giro; soprattutto il capitano sembrava divertirsi al
pensiero che per una volta la piccola di famiglia avesse superato l'infallibile
fratello maggiore.
Nonostante non si
sentisse alquanto ben disposto nei confronti delle due ragazze, Ranma dovette
convenire che avevano ragione: non poteva presentarsi a sua madre in quello
stato. Sarebbe stato capace di appioppargli uno di quegli stupidi istitutori
che ogni tanto provava a mettergli alle calcagna, nella speranza che imparasse
a comportarsi da vero uomo… Beh, per lo meno aveva smesso di aggirarsi con
quella maledetta spada che da bambino lo aveva tante volte terrorizzato.
"D'accordo, per oggi
finiamola qui, senza contare che si è fatta quasi ora di pranzo – lanciò uno
sguardo al cielo visibile dallo spiazzo privo di alberi che ormai era diventato
il loro abituale campo di addestramento – il sole è infatti molto alto in
cielo" incrociò le braccia al petto, un sorriso cattivo si dipinse sul
volto ora umido ed i suoi occhi tempestosi si fissarono sulla propria schiava:
prima di andarsene poteva, anzi, doveva!, vendicarsi… Quella stava davvero
divertendosi troppo alle sue spalle, mentre chissà perché quando si era
trattato di Ryoga e del suo stupido allenamento con il masso, lei era stata fin
troppo partecipe e pronta a precipitarsi in aiuto di quell'idiota.
"Prima di andare
però gradirei poter osservare di nuovo la tecnica… No, non da te, Ranko – la
fermò notando come la giovane avesse cominciato ad arrotolare le maniche della
casacca scura che indossava, pronta a far sfoggio della propria bravura – in
fondo sei una principiante. Akane, tu che te la ridevi tanto, che ne dici di
farmi vedere quanto sei brava a raccogliere le castagne, eh?"
Fu con sommo
compiacimento che Ranma vide sparire il sorrisetto divertito sul volto della
ragazza, per esser sostituito da un'espressione corrucciata. Aveva visto
giusto, allora: non ne era capace.
La guardava allenarsi da
mesi ormai e alcune cose su di lei gli erano note: punto primo, Akane era incredibilmente
forte; punto secondo, Akane non era altrettanto rapida. Era dannatamente
irruente e nei momenti di rabbia poteva persino rappresentare un pericolo per
lui, ma a tanta vigoria non corrispondeva un'adeguata velocità. Godendosi
istante dopo istante, Ranma la osservò mordersi le labbra, presa alla
sprovvista… era carina quando faceva così, si disse di sfuggita, sgridandosi
poi immediatamente per una distrazione così futile.
"Paura di farti male
le mani da fabbro che hai?" la canzonò, per nulla stupito di vederle
accendersi lo sguardo d'ostilità.
"Certo che no!…
Signore" aggiunse poi in ritardo, troppo arrabbiata per ricordare di
aggiungere subito il dovuto titolo. Oh, adorava quando ci cascava in pieno! Era
così prevedibile da fargli quasi tenerezza. Un momento: tenerezza? Ma che era,
impazzito?!
"Akane, non cadere
in tutte le provocazioni di questo scemo – Ranko la avvicinò, ponendole una
mano su un braccio nel tentativo di placarla – lo fa solo per farti
arrabbiare" e ci riusciva fin troppo bene, pensò la principessa notando
quanto fosse ignorato il suo consiglio.
Akane stava infatti già
slacciandosi i piccoli alamari che chiudevano i polsini della blusa cobalto che
indossava, in perfetto accordo con i pantaloni della stessa tonalità, stretti e
corti al polpaccio, ideali per allenarsi visto l'ampia libertà che garantivano
ai movimenti del corpo. "Quante devo prendergliene, Signore?" domandò
poi, la sfida negli occhi scuri.
"Lascia perdere
figliola – stavolta fu Obaba ad intervenire, la voce pacata – il principe
voleva solo stuzzicarti… Sa benissimo che non sei ancora abbastanza
veloce." Se l'intento della maestra era quello di farla desistere, aveva
scelto le parole sbagliate: oltre che arrabbiata, ora la giovane era anche
offesa.
