La
tempesta
Siamo
fatti anche noi della materia di
cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra
breve vita. (William
Shakespeare, La tempesta: atto IV, scena I)
Appariva
dal nulla, come nebbia leggera, salutando chi arrivava nel bosco per
curiosità o
per rabbia, o semplicemente per caso.
Nessuno
avrebbe mai saputo descriverla con precisione. Il garzone di bottega
avrebbe detto
che era alta, snella, bionda, e che si presentava nuda ai suoi occhi
languidi,
coperta solo da lucide gocce di rugiada; la madre di famiglia avrebbe
raccontato che era rossa e prosperosa, ammaliante come una sirena nel
buio
della notte, pronta a ghermire nel buio il povero malcapitato che
avesse ceduto
alle sue lusinghe; il bambino, fantasioso e smaliziato,
l’avrebbe sicuramente
dipinta come una fata, che ogni notte portava sorrisi e doni.
Ognuno,
in sostanza, aveva un’idea diversa su di lei; molti
addirittura erano convinti
che non esistesse.
Nei
boschi intorno alla città, quasi ogni notte, in Primavera
più che nelle altre
stagioni, si vedevano strane luci, accompagnate da un vento che portava
con sé
quello che sembrava un canto. Nessuno sapeva precisamente quando quel
fenomeno
fosse iniziato, gli anziani del paese dicevano che c’era da
sempre, e che i
loro nonni avevano raccontato la stessa cosa.
I
più logici dicevano che doveva esserci una spiegazione, ma
la maggior parte degli
abitanti credeva nella leggenda della giovane donna che appariva in
queste
luci, e cantava quelle melodie senza parole; almeno un centinaio di
persone tra
uomini, donne e bambini, avrebbero giurato sulla propria vita di averla
vista.
Nel
corso dei decenni tutte le disgrazie e le fortune che capitavano nella
città erano
state attribuite alla donna del bosco. Alcuni la veneravano quasi come
una dea
pagana, portandole offerte al limitare della foresta per avere la sua
benevolenza; Padre Thomas, nel sermone della domenica, li ammoniva
spesso sul
peccato che commettevano nell’onorare falsi dei, e li
invitava a ricredersi al
più presto per non commettere peccato.
Invece
Padre James, il giovane reverendo da poco arrivato in città
insieme alla moglie
e al loro primogenito ancora in fasce, non vedeva come dannosa la fede
che i
cittadini avevano nella donna del bosco. Mai e poi mai
l’avrebbe confessato
davanti a Padre Thomas, ma in cuor suo credeva che quella donna fosse
una Santa
che appariva solo a persone meritevoli di stare in sua presenza, o
bisognose di
una guida che li spingesse a cambiare il loro stile di vita dissoluto.
Uno
di coloro che dicevano di aver visto la donna del bosco, prima della
miracolosa
apparizione era stato un ubriacone incallito; e, dal giorno in cui
l’aveva
incontrata, non aveva mai più toccato una goccia di alcol.
Un’altra era stata
una donna di malaffare, nota per intrattenersi con numerosi uomini
della città,
e dopo l’incontro aveva abbracciato il messaggio di Cristo,
come una novella
Maria Maddalena.
Ma
in città c’era anche qualcuno che non considerava
quella creatura un essere
benevolo: anzi, ne aveva proprio paura.
Quel
qualcuno si chiamava Hector Bowen, e aveva sette anni; da poco tempo
viveva in
una casa al limitare del bosco, lontana da tutte le altre. Suo padre
aveva
preso quella decisione spinto dall’esasperazione per le
condizioni della
moglie. La madre di Hector, infatti, soffriva di una malattia senza
nome, e per
questo ancora più terribile, che la portava a essere
insofferente e violenta
con se stessa, in particolare quando qualcosa di imprevisto turbava il
suo
equilibrio quotidiano, come un visitatore improvviso o un forte rumore.
Vivere
al centro della città rendeva la frequenza di tali
avvenimenti piuttosto
elevata, pertanto la famiglia Bowen si era spostata in una casa molto
più
isolata e tranquilla.
Il
piccolo Hector era sempre stato spaventato dalla leggenda della donna
del
bosco, a differenza della maggior parte degli altri bambini della
città, che ne
erano affascinati, e che spesso fuggivano da casa nottetempo per
addentrarsi
tra i fitti alberi sperando di scorgerla. Da quando viveva vicino al
bosco,
poi, ne era davvero terrorizzato.
In
una notte come tante gli capitò di non riuscire a prendere
sonno; a nulla era
valsa la camomilla che gli aveva preparato la madre: gli occhi non si
chiudevano, e il corpo non si voleva abbandonare al dolce sonno.
Il
vento sferzava violento tra i rami dei vicini alberi creando una specie
di
ululato, come quello di un branco di lupi affamati. Ma non era questo
che
turbava il piccolo; non lo urtava nemmeno il fatto che il padre, come
accadeva
sempre più spesso, non fosse ancora tornato a casa.
Quello
che lo spaventava più di tutto era la strana assenza del
canto della donna del
bosco, che si faceva sentire più che mai quando il vento
soffiava da nord come
quella sera. Quando si ha paura di qualcosa, si preferisce sapere
perfettamente
dove si trova, e il non sentirlo faceva morire di paura il piccolo
Hector.