Si gettò i lunghi capelli
dietro la schiena con un movimento fluido e senza dire una parola,
s'inginocchiò davanti al fuoco ancora scoppiettante. Ne avvertì il calore sul
viso e sperando di non apparire troppo tesa, osservò i piccoli frutti giacere
sui ciocchi di legno ardenti: provò a concentrarsi, ricacciando indietro la
paura.
Era vero, non era ancora
riuscita in questa particolare tecnica, ma prima o poi l'avrebbe appresa… e poi
pur di non darla vinta al suo padrone, avrebbe persino rischiato di cuocersi
una mano!
Ranma intanto la osservò
perplesso. Stava facendo sul serio? "Ehi…" la richiamò, ma la ragazza
era così concentrata da non sentirlo. O forse lo stava volutamene ignorando.
"Ehi!" riprovò
a voce più alta e quando lei continuò a non prestargli attenzione, le s'inginocchiò
accanto "Ehi, smettila."
Akane lo guardò con la
coda dell'occhio, poi inspirò a fondo per raccogliere il coraggio "Ti ho
detto di…" prima che lui finisse la frase, aveva già sollevato una mano e
con tutta la velocità che poteva, stava per gettarla tra le fiamme, lo sguardo
determinato di chi non si sarebbe fermato dinanzi a nulla.
Fu una presa solida
intorno alle dita a fermarla, invece. Con un movimento rapido la mano di Ranma
le si era avvolta con forza intorno alla sua, bloccandola ed imprigionandola al
tempo stesso; inconsciamente Akane provò a ritirarla, ma le dita del ragazzo si
strinsero ancor di più intorno alle sue. Istupidita fissò dapprima lo sguardo
su quella mano grande e più scura della propria, osservando come alcune dita
fossero annerite per la cenere, poi sollevò gli occhi fino ad incontrare quelli
di lui e ciò che vide non le piacque.
Era arrabbiato, o almeno
così le sembrava a giudicare dalla profonda ruga che ora gli solcava la fronte
aggrottata; nei suoi occhi, tempestosi come non mai, vi era quello che a lei
parve disapprovazione, ma non solo… possibile che si fosse preoccupato? Per
lei?
Akane tornò a mordersi le
labbra, confusa: si stava sbagliando, non era possibile. Che senso avrebbe
avuto istigarla, sfidarla, per poi preoccuparsi per lei?
Lo sguardo di Ranma fu
catturato da quel gesto e senza volerlo si ritrovò a fissarle la bocca. Aveva
avuto ragione prima, era davvero carina quando se la mordeva, per imbarazzo o
perché in preda alla confusione; non aveva mai avuto occasione di osservarle le
labbra così da vicino… erano più rosee di quanto sembrassero di solito e più
pronunciate anche.
Ranko inarcò un
sopracciglio e si volse verso la maestra Obaba la quale, dimenticata la pipa
per il momento, faceva mostra di un vero e proprio ghigno che le andava da un
orecchio all'altro; la scena era davvero degna di una ghignata, si disse la
ragazzina: quei due sembravano essersi paralizzati, persi in un mondo
interamente loro e tutto questo per una semplice presa ad una mano! Maliziosa,
si domandò cosa sarebbe accaduto ai due imbranati in caso di un contatto più
intimo…
Ranma fu comunque il primo a ridestarsi da
quella specie di sogno ad occhi aperti in cui erano precipitati e scrollò il
capo, come a liberarsi fisicamente dei residui di quell'ipnosi "Razza di
stupida, cosa vorresti fare?" le domandò senza troppa animosità e toccò a
lei stavolta aggrottarsi.
"Mostrarle la
tecnica, Signore" non era ovvio? L'aveva sfidata, dopotutto!
"A che pro, scusa?
Per imparare come non farla, forse? Sei lenta come un elefante e con la stessa
grazia, per giunta! E poi sei già brutta a vedersi così, figurarsi con un
moncherino!"
Akane batté le palpebre:
elefante? Brutta?! "E' stato lei a dirmi di mostrargliela ed ora mi ferma!
Teme di esser messo in imbarazzo da un'altra ragazza, per caso? E poi lei non
dovrebbe darsi tante arie, dal momento che non ci è riuscito!"
"Ma sono mille volte
più veloce di te, ci riuscirò senz'altro prima che tu riesca solo a capire come
fare!"
"Anch'io ci
riuscirò! Ci riuscirò e allora lei dovrà rimangiarsi tutti i suoi insulti! Uno
ad uno!" ormai litigavano naso contro naso, le loro parole accese dall'ira
almeno quanto gli sguardi che stavano lanciandosi, non meno arroventati del
falò che avevano dinanzi.
"Ehm, scusate…"
Ranko si avvicinò loro e poggiò una mano sulla spalla di ognuno, attirando
finalmente la loro attenzione; i loro sguardi incandescenti infatti si posarono
su di lei, oltraggiati per quella interruzione.
"Che vuoi tu?"
sbraitò l'erede al trono con lo stesso tono ruvido dedicato alla schiava.
"Sappiate che non
siete molto credibili – scosse il capo dinanzi alle loro espressioni vacue –
insomma, da quando in qua si sono visti due litigare tenendosi per mano?"
Due paia di palpebre
batterono all'unisono, perplesse. Due paia d'occhi si fissarono sulle mani e
scoprirono, con sgomento, che la giovane aveva ragione: erano ancora una
stretta all'altra.
Ranma lasciò andare
quella di Akane con tale velocità che si sarebbe potuto pensare che stesse
ancora allenandosi per afferrare le castagne. Con il volto arrossato in zona
guance, si alzò di scatto e sbuffò, tentando di mostrarsi più disinvolto di
quanto in realtà fosse "Ho perso fin troppo tempo, nostra madre mi
aspetta. Tu – guardò a fatica verso la schiava ancora inginocchiata – fa' quel
che ti pare, ma non provarci nemmeno ad avvicinarti ad un fuoco, sia chiaro! E'
un ordine" specificò, notando che lei stava per obbiettare.
"Sì… Signore."
Soddisfatto, e rincuorato
tutto sommato, il ragazzo dichiarò ufficialmente finito quell'allenamento. Fu
il primo ad allontanarsi verso il palazzo, seguito a distanza di qualche passo
dalla sua schiava imbronciata. Ranko invece si trattenne qualche istante per
aiutare la sempre più divertita Obaba, che ora sghignazzava palese, a spegnere
il fuoco. "Quei due…" mormorò, riponendo la pipa nell'ampia manica
della propria veste.
"Sa cosa penso,
maestra?"
"Cosa, sua
Grazia?"
Ranko lanciò uno sguardo
agli altri ragazzi, ormai lontani "Se Ranma fosse sempre veloce a
recuperare le castagne come lo è stato quando ha fermato la mano di Akane,
avrebbe imparato la tecnica da un pezzo."
--- --- ---
Odioso. Odioso. Odioso.
Odioso.
Se lo ripeteva ad ogni
passo, mentre lo seguiva in quel groviglio di verde che tutti si sforzavano di
chiamare bosco, ma che per lei restava un groviglio infernale, per l'appunto.
Gli occhi puntati sulla schiena del principe, dove la camicia scarlatta aderiva
come una seconda pelle a causa dell'acqua che gli aveva gettato addosso, Akane
tentava di reprimere la rabbia e di non lanciargli qualche masso proprio al
centro delle spalle… Però, aveva mai notato quanto fosse muscolosa quella
schiena?
Oh, insomma! Non era
questo il punto! Lei era arrabbiata con lui, furiosa, anzi, tanto per cambiare!
La prendeva in giro, la umiliava per poi salvarla da una probabile menomazione
verso la quale l'aveva spinta lui, con la sua cattiveria… Si rendeva conto di
quanto ciò fosse incoerente?
Inciampò in una radice,
imprecando tra i denti. Odiava quella foresta almeno quanto odiava il suo
padrone. Perché lo odiava, oh se lo detestava! Deprecava la sua presunzione, la
sua superbia, il suo modo pomposo di credersi al centro dell'universo.