Non
avrebbe mai saputo dire che ora fosse, ma, ad un certo punto, si
addormentò; fu
come se due incudini fossero precipitate all’improvviso sui
suoi occhi, come se
fosse svenuto per un qualche motivo sconosciuto; di certo non si era
addormentato come gli accadeva normalmente, abbandonandosi al sonno che
lo
cullava dolcemente.
Si
ritrovò all’improvviso in mezzo al bosco che tanto
lo terrorizzava; ma
stranamente era tranquillo. Non aveva la certezza di stare sognando,
tutto ciò
che gli stava intorno gli sembrava infatti eccessivamente vivido.
All’improvviso
un rumore di foglie attirò la sua attenzione, e da dietro a
un albero uscì la
donna del bosco. Hector non se la sarebbe mai immaginata
così: era
straordinariamente reale, nella sua figura snella ma materna, i fianchi
larghi
e il seno prosperoso; aveva la pelle bianca come il latte appena munto
e i
capelli neri come la pece che creavano un contrasto affascinante e allo
stesso
tempo spaventoso. Ma nessuno avrebbe mai potuto avere paura di lei, per
la
dolcezza che brillava nei suoi profondi occhi chiari.
«Hector»,
disse, rivolgendosi al bambino che la fissava stupefatto. Lui era
incantato dal
tono cristallino con cui parlava, così squillante ma allo
stesso tempo dolce.
Gli
si avvicinò, e gli si mise di fronte, inginocchiandosi in
modo che i loro volti
fossero alla stessa altezza; sorridendo, sollevò la mano
destra e gli accarezzò
una guancia.
«Non
hai più paura di me?», gli domandò con
tono rassicurante.
Hector
scosse energicamente la testa, abbozzando un sorrisetto allegro. Si
sentiva
sicuro e protetto.
«Ne
sono felice», gli disse lei, continuando a sorridere.
«Io mi chiamo Miranda, e
sono qui per farti un regalo», annunciò. Hector
rimase in paziente ascolto.
«Ho
atteso moltissimi anni in questo luogo prima che nascesse qualcuno
degno del
mio dono. Cominciavo a perdere la speranza, ma poi finalmente sei
arrivato tu,
piccolo Hector. Tu avrai da me in dono la magia».
Hector
fece un passo indietro. Finalmente fu sicuro che il suo fosse un sogno;
la
magia non esisteva, lo sapeva bene.
«Io
l’ho avuta da mio padre, poco prima che morisse»,
raccontò Miranda. «Non è un
dono comune, è estremamente raro possederlo, e si tramanda
di padre in figlio.
Purtroppo io non ho potuto trasmetterlo, perché sono morta
molto giovane, per
una grave polmonite. Sai, Hector, ci sono cose che nemmeno la magia
può risolvere»,
si rabbuiò per un attimo. «Ma può fare
molte cose; e io ho scelto te per avere
questo dono. Un giorno anche tu dovrai trasmetterlo a uno dei tuoi
figli», disse,
sorridendo nuovamente.
Aprì
la mano, e dal suo palmo scaturì una luce. Hector la
osservò incuriosito,
restandosene immobile.
«Avanti,
piccolo, metti la tua mano sulla mia», lo invitò
Miranda. «Non c’è niente di
cui tu debba aver paura».
Hector
non se lo fece ripetere due volte, toccò quella strana luce,
e all’improvviso
sentì un caldo estivo che gli entrava fin nelle viscere, a
contrastare il
freddo di quella nottata ventosa.
Fu
come se una musica li avvolgesse, l’anima inquieta che per
decenni aveva
peregrinato e il bambino dal carattere strano, che aveva pochi amici e
una
madre con una malattia sconosciuta. Lei finalmente si era liberata del
peso che
non le aveva permesso di volare via, verso l’ignoto luogo in
cui avrebbe
incontrato nuovamente tutte le persone che aveva amato e perso. Lui
finalmente
aveva qualcosa di speciale, un segreto da custodire che lo facesse
sentire
forte e sicuro, e che, un giorno, avrebbe usato per rendere felici
molte
persone.
Miranda
lo abbracciò, stringendolo a sé. «Ora
me ne devo andare, Hector», gli comunicò,
accarezzandogli i capelli. «Mi raccomando, non ti dimenticare
di me».
Lui
avrebbe voluto dirle di rimanere, di non lasciarlo solo; per la prima
volta
nella sua vita si era sentito veramente felice con lei. Ma non fece in
tempo,
poiché Miranda svanì lentamente.
Subito
dopo si ritrovò nel suo letto; si rese immediatamente conto
che a svegliarlo
era stato un forte rumore.
Uscì
dalla sua piccola stanza da letto, e si trovò davanti sua
madre che urlava, dopo
aver rotto un vaso per la rabbia, mentre suo padre le stava davanti con
sguardo
mortificato; ancora una volta era tornato a casa all’alba.
Non
appena se ne andarono verso la cucina, Hector si avvicinò ai
frammenti che
giacevano per terra; li toccò e questi si riunirono,
riportando il vaso alla
sua integrità.
In
quel momento nacque Prospero l’Incantatore. Nessun nome
d’arte sarebbe stato
più adatto per lui, che aveva avuto la magia da Miranda.
Da
quel giorno nessuno sentì mai più il canto della
donna del bosco.
Finalmente
Miranda se n’era andata in pace.