Arrogante, spocchioso, irritante e…
"Akane?"
Sussultò, timorosa per un
istante di aver espresso quei pensieri ad alta voce, ma poi lo vide voltarsi,
il viso tranquillo "Sì, Signore?"
Lo vide deglutire, come
per prepararsi a qualcosa di serio e, di riflesso, lei s'irrigidì preoccupata
"Se vuoi t'insegnerò io la tecnica… appena la avrò imparata,
naturalmente."
Ecco, lo rifaceva. Perché
ogni volta che lei era impegnata a pensare il peggio su di lui, se ne usciva
con una gentilezza inattesa o una frase carina che la spiazzava e la faceva
sentire in colpa? Era snervante! Così le toglieva anche il gusto di detestarlo
fino in fondo.
"Lo farà Obaba, non
occorre che si disturbi. E poi non è detto che lei la impari prima di me."
Ranma sorrise,
null'affatto stupito da tanta sgarbatezza. Dopo tutto non era stato proprio lui
a farle capire di preferirla così? "Le mani sono tue, fa' come ti pare,
però se in tutti questi anni non sei riuscita ad imparare dalla vecchiaccia,
cosa ti fa pensare di poterlo fare ora?"
"E a lei cosa fa
pensare di riuscire dove la venerabile maestra ha fallito?" lo provocò, il
tono ostile di chi non vuole ammettere la verità.
"E se facessimo un
patto?" il principe si fermò, la grande entrata del palazzo ormai in
vista. Lei fece altrettanto, piantandogli addosso per l'ennesima volta quello
sguardo perplesso che più volte aveva visto.
"Un… patto?"
domandò, cercando di nascondere la curiosità, senza riuscirvi.
"Sì, un patto. Se tu
prometti di non provarci da sola, non solo ti do la mia parola che t'insegnerò
la tecnica delle castagne, ma ti concederò anche una specie di premio, diciamo
per il tuo impegno."
Ora era a tal punto
curiosa che dimenticò persino la rabbia; la guardò spalancare la bocca, forse
stupita, per poi richiuderla di scatto e assumere un'espressione pensierosa,
come di chi sta valutando una proposta tutto sommato allettante "Che premio?"
la sentì chiedere con un filo di voce. Un'altra ondata di tenerezza lo invase,
controvoglia, quando lei afferrò una ciocca dei lunghissimi capelli per
giocherellarci nervosa.
"Se accetti ti
porterò fuori dalle mura di questo palazzo. Per un'intera giornata."
Akane aggrottò le
sopracciglia, era chiaro che non si fosse aspettata una simile proposta. Forse
per alcuni istanti ne fu delusa, ma quando tornò a parlare, sembrò interessata
"Fuori da qui… come se fossi libera?"
Il cuore del principe si
accartocciò a quella domanda. Quanto dolore ancora le dava esser una schiava,
la sua schiava… "Devi meritartelo, però. Allora, ci stai? Un giorno
di libertà in cambio della promessa di non allenarti da sola in questo
caso."
"Perché?"
"Eh?" stavolta tocco a lui esser stupito "Che significa
perché?"
"Perché dovrebbe
stringere un simile patto con me? Cosa ci guadagna lei?"
Ranma si grattò un
sopracciglio, pensieroso, poi si strinse nelle spalle con noncuranza "Di
non ritrovarmi una schiava monca, tanto per dirne una. E poi non voglio che
Obaba perda tempo con una come te, già ne ha sprecato in abbondanza con
quell'idiota che non sa distinguere la destra dalla sinistra… Inoltre se
insegnassi ad un incapace come te, dimostrerei di essere davvero il migliore,
no? Persino migliore della megera amazzone!"
"Guardi che l'ho
sentita" gracchiò improvvisa una voce tra gli alberi e il poveretto non
poté far altro che stramazzare al suolo, colpito a tradimento da un bastone
volante.
Akane gli andò vicino e
si chinò su di lui, le mani poggiate alle ginocchia "D'accordo, accetto il
patto."
--- --- ---
"Sei sicuro,
nonno?" la voce del giovane uomo risuonò ansiosa, mentre ancora più
ansioso il suo sguardo color antracite si posò sulla figura stesa sul letto.
Il vecchio era alquanto
pallido ed il suo viso sembrava ancora più niveo per la lunga e candida barba
che lo ricopriva in parte. Gli occhi erano chiusi per la stanchezza, quasi
nascosti da cespugliose sopracciglia altrettanto canute; il respiro era
flebile, seppur regolare. La malattia aveva minato il corpo un tempo robusto
dell'uomo e la vecchiaia sembrava averlo fiaccato nell'animo, ancora di più del
misterioso male "Sì, nipote mio. Dopo lunghe ricerche, finalmente ho
scoperto ciò che da tanto anelavamo sapere… Non è stato facile, ma sono appagato
per aver appurato la verità prima della mia morte."
Il giovane chinò il capo,
addolorato da quell'atroce verità. Del resto come non sentirsi disperato quando
l'unica persona che aveva al mondo stava per abbandonarlo?
Il vecchio tossì e
allarmato il nipote si precipitò accanto a lui per sorreggerlo in quell'attacco
violento, ma per fortuna fu breve e poco intenso, tanto che egli tornò a
parlargli, la voce solo un po' più tremula di prima "Sai quello che devi
fare, vero?" gli domandò, apprensivo. Ora i suoi occhi scuri erano ben
aperti e fissi sull'unico nipote, lo guardavano con timore mal celato. Fu
sollevato solo in parte quando il ragazzo annuì.
"Devo partire per il
regno di Augusta e recarmi al palazzo dei Saotome."
Bene, pensò sollevato il
vecchio, lasciandosi cadere sui cuscini del letto che non abbandonava più tanto
spesso "Sì, ragazzo mio, proprio così. Sarà un viaggio lungo, ma sta'
tranquillo, verrai accolto come un amico… La lettera di Genma Saotome non
poteva esser più chiara, del resto."
Il nipote annuì ancora,
lieto di scorgere un sorriso sul volto stanco dell'adorato… adorato… chi era?
Ah, sì, dell'adorato nonno. Però, ora che ci pensava…
"Nonno?"
"Sì, caro?"
"Perché devo andare
ad Augusta?"
Il vecchio richiuse gli
occhi, mentre una lacrima solitaria gli solcava la guancia, meno pallida di
prima "Oh, Shinnosuke…"
"Chi è Genma
Saotome?"
"Oh,
Shinnosuke…"
"E poi, cos'è che
abbiamo scoperto?"
"Oh…
Shinnosuke…"
Il ragazzo si grattò la
fronte, chiedendosi perché quel vecchio se ne stesse a letto. Chissà, forse era
malato, a guardarlo infatti non sembrava star troppo bene: una mano, poggiata
sulle molte coperte che lo proteggevano dall'aria frizzante del pomeriggio, era
chiusa a pugno e tremava violentemente. Ma poi, chi era quel vecchietto? Ah,
già, era il nonno.
"Ehm… nonno? –
stavolta il vecchio si limitò a guardarlo – Chi è questo Shinnosuke che
continui a chiamare?"
La mano racchiusa a pugno si sollevò con una rapidità
incredibile per una persona tanto anziana, per abbattersi sulla testa del
giovane che stramazzò a terra gambe all'aria, preso alla sprovvista. Il nonno
si era rizzato a sedere, improvvisamente sembrava essere in perfetta salute e
la voce che fino a poco prima era risuonata flebile, tuonò cavernosa
echeggiando nella stanza vuota.
"Idiota di un
nipote! Sei tu Shinnosuke, razza di smemorato! Possibile che ti sia dimenticato
tutto ciò che ti ho raccontato centinaia e centinaia di volte?! Ti sei
dimenticato della tua fidanzata?"
Un mugugno si levò dal
corpo ancora schiantato a terra, un lamento che giunse fino alle orecchie del
povero nonno, l'attuale Re di Ryujenzawa e che egli purtroppo riuscì a
comprendere. Il suo amatissimo nipote, e futuro sovrano del suo piccolo e
boscoso regno, aveva appena chiesto chi fosse lui per poterlo malmenare in quel
modo; disperato il re tornò a stendersi sul suo letto di morte… beh, a dire il
vero, erano più di dieci anni che era steso in quel letto in attesa di una
morte che sembrava alquanto riluttante a giungere, ma per quanto ciò fosse
motivo di piacere per lui, prima o poi avrebbe fatto i conti con l'Oscura
Signora.
Affrontare la bieca
Falciatrice non lo spaventava, ma che destino avrebbe atteso i suoi sudditi una
volta che al trono fosse salito Shinnosuke? Era un ragazzo dal cuore d'oro, un
po' brusco con gli estranei forse, anche se non per colpa sua… Già, tutta colpa
della sua memoria bislacca: uno che non riconosceva il proprio nonno, non era
forse logico che fosse costantemente guardingo, convinto com'era di esser
circondato da sconosciuti?
L'unica speranza che
restava al giovane, e ai sudditi, era quella di una moglie giudiziosa e saggia,
una donna che potesse guidarlo e magari ricordargli ogni tanto il suo nome.
Già, trovargli moglie era davvero questione capitale a quel punto e la lettera
di Saotome era giunta con un incredibile tempismo.
Che destino bizzarro, a
pensarci bene: chi avrebbe mai detto che la risposta ad un sì grave problema
come il futuro del regno di Ryugenzawa fosse nascosta in un passato creduto
ormai svanito?
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(*) Kunoichi: donna ninja.
Carla's corner Salve a tutti! Come sono
andate le vacanze? Spero bene! Un altro capitolo di ITMH, capitolo che ho
scritto in una sola notte dopo aver deciso che quello che stavo già buttando
giù non mi convinceva affatto. Chiamiamola un'ispirazione improvvisa, va', però
era davvero da tanto che non scrivevo tanto e così di getto… E' stato bello
vedere le mie dita volare sulla tastiera del pc senza sosta, come ai bei tempi.
Sciocchezze a parte, spero che il suddetto capitolo vi piaccia. Passiamo ai soliti
ringraziamenti, cominciando subito da Loony, la quale nella mail
speditami per il sondaggio (vedere l'ultimo capitolo di AQdD postato), avanzava
l'ipotesi che l'assassina potesse essere Konatsu. Brava! Come vedi hai
indovinato, anche se ad essere sincere, non volevo creare nessuna atmosfera
misteriosa su questo particolare… Ringrazio inoltre la
mitica Muttley : non una delle tue ipotesi sul futuro di questa
fic si avvereranno, mia cara, ma non posso fare a meno di lodare la tua
fantasia, alcune erano davvero fantastiche. No, per ora non ho alcuna
intenzione di inserire la dolce Akari, ma mai dire mai. Anche a me farebbe
piacere vederti, questa relazione a distanza mi sta uccidendo XD. Ruka88:
si stata velocissima a commentare la volta scorsa, un vero record! La
situazione per ora non è peggiorata di molto, ma fosche nubi si stanno
addensando sull'avvenire dei miei protagonisti. Poveri… Spero che la brutta
situazione a cui facevi riferimento nel commento sia finita, nel caso non fosse
così, non posso che sperare (immodestamente) che questo capitolo ti aiuti a
distrarti almeno un po'. Grazie ancora per il commento. TigerEyes:
il tuo è stato il commento n° 100 per ITMH, mia cara. Ho già deciso come
celebrare l'evento: userò il tuo nick name nella fic "L'Ultimo
desiderio"; ho già deciso come inserirlo, eh eh eh, non vedo l'ora!
Tornando a questa fic in particolare, ormai è chiaro che non sia Shan-po la
fantomatica killer assoldata dal Generale che sì, è un vero infame. Inoltre c'è
un motivo per cui Nabiki ha tanta paura di quest'uomo, un motivo legato alla
sua infanzia, ma per ora non dico di più. Per quel che riguarda Kasumi, non
credo che sia molto consapevole dei sentimenti di Tofu, né dei propri se è per
questo. Insomma, è di Kasumi che stiamo parlando… L'avvicinamento tra Ranma ed
Akane è "inevitabilmente" vicino, anche se mi divertirò a
complicarglielo, se no che sfizio c'è? Ti ringrazio per i complimenti, ma ti ricordo
che parti di questi ti spettano di diritto: da quando sei mia beta mi sento
spronata a scrivere meglio anche questa fic che in realtà costituiva il mio
piccolo spazio di libertà, ma forse lo è ancora dopotutto. Baci! Akane!!!:
Grazie! La scena del balcone è una delle mie preferite. Ora sì che si è capito
che è la misteriosa assassina, vero? >_^ In effetti Shan-po non farà parte
di questa fic, me ne dispiace per i suoi tanti fans. Ciao e grazie ancora. Simona:
ho aggiornato il prima possibile, spero che il capitolo non abbia risentito
dell'insolita celerità… Grazie tanto per il commento. Fabichan:
Grazie! Forse la colpa è mia se quasi tutti hanno pensato a Shan-po, ma non
l'ho fatto volutamente… beh, quasi. Diciamo che dopo aver postato il capitolo
scorso mi sono resa conto che inevitabilmente tutti avrebbero pensato a lei. Mi
colma di piacere sapere che le scene tra Nabiki e Kuno incontrano il favore dei
lettori: amo scrivere di loro, soprattutto amo scrivere di loro due insieme
^_^. C'è un'alchimia indubbia… Parlando di Ukyo, credo che sia per forza di
cose diversa da quella del manga e dell'anime. E' una AU, le premesse sono
diverse: è cresciuta come una principessa, conscia che il proprio dovere sia
quello di sposarsi per il bene del suo regno. Essendo costretta a sposare uno
sconosciuto, credo che il fatto di poter praticare le arti marziali costituisca
un motivo di gioia. Ancora grazie per il commento, ci ribecchiamo sul forum. Laila:
Ah, questo Kean è proprio un cattivone! E pensa che il suo ruolo nel
detronizzare Soun è anche più rilevante di quello che ho accennato finora…
Grazie per l'apprezzamento, Nabiki e Kuno ringraziano sentitamente ^_^ Hatori:
Sono contenta che ti piaccia, spero continuerai a leggere. Grazie! YaYa:
Grazie! In effetti per un bacetto ci sarà da aspettare ancora un po', temo. Per
ora li ho fatti tenere per mano… un po' poco, mi sa, vero? Ho aggiornato
relativamente presto rispetto ai miei canoni, spinta da un'ispirazione
improvvisa, ma non fateci l'abitudine ^_^: Grazie ancora! Earine:
La scena tra Nabiki e Kuno ha spopolato ^_^ quei due rischiano di surclassare i
veri protagonisti. Non so se si sia capito, ma io adoro Ryoga, lo adoro
proprio, quindi figurati come mi possa sentire nel descriverlo così illuso e
innamorato senza speranze… ah, che crudeltà! Grazie per il commento e le belle
parole. Ai 93:
Grazie per il commento entusiasta. Non ti preoccupare, a volte capita anche a
me di non trovare le parole ^_^ Kirachan:
Ho postato il prima possibile. Grazie! Saluto anche Minù
per la bellissima mail: non ti preoccupare, continua pure commentarmi via mail.
Non sono una che conta i commenti nei siti, per cui se preferisci così a me sta
più che bene. Non so quando, ma penso sia inevitabile un confronto tra i due
anche se non penso di ripetere una scena come quella del capitolo 14 di AQdD:
lì c'era molto più in ballo di una "banale" gelosia per un amore non
corrisposto. In questa fic, in particolare, non credo che forzerò molto i toni
tra Ranma e Ryoga, saranno troppo presi dall'avvicendarsi di eventi più
rilevanti… Grazie ancora e grazie per il consiglio, ho già letto il libro che
mi consigli, ma se vorrai suggerirmene altri, sono sempre disponibile. Bene, per ora è tutto, ci
si rivede per l'ultimo capitolo di AQdD che forse posterò per fine mese o per
gli inizi di ottobre. Vi ringrazio per l'attenzione ed il tempo che mi
dedicate.